
In questa vignetta c’è tutta la miseria delle nostre istituzioni. Oggi si capisce meglio forse, spero che tutti lo abbiano fatto, che la sceneggiata della seconda nomina di Napolitano è stata tutt’altro che improvvisa e improvvisata. Che Napolitano DOVEVA restare al Quirinale per fare tutto quello che ha fatto e sta facendo, compreso dare dignità e residenza al pregiudicato silvio berlusconi.
Sottotitolo: nessun organo di informazione ha le prove televisive dell’incontro al Quirinale fra berlusconi e Napolitano di due giorni fa.
Questo significa che l’episodio raccapricciante può essere conservato solo nella memoria di chi l’ha saputo leggendo i giornali di questi giorni.
La presidenza della repubblica, solitamente così prodiga, non ha ritenuto opportuno far pervenire alla stampa e agli organi di informazione nemmeno una traccia dei contenuti dell’importantissima conversazione fra i due statisti.
E il capo dello stato, anche lui solitamente così prodigo e ben disposto a monitare sulla qualunque non ha ancora pronunciato mezza parola sull’evento, non pensa che sia il caso di doversi giustificare, ecco.
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Ma quando Laura Boldrini appena nominata presidente della camera andò da Fazio a Che tempo che fa a dire che gli italiani dovevano imparare [o tornare] ad innamorarsi delle istituzioni l’ha fatto perché sperava che obnubilati dal fuoco della passione non ci accorgessimo della raffica di porcherie che le istituzioni avrebbero continuato a rifilarci? a proposito, che fine hanno fatto i presidenti di camera e senato, non hanno niente da dire su tutto quello che sta succedendo dentro e intorno al parlamento?
E se anche Civati si mette ad arricciare il naso, a dire che Di Battista sulla questione degli F35 “è stato volgare” è roba da ridere.
Cos’è più volgare, un presidente della repubblica che dà udienza a un delinquente dopo che lo stesso era stato ricevuto dal nipote dello zio oppure un ragazzo – fino a prova contraria – onesto che con parole semplici e oneste prova a spiegare quello che succede in parlamento?
E di fronte allo scempio costituzionale [ci mancava anche l’ipotesi di Gianni Letta senatore a vita: il colpo di grazia, praticamente] che sta subendo un paese intero per mano di chi dovrebbe difenderlo, all’abuso reiterato nascosto dietro il paravento della “pacificazione” è davvero e ancora il caso di attaccarsi alla forma o sarebbe il caso di guardare finalmente alla sostanza?
E per quale motivo gli italiani si dovrebbero innamorare dei complici di un ricattatore o anche semplicemente guardarli con rispetto?
Da parte mia nessun rispetto per gente così, per chi ha barattato la dignità di un paese intero in funzione di silvio berlusconi.
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Ha detto Mentana ieri sera al tg che la frase offensiva [quel fango di Falcone] di Miccoli estrapolata dalle intercettazioni è peggio di un reato ma non è un reato.
Dunque si lascia ancora ad intendere che delle intercettazioni venga fatto trapelare il non dovuto con l’obiettivo di sottoporre alla cosiddetta gogna mediatica gl’intercettati. Il mio non è un appunto a Mentana; voglio semplicemente rilevare che nemmeno altre dichiarazioni trapelate dalle intercettazioni sono reati, io scrivo su una bacheca facebook e un paio di blog, Mentana parla da un tg molto seguito a diffusione nazionale, le intercettazioni sono sempre sotto attacco, e star lì a dire che “sì va bene, però”, può essere interpretato in modo distorto da chi pensa che il problema di questo paese siano le intercettazioni.
Nemmeno definire il vecchio debosciato condannato “culo flaccido” è un reato, però sapere che le amichette del cuore e dei conti in banca avessero – e probabilmente ce l’hanno sempre avute ma al conto si sa, non si comanda – certe opinioni sul presidente più amato degli ultimi 153 anni serve a definire il linguaggio con cui abitualmente si esprime e il contesto in cui si muove gente che poi pretende di presentarsi in società solo con la faccia bella e il vestito della festa.
Siccome gran parte della decadenza etica e morale di questo paese è dovuta soprattutto a gente così, che parla così e agisce così, che poi viene presa a modello, invidiata da ragazzi e ragazze posso dire che a me che vengano sputtanati la Minetti, Lele Mora o berlusconi in persona non suscita un particolare dispiacere, anzi, mi provoca un sottile e perverso brivido di piacere.
E’ in questa melma disgustosa in cui il paese annega da quasi vent’anni che sono nati e stanno crescendo i nostri figli, che si stanno formando le nuove generazioni.
berlusconi non è pericoloso solo perché sta condizionando il presente da tutto questo tempo, perché è entrato con violenza nella vita di tutti ma perché ha già stravolto e deformato anche il futuro.
