Risvegli

 

 

Se domani qualcuno decidesse che è necessario mostrare l’abuso dei bambini da parte degli adulti per spiegare che la pedofilia è un crimine orrendo altrimenti la gente non capisce e le coscienze non si risvegliano, tutti d’accordo? Pietà.

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Gli architetti della crisi ci spiegano che loro più di così non potevano fare e che da qui a vent’anni saranno solo cazzi nostri. Capito perché non possiamo prenderci la colpa?

Ci sarà sempre chi minimizzerà, chi dirà che certe cose non sono mai esistite, ancora oggi si nega l’appoggio della chiesa alle peggiori dittature, questo non vuol dire trasformare l’informazione in un immenso obitorio dove mostrare solo disperazione e morte. Anche sui pacchetti delle sigarette c’è scritto che il fumo uccide, ma la gente continua a fumare lo stesso. Che società si può formare mostrando solo l’orrore? E quanto è giusto mostrare l’orrore per colpevolizzare tutti?

Le colpe di tutti sono speculari a quelle di nessuno: tutti colpevoli nessun colpevole, mentre qui i colpevoli ci sono, hanno nomi e cognomi, i “signori” delle guerre.

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Mentana: perché non facciamo vedere il bambino morto

Dopo trenta ore in cui il leit motiv più ricorrente è stato quello del “risveglio delle coscienze” Mentana ha ribadito un concetto importantissimo: “che gente è quella che deve vedere la foto di un bambino morto per capire”.  Non fa una piega.  Un giornale, il telegiornale che entrano nelle case di migliaia, milioni di persone non possono arrogantemente imporre la loro ‘scelta’ di EDUCARLE, anziché INFORMARLE e di farlo con la violenza di un’immagine crudele che qualcuno avrebbe preferito non vedere. Qualche mese fa sono morte ottocento persone annegate, tutte insieme, dov’era la gente che si è indignata solo ieri spinta dalla suggestione della foto di Aylan? 

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L’Onu chiede che si trovi una soluzione all’orrore, anche a palazzo si sono svegliati dopo aver visto la foto del piccolo Aylan, nato bambino e morto da profugo.
Come se non fossero loro, il mondo:  hanno messo pure il diritto d’autore sulla loro responsabilità.
Cameron scopre che esiste una responsabilità morale sugli orrori.
Solo morale?
Qualcuno dovrebbe avvisare Cameron che lui è una delle cause degli orrori avendo contribuito alla loro costruzione.  Cameron si è mai commosso davanti ai morti bombardati anche da lui che fa parte della ‘santa alleanza’ esportatrice di democrazia?  Uno che si reputa statista, che viene considerato tale e che ammette una responsabilità morale nella morte dovuta alla guerra che proprio gli “statisti” scatenano in giro per il mondo si dovrebbe dissolvere, sparire.
Che tipo di problemi hanno le persone che hanno bisogno di VEDERE per capire e che dall’alto della loro presunzione pretendono che questa sia una regola universale?
Forse gli stessi che hanno quelle che per sapere che il veleno uccide e che la merda non si mangia anche se miliardi di mosche lo fanno li devono assaggiare?
Grazie a Mentana che ha ricordato che il dovere del giornalismo è quello di informare e che ha scelto di non mostrare la foto del piccolo Aylan infilandola per l’ennesima volta nel tritacarne del mainstream.
Al Manifesto prendano appunti, invece di vantarsi di fare parte della maggioranza che deve vedere sennò non capisce.

Quelli che “lavorano” alla  costruzione degli orrori, in primis i capi di stato e di governo occidentali conoscono benissimo tutte le loro conseguenze, non hanno bisogno di vederle nella morte di un bambino, il lavoro della propaganda è quello di far ricadere la responsabilità su chi non ha nessuna possibilità di sovvertire lo stato delle cose. Qualcuno dirà “però andiamo a votare”. Giusto, e ci andiamo, ma quando abbiamo mandato al governo Prodi e D’Alema non hanno contribuito anche loro alla costruzione degli orrori? D’Alema che ha mandato a bombardare Belgrado senza il permesso di nessuno, berlusconi che ha offerto l’esercito italiano a bush che nemmeno lo voleva sono stati votati. Renzi che continua a finanziare le finte missioni di pace in cui la gente muore come in guerra,  compra coi nostri soldi gli aeroplanini da guerra che Prodi ha ordinato prima di lui in virtù di accordi internazionali presi sopra e sotto il banco è stato votato. I cittadini di un paese con una Costituzione che ripudia la guerra i cui governi spendono fantastiliardi in armi, in cui vengono costruite armi,  mine antiuomo che ammazzano anche bambini che però nessuno vede, armi che usano i soldati italiani e quelli degli eserciti del mondo in che modo si possono opporre, ribellare a tutto questo,  difendere gli  altri Aylan del mondo dai costruttori di orrore e di morte, prendendosi loro la colpa di tutto?

