USA e getta

La cosiddetta “ragion di stato” serve a tutto fuorché a proteggere davvero uno stato. Che si chiami Datagate o trattativa stato mafia non fa nessuna differenza. Nella storia, nella politica come nella vita quello che conta è come sempre la verità. Senza verità non può mai esserci nessun progresso civile, nessuna giustizia. Nessuna democrazia.

Datagate, la Merkel spiata dal 2002
P. Chigi, i privati controllano la rete


La ragion di stato non serve a proteggere lo stato ma unicamente chi fa il male di quello stato. Lo abbiamo visto qui in sessant’anni di presunta democrazia durante i quali sono stati coperti e protetti gli autori delle stragi dando di volta in volta una matrice opportuna all’attentato, alla bomba fatta esplodere in una banca e alla stazione, all’autostrada e al palazzo saltati in aria, perché nessuno doveva e deve sapere che pezzi consistenti dello stato agivano e si muovevano in contrasto con i loro doveri, e anche quando i nomi c’erano lo stato, le sue istituzioni alte e quelle altissime hanno agito in modo tale che “il buon nome” del paese non dovesse essere messo in discussione. 

Perché non è credibile un paese i cui governi e lo stato proteggono e riparano chi agisce contro lo stato così come non è credibile un paese le cui amministrazioni, che siano repubblicane o democratiche non fa differenza, pensano che sia utile esportare civiltà con le bombe, con la guerra, ma poi quello che succede durante una guerra non si deve sapere. 

In un mondo normale Manning, Assange e Snowden sarebbero considerati i Resistenti del nuovo millennio, i Partigiani della verità, in questo invece li considerano dei fuori legge da isolare e chiudere in una galera.

La verità è un lusso che i disonesti non possono permettersi.

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Ultimi della classe: stampa e corruzione. Non ci resta che piangere [G.Gramaglia]

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PESSIMA QUALITÀ DELLA VITA E ANALFABETI: SIAMO ULTIMI, O AL PARI CON PAESI DEL TERZO MONDO

La politica è da buttare, l’economia va male, il lavoro non c’è, la fiducia neppure. Che brutta Italia, proprio “un paese dei cachi”. Vabbeh!, ma vuoi mettere la qualità della vita? Attenzione a non farci illusioni: manco quella abbiamo, se diamo credito a statistiche e classifiche, che saranno pure stilate da qualche noioso e pignolo burocrate nordico o asiatico delle organizzazioni internazionali, ma spesso ci azzeccano. Non ci resta che consolarci con le giornate di sole che – complice la geografia – sono più numerose che altrove. Ma poi scopriamo che la grigia Germania ha molto più fotovoltaico di noi e ci viene la depressione. Se già vi sentite un po’ giù, non inoltratevi in questo viaggio nelle magagne italiche. Se, invece, amate cullarvi nelle vostre malinconie, questa lettura v’è consigliata: preparatevi a indossare la Maglia Nera, percorrendo un’antologia di dati tutti recenti – e tutti, ahimè, negativi -, senza andare a scartabellare troppo indietro negli archivi.

Trasparenza e Corruzione 
L’indice della corruzione di Transparency International ci vede circa a metà del gruppo di 174 Paesi censiti, al 72° posto, sempre in fondo al plotone dell’Ue con Grecia e Bulgaria e con un voto ben lontano dalla sufficienza e lontanissimo dai Paesi leader, Danimarca, Finlandia e una sorprendente, ma costante, Nuova Zelanda. Forse le cose stanno per migliorare, perché, sempre secondo Transparency International, l’Italia è fra i Paesi che meglio applicano la Convenzione dell’Ocse contro la corruzione – ma i risultati, finora, non si vedono.

Fondi e infrazioni 
Nell’Unione europea, siamo, con Bulgaria e Romania, Paesi, però, da poco arrivati, quelli con minore capacità di spesa dei fondi a noi destinati: del pacchetto per la coesione, settennale, abbiamo utilizzato, adesso che s’avvicina la fine del periodo, il 31 dicembre, solo il 40% del totale. Ci lamentiamo che dall’Ue arrivano pochi soldi, ma riusciamo a spendere solo due euro su cinque.

