I politici passano, la Costituzione resta

referendum-5dNell’epoca di internet, dei social dove Renzi e i suoi sono iper presenti la maggior parte di chi ha votato sì ha più di 55 anni. Il che vuol dire che in Italia c’è un enorme problema di informazione generalista che non fa il suo dovere. Chi attinge solo dai canali ufficiali, telegiornali, talk show, quotidiani compiacenti al potere ha creduto a tutte le balle che Renzi ha propalato in questi mesi da tutti i media. Chi invece non si accontenta perché fa parte della generazione più colpita dalle politiche di Renzi e va oltre, si informa altrove, ha capito la truffa e salvato l’Italia.

Alle tre di stamattina c’era ancora gente che twittava insulti a Travaglio, ospite della maratona di Mentana. Se il problema di un’informazione sempre e da sempre accucciata davanti al potere quale che sia sono due quotidiani: Il Fatto Quotidiano e Il Manifesto che non lo fanno, significa che non si capisce cos’è più dannoso fra un giornale come Il Fatto che forse accentua i toni, mai comunque più di quanto abbia già fatto la politica, forse non le azzecca sempre e tutte ma in quanto a notizie ne dà sempre qualcuna in più degli altri e tutta quella stampa e informazione parlata e scritta sempre disposta a reggere il gioco al potere, a legittimarne le menzogne, a conferire autorevolezza a chi non meriterebbe neanche una briciola di stima, a disorientare i cittadini, a dichiararsi corretta e imparziale mentre e specialmente in questa orrenda campagna elettorale, non è mai stata né l’una né l’altra. 

E, se il problema è Marco Travaglio e non i cosiddetti leader di ‘sinistra’,  non solo Renzi, i quali nel tempo hanno fatto strame della sinistra e l’hanno diluita sempre di più in una destra farlocca, neanche buona a difendere un po’ questa nazione sciagurata ma ottima per consegnare l’Italia a mani estranee e tutt’altro che disinteressate, non bastano tutte le Costituzioni più belle del mondo a salvare l’Italia ma ci vogliono molti medici bravi, capaci e competenti.
Perché in un paese normale oggi scatterebbero le dimissioni per vergogna e indecenza della maggior parte dei giornalisti, direttori di quotidiani che in questi mesi hanno scritto l’impossibile e raccontato l’inenarrabile per vendere la “riforma” di Renzi e Renzi quale unica cura per la salvezza dell’Italia, in questo, invece, li ritroveremo tutti allineati e pronti a mettersi al servizio del prossimo che arriverà a sostituire Renzi.

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L’unico bel gesto che avrebbe dovuto fare Renzi era non intestarsi la paternità di una riforma costituzionale in cui non doveva entrarci lui e nemmeno il suo governo.
Nelle repubbliche democratiche la Costituzione la tocca solo il parlamento espressione dei cittadini, non di una legge incostituzionale che al massimo doveva garantire la tenuta dello stato fino alla nuova legge elettorale.

Renzi ha perso anche col voto degli italiani all’estero, evidentemente i nostri connazionali in terra straniera, anche quelli che non parlano l’italiano, che non hanno nessuna intenzione di tornare in Italia,  non pagano neanche le tasse all’Italia ma viene ugualmente concesso loro di decidere come deve essere la Carta dei diritti e dei doveri del paese che volontariamente hanno lasciato e anche chi lo deve governare erano informati, nonostante le incursioni della Boschi che ha utilizzato le ambasciate e i soldi pubblici per sponsorizzare la sua “riforma”.

Sono contenta per la Costituzione, per gli italiani, i quali, quando si toccano gli affetti più cari sono ancora capaci di difenderli, che hanno dimostrato una grande maturità scegliendo quella Carta delle garanzie, dei diritti e dei doveri per tutti messa in serio pericolo dal plurinquisito prescritto per corruzione verdini che Renzi ha eletto a suo alleato necessario, come se vent’anni di berlusconi non fossero bastati, dagli impiccioni oltre confine che in queste settimane le hanno inventate tutte per terrorizzarci, convincerci che la “riforma” di Renzi, della Boschi e di verdini fosse davvero la soluzione a tutti i problemi dell’Italia, da Vincenzo De Luca che pensava di poter barattare i prossimi cinquant’anni di questo paese con qualche frittura di pesce, dai vigliacchi che per opportunismi politici e interessi privati relativi all’élite di cui Renzi si è circondato non hanno esitato a tirare dentro una campagna elettorale infame perfino i malati di cancro, bambini compresi.

Una batosta simile si prende solo se a votare contro sono stati anche quelli che dicevano di votare “con”.
Per mesi la gente che non voleva votare contro Renzi ma contro una riforma confusa, scritta male, pericolosa per la democrazia è stata insultata non solo dai derelitti che usano i social come un campo di battaglia ma l’unica guerra che vincono è contro la civiltà, il rispetto e l’educazione: ancora stamattina si leggono accuse di fascismo distribuite a chi ha votato no nelle bacheche di quelli che vengono considerati influencer, che hanno naturalmente ottime referenze che conferiscono loro autorevolezza ma in realtà sono i veri napalm51, i quali non digitano scemenze in solitudine come nella gag del comico per far ridere ma hanno a disposizione liste affollate, esprimono tutto il peggio e coinvolgono molta più gente di quanta ne segua il cane sciolto, lo scemo del villaggio virtuale sul quale viene scaricata la colpa di avvelenare e inquinare i pozzi come dice Mentana. Una responsabilità che va estesa anche a chi mai se l’assumerà, ovvero chi aveva il dovere di mantenere un equilibrio civile, di intercettare il disagio dei cittadini e fare da tramite con la politica, non offenderli più di quanto lo siano stati da Renzi e dal suo governo: parlo naturalmente di certi giornali e giornalisti che usano la loro visibilità mediatica, le loro pagine web per istigare, fomentare, amplificare le menzogne della politica. Per mesi ci hanno detto che avremmo votato come i fascisti, come casa pound, come Salvini, come Brunetta mentre Renzi andava avanti come un caterpillar occupando tutto quello che gli è stato messo a disposizione insieme a Briatore, Marchionne, le banche, Confindustria, la finanza che opprime, i padroni che sfruttano, ora meglio e di più grazie alla sua legge sul lavoro, quelli che Renzi si è guardato bene dal mostrare nella letterina inviata agli elettori.
Renzi, la Boschi hanno insultato non solo le persone e la loro intelligenza ma soprattutto la Storia che racconta come i referendum siano del tutto scollegati dagli orientamenti politici. Al referendum non si vota per il politico ma per stabilire se una determinata cosa che esiste deve rimanere com’è o può essere cambiata dalla politica: ecco perché si vota anche come gente con cui non si prenderebbe un caffè.
Si parlava di Costituzione, non di Renzi che ha voluto prendere il timone, mettersi al comando della ristretta maggioranza che, senza nessuna autorizzazione della maggioranza degli italiani voleva cambiare le regole per tutti perché è un egocentrico, un piccolo provinciale con smanie di potere che si è trovato l’Italia fra le mani per grazia napolitana ricevuta e non sapendo che farci l’ha disintegrata non solo con leggi sbagliate ma anche sotto il profilo etico, civile e morale. Ha usato gli italiani, li ha messi uno contro l’altro, ha provocato conflitti sociali e anche familiari: non c’è una persona che in questi mesi non si è ritrovata a discutere e forse litigare con l’amico e il parente sul sì e il no per colpa dell’irresponsabile che pur di arrivare ai suoi traguardi non ha esitato ad offendere, screditare, ridicolizzare ed eliminare tutto ciò che considerava un ostacolo ai suoi obiettivi. La stessa cosa avrebbe voluto fare anche con la Costituzione che è della repubblica italiana, non è di Renzi, non è di Napolitano, non è delle banche, dell’Europa, né di chiunque si ritrovi per periodi più o meno lunghi al governo del paese. Gli italiani hanno per fortuna capito, anche se nessuno glielo diceva e nonostante il bombardamento di una propaganda incivile, costosa molto più di quanto l’Italia si sarebbe potuta permettere con migliaia di persone senza più una casa che per abolire un ente ritenuto, chissà perché inutile fra i tanti esistenti,  abbattere i costi della politica non serviva e non serve nessuna riforma costituzionale: basta un governo capace che faccia gli interessi dei cittadini, non i suoi, degli amici né di chi chiede di fare altro da questi.

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Provo rabbia mista a pena e compatimento per chi, anche dopo la gigantesca risposta di popolo è capace di dire che gli italiani hanno perso la loro Grande Occasione come se fossero stati loro ad intestarsi la paternità di riforme che non hanno mai chiesto a Renzi, ad accelerarne l’urgenza e reso una questione di vita o di morte quel “cambiamento” del quale nessuno, ancora oggi né mai per fortuna lo potrà fare può decretarne l’efficacia.
In tutti questi mesi ci hanno detto che bisognava cambiare come se questa parola contenesse ogni concretezza positiva e non, invece, il coronamento del progetto scellerato di Renzi preteso da Napolitano, che ha impegnato tutte le energie del governo che avrebbe dovuto occuparsi dei problemi del paese, è costato un sacco di soldi ai cittadini che con le loro tasse vorrebbero invece indietro una scuola che funzioni, coi soffitti che non crollino sulle teste degli alunni, una sanità efficiente davvero pubblica, la messa in sicurezza di un territorio devastato dagli abusi concordati fra imprenditori criminali e la politica che fa sì che un terremoto ma anche tre giorni di pioggia siano la certezza di una strage. Quell’essenziale che in questo paese nessun governo e nessuna politica vuole più garantire, non per colpa di quella Costituzione nella quale c’è scritto tutto quello che serve all’Italia e per questo chi è arrivato dopo la considera un fastidio, un orpello del quale fare a meno e l’ostacolo che impedisce alla politica la realizzazione dei progetti scellerati.

