Massimo Giannini oggi fa il conduttore al servizio pubblico di Raitre dopo essere stato per anni il vicedirettore di un quotidiano, La Repubblica, che ha fatto la guerra a berlusconi su tutte le cose che oggi perdona a Renzi, compresa l’insopportabile legge bavaglio che quando la voleva fare berlusconi diocenescampieliberi ma ora che la fa Renzi è tutta un’altra cosa e dopo avergli tirato la volata per mesi. Dunque è abbastanza difficile se non impossibile cucirgli addosso i panni del perseguitato ora che il nemico dell’informazione non è più il caimano ma il pupillo stracoccolato dalla grande stampa italiana.
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Il fatto che ci sia gente che pensa al giornalista come ad un’entità soprannaturale, senza idee proprie, senza un orientamento politico, una fede religiosa se ne ha bisogno dà l’esatta misura del perché il giornalismo in Italia è ridotto ai minimi termini: la gente non giudica nel merito del servizio e dei contenuti ma basandosi sulla persona, un giudizio che spesso è viziato dal pregiudizio sul giornalista antipatico e dunque non credibile perché è troppo di destra, troppo di sinistra o troppo indipendente.
Non è importante se il giornalista è di destra o di sinistra, se crede in Dio, Buddha o Allah, non sono importanti le sue faccende private, se è eterosessuale, lesbica o omosessuale.
Dal giornalismo e dai giornalisti si deve pretendere che facciano quello che hanno liberamente scelto di fare e cioè INFORMARE: tutto il resto è la solita fuffa e caciara costruite ad arte da chi ha la necessità di difendere pedissequamente il proprio idolo, totem e guru e per questo rinuncia a confrontarsi con la realtà che diventa odio, livore, menzogna.
Le persone intelligenti, interessate alla conoscenza dei fatti li vanno a cercare ovunque e preferiscono sempre sapere con chi hanno a che fare, proprio per poter valutare la credibilità e l’esattezza di chi dà le notizie e le commenta secondo il suo punto di vista.
Questo per quanto riguarda un’opinione pubblica lobotomizzata da decenni di propaganda.
Parlando nel merito di ciò che deve fare un giornalista, che piaccia o meno al podestà di turno, ai suoi vassalli e servi sciocchi al seguito il compito del giornalista è, contrariamente a quello che pensano in troppi proprio quello di criticare la politica, altroché seguire una linea o accorgersi di chi “ha vinto le elezioni”, fra l’altro Renzi non ha vinto proprio niente, è diventato perfino noioso dover ricordare ogni volta in che modo Renzi è andato a finire a palazzo Chigi.
Chi parla di odio, livore e partigianeria a proposito di un certo giornalismo vada a guardarsi un talk show in un qualsiasi paese civile, dove i palinsesti non li fanno i capi del governo in concerto con le redazioni e le domande non vengono concordate con gli uffici stampa del politico.
Normalmente il giornalista fa la prima domanda ma soprattutto la seconda, ed esige una risposta, perché da giornalista sa di non dover rendere conto al politico ma ai cittadini che per mezzo dell’intervista possono costruirsi una libera opinione sul politico. Uno come Renzi verrebbe inchiodato per ore nel talk show e invitato a dimostrare con i fatti tutte le balle che si limita a citare e ad annunciare. Punto su punto.
Ma questo è incomprensibile in un paese dove si calcola tutto in piccoli e miserabili numeri per ricavarci la percentuale di share, di chi parla di più o di meno e sulla base del proprio sentire, così tutto quello che è contrario ai desiderata del capetto e dell’infatuato viene considerato alla stregua del dispetto personale.
Non esiste paese al mondo, se parliamo di democrazie occidentali, dove la politica interferisce in modo così asfissiante sull’informazione come succede qui. Questo si rovescia inevitabilmente poi sulla scelta della classe dirigente fatta da cittadini continuamente imbambolati e rincoglioniti dalla propaganda coi risultati che vediamo, perché a fronte di una piccola minoranza di gente responsabile che non si fa guidare e indirizzare dal talk show ci sarà sempre la maggioranza rincoglionita che si è fatta abbindolare e che impone le sue scelte politiche anche alle incolpevoli vittime della minoranza.
Le cose buone fatte dalla politica, dai governi non deve raccontarle il giornalista: se ne devono accorgere i cittadini vedendo la loro vita cambiare in meglio, perché tutto funziona meglio.
Ma siccome la politica e i governi sanno di non essere mai nel giusto allora hanno bisogno di chi racconti le cose per come dovrebbero essere ma non sono.
E tutto quello che si contrappone fra la realtà vissuta e la menzogna raccontata diventa un pericolo, qualcosa da eliminare dalla visuale dei cieli azzurri e del panorama del tutto va bene.
E’ tutta qui la storia.
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E’ seccante dover dire “io l’avevo detto”, però lo avevo detto, e l’ho ripetuto nel tempo in varie occasioni quando la truppa d’assalto degli antigrillo si organizzava per terrorizzare, paventare il pericolo dell’ascesa del movimento del popolo, il movimento “fascista”, mentre il vero fascismo si organizzava per tornare in grande stile sotto forma dell’ancien régime più reazionario e antidemocratico che abbia mai preso possesso del potere dopo il ventennio, non quello di berlusconi ma di mussolini.
Ed è veramente pietoso ascoltare e leggere le arrampicate sugli specchi di chi ancora adesso, alla luce delle minacce di Vincenzo De Luca al “giornalismo camorristico” e alle richieste di Renzi per bocca di Michele Anzaldi, segretario della commissione di vigilanza Rai circa un maggiore asservimento dell’informazione: specificamente quella del servizio pubblico al pensiero unico del partito unico, continua a ripetere la filastrocca di Grillo che faceva la lista dei giornalisti “cattivi” sul blog, come se si potesse anche lontanamente paragonare un presidente del consiglio andato al potere in modo arbitrario e assai discutibile all’opinione, spesso legittima anche se talvolta espressa male di chi è stato ed è continuamente bersagliato dagli stessi media che tacciono sulla bulimia di potere che affligge Renzi e il suo centro di potere.
Nota a margine: difendere il giornalismo libero significa, ad esempio, pretendere che il direttore di un telegiornale non si offra all’osceno siparietto organizzato da Bianca Berlinguer che è andata di persona dal presidente del consiglio a farsi rassicurare nel merito del suo futuro professionale dopo le minacce di epurazione del segretario della vigilanza Rai.
Perché se fino a ieri il dubbio sull’imparzialità del Tg3 non c’era oggi forse a qualcuno gli viene.