Procedure di infrazione
In compenso, ne sprechiamo un sacco a pagare multe per il mancato recepimento delle direttive o per le infrazioni alle stesse: siamo i campioni incontrastati su questo fronte. Eravamo appena scesi sotto quota cento infrazioni, a 99, a fine 2012, ma siamo rapidamente tornati sopra collezionando più nuove procedure di quante non riusciamo a chiuderne di vecchie. Ambiente e rifiuti sono le voci dove siamo messi peggio.

Leggere e fare i conti
Per l’Ocse, gli italiani, con gli spagnoli, sono i cittadini che meno sanno leggere e far di conto – lo studio è stato condotto in 24 Paesi: giapponesi e finlandesi guidano l’elenco (e i cechi sono bravi in aritmetica). Per la serie mal comune mezzo danno, gli americani non ne escono molto meglio di noi.

Abbandono della scuola
Vanno a braccetto con le cifre dell’Ocse quelle di Eurostat: l’Italia non tiene il passo dell’Unione nella battaglia contro l’abbandono scolastico: 17,6% contro una media Ue del 12,8% – l’obiettivo è il 10%. Mentre i giovani in possesso di qualifiche di istruzione superiore sono il 21,7% – media Ue 35,8%, obiettivo 40%.

I ritardi di Internet
Anche per l’accesso a internet, l’Italia è lontana dalla media Ue: il 43% delle famiglie non ha una connessione, contro una media del 32%. Peggio di noi Bulgaria, Romania e Grecia, mentre in Svezia solo il 7% delle famiglie non ha Internet. Gli italiani, complice la carenza, rispetto alla media Ue, della banda larga, sono anche fra i più reticenti a fare acquisti online e ad utilizzare i servizi di e-government: appena il 22% vi ricorre (in Danimarca, l’80%), in parte perché il loro funzionamento è il peggiore nell’Unione – Romania a parte.

Qualità della vita
Un recente rapporto della Commissione europea indica che le città italiane non reggono il confronto con le migliori europee: fra i 79 centri urbani del campione prescelto, ci sono Bologna, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Verona, la migliore, che si piazza 18a, mentre in cima alla classifica stanno Aalborg, in Danimarca, Amburgo, Zurigo e Oslo. Settore per settore, Roma, Napoli e Palermo sono le ultime della classe per i trasporti pubblici e l’efficienza amministrativa, Roma è la peggiore per i servizi scolastici, Palermo la più sporca. L’unica altra metropoli europea che fa loro persistente compagnia sul fondo classifica è Atene.

Libertà di Stampa
Freedom House la misura ogni anno, con un doppio indicatore, numerico da 1 a 100, e qualitativo, stampa libera, semi-libera, non libera: l’Italia con 33 punti, è 73a su 187 Paesi al Mondo, ma è soprattutto l’unico Paese senza libera stampa dell’Europa cosiddetta occidentale, con la Turchia. I criteri della classifica sono discutibili, ma trovarci in testa Finlandia, Svezia e Norvegia non sorprende, così come trovarci in fondo la Corea del Nord, l’Eritrea e vari Paesi dell’ex Urss.

Salvate il soldato Manning

Sottotitolo:  spero che saranno sempre meno gli uomini e le donne che a tutte le latitudini sceglieranno di indossare una divisa per onorare i propri paesi che poi non onorano loro, né da vivi né da morti. 

 Charles Graner, uno dei soldati condannati per le torture di Abu Ghraib, è stato condannato a  dieci anni, ed è quello tra i 17 accusati ad aver ricevuto la pena più alta.

Danno i Nobel per la pace a chi vende le armi e a chi ordina di usarle  [UE e Obama]  mentre a chi s’impegna davvero per la pace la galera praticamente  a vita.

In un mondo normale Manning, Assange e Snowden sarebbero loro i destinatari di un premio per onorare la pace, invece in questo li considerano dei fuori legge da chiudere in una galera.