 

 

“Rai, di tutto, di Renzi” non era una battuta di Crozza ma una facile previsione

Su twitter leggevo che qualcuno si lamentava tanto per cambiare di Virginia Raggi che avrebbe copiato parte del programma da testi esistenti scritti da altri, come se prima di lei non lo avesse fatto nessuno.
Se un’idea e una proposta sono buone e realizzabili non si capisce dove stia il problema.
Volevo solo ricordare agli storditi dall’afa che Matteo Renzi sta ‘governando’ l’Italia a colpi di piano di rinascita del fu venerabile Licio Gelli, ma quelli sempre molto attenti alla pagliuzza dei 5stelle e ai quali piace sorvolare, invece, sulle travi del pd non lo scrivono su twitter.

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L’accusa che si sente spesso ripetere ai 5stelle è di essere un movimento padronale che deve rispondere ai vertici di qualsiasi decisione, mentre il pd è un partito dove la democrazia interna mette tutti allo stesso livello: quella esterna un po’ meno e al quale basta un congresso per stabilire che il comandante in carica non va più bene e sceglierne un altro. Pare vero, eh?
Non serve nemmeno tornare al metodo con cui il pd sceglie i suoi dirigenti, quelle primarie che ci hanno raccontato di tutto e di più sul sistema che fa vincere o perdere, vorrei solo ricordare che le uniche elezioni vinte da Renzi finora sono state quella da sindaco di Firenze e poi, appunto, le primarie del suo partito che, parrà strano, ma non sono il viatico per andare al governo del paese.
Se il partito è “scalabile” da chiunque riscuota il gradimento e il consenso degli elettori questo non significa che tutti i chiunque che di volta in volta vincono le primarie abbiano poi l’autorizzazione di scalare il paese.
Per fare questo bisogna andare bene alla maggioranza del paese tenendo conto che ci sarà sempre una minoranza contraria: in democrazia funziona così, non ai pochi intimi che pagano due euro per dire che gli piace più Renzi di Bersani o Cuperlo.
Aver dato a Renzi la possibilità di stare al comando del partito e del governo nei modi che sappiamo si è trasformato nella morsa che giorno dopo giorno ha stritolato la politica, il dissenso vero ma più che altro presunto della cosiddetta minoranza del partito aumentando già così in maniera esponenziale, esagerata per una democrazia il potere di Renzi che ormai può fare quello che vuole con la certezza che nessuno si metterà di traverso al suo progetto, che significa un paese rifatto nelle istituzioni, aziende pubbliche, scuole, ospedali, nella Rai, nella Costituzione a immagine e somiglianza di Renzi, non di chi già c’è che vorrebbe contare qualcosa, dire la sua e di chi verrà dopo di lui.
Ai più ingenui, speranzosi e fiduciosi sembrerà strano, ma i regimi nascono proprio così.
Ecco perché tutte le discussioni sul pericolo dei 5stelle manipolati e manovrati dai capi, la polemica sulla “mondezza” di Roma hanno davvero poco senso, sono solo l’ennesima arma distrazione di massa.
Più che sui sacchetti di Roma bisognerebbe concentrarsi su chi nel suo sacco vuole metterci tutta l’Italia, ovvero Matteo Renzi.

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renzieraiDispiace e un po’ stupisce dover leggere che, in fin dei conti Renzi sta facendo quello che hanno fatto tutti fino ad ora e quindi che male c’è se lo fa pure lui.
Perché è stato Renzi a dire in tutti i modi e a proposito di tutto che non avrebbe mai fatto tutto quello che hanno fatto gli altri.
E lo ha detto l’altroieri, non cinque, dieci, vent’anni fa, chi non tiene conto di questo non ha dimenticato, o non lo sa perché non è informato o non gliene frega niente.
Renzi non solo fa tutto quello che hanno fatto gli altri molto di più di quanto abbiano fatto gli altri, non solo mettere in pratica quei sistemi da prima repubblica che diceva di detestare gli piace tanto, ma lo fa peggio e non prova nemmeno a nascondere di essere come – peggio – di chi lo ha preceduto.
Lo dicevo e lo scrivevo già in altri periodi: Renzi non è come berlusconi che aveva degli interessi preminenti negli affari di stato, uno su tutti quello di non finire in galera, obiettivo perfettamente centrato, Renzi è peggio di berlusconi proprio perché non avendo interessi di quel tipo di carattere privato e personale sta dimostrando che quello che vuole è il potere.
Il potere solo nelle sue mani.
La lottizzazione delle reti Rai, che la politica ha sempre attuato quando gli amichetti di merende si dividevano prima due, poi tre reti e oltre non ha niente a che fare con un presidente del consiglio che, non dimentichiamo, sta lì per grazia napolitana ricevuta che fa completamente suo il servizio pubblico radiotelevisivo con l’intenzione di trasformarlo nello strumento di propaganda del governo.
Renzi ha trovato un modo truffaldino di far pagare il canone a tutti con l’obiettivo preciso di fare della Rai la dependance di palazzo Chigi, molto di più di quanto lo sia stata fino ad ora e con finalità ben più gravi, ecco perché io trovo di una superficialità e menefreghismo imbarazzanti che la faccenda venga liquidata con il solito “così hanno fatto tutti” o col giudizio su Bianca Berlinguer perché la faccenda stavolta è enormemente più grave, più seria e più pericolosa.
Difendere la Rai non significa fare lo stesso col giornalismo asservito a tutti i poteri purché gli vengano garantite le poltrone, assicurati il posto fisso e lo stipendio milionario.
Il servizio pubblico radiotelevisivo va difeso tanto quanto la scuola pubblica e la sanità pubblica.

Nota a margine: al referendum sulle riforme costituzionali si vota NO anche per mandare a casa un governo che porta l’Italia in guerra, esponendola al rischio di attacchi terroristici dai quali è scampata finora in virtù di qualche fortunata congiunzione astrale in spregio alla vera Costituzione, la stessa che ieri Renzi spiegava a Erdogan per vantarsi del nostro stato di diritto, quello dei servi del vaticano e dell’America, ostaggio delle mafie che tutto il mondo c’invidia e senza chiedere il permesso agli italiani.

Quando la realtà supera lo storytelling la politica perde e muore

 

orfini consideraAl posto di chi ironizza sul dopo quando ancora non si è arrivati nemmeno al dunque io guarderei con più rispetto i risultati ottenuti dai 5stelle nelle persone delle signore Appendino e Raggi che hanno sbaragliato un sistema politico lungo decenni praticamente a mani nude, senza la stessa propaganda asfissiante sulla quale ha potuto contare il partito democratico.
Da sole si sono dovute impegnare a sfondare il muro dei giudizi e dei pregiudizi, della propaganda contro, dei colpi bassi di quella che molti considerano “buona politica” e di un sistema mediatico rivoltante e odioso che ha fatto di tutto affinché non potessero raggiungere il loro obiettivo. Se proprio non si vuol dare alla sconfitta del pd un significato “antirenziano” si puó almeno dire che i due schiaffoni presi a Roma e Torino sono la risposta all’insopportabile arroganza del pd e di tutto l’entourage che ruota attorno al giglio ormai tragico di Renzi, il quale, se questo fosse un paese normale si dovrebbe dimettere eccome. Invece la morale della favola renziana e renzista è che il voto alle amministrative è locale e dunque la disfatta del pd non è un motivo per far dimettere Renzi né da segretario del partito né da presidente del consiglio di un governo che non ha mai avuto la maggioranza nel paese, mentre il voto alle europee che non c’entrava nulla con la politica locale né con quella nazionale ma molto con i famosi ottanta euro tirati con l’elastico  è potuto diventare il viatico per sfasciare la Costituzione senza il permesso di nessuno [oltre a quello di Napolitano].
Per riconoscere questo non bisogna nemmeno essere elettrici ed elettori del movimento cinque stelle.

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“Io capisco l’esigenza di ogni premier di esibire ottimismo e di inoculare fiducia, ma quando il distacco tra gli illusionismi e la realtà diventa troppo ampio, l’effetto è quello opposto. Si insinua cioè il forte dubbio, in molti, di essere presi per i fondelli.

E’ finita l’aria serena dell’Ovest

[Alessandro Gilioli – L’Espresso]

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Quando per una semplice colica renale che sarà anche fastidiosa e dolorosa ma non è un’ustione di terzo grado, dunque non mette in pericolo la vita, si sposta l’elisoccorso solo perché il costipato si chiama vittorio sgarbi non ci si può lamentare se poi la gente schifa la politica che ha costruito un paese dove i vittorio sgarbi possono usufruire dell’elisoccorso per un semplice malessere temporaneo.