 

Di empatia, etica, coscienze, “risvegli” ma soprattutto di banalizzazione del dolore altrui

A proposito di Aylan, tre anni, il bimbo morto col fratellino Galip di cinque in Turchia la cui immagine ha fatto il giro del mondo. Io ho scelto di non pubblicarla qui né di condividerla sulle mie pagine social: ognuno ha la sua linea editoriale.

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Impubblicabile

Sottotitolo: “nell’era social ognuno di noi è media, e ognuno di noi si prende la responsabilità dei contenuti che pubblica. Per la maggior parte chi ha condiviso, almeno dal mio punto di osservazione, ha scelto di farlo perché “il mondo deve sapere”, senza che alcuna informazione approfondita o meno accompagnasse quelle immagini. Chi è quel bimbo, da cosa sta fuggendo, cosa sta succedendo in Siria? Perché decido di “imporre” quell’immagine ai miei contatti? Non so onestamente, quanti di quelli che hanno pubblicato o condiviso conoscano le risposte, si siano posti dubbi prima di usare il tasto “pubblica” o “condividi”. Sui miei spazi ho deciso di non condividere. Avrei voluto scegliere se vedere o meno. Non mi è stato possibile. Alcuni dei miei contatti hanno deciso che era loro missione “risvegliare” la mia coscienza.
Quei contatti li ho oscurati, da oggi non vedrò più i loro contenuti su Facebook o su Twitter”. [Arianna Ciccone – Valigia Blu ]

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Da qualche parte ho letto che chi non ha cervello non ha nemmeno cuore. Gli altri, chi ha i due organi perfettamente funzionanti si abituano, questo mostrare di continuo la violenza produce assuefazione, nessuno si sofferma più di un secondo sulle immagini di corpi straziati, malnutriti, molti le evitano di proposito. Come scrivevo giorni fa altrove una società tollerante, comprensiva ha bisogno di serenità, e finché saremo qui tutti quanti a doverci confrontare con difficoltà di tutti i tipi dovute alla stessa politica sciagurata che non si attiva per evitare che migliaia di persone muoiano per salvarsi la vita è perfettamente inutile sollecitare delle reazioni in modo violento da parte dei media, spesso gli stessi che tacciono su altre questioni.

In queste ore migliaia di italiane e italiani non sanno che sarà della loro vita fra meno di due settimane, gente costretta a spostarsi di centinaia di chilometri per andare a lavorare abbandonando casa, famiglia, figli, non penso che sia giusto caricare di ulteriori angosce e di colpevolizzare ingiustamente chi già vive in situazioni di disagio, povertà, mancanza di lavoro, del necessario per sopravvivere, chi è malato, sofferente:  specialmente in periodi di crisi ognuno è vittima di una guerra.

Noi non abbiamo nessuna possibilità di interrompere la spirale della morte collegata ai conflitti del mondo, possiamo stare qua tutto il giorno davanti a un monitor e piangere guardando  foto ma niente cambierà, perché chi potrebbe cambiare le cose non lo farà: nessun potere del mondo rinuncerà alla sua quota di morte che si trasforma in profitti economici, questo è, che si sia coscienti o meno. E prima lo capiamo tutti meglio è. 

Se l’obiettivo, il fine di queste continue sollecitazioni violente, non richieste, è costruire una società mondiale fatta di cattivi che edificano il male perché si traduce in soldi,  potere e di gente confusa che non capisce più perché viene accusata ogni giorno e ovunque di cose che non ha fatto né contribuito a fare e nella quale il potere del mondo può agire come gli pare bisognerebbe rivedere la strategia. La diffusione del male, della violenza, dell’orrore  non  aiuta e non risolve. 

Ci si abitua a tutto: anche all’orrore.

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L’etica della condivisione nell’era dei social

Il rischio di banalizzare l’orrore con la tendenza alla pubblicazione dei contenuti ‘forti’ esiste. E dovremmo quanto meno esserne consapevoli. Nel caso della tragedia al largo della Turchia ci sono differenze tra la condivisione sui social e la pubblicazione o meno delle immagini da parte dei media.

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Empatia significa anche pensare che qui in Rete non siamo soli, non siamo a casa nostra, fra persone che ci conoscono e che conosciamo, quando  la parola è supportata dalla gestualità, gli sguardi,  quando si può insistere finché non c’è un chiarimento e la comprensione.