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Wikileaks, Manning condannato a 35 anni dalla Corte marziale degli Usa

Mauro Biani

Bradley Manning condannato a 35 anni per aver rivelato tramite Wikileaks gli orrori delle guerre in Iraq e Afghanistan. È la pena più alta mai erogata contro un informatore della stampa negli Stati Uniti. Obama guarda altrove, mentre i colpevoli delle rendition sono liberi e la Nsa intercetta illegalmente tutta Internet. [Il Manifesto]

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L’America è un paese pieno di contraddizioni, alcune insopportabili per la loro inciviltà, tipo la pena di morte, la sottomissione alla lobbies che armano le mani di chiunque affinché possa compiersi la strage quotidiana sulla quale il primo a versare le sue lacrime ipocrite è proprio chi potrebbe e dovrebbe dire basta alla rozzezza violenta di quel secondo emendamento pensato in tempi diversi in cui forse era più urgente l’esigenza di doversi difendere in proprio: dove c’è uno stato che funziona nessuno dovrebbe pensare ad una giustizia domestica, fai da te.
L’America è quella che ieri ha condannato un ragazzo di 25 anni a trascorrere in un carcere più anni della sua vita già vissuta perché colpevole di aver detto la verità sulla menzogna delle missioni cosiddette di pace che invece non sono altro che le solite atrocità che si commettono in tutte le guerre.

Ma l’America è anche quella che ha condannato a 150 anni di galera, catene ai piedi, manette e tuta arancione Bernard Madoff, che lo ha costretto all’umiliazione della confessione davanti alle vittime del crac finanziario da lui causato, all’ammissione della sua colpa; in precedenza c’era stato il caso Enron, anche quello concluso con condanne esemplari per i responsabili del disastro finanziario. 

Questo perché il loro diritto riconosce come gravissimi i danni che vanno a colpire più che il singolo la collettività.

Contro la criminalità comune, quella da strada ci si può sì organizzare, ma è tutto relativo alla capacità umana di delinquere, il mondo è abitato da miliardi di persone e pensare di poter mettere la parola fine alla malavita dei furti, degli omicidi, degli stupri e delle violenze in generale fa parte di quella utopistica follia che in quanto tale non è realizzabile.

E’ però possibile mettere un tetto alla criminalità che va a colpire tutti, ed è per questo che in America ma generalmente in tutti i paesi civili nessun governo ha mai pensato di annullare leggi importanti in materia di regolamentazione e controllo della finanza e dell’economia, ad esempio quella sul falso in bilancio, rendendo di fatto il dolo una virtù, e nemmeno la politica di quei paesi ha mai pensato di dover restituire un’agibilità politica, una dignità persa volontariamente a chi non si è fatto nessuno scrupolo a danneggiare il suo paese e lo ha potuto fare proprio in virtù del suo ruolo politico che gli ha consentito di aggiustarsi le leggi in relazione e in proporzione ai reati che man mano commetteva.

In America chi froda lo stato e a cascata i suoi concittadini viene emarginato, evitato, considerato per quello che è: un ladro, un truffatore, un evasore e nessuna figura politica, men che meno il presidente di tutti penserebbe di dover intercedere per favorire chi ha rubato a tutti per arricchire se stesso.

Queste sono cose che fortunatamente per le casistiche e le statistiche mondiali riguardano solo l’Italia dove nessuno nella politica  si vergogna né lo ha fatto in precedenza quando ha agevolato tutte le leggi per renderlo presentabile a tutti i costi,  di sostenere la causa di un pregiudicato, delinquente e condannato che pretende che si cancellino con un colpo di spugna i suoi reati e la sentenza che lo ha condannato perché qualcuno  gli ha fatto credere di essere una persona insostituibile e che doveva assolutamente partecipare alle questioni riguardanti la politica – nonostante e malgrado il suo curriculum penale e giudiziario – quella che decide anche e soprattutto [e purtroppo visti i risultati] per i cittadini onesti, quelli che non commettono reati, quando succede si assumono la responsabilità del loro agire e nessuno offre loro la possibilità di chiedere qualcosa che non esiste da nessuna parte, ovvero l’agibilità per poter continuare a delinquere e sfuggire alla legge e alla giustizia.