Perché bisognerebbe stupirsi del voltafaccia degli elettori che votano in un paese dove un elicottero si può alzare per soccorrere vittorio sgarbi mentre milioni di italiani non possono nemmeno accedere alle cure di base per malattie serie e gravi?
Chi è il responsabile di questo degrado incivile e immorale: la politica di destra, quella di sinistra o quella che ha fatto sempre semplicemente schifo perché responsabile delle condizioni di un paese che si sta avviando verso il feudalesimo, di questa sottospecie di stato dove solo ai pochi è concesso tutto mentre i molti possono crepare di malattie e di inedia nell’indifferenza della politica?

Non è stato molto utile aver fatto ruotare la campagna elettorale di Roma  intorno all’occasione “storica” delle Olimpiadi a Roma e, in generale nel resto d’Italia usando l’arma della denigrazione dell’avversario,  guardando continuamente a quel che facevano e dicevano i dirimpettai, aver organizzato un’enorme macchina da guerra mediatica che ha colpito alla do’ cojo cojo solo per destabilizzare e disorientare gli elettori che ad un certo punto non hanno ben compreso perché i loro problemi quotidiani dovessero avere una qualsiasi attinenza con le Olimpiadi, coi battibecchi al talk show, la battaglia nei social a contrastare l’orda dei troll sguinzagliati ovunque ma che hanno ritrovato prontamente la lucidità quando si sono trovati a dover scegliere fra chi aveva già dimostrato tutto quello che NON ha saputo, voluto e potuto fare e chi almeno non ha nessuna responsabilità di quei problemi.
Cose che la “sinistra”, avvolta nella sua arroganza e ormai più che presunta superiorità morale e politica, annichilita da vent’anni di berlusconismo durante i quali le campagne elettorali sono state sempre di questo tenore e spessore: non dire quello che si poteva fare ma accusare l’avversario di non essere all’altezza di poter fare meglio e di più,  senza dimostrare coi fatti concreti di essere migliore,  non capirà mai.

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BYE BYE STORYTELLING. IN ITALIA È TORNATA LA REALTÀ – Flavia Perina – stradeonline.it

Oltre il dato numerico e politico, frana in queste elezioni amministrative l’idea che si possa costruire consenso con il famoso storytelling, una delle ossessioni ventennali della sinistra e della destra. “Non è la storia, ma è come la racconti” ci dicono da due generazioni: la storia dei ristoranti pieni di Silvio, dei boy scout di Matteo che prendono il potere cantando, di Torino “amministrata benissimo”, di Roma “che si salverà con le Olimpiadi”. Un immenso castello di carta costruito dai giornali, dalle tv, dagli opinionisti, mentre il reale andava da un’altra parte: e il reale erano le periferie, i troppi poveri, le élite immobili rinnovate solo per cooptazione, il circo culturale sempre in mano ai soliti, la finzione di destra/sinistra ormai perse dentro un generico governismo.

Lo storytelling ai piani bassi della contesa elettorale diventa la Panda Rossa e gli scontrini di Marino, la villa con piscina di Giachetti, la dichiarazione dei redditi della Raggi, insomma: il racconto di un avversario ladro, incapace, bugiardo, infido, con le modalità denigratorie del ciclo berlusconiano (“Comunisti!”; “Puttaniere!”) riciclate all’infinito e adattate via via ai personaggi che si affacciano. Quel ciclo è finito. La Raggi, come ha scritto qualcuno, a Roma avrebbe potuto pure menare vecchiette con l’ombrello e avrebbe vinto uguale. La Appendino, idem. E lo stesso, a Napoli, De Magistris, un Masaniello che però sa intercettare il mood della città, farsi napoletano tra i napoletani, e hai voglia a dirgli “incapace”, “populista”: lo votano a valanga.

L’altra grande lezione di questo voto – una lezione un po’ nascosta, meno evidente delle altre – è la fine dell’idea che restringere la base elettorale, tifare sotto-sotto per l’astensionismo, sia vantaggioso per le classi dirigenti che possono giocarsela non sull’ampia e incontrollabile base del corpo elettorale ma sul suo segmento più “interessato”, sulle filiere che vanno al voto perché direttamente coinvolte negli esiti delle urne. Le élite di tutta Europa hanno contato su questo meccanismo, giudicandolo una garanzia contro improvvisi cambiamenti, e si sono dette: meno gente vota meglio è. E anche da noi, quante parole sull’irrilevanza dell’astensionismo, sul fatto che sia un trend di tutte le “democrazie mature” – Come in America! Come in Inghilterra! – e quanta sottovalutazione dei suoi esiti finali: basta un modesto spostamento di voti, un’emozione nuova, un fremito dell’opinione pubblica, per rovesciare il tavolo. Partita chiusa.

Immaginare che destra e sinistra capiscano queste cose, e cambino modalità, è secondo me quasi impossibile. Ci sono troppo dentro, è la loro intera cultura politica che si fonda su questi due pilastri, e nessuno (tra l’altro) saprebbe più che cosa dire al “popolo”: non a caso, chi al popolo parla è stato derubricato a “populista”, una definizione che tiene banco da dieci anni come un esorcismo di massa. Ma altra strada non c’è. O si ricomincia a fare politica puntando gli occhi sul reale, abbandonando lo storytelling in favore di una corretta lettura della storia “vera”, abbandonando la tattica della Panda Rossa, del nemico alle porte, e guardando in faccia questa Italia stremata dalla crisi, oppure giochi chiusi. La sinistra perde e lo sappiamo, ma anche la destra esce dopo un ventennio dal governo delle sue roccaforti – Latina e Varese tra tutte – ammazzata da esperienze civiche che non hanno l’imprinting Cinque Stelle ma si muovono fuori dai simboli tradizionali e dalle alleanze consuete.

Frana, qui e oggi, anche l’idea “europea” della Grossekoalition, o più modestamente del Modello Nazareno. La destra non vota la sinistra, mai. E viceversa. Non in Italia. Prenderne atto. Non illudersi di cambiare le cose con l’ennesimo ritocco alla legge elettorale. Capire che il problema è più largo del doppio turno o del premio di coalizione. Licenziare gli spin doctor. Smettere di dire sciocchezze come «Li vedremo alla prova», «Vincono le facce giovani», e tutta la caterva di banalità retoriche che ascoltiamo in queste ore. Stare sui social per capire che succede e non per postare propaganda vuota. Scoraggiare il naturale conformismo dell’informazione, cercare ragionamenti taglienti invece che consolatori. E limitare lo psicodramma delle analisi del voto, perché il voto è chiarissimo per tutti: l’Italia sta licenziando dopo vent’anni élite che percepisce come imbroglione e bugiarde, caccia il populismo di potere degli ottimati in nome di un altro populismo, che magari si rivelerà salto dalla padella alla brace, ma tant’è: la realtà è questa.

 

 

Questione morale? Ma de che?

lodi4magChissà come si traduce “ma de che” in tutte le lingue del mondo.
Se Cameron, quando è andato in televisione a scusarsi con gli inglesi per la faccenda del Panama Papers, oppure Hollande quando  in conferenza stampa davanti a 500 giornalisti dopo la vicenda dello scoop che svelò il suo tradimento alla moglie e disse che, essendo coperto dall’immunità, non poteva denunciare il giornale che aveva scoperto l’avventura extraconiugale, se  entrambi invece di usare toni sobri, educati al limite dell’ossequioso rispetto come dovrebbero essere sempre quelli delle istituzioni quando si rivolgono ai cittadini avessero esordito come fa Renzi ogni volta che lo interpellano quindi sempre.
Non si capisce cosa ci sia di simpatico nell’atteggiamento, nel linguaggio di Renzi che vuole essere l’amico di tutti ma poi vediamo che succede ogni volta che mette un piede fuori dalla porta.
Se Renzi è davvero convinto che la questione morale non riguardi principalmente il suo partito, che è quello che esprime la maggioranza di governo, cominci a riconsiderare almeno una parvenza di educazione applicata al dire e al fare, visto che c’è un sacco di gente che non solo non vuole essergli amica ma con lui non prenderebbe nemmeno un caffè.

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I magistrati possono andare a sentenza in base alle leggi che fa il parlamento.
Se non ci vanno nei tempi brevi che chiede Renzi provi, Renzi, a farsi due domande, invece di negare ancora che la questione che riguarda la criminalità nella politica sia altrove dai tribunali, proprio in quella questione morale che il pd non si pone.
La magistratura avrebbe potuto evitarsi tante noie, il superlavoro ma principalmente tutti gli insulti dei politici se la politica fosse intervenuta prima dei tribunali che poi non possono dare le giuste risposte a quel popolo per il quale si esprimono in virtù delle leggi che fa la politica.
E’ un enorme gatto che si morde la coda e che, muovendosi di continuo, ha stritolato tutta l’Italia.
L’affidamento ai servizi sociali per i reati economici e fiscali che prevedono pene fino a quattro anni voluto dal governo di Renzi non è un modo per sveltire la giustizia, è il sistema che garantisce al politico di non subire nessun provvedimento restrittivo e punitivo, mentre il cittadino continua a rischiare anche per reati più lievi e meno dannosi per la collettività.
E finché la gente non capirà che Davigo ha ragione quando dice che i politici ladri sono più dannosi dei delinquenti di strada, proprio perché i loro reati incidono su tutto il paese e non sul singolo individuo sarà impossibile avere una classe dirigente che tenga conto di questo.
Fra cinquant’anni ci sarà ancora una Picierno che può andare in televisione a parlare di “giustizia ad orologia” come una Santanché e una Carfagna qualsiasi che diversamente da lei lo sapevano dire pure meglio.