Fermarlo dovrebbe essere l’imperativo, un dovere di tutti, altroché pensare di farci affari e intese politiche.
Ciò detto a me la polemica di Grillo, l’ennesima contro Napolitano e i suoi comportamenti istituzionali irresponsabili, è piaciuta.
GRILLO: “IL CAPO DELLO STATO INCONTRA B.? COME SE AVESSE INVITATO AL CAPONE”
Il fatto che il Quirinale, la casa di tutti gli italiani sia diventata il crocevia, il fermoposta, la segreteria, il refugium peccatorum di un ex ministro indagato in cerca di chissà quali conforti, di un diffamatore seriale che si crede un giornalista e che ottiene la grazia senz’aver scontato un’ora della sua condanna, di un ex presidente del consiglio che viene indagato e condannato al ritmo del suo respiro, uno con un bagaglio impressionante di reati, processi, capi d’imputazione, pendenze giudiziarie di ogni tipo e misura, il tutto abilmente camuffato da esigenza istituzionale, come se fosse normale che il presidente della repubblica sia obbligato a conferire con silvio berlusconi invece di metterlo alla porta come si conviene, a me fa letteralmente vomitare. Senza arrivare a quel che succede(va) in quel di HardCore e dintorni basterebbe ricordarsi le corna, il cucù alla Merkel, Obama l’abbronzato, la pietosa scenetta sul palco della Greenpower, la barzelletta sull’olocausto raccontata il 27 gennaio, giorno della Memoria, “mussolini ha fatto anche cose buone” e le altre squallide e volgari performance in cui si è esibito per spiegare che forse uno così con le istituzioni, con la politica e con lo stato non c’entra niente.
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Berlusconi da Napolitano: l’incontro fantasma che non finisce in Tv
Paolo Ojetti, Il Fatto Quotidiano, 28 giugno
Il Minculpop era un’associazione di filantropi, al confronto.
Cos’è, Napolitano si vergogna a far sapere in giro di certe sue frequentazioni?
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L’arte di Riccardo Mannelli
Nessuno saprà mai – e se anche qualcuno lo sapesse, verrebbe smentito a raffica – se l’ordine è partito dal Quirinale. Oppure (meno probabile) da Palazzo Grazioli. Oppure se c’è stata una indipendente congiura mediatica di giornalisti televisivi esperti in censura chirurgica. Fatto sta che dell’incontro fra il condannato Silvio Berlusconi e il rieletto Napolitano non esiste nemmeno un’immagine, nemmeno un fotogramma, nemmeno una mini sequenza, nemmeno un’istantanea. Nulla sulle televisioni, pubbliche-private-locali, nulla su Youtube. È tutto sulla fiducia. Solo il servizio di Gaia Tortora su La7 ha fatto uno scoop: ha inquadrato la nuova Audi del Cavaliere (vetri neri, forse vuota), che entrava al Quirinale, seguita dal solito furgone blindato, con a bordo una brigata di guardaspalle e fucilieri. Il Tg5 non aveva nemmeno quella e ha riproposto l’Audi vecchia, circondata da passanti e poliziotti con il cappottone, tripla sciarpa e bonnet di lana siberiana, dunque una salita al Colle dell’inverno scorso. Poi ha aggravato la truffa riciclando uno struscio fra Napolitano e Berlusconi del 2011, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Stessa vecchia Audi per il Tg1, con Simona Sala tutta in tiro: “L’incontro è servito a spazzare le nubi dopo la sentenza di Milano”.
Spazzare le nubi: ecco, al Colle si rappresentava Mary Poppins nel ballo degli spazzacamini. In compenso, si sono sprecate le riprese delle strette di mano fra Napolitano e Letta, Napolitano e Alfano, Napolitano e Cancellieri, Napolitano e Giovannini, Napolitano e Moavero, Napolitano e Saccomanni, Napolitano e un corazziere impalato. Certo, sarebbe stato imbarazzante immortalare una vigorosa stretta fra la mano di Napolitano e quella del pregiudicato Berlusconi, ancora sudaticcia dopo “la sentenza di Milano” su concussione per costrizione e prostituzione minorile, un reato che per tutti – cavalieri soprattutto – viene ritenuto davvero infamante. Anche se – il Tg2 in particolare ha enfatizzato – la parola d’ordine del giorno puntava a trasformare il Cavaliere in un personaggio eroico: “Ha avuto il coraggio di tenere distinta la sua vicenda giudiziaria dalla sorte del governo”. Di questo passo, la fragile opinione pubblica sarà stata convinta (sempre che la Santanchè smetta con gli “stili di vita”) che esistono due Berlusconi: quello buono, il politico e l’altro, il torbido utilizzatore finale di minorenni. Poiché è certo che i due non si frequentano e nemmeno si conoscono.