Imporre la visione di un’immagine che non abbiamo cercato espressamente perché magari volevamo guardarla da soli senza trasformarla nel soggetto da condivisione e likes  da social è violenza, è impedire agli altri di decidere SE la vogliono vedere, quindi anche una privazione della propria libertà personale, non tutti siamo qui a per farci risvegliare le coscienze.
La maggior parte di noi è arrivata già sveglia, non ha bisogno del tutor che le dica cosa deve guardare per capire.
I social non sono entità astratte, li facciamo noi ogni giorno con quello che scegliamo di scrivere e condividere: regolarsi, specialmente davanti ai drammi, alle tragedie, evitare di imporre ad altri la visione di quello che magari preferiscono guardare privatamente, senza coinvolgere centinaia, migliaia di persone sarebbe solo una bella forma di rispetto che non guasta nemmeno qui.
Come scrive benissimo un amico su facebook: chi ha comprato il Manifesto è, presumibilmente, un lettore del Manifesto e non credo debba essere scosso o convinto di qualcosa, chi non è lettore ne sarà con ogni probabilità un detrattore e, con ogni probabilità, dirà: “guarda questi che speculano eccetera (valutazione sulla quale non concordo, è una libera scelta editoriale)”.
Il bambino rimane lì e genera più retorica di mamma e papà che altro.

Non ho mai cancellato né oscurato nessuno dalle mie pagine web per il contenuto di ciò che pubblicava, a meno che non fosse manifestamente contrario ai miei principi o esageratamente offensivo e, siccome a molti piace tanto la canzonetta del “siamo tutti”  sarebbe il caso di iniziare a canticchiarla anche rispetto a ciò che si scrive e si pubblica nelle proprie pagine, bacheche dei social, blog eccetera.

La foto del bimbo morto sulla spiaggia in Turchia andava portata al vaticano, dai rabbini, agli imam, ai capi di stato e di governo del mondo che scatenano, appoggiano e finanziano tutti i conflitti sull’orbe terracqueo, ai fabbricanti di armi, anche italiani, che continuano a vendere morte nel sud del pianeta e a fare profitto su donne, uomini, bambini morti nelle guerre o perché scappano dalle guerre, non usata per far sentire in colpa chi con quelle morti non c’entra e magari per vendere qualche copia in più di un giornale.

Di Rete, di social, di odio e di balle [soprattutto, le balle]

Preambolo, off topic ma mica tanto: sta facendo più Anonymous contro l’Isis oscurando siti e account jihadisti –  rendendo quindi difficile la comunicazione – di tutte le varie concertazioni diplomatiche parolaie mondiali.
L’informazione mainstream prendesse esempio da loro invece di diffondere l’orrore usando l’alibi del diritto/dovere di informazione, mentre in realtà si tratta solo di pubblicità ai macellai che poi ne traggono altra esaltazione salvo poi inchinarsi davanti all’opportunità di non pubblicare la satira che “turba le sensibilità religiose”.

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Qualche giorno fa Corrado Augias ha annunciato la sua dipartita da twitter perché, ha detto, non si ritrova nei 140 caratteri e comunque non è il modo di comunicare che preferisce. Solo però ha aggiunto qualcosa di troppo che poteva evitarsi quando ha paragonato il metodo di comunicare del social al pizzino mafioso. E chissà perché la scelta personale di uno deve essere motivo di discredito per chi continua a fare qualcosa che quell’uno ha deciso di non fare più. Un po’ come quelli che smettono di fumare e poi passano la vita a molestare i fumatori.
E’ normalissimo che un uomo di ottant’anni, sebbene di cultura come il dottor Augias non si ritrovi nel modo di comunicare stringato e veloce di twitter ma è altrettanto normale che i figli di oggi, i nati nell’era delle tecnologie avanzate non abbiano nessuna difficoltà a farlo.
Paragonare il tweet al pizzino mafioso è una pessima caduta di stile che l’uomo di cultura avrebbe dovuto evitare.
Sarebbe bastato dire semplicemente di non gradire, di non ritrovarsi appunto nei 140 caratteri come molti, me compresa che non ho mai amato la sintesi nella scrittura, non dire che milioni di persone ogni giorno usano il social per scambiarsi messaggi cifrati o che sono sempre e tutti lì per insultare e insultarsi. 

Se c’è qualcuno che fa un uso sconsiderato di twitter e dei social sono proprio quelli che dovrebbero dare il buon esempio, a partire dai politici e certi giornalisti: i veri cyberbulli sono loro.