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Prima di me schifo e deserto. Il senso di Matteo per il passato

Alessandro Robecchi – Piovono pietre – Il Fatto Quotidiano, 4 maggio

Una strana ossessione si aggira nei quartieri generali del renzismo. E’ l’ossessione del passato. Uno sarebbe portato a pensare che un grande (sedicente) innovatore e rottamatore, ascendente Verdini con la luna in Leopolda, guardi al futuro (sedicente) luminoso che sta costruendo. Invece, opplà, si casca sempre con un piede indietro. Con l’affermazione che “dopo 63 governi” l’Italia finalmente viene considerata in Europa, Matteo Renzi compie un’operazione abbastanza semplice. Non essendo sufficientemente luminoso il futuro che sta per venderci, non così gradito a tutti, non così chiaro, deve dimostrare per prima cosa che sarà sempre meglio del passato. E ora che è arrivato lui, quei 63 governi impallidiscono e svaporano nell’inconsistenza. E’ una variante di “dopo di me il diluvio” che suona così: “Prima di me il deserto”. Qualcosa di simile a: ehi, amici, vi ricordate che fatica quando non esisteva la ruota? Beh, meno male che ora l’ha inventata Matteo.

In un’altra occasione, ancora più illuminante (era il settembre del 2015) disse che il Paese aspetta la sua riforma, sua e della fatina delle riforme Boschi, da settant’anni. Cioè: Togliatti e De Gasperi, per dire, ancora stavano studiando la Costituzione (quella vera, nata dalla Resistenza), che già aspettavano con ansia le modifiche di Matteo. Una specie di macchina del tempo, insomma, usata sempre nello stesso modo: il passato fa tutto schifo, prima di me non c’è stato niente e l’intero dopoguerra italiano è stato solo un confuso periodaccio d’attesa dell’uomo del destino.

Che sia un po’ un’ossessione, questa del passato, sta cominciando a diventare evidente. Uno potrebbe anche tirare in ballo lo slogan del Partito (della Nazione?) che si inventò George Orwell in 1984: “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”, che non era niente male. Ma forse sarebbe troppo, scomodare Orwell, e allora accontentiamoci di letterature più recenti, come per esempio lo slogan coniato per il lancio de l’Unità (estate 2015): “Il passato sta cambiando”. Ecco, mai slogan aveva somigliato tanto a un’aspirazione: cambiare il passato significa anche sbeffeggiare come irrilevanti 63 governi precedenti, o immaginare che le tue riforme le aspettavamo come la manna anche prima che ci fosse qualcosa da riformare. In attesa di essere il futuro, come spera lui, e seduti su un presente che traballa un po’, Renzi e i suoi autori decidono che intanto è meglio sputare su tutto quello che c’era prima, e molti smemorati (per insipienza o convenienza) potrebbero cascarci.

Dopodiché si potrà notare che alcune delle riforme più importanti per la vita del Paese si fecero proprio in passato, alcune quando Renzi ancora non era nato. Lo Statuto dei lavoratori (1970), o il Servizio Sanitario Nazionale (1974) , per dirne solo due, si fecero addirittura con il bicameralismo perfetto, oggi indicato come causa di lentezza, e addirittura con leggi elettorali proporzionali (altro che il chi-vince-piglia-tutto dell’Italicum).

E, sempre per restare ai due esempi appena citati, è un po’ vero, sì, “il passato sta cambiando”, come diceva lo slogan de l’Unità, ma in peggio, perché le picconate allo Statuto dei lavoratori sono lì da vedere (Jobs Act), e quanto al Servizio Sanitario Nazionale, beh, lo sanno tutti quelli che ora pagano analisi che pochi mesi fa erano gratuite. Voilà. In più, l’ossessione del passato che guiderà la campagna referendaria (basta! Via! Tutto nuovo!) contiene una sua contraddizione interna: si grida che serve una nuova Costituzione per fare le riforme, che questa che c’è ci rende immobili, ma nel contempo si celebrano come epocali e strabilianti le riforme in corso. Un po’ come dire: guarda! Ho una gamba sola!, e intanto vantarsi di vincere i cento metri.

Al referendum io voto e voto SI

L’astensionismo è sì un diritto riconosciuto dalla Costituzione, ma il fatto che venga promosso e incentivato da un governo “democratico” che dovrebbe tifare per la partecipazione alla democrazia dovrebbe far preoccupare e indignare tutti quelli che si ritengono cittadini a pieno titolo.

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Non considero Napolitano uno statista né, tanto meno, quel padre della patria disegnato da cameriere e maggiordomi del regime.
Non penso che abbia salvato l’Italia nel suo momento più drammatico, anzi sono sempre più convinta, e i fatti mi danno ragione, che l’abbia infilata in un incubo dal quale sarà complicatissimo svegliarsi.

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astLa legge vieta la propaganda all’astensione da parte del pubblico ufficiale che poi, da cittadino fa quello che gli pare: vota e/o non vota, ma non dice ai cittadini che il referendum è una bufala pretestuosa.
Ci vorrebbe un po’ di stalinismo per ristabilire un po’ di regole.

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Legittimo o illegittimo, legale o non legale, opportuno o non opportuno solo le parole “schifo” e “vergogna” dovrebbero spiegare il perché nel paese normalmente civile l’istituzione qual è ancora Giorgio Napolitano, visto che gli paghiamo ancora un ufficio e la stampa dei servi pensa che sia ancora il caso di doverlo interpellare, la politica che sarebbe il pd e il capo del governo che purtroppo e malgrado il volere dei cittadini è Matteo Renzi non ostacolano l’esecuzione di un’espressione democratica come il referendum.
A difesa della democrazia è dovuta intervenire non la prima, non la seconda, non la terza né la quarta carica dello stato ma addirittura la quinta nella persona del Presidente della Corte Costituzionale.
 Nessuno dovrebbe più parlare dei populismi e dell’antipolitica delle opposizioni: il populismo e l’antipolitica oggi sono rappresentati egregiamente da chi ha governato e governa lo stato.

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 Voterei pure con Satana se servisse per mandare a casa un antidemocratico reazionario che impone le sue regole, pensa di poter stravolgere lo stato e non sa rispettare quella democrazia che ha permesso anche a lui, sebbene con qualche fantasiosa variazione di stampo napolitano di poter stare dov’è.
Matteo Renzi continua a violare la legge che impone ai pubblici ufficiali di non promuovere l’astensione dal voto e non è successo ancora niente.
Se il referendum fosse una bufala Renzi non avrebbe fatto sprecare 300 milioni di soldi pubblici per non unirlo alle elezioni di giugno.
Renzi teme l’unica cosa che lo dovrebbe legittimare: quel giudizio del popolo che avviene per mezzo delle elezioni, ma non c’è sempre un Napolitano a regalare governi e parlamenti, prima o poi dovrà succedere.
Renzi inizi a farsene una ragione e la smetta di mancare di rispetto ai cittadini che sentono il dovere di andare a votare.

Scusate, sono il conflitto di interessi, qualcuno si ricorda di me?

Sottotitolo extrapost: in Francia gli scioperi bloccano le città, a Parigi la Torre Eiffel ieri è rimasta chiusa tutto il giorno a causa delle manifestazioni contro la riforma del lavoro, nessun ministro ha gridato allo scandalo internazionale né il governo ha pensato di ridurre la libertà di dissenso dei cittadini con leggi speciali di stampo fascista.
‪‎Loi Travail‬ è praticamente il jobs act di Renzi che qui è passato con la benedizione di tutti, anche di chi doveva difendere i lavoratori dallo scippo dei diritti.

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natangelo1apr“Non sapevo chi fosse il fidanzato della ‪‎Guidi‬ è il remake di “Ruby è la nipote di Mubarak”.
Per la falsa dichiarazione nell’autocertificazione sul possesso del televisore ora che il canone è diventato obbligatorio perché si paga con la bolletta dell’elettricità è prevista la galera. Non può esistere nessuna normalità democratica in un paese dove se a mentire è il comune cittadino si manda in galera mentre ai politici mascalzoni, gli stessi che fanno le leggi per mandare in galera solo quegli sfigati dei sudditi e che mentono per mestiere non succede mai niente.
Con questi non bastano le elezioni, ci vuole la corte marziale.