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Nel fondo di Travaglio dedicato a Gianni Letta manca un particolare: sempre nell’ambito dell’affare Mammì quando Gianni Letta finì sotto inchiesta con Galliani il pm Maria Cordova chiese di arrestarli entrambi, ma il gip Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa disse di no perché Letta era, e si presume che sia ancora, un «amico di famiglia».
Il capo della Iannini era all’epoca dei fatti Renato Squillante, quello Squillante lì.
Strano che Travaglio abbia dimenticato il particolare più gustoso.
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Il Conte Zio
Marco Travaglio, 28 giugno
Scorrendo l’elenco dei senatori a vita nominati dai presidenti della Repubblica dal 1949, s’incontrano i nomi di Toscanini, De Sanctis, Trilussa, Sturzo, Paratore, Merzagora, Parri, Montale, Eduardo De Filippo, Bo, Bobbio, Spadolini, Levi Montalcini, Luzi. Tutti personaggi che — articolo 59 della Costituzione — hanno “illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.
Ora, per dire come siamo ridotti, corre voce che Napolitano si accinga a nominare Gianni Letta. E già, all’ombra dei cipressi e dentro l’urne dei principali famedii, si registra un leggero venticello originato dal rivoltarsi nelle tombe di molti illustri precedessori.
Ma è tutta invidia postuma. In realtà la biografia del Conte Zio combacia alla perfezione con il dettato costituzionale, avendo egli illustrato la Patria per altissimi meriti in tutti in campi indicati. Anzitutto quello letterario, come direttore negli anni 70 e 80 de Il Tempo, uno dei quotidiani più servili che la storia del giornalismo e del servilismo ricordi. In quella veste, nel 1984, è coinvolto nello scandalo dei fondi neri dell’Iri, quando il presidente dell’Italstat Ettore Bernabei mette a verbale davanti a Gherardo Colombo: “Venne a trovarmi Gianni Letta, al quale consegnai 1,5 miliardi di lire in Cct, dietro promessa di appoggio alla politica economica di Italstat”. Letta ammette: “Fu un’operazione legittima. L’Iri pagava una campagna promozionale.
Chi doveva dirci che i fondi erano neri?”. Peccato che a Bernabei quella campagna non risultasse: “Nulla so dell’effettiva utilizzazione da parte del Letta di Cct per 1,5 miliardi di lire”. Il processo trasloca da Milano a Roma e lì riposa in pace. Intanto, nel 1987, Letta-Letta (come lo chiamava Sergio Saviane, che aggiungeva: “Ha un nome da uomo, veste da uomo, porta la cravatta da uomo ma sembra sua sorella”) è passato alla Fininvest: conduttore e vicepresidente.
E lì ha modo di illustrare la Patria nel campo artistico: anche quella delle mazzette è un’arte. Che nel ’93 gli vale l’ambìto riconoscimento di un avviso di garanzia a Milano per una stecca di 70 milioni di lire versata nel 1989, vigilia della legge Mammì, al segretario Psdi Antonio Cariglia. Lui racconta, con comprensibile orgoglio: “La somma fu da me introdotta in una busta e consegnata tramite fattorino”.
Lo salva l’amnistia. Ma subito un pm di Roma chiede il suo arresto per aver illustrato la Patria anche in campo scientifico: ramo telecomunicazioni. Antefatto. Nel ’92 il ministro Mammì incarica il suo portaborse e portamazzette, Davide Giacalone, di stilare il piano delle frequenze tv: gli aspetti tecnici li segue la ditta di tal Remo Toigo, ovviamente in cambio di tangenti ai politici. Ma la Fininvest non gradisce il modus operandi di Toigo, che viene perciò convocato da Galliani. Questi gli dice che il ministero non apprezza il suo lavoro. Toigo ha un attacco di labirintite: ohibò, e che c’entra la Fininvest col ministero? Ingenuo. Galliani chiama Letta, lo prega di organizzare un incontro al ministero e parte con Toigo per la capitale. Ad attendere i due al ministero non c’è il ministro: ci sono Letta e Giacalone, che raccomanda a Toigo di fare come dice la Fininvest.
Subito dopo Giacalone diventa consulente Fininvest e viene mezzo assolto e mezzo prescritto. Letta invece assolto. Ciò malgrado diventa sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei tre governi B., nonché gentiluomo di Sua Santità. E illustra la Patria in campo gastronomico (il “patto della crostata” della Bicamerale a casa sua) e soprattutto sociale, sponsorizzando gentiluomini come Pollari, Bertolaso, Bisignani e Guarguaglini. Perché ha un fiuto da rabdomante per le persone perbene.
Come del resto Napolitano, che l’altroieri ha ricevuto al Quirinale un condannato per frode fiscale, concussione e prostituzione minorile, onde esortarlo a sostenere Letta (Enrico, il nipote). Forse, per il Conte Zio, il Senato a vita è un po’ riduttivo. Santo subito.