Indro Montanelli diceva più di vent’anni fa che se mussolini avesse avuto le televisioni sarebbe ancora qui, ovvero lì, in quell’epoca. La stessa cosa vale oggi per i politici a cui non bastavano le praterie immense dell’informazione asservita, oggi la propaganda se la fanno in casa aiutati  amorevolmente dai giornalisti della stampa amica tipo quelli alla Zucconi che potendo contare sulle migliaia di followers sanno bene cosa devono scrivere e quali temi toccare e come Lerner che la  scorsa settimana ha scritto che chi si è indignato per la presenza di berlusconi al Quirinale lo ha fatto perché “animato da pulsioni vendicative” e non perché un delinquente abbia ancora libero accesso nei palazzi istituzionali. Questo non è comunicare e non è esprimere un’opinione: è terrorismo semantico finalizzato alla propaganda utile al sistema, significa trasformare una sacrosanta repulsione per uno che dovrebbe stare in galera e invece viene pure invitato alla festa a palazzo in una questione personale di simpatia e antipatia, di cattiveria e bontà, odio e amore: le stesse argomentazioni di berlusconi. 

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La satira, ha detto Dario Fo da Fazio ieri sera non solo infastidisce il potere ma lo angoscia, la capacità di saper portare alla luce contraddizioni, difetti ed errori di persone a cui qualcuno ha dato l’autorità, l’autorevolezza, la possibilità di avere fra le mani la gestione di un paese, del mondo, saperlo fare poi in un linguaggio semplice e alla portata di [quasi] tutti effettivamente è molto “spaventevole”.
C’è il rischio che i vari giochini del potere possano sgretolarsi in un punto qualsiasi e provocare devastanti effetti domino, per il potere.
Ma non è solo il potere della politica ad essere angosciato da linguaggi diversi, un altro settore che risente molto dell’uso della parola semplice, disinvolta e spesso esplicita, chiara è il giornalismo dei professionisti che con l’avvento della Rete, dei social ha perso l’egemonia, l’esclusiva della diffusione di notizie e informazioni.
Da quando i social network, molti blog amatoriali sono diventati punti di riferimento per lo scambio di punti di vista ed idee, della libera circolazione delle notizie, spesso sostituendosi felicemente all’informazione ufficiale il giornalismo, specie quello che ha rinunciato alla sua funzione e deontologia a beneficio del potere ha cominciato ad attaccare l’utenza web, gli articoli che trattano della violenza del linguaggio web, dell’odio veicolato da certi commenti aumentano in maniera esponenziale.
Perfino Rampini, l’inviato di Repubblica, ha sentito l’impellente necessità di occuparsi del problema “dell’anonimato del web che scatena i peggiori istinti”, ieri Zucconi ha twittato che “l’anonimato su un social è la negazione dell’essere social”, concetti sui quali si potrebbe anche essere d’accordo se non fosse che sia Rampini che Zucconi sanno che l’anonimato in Rete è qualcosa di molto effimero, che in presenza di fatti e situazioni che lo richiedono i gestori delle varie piattaforme hanno la possibilità di risalire all’identità reale degli utenti quando e come vogliono.
Lo scettro del preoccupato dalla “violenza web” ce l’ha comunque Michele Serra che ha iniziato da un bel po’ e ciclicamente sente il dovere di mettere sull’avviso circa il pericolo derivante dalla troppa libertà di espressione incontrollata che circola in internet.
Ora io non ho mai fatto mistero dell’inutilità dannosa delle molte volgarità violente spesso al limite, oltre la diffamazione che vengono scritte specialmente nelle pagine pubbliche dei politici, delle trasmissioni televisive ma anche rivolte all’utenza “semplice” nei contraddittori che si sviluppano nelle varie discussioni però, ugualmente, non ho mai creduto alla buona fede di chi sale sul pulpito per avvertire, in special modo se lo fa da giornalista, quindi da persona che pensa di essere autorizzata a farlo, di avere una qualche autorità che gli suggerisce di farlo “a fin di bene”. Esattamente come gli influencers sguinzagliati in Rete dal regimetto di turno appositamente per impedire il dibattito civile, per inserire nel dibattito la propaganda pro o contro quel partito ci sono giornalisti che provano a sminuire le possibilità che offre la Rete  facendo credere che i social non siano poi così utili ma addirittura pericolosi per violenza espressa, tutto questo perché il sistema e il potere non devono essere disturbati da altri punti di vista, opinioni e conoscenza che i frequentatori di internet mettono a disposizione degli altri senza il filtro dell’opportunità circa quello che si può e non si può dire. Non è un caso se i regimi totalitari adottano un controllo severissimo sul web fino ad impedire la circolazione delle notizie e la politica sia da sempre terrorizzata dal fatto che internet non è così facilmente controllabile come i media ufficiali.
Credo, invece, che il giornalista professionista dovrebbe smetterla di considerare l’utenza web un nemico capace solo di offendere, che gli toglie il lavoro o mette in discussione quella bella esclusiva di una volta che consisteva nell’articolo sui giornali che si poteva leggere e basta perché non c’erano i mezzi per far sapere al giornalista, ad esempio, che quello che aveva scritto non era corretto.
Parlare poi dell’odio che viaggia in Rete, della necessità di ripulire i social come se il sentimento negativo relativo alla realtà infame con cui moltissima gente deve fare i conti quotidianamente fosse circoscritto solo qui, che solo qui dentro la gente esprima il suo malcontento è una solenne cazzata, basta farsi una passeggiata per sapere che quel malcontento, le preoccupazioni hanno volti e voci, non corrispondono soltanto ad un account.
Per questo penso che gli addetti ai lavori, che siano politici o giornalisti dovrebbero benedire e ringraziare questo mezzo che “tiene”, ha la capacità di frenare istinti che se messi in pratica fuori dal social sarebbero molto più pericolosi di quanto lo sia la parola scritta, anche la più spregevole, quella che non si può condividere mai.