Il vulnus della democrazia non sono le intercettazioni come dice il noto delinquente seriale, lo è tutto quello che rivelano, gli intrecci fra la politica e quello che dovrebbe stare ben distante da chi ha ruoli istituzionali, malavita e mafie comprese, ecco perché la politica tutta ritiene che l’uso delle intercettazioni vada limitato.
Nel paese più corrotto d’Europa secondo il rapporto Transparency International 2014 non smentito da quello dello scorso anno che continua a confermare l’alto tasso di corruzione percepita il problema non possono essere le intercettazioni.
Non devono, anzi.
Senza le intercettazioni Renzi non avrebbe mai saputo con chi è fidanzata Federica ‪#‎Guidi‬.
Forse però non servivano le intercettazioni per sapere che l’ex vicepresidente e successivamente presidente dei giovani imprenditori di Confindustria, ex amministratore delegato dell’azienda di famiglia non era la persona più adatta a ricoprire il ruolo di ministro dello sviluppo economico.
Ormai è diventato luogo comune pensare che sia sufficiente che una persona che entra in politica si dimetta da precedenti incarichi, purtroppo e invece non basta perché dimettersi da dirigente d’azienda non significa smettere di possedere l’azienda.
L’imprenditore è portato per sua natura, per il contesto in cui si è formato il suo vissuto a tutelare la sua proprietà ed è quindi totalmente inadeguato ad occuparsi degli interessi dei molti.
Ci siamo sciroppati vent’anni di berlusconi per niente, per ritrovarci un cialtrone, un bugiardo in un governo illegittimo che aveva promesso che con lui si sarebbero interrotti certi riti mentre non solo non li ha interrotti ma li ha perfino perfezionati.
Se prima gli industriali, i banchieri, i finanzieri avevano comunque la discrezione di farsi rappresentare in parlamento dal politico fidato oggi lo possono fare di persona, continuare a fare i loro interessi da ministri, sottosegretari al bilancio come Paola De Micheli anche lei ex manager nel settore agroalimentare, Poletti, ex presidentissimo delle Coop e nessuno di quelli che dovrebbero dire qualcosa sul conflitto di interessi normato dallo stato trova in tutto questo niente di anormale: la grande stampa italiana, ad esempio.
In un paese di sessanta milioni di persone sembra impossibile trovare dieci, quindici, venti persone a cui affidare incarichi politici di alto livello che non abbiano altri interessi che entrino in conflitto con la politica e nessun governo ha mai pensato né pensa di dover risolvere il conflitto di interessi estirpando il male alla radice.
Solo un gran farabutto poteva nominare ministra dell’industria un’imprenditrice.
In questo paese non manca solo la coscienza civile della gente: manca proprio la gente che fa caso a queste cose.
Tutto passa davanti agli occhi come se fosse normale, anche se di normale non c’è rimasto più niente.
Il conflitto di interessi si è mangiato questo paese e noi non siamo stati capaci di formare una classe dirigente decente che avrebbe potuto mettere un freno a questa indecenza, perché troppi non lo hanno mai considerato un problema.
L’unica legge che avrebbe salvato l’Italia noi non ce l’abbiamo.

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Considerazioni sull’affaire Guidi

L’impalpabile ministra dello Sviluppo Federica Guidi se ne va e un antico adagio consiglierebbe le si facessero “ponti d’oro”. Del resto non si è mai capito bene che cosa apportasse alla compagine governativa questa figlia d’arte educata a una visione punitiva del lavoro (il padre Guidalberto è sempre stato un falco di Confindustria), trascurabile presidentessa nazionale del Rotaract dei Giovani Imprenditori (il club dei padroncini under 40), simpatizzante berlusconiana conversa renziana.

Un personaggio destinato a finire immediatamente nel dimenticatoio se non avesse lasciato, sul davanzale della casetta di marzapane abitata da Maria Elena “Biancaneve” Boschi e dai nanetti del Giglio Magico, la mela avvelenata del coinvolgimento negli affari petroliferi di Total e altri faccendieri

Ora la Boschi potrà ammansirci l’abituale repertorio di ovvietà a propria discolpa. Subito sostenuta dalla canea di orchi da blog che la cordata al potere è solita scatenare contro i critici web.

Eppure le vicissitudini delle due bamboline di governo ripropongono alcune domande di un certo interesse per analizzare dove siamo andati a finire: cosa hanno in testa questi/e giovanotti/e di belle speranze e scarse attitudini, chi li ha condotti per mano alle loro poltrone e perché?

Il primo dato è – al tempo – sociale e generazionale: in larga massima si tratta di borghesucci emergenti (anche se la Guidi è nata “con il cucchiaio d’argento in bocca”) che l’accesso alle stanze del potere e alle relative opportunità in materia di consumo vistoso ha letteralmente fatto impazzire. Finiti i tempi in cui l’outsiderMatteo Renzi girava per Roma sulla giovanilistica smart scassata dell’amico Ernesto Carbone. Oggi ci si compra gli Air Force Oneesibizionisti, così da far schiattare d’invidia la Merkel (che viaggia su un vecchio Lufthansa restaurato); per andare a sciare aCourmayeur ci sono elicotteri di Stato su cui il parvenu può liberamente pavoneggiarsi.

Marginalità gossipare? Nient’affatto, visto che rivelano l’inquietante formazione di una mentalità per cui la “cosa pubblica” diventa “cosa propria”. La relativa interruzione dei corretti rapporti con la realtà tradotta in conseguente estraniazione. Ossia il senso – al tempo – di insindacabilità e invulnerabilità che parrebbe autorizzare comportamenti sull’asse capriccio-abuso, nella presunzione di non dover minimamente essere chiamati a risponderne. Una turbativa patologica del percepito che non si limita alle sedi centrali, ma che abbiamo visto dilagare a 360° in quelle periferiche, in primo luogo regionali (difatti gli attuali reggitori contro-riformisti della cosa pubblica vorrebbero arruolare il nuovo personale senatoriale proprio in tali congreghe ad elevato inquinamento dissipatorio).

 

Si determina così – alla faccia di quei pezzenti dei concittadini – la pericolosissima “sindrome da divinità dell’Olimpo”, a cui tutto è concesso; coltivata per effetto di contiguità pure dai familiari, nei più svariati esercizi di affarismo spregiudicato: dagli istituti bancari agli outlet (finanza di rapina e consumismo bulimico: i grandi business del tempo, secondo i vigenti criteri della neoborghesia accaparratrice).

Stabilito che il nuovo ceto politico che ci guida verso la Terza Repubblica ha (incredibilmente) meno senso dello Stato di quello (tangentaro) della tarda Prima, sarebbe interessante capire quali siano state le “mani” che ne resero irresistibile l’ascesa. E per quali scopi.

Il secondo quesito ha una facile risposta: la corporazione del potere perseguiva rinnovamenti di facciata per continuare negli antichi andazzi. Più difficile capire chi fossero i veri mandanti; trovare una “pistola fumante” come nel salvataggio della politica corrotta al tempo di Mani Pulite, in cui Marco Pannella inventò l’abile deviazione della questione morale in questione istituzionale, spiegando che con il maggioritario tutto sarebbe andato a posto, e Silvio Berlusconi ci mise di suo la potenza mediatico-comunicativa. Per ora è difficile decifrare l’identità del “grande vecchio” del renzismo: Berlusconi è cotto e cerca solo un buen retiro, Denis Verdini può fare al massimo il capitano di ventura,Giorgio Napolitano era già stato la levatrice di Monti e Letta… Che siano nati sotto un cavolo?

 

 

Gli stralciaroli al potere

biani unioniIl papa, tornando dal viaggetto in Messico ha detto che sulla questione della legge sulle unioni civili “non s’immischia”. 

Nemmeno io “mi immischierei” se avessi qualcuno che lo fa benissimo al posto mio.
Uno come Bagnasco, per dire. O Ruini, o il pretaccio direttore di radio Maria diventato più famoso di una rock star grazie ai media complici del degrado culturale di un paese laico solo su una Carta della quale non frega più niente a nessuno.

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Unioni civili, estendere i diritti non è mai pericoloso per nessuno (bambini compresi)

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Renzi ha fatto con la Cirinnà non quel che la primavera fa coi ciliegi ma quello che Bersani voleva fare coi 5stelle: tenerseli buoni non come spalla attiva della maggioranza ma come i cani da riporto sempre disposti a restituire la pallina e il bastoncino al padrone. 

La Cirinnà invece di picchiare duro su quelli del suo partito dentro il quale si annidano i peggiori conservatori integralisti, ipocriti e bugiardi a cui la legge sulle unioni civili non è mai andata giù che fa? Prima vota sì alla sospensione del dibattito al senato, poi si rimangia le parole contro i suoi dette al giornalista del Corriere e poi-poi si mette a fare la groupie di Renzi  twittando balle,  falsità e salutando col ‪#‎ciaogufi‬.  L’entusiasmo della Cirinnà davanti alla demolizione del suo disegno di legge è uno schiaffo in faccia, principalmente per chi ha creduto davvero che una legge del genere potesse essere approvata in Italia, in secondo luogo per chi ha sprecato tempo ed energie dietro questa impresa impossibile per un paese miserabile, dove la politica sacrifica i diritti dei cittadini al perbenismo ipocrita di gente ignorante, disonesta e malvagia che siede anche in parlamento rappresentando benissimo la gran parte del paese e ai desiderata del vaticano. 

Le coscienze non si turbano quando bisogna salvare le banche amiche dei papà amici e mandare sul lastrico migliaia di persone.
O quando bisogna rifinanziare le guerre, i partiti, comprare l’aeroplanino, far finta di togliere i vitalizi ai politici condannati per poi restituirli sotto il banco previo ricorso.
Queste sono condizioni di perfetto agio in cui la coscienza politica, non solo del pd, suggerisce sempre la cosa giusta da fare, ovvero bastonare i deboli per dare una mano ai prepotenti arroganti, talvolta anche delinquenti.
Una maggioranza che esprime il presidente del consiglio del pd ma che si regge in piedi grazie al supporto di alfano e verdini, che con questa ha messo la fiducia su leggi liberticide che tagliano e tolgono diritti faticosamente acquisiti senza fare una smorfia, ritrova improvvisamente la coscienza nel riconoscimento di un diritto che i governi di tutti gli orientamenti politici, non solo di sinistra degli stati di mezzo mondo hanno già reso da anni legge dello stato.
Cialtroni, disonesti, bugiardi millantatori di qualcosa, la civiltà democratica e la politica al servizio dei cittadini che si guardano bene dal rispettare e mettere in pratica loro per primi.