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Prigionieri volontari
Marco Travaglio, 22 agosto

La scena, che sta facendo il giro del mondo, ricorda quei film americani dove il criminale evaso prende in ostaggio un asilo, una scuola, un centro commerciale e, minacciando persone inermi, detta condizioni alla polizia che circonda l’edificio: un elicottero, un documento pulito e un permesso per l’espatrio. 

Siccome però siamo in Italia, la sceneggiatura presenta alcune varianti. 

1) Il criminale non ha avuto bisogno di evadere, perché i condannati per frode fiscale in galera non ci vanno neppure se spingono. 

2) La polizia non può far nulla per assicurare il pregiudicato alla giustizia, anzi è costretta a scortarlo a spese dei contribuenti, onde evitare che si imbatta inavvertitamente in qualche persona onesta. 

3) Siccome è molto ricco e fa sempre le cose in grande, l’energumeno non si contenta di asserragliarsi in un locale pubblico, ma tiene direttamente in ostaggio governo, Parlamento e Quirinale. 

4) Non gli occorrono armi da fuoco o da taglio: gli basta minacciare di rovesciare il governo di cui fa parte, anche perché gran parte degli ostaggi sono affetti da congenita sindrome di Stoccolma, felicissimi di essere nelle sue mani. 

5) Non chiede di poter fuggire all’estero, ma di restare in Parlamento, in barba a una condanna definitiva e a una legge che lo dichiara decaduto e incandidabile votata otto mesi fa anche da lui, mentre i presunti avversari che governano con lui, per nulla imbarazzati dal concubinaggio con un pregiudicato, lo implorano di restare con loro per salvare il Paese dalla frode fiscale, dalla corruzione, dalla mafia e da altre sue specialità.

Intanto i suoi giornali, e dunque il Pg della Cassazione e il Csm, processano il giudice che l’ha condannato, reo di aver spiegato a un cronista di averlo condannato perché colpevole e per giunta di aver manifestato in alcune cene private una certa antipatia nei suoi confronti. Antipatia davvero inspiegabile, visto che costui ospitava in casa un boss mafioso, era iscritto alla P2, era amico dei peggiori ladri di Stato, pagava mazzette a politici e mandava i suoi a corrompere finanzieri e giudici, falsificava bilanci, frodava il fisco, organizzava giri di prostituzione anche minorile, comprava senatori e ripete da 20 anni che i magistrati sono un cancro da estirpare, come i killer della Uno bianca, un covo di golpisti e di matti, psicolabili, antropologicamente estranei alla razza umana. Insomma, un amore che dovrebbe attirare l’istintiva simpatia dei magistrati. Lo stesso trasporto che gli manifestano orde di intellettuali, impegnati in questi giorni in un’affannosa riforma del diritto e del vocabolario per non dover usare con lui parole spiacevoli. 

Pregiudicato diventa “perseguitato”, condanna “guerra civile”, impunità “agibilità politica”, inciucio “pacificazione”, decadenza e incandidabilità “eliminazione dell’avversario politico per via giudiziaria”. 

Giuristi ed editorialisti che otto mesi fa plaudivano al decreto Severino “Parlamento pulito”, regolarmente passato al vaglio parlamentare di costituzionalità e firmato dal capo dello Stato, ora scoprono che è incostituzionale perché riguarda i delitti commessi prima. 

Potevano pensarci quando B. escluse dalle liste i condannati Dell’Utri, Sciascia e Brancher, privandoli dell’“agibilità politica” e guadagnando voti per le sue presunte “liste pulite”. Invece si svegliano ora che tocca a B. Sul Corriere Sergio Romano, l’ambasciatore che girava il mondo senza vedere nulla, spiega che far decadere B. da senatore come previsto dalla legge significherebbe “cacciare”, “delegittimare un leader di partito”, “decapitarlo con gli occhi bendati per mano di quelli con cui deve governare”. 

Dunque il Senato lasci tutto com’è, rinviando alla Consulta “l’esame di certi dubbi sull’applicabilità della Severino” e ripristinando l’“equilibrio tra i poteri dello Stato”, a suo dire violato dal Parlamento con una legge che vieta l’ingresso ai condannati. Per questo, a ben vedere, B. tiene l’Italia in ostaggio da vent’anni: perché molti ostaggi sono volontari felici.