La metastasi italiana si chiama conflitto di interessi

Sottotitolo: un paese in balia degli editori, regolando il conflitto di interessi questo non sarebbe mai potuto accadere. Forse adesso tutti capiranno meglio perché nessuno se ne è mai occupato. Vergogna senza fine, per loro, s’intende, perché io li avevo votati quelli che ad ogni elezione promettevano di fare la legge sul conflitto di interessi salvo poi piagnucolare di numeri, di tempo che non c’era e, che lo dico a fare? che c’erano ben altri problemi a cui pensare, che in fin dei conti il conflitto di interessi, come ci ha insegnato Fassino “non dà da mangiare”. Domandatelo a berlusconi e a De Benedetti, se non dà da mangiare. Giusto per citare i primi della lista. Il piddì che è assolutamente terrorizzato [molto di più di quanto lo sia stato qualche giorno fa quando un delinquente pregiudicato ha trovato la porta aperta al Quirinale] dall’eventuale presenza di Grillo all’Ariston di Sanremo tanto da chiedere ufficialmente al presidente della Vigilanza Rai di vigilare è sintomatico di quanto abbia intenzione la politica di mollare l’osso: di lasciare che l’informazione, la televisione e i media in generale siano davvero indipendenti dalla politica così come avviene in tutti i paesi più civili di questo dove o si fa l’imprenditore, specialmente quando ci si occupa di informazione, o si fa il politico. I due ruoli impersonati in un’unica figura non fanno pendant,  né a destra né a “sinistra”.

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La pirateria giornalistica della Zanzara mi fa pensare all’anonimato in rete

[…] Ah scusate, credo che fra quelli cui piace questo genere “giornalistico” ci siano molti che detestano e combattono l’anonimato nella rete, quando tocca a loro essere su Twitter o su Facebook oggetto dell’altrui aggressività. E questa roba di oggi che è? Fingere di essere qualcun altro, estorcere dichiarazioni che mettono in imbarazzo quando non un diretto danno di reputazione, creare il genere narrativo dell’inganno e della presa per il culo, che è? Se vi dicessi che ci vogliono regole per il giornalismo mi sbranereste, e con ragione. Ecco, quando parlate della rete e cianciate di regole  e di inciviltà, ricordatevi delle vostre zanzare.[…]

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 L’Italia, a differenza di quel che diceva quell’ottimista di Montanelli non si è affatto vaccinata contro il virus berlusconi, al contrario quel morbo si è trasformato in metastasi che ha infettato tutto quanto perché chi doveva applicare la terapia di contrasto si è fatto invece contagiare e infettare volentieri.
Io credo, sono convinta che Fabrizio Barca sia un galantuomo, una persona per bene, cosa che non si può dire di tante altre persone, troppe, altrimenti la politica non sarebbe scaduta così in basso. Però mi chiedo: perché non la smettono – almeno le persone serie – di legittimare un programma disgustoso qual è La zanzara di Cruciani? Quale sarebbe l’attualità senza tabù, la definizione che viene data alla trasmissione, ordire tranelli a gente che pensa di parlare con qualcuno che invece è qualcun altro e poi mandare in onda contenuti di telefonate violando la privacy? Questo, nel quale si dà la parola a cani e porci, a omofobi, razzisti e fascisti, dove si organizzano vigliaccate all’insaputa, dai contenuti paragonabili a quelli della peggior rivista di gossip e del più scadente trash televisivo, sarebbe il programma di punta della radio del Sole 24 ore, il quotidiano dell’alta finanza? 

 La zanzara andrebbe chiusa per le solite ragioni di igiene ambientale, non è informazione, non è satira, è un programma nel quale si lasciano parlare tutti a ruota libera, e poi quello che dicono viene spalmato in Rete dove se ne parla per giorni e  giorni, e poi il siparietto fisso della Ruccia sul Fatto Quotidiano per discutere ancora e ancora di tutte le scelleratezze che vengono dette in  trasmissione.