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Sui diritti non si media: si riconoscono senza tante inutili chiacchiere, discussioni, dibattiti. 

Tanto meno lo si fa con la parte politica più ipocrita, becera, fascista e retriva che risponde al fascismo integralista e ipocrita del clero più di quanto non abbia sempre fatto tutta la politica. I numeri c’erano e ci sarebbero ancora per approvare il testo  Cirinnà senza mutilazioni pro family day, vaticano e dintorni, ma a Renzi questo non interessa perché non gli interessano i diritti. Non sono mai stati una sua priorità.

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Il canguro è deceduto: pronti il topo morto, il coguaro e la peste nera

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Cari amici arcobaleni, alla Lorenzin non basta che la Cirinnà abbia accettato di sottomettersi ad alfano e al vaticano stralciando l’adozione del comparente: per lei un punto su dieci, per voi il punto di partenza per una vita più serena, no, non è ancora sufficiente. 

La miracolata da Napolitano e dalle larghe intese deve aver pensato che dal momento che le richieste vengono prontamente eseguite da Renzi perché non azzardare e chiedere di più?
E infatti ha chiesto di più: il tutto per lei e quelle e quelli come lei e il niente per voi.
Dice la ministra che vuole che le vostre unioni non siano nemmeno lontanamente paragonabili, equiparabili ad una relazione fra umani.
Lo stato di questo paese, la sua politica vi rifiuta e vi schifa al punto tale da non volere nemmeno che voi possiate somigliare ad un’ipotesi di famiglia, non cadete nel tranello di chi vuole strumentalizzarvi nella polemica sui canguri e i 5stelle: non è una questione di parlamento e di leggi quanto lo è quella di uno stato e un paese che prima di tutto rifiutano CULTURALMENTE ogni diversità.
E chi dovrebbe, sempre lo stato, non fa niente per reprimere la subcultura dei razzismi e dell’omofobia ma anzi li promuove dando spazio e cittadinanza ai negazionisti del diritto e della civiltà che possono manifestare anche sulla pubblica piazza.
Il problema è questo, che poi si traduce in sondaggi, voti, opinioni che vanno nella direzione opposta a quella del paese civile.
E’ lo stato per primo che rifiuta la diversità e non applica la Costituzione che vuole i cittadini tutti uguali nei doveri e nei diritti. Questa legge, una legge semplicemente civile come c’è in tutti i paesi che non si fanno governare dal vaticano e da gentaglia che ha sostenuto per anni un delinquente puttaniere ma poi vuole decidere come devono vivere le persone oneste  non ce la darà questo governo come non l’hanno fatto quelli di prima e faranno quelli del dopo. A meno che gli amici arcobaleni facciano azioni dimostrative più efficaci della manifestazione coi palloncini e le sveglie. 

Se non è un diritto poter adottare un figlio in una coppia omosessuale non lo è nemmeno metterne al mondo sedici come la famiglia esibita al festival di Sanremo dello scorso anno. Perché la coppia omosessuale non chiede allo stato, quindi anche a me di mantenere i suoi figli, quella coi sedici sì, pesa su tutta la collettività, in Italia di queste famiglie ce ne sono molte, tutte seguaci dei pazzoidi da family day.

Quindi  facciamo che se agli omosessuali niente figli a tutti gli altri al massimo tre che di questi tempi già so’ troppi.

E ognuno si mantenga i suoi senza rompere il cazzo chiedendo le sovvenzioni statali.

Riforme_Rai

L’Italia del rottamatore, del quarantenne rampante è rimasta l’unico paese europeo a non riconoscere una legalità, quindi i diritti, alle coppie omosessuali.
Complimenti vivissimi a chi ha votato, sostenuto e lo fa ancora questo pericoloso megalomane che oggi invece di andare a scusarsi con i derubati dal suo decreto salvabanche come ha fatto Tsipras con i greci privati fino a ieri dei loro diritti, è andato a tagliare l’ennesimo nastro ad una finta grande opera.  Sette miliardi di euro, cifra come al solito più che raddoppiata rispetto a quella prevista che era di 2.521.000.000, undici anni di lavori per costruire 59 chilometri di strada e far risparmiare un quarto d’ora di viaggio a chi deve percorrere quel tratto di strada.
Questa è la prestigiosa, necessaria ‪#‎VarianteDiValico‬.
E ‪#‎Renzi‬ ha pure il coraggio di vantarsi della “grande opera” come se l’avesse costruita con le sue nude mani e non fosse invece un progetto di altri.
Ecco come si costruisce il consenso politico di un cialtrone.

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Quando Renzi diceva “fuori i partiti dalla Rai” intendeva dire fuori i partiti e dentro il governo?  Dopo che in tutti questi anni nessuno della presunta sinistra ha mai voluto risolvere il conflitto di interessi di berlusconi arriva Renzi e fa asso piglia tutto con l’azienda di stato ma lo fa coi soldi dei cittadini.  I contribuenti saranno costretti a pagare una tassa opportunamente inserita nella bolletta dell’elettricità per finanziare un’azienda fintamente pubblica visto che ormai i programmi sono un intermezzo fra una pubblicità e l’altra, un’azienda messa sul mercato con un amministratore delegato stile Marchionne scelto da Renzi in persona che a sua volta potrà decidere il personale da assumere che dovrà fare i palinsesti a immagine e somiglianza del Leopoldo da Rignano stando ben attento a non dis_turbarlo troppo.

A questo punto, visto che Licio Gelli è morto i diritti d’autore se li dovrebbe far pagare berlusconi,  meglio di così non avrebbe saputo fare nemmeno lui che almeno le sue porcate le ha fatte in governi eletti da parlamenti autorizzati dal voto degli elettori, non da uno abusivo che avrebbe dovuto solo garantire la tenuta dello stato e invece lo sta rovesciando senza il permesso di nessuno. 

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“La tv di Stato aumenta la dipendenza dai partiti

Ora è come se l’ad della Rai fosse Palazzo Chigi”

Enrico Mentana, direttore del Tg de La7, critica la riforma della Rai approvata ieri al Senato (leggi)
E davanti ai telespettatori rincara la dose: “Col canone in bolletta molti più soldi dei competitor” (video)

“Con questa riforma torniamo a prima del 1975, a una Rai che dipende dall’esecutivo. La fonte di legittimazione del Cda è la commissione di Vigilanza, ma soprattutto l’amministratore delegato con pieni poteri è Palazzo Chigi“. Il direttore del Tg La7, Enrico Mentana, intervistato dal Fatto, non usa sfumature. “Non si può dire ‘fuori i partiti da viale Mazzini’ e poi approvare una legge del genere”.

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renzi_vespa_porta_a_portaSe una riforma del genere l’avesse pensata e realizzata berlusconi, perfino gasparri dice che è incostituzionale ed è tutto dire, oggi avremmo le piazze piene di girotondi, di popoli viola, di senonoraquandiste, di associazioni popolari, di articoli21, di difensori della Costituzione più bella del mondo. Invece, tutto tace, e non potrebbe essere altrimenti due giorni prima di natale nel paese più assopito del mondo. Solo su una cosa Mentana sbaglia, quando dice che non è vero che la televisione orienta gli esiti delle elezioni.
Questa cazzata la lasci dire a Pigì Battista che la ripete da anni, lui che è stato anche un dipendente mediaset sa benissimo che non è vero.
Se fosse così la politica non avrebbe l’ossessione del controllo dei media: vent’anni di berlusconi e ancora c’è chi vorrebbe convincere la gente che le televisioni non spostano i voti, mentre sono riuscite e riescono a spostare perfino i cervelli.

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RIFORMA RAI

Avanti a mani alzate  – Vincenzo Vita

Nel consesso civile l’alzata di mano è una richiesta educata di parola.
In parlamento, il luogo dove si dovrebbe costruire la civiltà l’alzata di mano serve a togliere la parola..
Il parlamento di Renzi riforma la Rai, lo stato a modo suo con lo stesso spirito che anima una riunione di condominio dove basta una persona in più a decidere il colore delle tende dei terrazzi.
A margine di tutte le sconcezze che dobbiamo subire tutti resta però la realtà di un paese che non vuole crescere, maturare, fatto di una maggioranza di gente che spera sempre che sia qualcun altro a risolverle i problemi e il dramma è che sceglie sempre le persone sbagliate.