Sciacallaggi, vigliaccate, cose senza importanza, bugie, che invece trovano una eco e uno spazio esagerati ma poi, al contrario di altri argomenti non suscitano scandalo né l’indignazione di nessuno.

Napolitano, l’imbalsamatore incompatibile con la democrazia

Quando la politica non svolge le sue funzioni, quando si dimostra sorda e cieca alle richieste e al disagio di cittadini lasciati in balia di se stessi, privati, oltreché man mano di altri, quelli sociali, quelli civili che per non sbagliare vengono direttamente negati, del diritto fondamentale qual è quello sancito dalla Costituzione che vuole il popolo sovrano [non il monarca anziano mascherato da presidente della repubblica “democratica”]; quando viene impedito di scegliere i propri rappresentanti, di dire basta ad un governo che non rappresenta nessuno, la protesta si organizza.
E quando si organizza lo fa a modo suo.
Irresponsabili e ipocriti quelli che oggi si meravigliano, come se non se lo aspettassero.

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Oppo, Grillo, noi giornalisti – Alessandro Gilioli

MAFIA PARLA, STATO TACE (Marco Travaglio)

IL MERLO MARTIRE (Marco Travaglio)

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In un paese civile il giornalismo è sempre dall’altra parte del potere.

E’ quell’opposizione severa che osserva e critica, non fa il gioco di nessuno.

In un paese civile la politica, il presidente della repubblica, le istituzioni non mettono bocca e becco dappertutto, specialmente poi se tacciono davanti alle minacce di morte ai Magistrati.

Letta invece di disquisire –  in parlamento e non nel salotto di casa sua –  sul giornalismo buono e quello cattivo ci dica perché in una democrazia occidentale Nino Di Matteo è costretto a fare una vita da latitante, gli viene impedito di partecipare al processo sulla trattativa fra lo stato e la mafia per non rischiare di esplodere da qualche parte dell’Italia e a viaggiare su mezzi blindati da guerra.

Napolitano ci parli di questo, visto che non ha detto mezza parola a sostegno di Nino Di Matteo, non lo ha fatto nemmeno in qualità di capo supremo della Magistratura, non dei suoi populismi del cazzo.

In un paese civile il politico non difende i giornalisti, perché come ha spiegato benissimo Marco Travaglio ieri sera a Servizio Pubblico significa appartenenza alla politica: tutto quello che l’informazione non deve invece essere. E nel caso il politico abbia proprio la necessità di esprimere la sua solidarietà, gli scappasse  la sua giusta contrarietà alla minaccia, all’istigazione violenta dovrebbe farlo con tutti i minacciati, non solo con qualcuno e farlo a titolo personale, non politico.

In un paese civile nessun giornalista farebbe il peana ad un presidente ambiguo con ambizioni monarchiche da uomo solo al comando che tutto dispone e tutto decide come fa puntualmente Scalfari, il grande fondatore di Largo Fochetti – che ha ben più che una voce in capitolo nella politica ma è molto dentro la politica – con Napolitano.

E il contropotere per essere tale deve essere indipendente dalla politica.

In Italia invece [57°posto nel mondo per libertà di stampa e informazione] i giornalisti non di parte, una piccola manciata di coraggiosi utopisti del paese uguale per tutti, con la legge uguale per tutti, con una politica che agisce nell’interesse dei cittadini, che non fa affari con le mafie né porta i mafiosi delinquenti in parlamento diventano faziosi, giustizialisti, bersagli di insulti e minacce che non fanno sussultare nessuno.

Per loro nessuna reazione indignata da parte della politica e degli opinionisti all’amatriciana che se la prendono, OGGI, nell’anno del Signore 2013 dopo vent’anni di disinformazione inquinata dai conflitti di interesse, non solo quello di berlusconi ma anche quello ad esempio del Corriere della sera con un CDA composto da industria e alta finanza – e non si capisce come faccia poi il Corriere a vigilare sull’industria e sulla finanza – con le liste di proscrizione di Grillo.  Bisognerebbe smetterla con l’ipocrisia di chi, a differenza di come si dovrebbe fare sempre e con tutti stigmatizza  la minaccia ma poi non considera tutto l’insieme ma solo quella parte che gli torna utile per attaccare chi gli sta antipatico. Le liste di proscrizione fanno schifo, sono fasciste per natura, ma fa schifo, ed è anche quello fascista per natura quel giornalismo servo per indole, abitudine, che non concepisce un altro modo di esercitare la professione senza sdraiarsi davanti al potente.