Se i farabutti approfittano sempre delle feste, delle vacanze, di ferragosto per fare le peggiori porcate è perché possono contare sulla complicità di chi non alza più nemmeno un sopracciglio nemmeno di fronte al peggiore degli abusi di potere.
Per fortuna Licio Gelli è mancato giusto un attimo prima della magnifica riforma della Rai targata Renzi, altrimenti altroché i diritti d’autore avrebbe chiesto.
Fino a ieri le televisioni pubbliche controllate in toto dal governo esistevano solo in Cina, Thailandia, la Corea del nord, in tutti quei paesi dove l’ipotesi di democrazia è stata stroncata sul nascere. Da oggi finalmente l’abbiamo anche qui, così ci togliamo il pensiero ché il dilemma “democrazia sì, democrazia no” ha sinceramente rotto il cazzo.
L’occupazione manu militari del servizio pubblico da parte del governo di quello che diceva “fuori i partiti dalla Rai” è cosa fatta e ha pure un capo: Renzi.
Kim Renz-un prima ha pensato al modo per far pagare il canone a tutti, dopo si è riformato la Rai a sua immagine e somiglianza, nominando il direttore generale leopoldo e promuovendolo AD, quindi con tutti i poteri nelle sue mani come se la Rai fosse una sua azienda privata dove l’uomo solo può decidere chi deve stare dentro e chi fuori senza fare nemmeno l’editto.
La domanda è retorica e stra-abusata, ma “se l’avesse fatto berlusconi”?
Gli italiani costretti dallo scippo con destrezza del canone in bolletta a sovvenzionare la ormai ex azienda di stato per permettere ad un capo del governo abusivo di trasformarla definitivamente nel suo house organ.
Presumo sia inutile aspettarsi un sussulto di dignità da parte di quei pochi professionisti che pensano che il giornalismo e l’informazione non siano mettersi al servizio del capetto di turno ma il perno dell’equilibrio democratico di un paese.  

Con una Rai così conciata da Renzi che se l’è praticamente privatizzata a suo uso e consumo, pagare il canone è un abuso.
La politica dovrebbe finanziare di tasca sua un servizio che serve solo alla propaganda di regime, non estorcere la tassa ai cittadini.

 

Se

Se i fatti riguardanti gli affari di famiglia della Boschi diventano sciacallaggio per bocca del ministro dell’economia, polemica strumentale per la stragrande maggioranza dell’informazione cosiddetta imparziale ed equilibrata anche se a riportarli è un giornalista che non ha bisogno di conferme come Saviano, se scrivere che un signore accusato di vari reati probabilmente non sarebbe stato assolto se avesse rifiutato la prescrizione su quello più grave e pesante quindi non si merita né l’onore né la gloria come piacerebbe a Lerner, se l’opinione di un direttore di giornale scritta nei suoi editoriali diventa cronaca solo per poter dire che quel giornale non è credibile [da quando le opinioni sono obbligate ad essere credibili? Sono opinioni, punto] è abbastanza normale che Il Fatto Quotidiano diventi poi come l’aglio per i vampiri. Il che sarebbe normale se lo fosse per chi rappresenta il potere che permette alla Boschi di fare il ministro nonostante il suo conflitto e i suoi interessi, non è più così tanto normale se ad accodarsi al parere del potere è la gente a cui non dovrebbe interessare il fallimento e la scomparsa di un quotidiano visto che ha la possibilità di non comprarlo, non leggerlo e dovrebbe quindi anche evitare di andare ad impiastrare di insulti il suo sito web e inventarsi il giochino dei titoli, specialmente se fa il presidente del consiglio.

I risultati delle elezioni in Francia sono educativi per tutti: far vincere la destra per non mandare avanti una destra peggiore.
Ovunque c’è una destra peggiore, quella estremista e fascista, sebbene la Le Pen su certi temi specialmente laici sia più progressista di Renzi, ed ecco perché i segnali che riportano alla destra peggiore non vanno ignorati.
Il diritto di critica è inalienabile, la critica non si smentisce insultando e screditando le persone ma con un argomento più forte che mette quella critica dalla parte del torto.
In altri periodi l’attacco frontale  a Saviano non sarebbe passato così inosservato, come minimo l’amico Fabio Fazio gli avrebbe offerto il salottino di Che tempo che fa, ma siccome l’attacco arriva dal partito di Renzi e del governo, non dal camorrista irritato allora niente salottino, Saviano viene messo dalla parte del torto come tutti quelli che osano mettere in discussione lo strapotere abusivo di Renzi.

Io non abbasso la guardia, per me un presidente del consiglio che ridicolizza un giornale pubblicamente perché non s’inchina al suo potere non è degno di stare nel parlamento di una repubblica democratica.

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Leopolda, i titoli di Renzi e la libertà di noi “gufi”- Caterina Soffici, Il Fatto Quotidiano

Da quando scrivo sul Fatto Quotidiano mi sono sentita dare della “disfattista”, “gufo”, “grillina”, “cinica”, “pessimista”. Per voi “va sempre tutto male, avete dei problemi” ti dicono. Questo solo per rimanere alle cose riportabili e per non parlare dei vari vaffa e di altre simpatiche locuzioni da parte dei barbari che popolano il web e che scorrazzano liberamente anche tra i commentatori anonimi dei blog del Fatto.

Io personalmente, non sono nessuna di queste cose. Anzi, se proprio dovessi dire (sul piano personale) sono fin troppo ottimista e cerco sempre di farmi andare bene le cose che mi capitano e di girarle in positivo anche se sono negative (sul piano personale, ribadisco). Sul piano pubblico il discorso è – e deve essere – diverso. Nessuno di noi scommette contro l’Italia.

Anzi, proprio perché vorremmo che diventasse un posto vivibile per i nostri figli, vorremmo che le cose cambiassero.
E proprio per questo scriviamo che ci sono troppe cose, in Italia, che non vanno bene. Quindi non possiamo farcele andare bene per non disturbare il manovratore. E’ giusto criticare, quando c’è da criticare. Criticare non è e non può essere sinonimo di disfattismo. Si chiama dissenso ed è l’opposto della propaganda. L’uniformità del pensiero unico è rischiosa. Questa cosa, il diritto di critica, ha un nome semplice semplice: si chiama libertà. Un paese civile e democratico si differenzia da un regime proprio per come applica questa semplice parolina.

A qualcuno questo non piace. Oppure pensano di poter indirizzare lo storytelling nazionale (piace molto questo modo di parlare, significa semplicemente il racconto della realtà) come vorrebbero che fosse e non come realmente è. A ben guardare l’iniziativa della Leopolda contro il Fatto Quotidiano è indice di una grande debolezza. Il Renzi della prima ora (o il Renzi1, come si definì lui stesso) non l’avrebbe mai fatto.

Cercare di gettare fango e screditare un giornale che ti critica, oltre che odioso è anche idiota. Il giochino del titolo più brutto è qualcosa di indigeribile, allo stesso livello di quando Grillo indice il concorso per votare il lecchino del giorno e il giornalista da mettere nel mirino.

Non può MAI essere un politico o un partito a giudicare le critiche di un giornalista, giudizio riservato esclusivamente ai suoi lettori (o a un giudice, in caso pubblichi cose false o diffamatorie).

Chi lo fa, o pensa di poterlo fare, ha già in mano la bottiglia dell’olio di ricino.

 

 

Leopolda: il nulla elevato a “convenscion”

matteo-renzi-festa-unità1       Preambolo:  Renzi, nell’interminabile monologo in chiusura della Leopolda ha detto, in riferimento al signore che si è suicidato perché aveva perso tutti i risparmi grazie al suo decreto salvabanche, che  “personalmente gli fa schifo chi strumentalizza i morti”.
In questa foto alle spalle di Renzi che ha fatto da scenografia al suo intervento durante l’ultima festa dell’Unità campeggia la foto di Aylan, il bambino siriano morto sulla costa turca che ha fatto il giro del mondo.
Renzi l’ha voluta alla sua festa dell’Unità, scegliendo di mostrare la foto del bambino vivo anziché morto come lo abbiamo visto dappertutto, probabilmente per non farsi troppo schifo di persona personalmente. 

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Tre giorni di rottura di coglioni diffusa per cielo terra e mare per dire che “loro” sono l’ammmòre e chi non è con loro è odio e disfattismo.

Cambiano le facce ma gli slogan no, difficile vedere la differenza fra la‪ #‎Leopolda6‬, un congresso di forza Italia e una riunione di scientology.
Matte’, cala che vendi. Forse.

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Quando berlusconi promulgò l’editto di Sofia per cacciare Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Michele Santoro dalla Rai non disse esplicitamente che andavano cacciati, si limitò ad affermare che i tre facevano “un uso criminoso del servizio pubblico della Rai”, all’epurazione ci pensarono i funzionari addetti ai lavori sporchi dei regimi. berlusconi era già a metà della sua opera ma iniziava a sentire aria di disfatta e le certezze che la magistratura non sarebbe arrivata a depotenziare la sua attività “politica” si facevano sempre più flebili: Renzi in meno di due anni di presidenza del consiglio [abusiva] in fatto di stampa e informazione ha già criticato pesantemente tutto il criticabile. I talk show sono “inutili” solo quando non invitano lui ad esaltare le sue magnifiche riforme e i giornali, nella fattispecie uno, sono cattivi quando non si trasformano in velina del partito unico.
Il segno che il globetrotter delle balle “ripetute finché non diventano la verità” non si sente poi così sicuro.
Dalla classifica “ironica” dei quotidiani chiesta da Renzi in persona alla sua leopolda mancano l’Unità con annesso rondolino e Repubblica: in un paese normale questo sarebbe il sintomo che sia l’Unità sia Repubblica non fanno il loro dovere di controllori del potere, in questo invece diventano il pulpito della verità. Cambiano i nomi ma non il metodo, cambia – forse – lo stile ma non le intenzioni, si ammanta di falsa giovinezza, di rottamazione inesistente l’interesse primario della politica, ovvero tentare di silenziare il dissenso in qualsiasi modo, anche con la seduzione di un “giochino innocente” come quello di fare la classifica dei quotidiani meno servili durante la kermesse privata del partito del presidente del consiglio.  Non è vero che il dissenso non può a sua volta essere criticato per forma, sostanza, toni e linguaggio solo però nel paese normale non è compito dei presidenti della repubblica, di quelli del consiglio, dei capi dei partiti né dei movimenti di popolo: non devono essere loro a decidere chi può stare e chi invece sarebbe meglio che andasse perché non risponde alle esigenze del governo, del partito e del movimento.
Gli unici a decretare il successo, l’insuccesso e la credibilità del quotidiano come del talk show sono i lettori e gli spettatori, non quelli che per ruolo dovrebbero essere i controllati dall’informazione mentre qui diventano i serviti e riveriti da chi dovrebbe far loro le pulci ogni momento. Dover parlare ancora di questo argomento è nauseante ma temo che visti i tempi sarà ancora necessario farlo.

Il giornalismo serio che ha a cuore la sua mission che non è fare favori al potere si sarebbe dissociato dal giochino di Renzi, avrebbe detto: signori miei, ma anche signore mie, qui abbiamo un capo del governo che, forte del suo strapotere che [rispetto a berlusconi] nessuno gli contesta, così come non si contesta la sua azione politica [così come si faceva con berlusconi], ha deciso che un giornale non può più criticarlo, anche se nei fatti Il Fatto è l’unico che lo fa.
Poi va bene, del Fatto Quotidiano si possono criticare i toni, spesso anche certi termini, si può dire anche che sia un giornale fazioso, esattamente come lo sono tutti gli altri perché questo fa parte dello stile e della linea editoriale che ogni giornale e giornalista danno al loro lavoro.
Quello che non fa parte di nessun paese mediamente sano, discretamente civile sono i presidenti del consiglio, capi non solo del governo ma nel caso di Renzi anche del partito che si è dichiarato unico portatore della migliore politica, l’unica alternativa, che aizzano la folla contro giornali e giornalisti.
Immaginatevi se lo facessero la Merkel, Cameron, Hollande, se Obama, come spesso ha fatto Napolitano proprio rivolgendosi al Fatto Quotidiano si mettesse a dare giudizi su giornali e giornalisti.
In nessuna democrazia sarebbe possibile una cosa del genere, in Italia invece non è solo l’eccezione ma proprio la regola.

Disastro Leopolda e attacchi al Fatto: Renzi non ne indovina una

Fuori dalla ‎Leopolda‬ molti hanno rifiutato le copie del ‪Fatto Quotidiano‬ distribuite gratuitamente.
I piddini, specialmente renziani quindi leopoldi non sanno fare niente gratis.

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Il comunicato di direzione e redazione

Saviano, la Boschi e il tradimento dei chierici servi

Il peggiore resta comunque Bersani che pur riconoscendo valide le argomentazioni di Saviano [non fanno una piega: testuali parole] ha detto che la Boschi non si tocca, che chiedere le dimissioni è “esagerato”.
Esagerato rispetto a cosa, se si può dire?

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Vota lo scontrino dell’anno – Marco Travaglio, 13 dicembre – Il Fatto Quotidiano

Che un bimbominkia si diverta a far votare dai compagnucci della parrocchietta Leopolda il peggior titolo di giornale fra una gamma di 16 (di cui 11 del Fatto), ci può stare: ciascuno si diverte come può, specie se è affetto dalla sindrome di Peter Pan e a 40 anni suonati indossa ancora il chiodo di Fonzie e, abbandonati la playstation e il calciobalilla dopo la scomparsa di Orfini, si riduce a giocare ai trenini immaginari in una vecchia stazione in disuso. Il problema, semmai, è che il bimbominkia fa pure il segretario del primo partito italiano e, incredibile ma vero, il presidente del Consiglio. E dovrebbe occuparsi, anziché dei titoli di giornale, dei titoli tossici spacciati dalle banche amiche di suo padre e di papà Boschi a migliaia di risparmiatori finiti sul lastrico o indotti al suicidio. Ma il premierminkia va ringraziato per il giochino di società ideato dal suo trust di cervelli nel tentativo disperato di resuscitare una Leopolda morta e sepolta, dove nessuno dei Vip millantati alla vigilia ha voluto farsi un selfie con lui e la sua presunta nuova classe dirigente ggiovane e fichissima consiste in qualche vecchia cariatide quattrostagioni e in parecchie sciure in botox, pelliccia e menopausa.
Davvero non c’era miglior modo per illustrare a chi non l’avesse ancora capito il suo concetto di libera informazione. Si dirà: anche Grillo, due anni fa, inaugurò sul blog il terrificante concorso “Il giornalista del giorno”, facendo di tutt’erba un fascio fra chi doverosamente lo critica (noi compresi) e chi meno legittimamente lo diffama con accuse calunniose e notizie inventate. Vero. La differenza è che Grillo è all’opposizione, per sua fortuna sprovvisto di giornali, tg e reti televisive. Renzi è il capo del governo, dispone di un giornale di partito ufficiale e molti altri ufficiosi, nonché di tre quarti di Rai e mezza Mediaset al suo servizio. Sopravvivono purtroppo in tv un paio di talk show liberi, subito da lui additati e dai suoi giannizzeri manganellati, e in edicola una manciata di testate che non gli leccano il culetto. Il che per lui è francamente insopportabile. Tant’è che gli 11 titoli del Fatto messi alla berlina come “balle” dalla sua Top Eleven contengono altrettante verità indiscutibili e note a tutti: come spieghiamo in dettaglio a pag. 2, è purtroppo vero che molti insegnanti han dovuto emigrare lontano da casa per uno straccio di lavoro malpagato, che il Jobs Act non ha prodotto le centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro annunciati, che da mesi i sondaggi sui 5Stelle inquietano il Pd.
Ed è indiscutibile che il governo Renzi è stato puntellato infinite volte dal soccorso azzurro di B. (per non parlare di Verdini), che l’articolo 18 è stato smantellato malgrado l’impegno contrario del premier, che Landini è diventato la bestia nera di Renzi e così via. E il fatto che il premier contesti proprio i titoli più veritieri, senza smentirvi eventuali falsità o inesattezze, la dice lunga sulla sua attitudine congenita alla bugia e sulla sua allergia patologica alle critiche argomentate e documentate. Si replica il triste copione del regime berlusconiano, quando i pochi giornali e giornalisti liberi venivano messi alla gogna con editti più o meno bulgari e liste di proscrizione. B. comandava sugli editori, nominandoli o ricattandoli: infatti riuscì a far cacciare Biagi, Luttazzi, Santoro, Freccero, Massimo Fini e tanti altri dalla Rai, poi De Bortoli dal Corriere, poi Fazio e Lerner da La7, infine Colombo e Padellaro dall’Unità con la gentile collaborazione dei Ds. Lo stesso fa o tenta di fare oggi Renzi, con una piccola differenza: che da sei anni esiste un quotidiano – il nostro – che non risponde a nessun padrone fuorché ai suoi lettori e non prende soldi dallo Stato né da banche né grandi imprese, ma solo da chi lo acquista in edicola o vi si abbona. Per questo Renzi ci mette nel mirino: perché non riesce a metterci in riga. Il suo modello di giornalismo sono le penne alla bava che alle conferenze stampa, anziché fare domande, lo applaudono. I vecchi trombettieri craxiani, dalemiani e berlusconiani riciclati dal renzismo all’insegna della rottamazione. Il Johnny Riotta che a Cernobbio fa il capoclaque invocando “un bell’applauso per il presidente Renzi, lo racconterete ai vostri nipoti!” e subito ottiene un bel programma in Rai (peraltro clandestino). Il Vespa che paragona la Boschi a Santa Teresa d’Avila (quella del Bernini) e poi presenta il suo ultimo capolavoro prima con Renzi poi con la Boschi.
Ma il suo modello supremo è la “nuova” Unità, riesumata (che Dio lo perdoni) per rendere meno dolorosa l’assenza della Pravda, ma soprattutto della stampa satirica e umoristica, con titoli di prima pagina – quelli sì – da affissione: “Roma Caput Mundi”, “Dio benedica Francesco”, “Ci vediamo in piazza”, “Il clima è già bollente”, “L’Italia è già in prima linea”, “Italia Coraggio”, “Come vincere la guerra”, “Allons enfants”, “Mai più precari”, “Siamo stati promossi”, “Forza Sud”, “Bentornata fiducia”, “Migranti, l’Europa parla italiano”, “Expo, ha vinto l’Italia”, “È scattata l’ora legale”, “E le tasse vanno giù”, “Fuori dal tunnel”. Solo per limitarci all’ultimo bimestre. Roba che non solo Antonio Gramsci, ma anche Emilio Fede e perfino Alessandro Pavolini sarebbero arrossiti un po’. Però a Renzi proponiamo un patto. Noi, appena ci regge lo stomaco, siamo pronti a titolare a caratteri cubitali un impetuoso “Va tutto bene”. Lui però, in cambio, si decide a pubblicare le note spese delle sue cene “istituzionali” (come no) da sindaco di Firenze a carico dei contribuenti. Così potremo finalmente lanciare il grande concorso “Vota anche tu lo scontrino dell’anno”. Ci fa sapere?