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Colpa dell’interprete
Marco Travaglio, 13 dicembre

L’Uomo dell’Anno si chiama Thamsanqa Jantjie e fa l’interprete per sordomuti: martedì troneggiava alla commemorazione di Mandela allo stadio di Johannesburg dietro il presidente Zuma e a due passi da Obama e dagli altri grandi e grandicelli del mondo per tradurre i loro discorsi nella lingua dei segni. Invece gesticolava a caso, col risultato di tradurre le frasi dei leader con supercazzole insensate e incomprensibili, in mondovisione. Una scena degna di Amici miei. “Avevo le allucinazioni”, si è giustificato, “vedevo angeli entrare nello stadio. È la prima volta che mi accade, ho fatto da interprete a molte conferenze e mai nessuno si era lamentato”.

Pare che l’uomo sia da tempo in cura per schizofrenia e abbia trascorso un anno in ospedale psichiatrico. Dio solo sa come sia finito al centro della cerimonia più importante dell’ultimo decennio. Ma, a ben pensarci, è molto probabile che Thamsanqa Jantjie, o un suo clone, abbia prestato servizio al Parlamento italiano per tradurre i messaggi che giungevano dal Paese alla categoria più sorda che si conosca nel nostro Paese: quella del politici.

Solo con un difetto di traduzione si può spiegare il loro comportamento di fronte ai mille segnali d’insofferenza lanciati dai cittadini al Palazzo. Gli italiani aboliscono i finanziamenti pubblici ai partiti? Il Parlamento li ripristina camuffati da “rimborsi elettorali” e, non contenti, si mettono pure a rubare sui rimborsi dei gruppi consiliari per comprarsi di tutto, dai Suv alle mutande, dai libri porno ai chupa-chupa, a spese nostre. Gli italiani vogliono scegliersi i propri rappresentanti, cioè maledicono il Porcellum? I partiti lo conservano per otto anni. La gente chiede ai politici di non far pagare la crisi ai soliti noti, ma di distribuire equamente i sacrifici? I governi fan pagare la crisi ai soliti noti, distribuendo prebende alle banche e alle grandi imprese. La gente chiede il taglio dei costi della Casta, magari delle province se non le regioni, e quelli lasciano tutto com’è. Alle ultime elezioni metà degli elettori stanno a casa o votano Grillo, bocciando le larghe intese del governo Monti?

I partiti sconfitti rieleggono un presidente di 88 anni (fino a 95), poi al Quirinale si riuniscono quattro babbioni per rieditare le larghe intese col governo Letta e tener fuori dal palazzo chi le elezioni le ha vinte. Per vent’anni i partiti si sono sentiti ripetere “attenti, di questo passo la gente verrà a prendervi con i forconi”. E ora le piazze sono piene di manifestanti chiamati a raccolta dal Movimento dei Forconi.

Ma, incuranti della nemesi storica, governo e partiti fanno gli stupiti e gli indignati: dopo aver trasformato un popolo tranquillo, paziente, a volte rassegnato e disperato, in una polveriera pronta a esplodere alla prima scintilla, si meravigliano se centinaia di migliaia di cittadini protestano. Non si accorgono di averli creati loro, come già hanno creato i 5Stelle. E spaccano il capello in quattro, alzano il ditino, monitano inviti alla legalità dopo averla calpestata per una vita, dicono che è gente “di destra”, “fascista”, “populista”, “qualunquista” e soprattutto “non ha un programma”.

È vero, non ha un programma: è solo incazzata nera. Sono i politici e i governi che dovrebbero avere un programma, li paghiamo (profumatamente) apposta per averne uno. Ma ecco la spiegazione: è stato tutto uno spiacevole equivoco. Non hanno capito niente per anni, per decenni, perché c’era un errore di traduzione. Un interprete pazzo ha fatto creder loro che la gente chiedesse a gran voce la riforma della Costituzione, il premier forte, il Senato delle regioni, le larghe intese, la separazione delle carriere dei magistrati, la fine della guerra fra politica e giustizia, la pacificazione fra guardie e ladri, l’indulto, l’amnistia, la grazia al Cainano. Il quale ora annuncia: “Se mi arrestano scoppia la rivoluzione”.

In effetti, per le strade d’Italia, è pieno di gente incazzata che grida “Nessuno tocchi Cainano”. Gliel’ha detto il suo interprete personale: Dudù.

Rinnovo l’invito: qualcuno ci invada

Sottotitolo: un ringraziamento speciale a Marco Travaglio e Andrea Scanzi che continuano praticamente ogni giorno a spiegarci la chiave di lettura delle dinamiche dei talk show nonostante e malgrado sia una fatica ed un dispendio di energie abbastanza inutile nel paese dove tutti sapevano e sanno tutto e non c’è bisogno di nessuno che lo spieghi. Forse è per questo che l’Italia è ridotta ai minimi termini: perché tutti sapevano e hanno agito di conseguenza, politica e istituzioni comprese.

Questo è il paese dove  si fanno le pulci a chi almeno ha il coraggio di dire le cose come sono. Troppo facile così. E troppo facile anche accusare di filogrillismo chi condivide l’ovvio e il pertinente. Persona più libera di me politicamente non c’è, dicevo e scrivevo in tempi molto meno sospetti di questo che non bisogna innamorarsi della politica, bisogna vigilarla a vista, non prendere le difese di gente che ha la possibilità di mandare la digos a casa di chiunque, anche dei cittadini onesti, quando vuole.

Quando ho iniziato ad interessarmi della politica l’ho fatto per difendermi, non per diventare come quelli che la fanno e quelli che sostengono chi l’ha ridotta così male.

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LA PUTTANATA  – Marco Travaglio, 11 settembre 

IMPERVERSA IL FUNARISMO 2.0 E I TALK POLITICI DIVENTANO POLLAI  – Andrea Scanzi, 11 settembre

AGLI ORDINI DEL COLLE  Antonio Padellaro, 11 settembre

NAPOLITANO CHIEDE UNITÀ, IL PD SI ADEGUA E SALVA B. Fabrizio d’Esposito, 11 settembre

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Per tutti quelli che “se i 5 stelle avessero fatto altre scelte”, tipo l’accordo con chi non ha trovato disdicevole l’alleanza col partito del delinquente dopo averlo sostenuto in modo più o meno occulto per una ventina d’anni.
I 5 stelle sono stati gli unici a mantenere una certa coerenza, tutti gli altri l’hanno svenduta per il bene della pacificazione nazionale dunque di berlusconi, e non bisogna aver votato il MoVimento per ammetterlo. Ora che ve/ce lo hanno detto in tutte lingue del mondo, potreste per favore smetterla di ravanare sempre in un torbido che non c’è?

Producono il caos, poi lo usano. Alessandro Gilioli, 11 settembre

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Tutto sommato gli eventi “politici” di queste ore aiutano ad inquadrare meglio la situazione nel suo complesso.

Aiutano a difendersi da quelli che vogliono fare la morale a chi incrocia il suo pensiero, e le sue opinioni, talvolta o più spesso condividendo entrambi con quello che esprimono i deputati 5 stelle di fronte alla presidente della camera che trova ingiurioso chiamare i ladri, ladri, ripetendo l’invito a “non offendere”per ben tre volte, forse per convincersene lei per prima. 

A questi, quelli che “con Di Pietro mai”, e “con Grillo mai” andrebbe risposto, come dice il mio amico Andrea, che sono alleati stretti stretti con la destra più fascista e negazionista che abbia mai occupato il parlamento dopo il ventennio di mussolini il quale, secondo il noto pregiudicato, non ammazzava nessuno, mandava la gente in vacanza e qualcosa di buono l’ha fatto anche lui.
E dovrebbe forse bastare per zittirli e farli vergognare, magari in segreto.

Aiutano a non sentirsi troppo colpevoli per tutte le volte in cui per sfinimento un po’ tutti abbiamo detto o pensato che, alla fine, “sono tutti uguali” perché nei fatti lo sono, perché se non lo fossero stati non saremmo mai arrivati fino a qui, a dover assistere allibiti, attoniti, nauseati ad uno spettacolo indegno: quello di una politica e di un presidente della repubblica che stanno facendo l’impossibile e l’inenarrabile per annullare la sentenza che ha condannato berlusconi, non saremmo qui a discutere di un parlamento che, esclusi i nuovi inquilini, quei maleducati che chiamano ladri i ladri non può, non sa, non vuole liberarsi dell’intruso delinquente. Perché se non lo sono nelle azioni lo sono eccome nei principi, se non fosse così berlusconi stamattina sarebbe fuori dal parlamento, se invece questo fosse stato un paese normale non ci sarebbe mai nemmeno entrato. 

E quello che non si può sopportare è il tentativo di  mettere il sigillo dello stato, della democrazia su questa operazione disgustosa, eversiva che è quella di sottrarre un delinquente dalle sue responsabilità penali, cosa che non si potrebbe fare perché non è giusto né legittimo fare nei confronti di nessun altro cittadino, qualcosa che in nessun paese definito normale, civile e democratico davvero sarebbe mai potuta accadere.

Di Piazze [pulite], piazzate e piazzisti

La cosa più squallida che ho letto è che la Turchia non sarebbe mai dovuta entrare in Europa. Siamo bravi noi, invece, a stare in Europa, sempre a novanta gradi. Quella che arriva dalla Turchia è una grande, grandissima lezione di democrazia, di difesa della democrazia.

Sottotitolo: ho più volte criticato Grillo per il suo atteggiamento sbagliatissimo [e controproducente] con i giornalisti. E continuerò a farlo. Ma parlare di “Editto di Grillo”, accostando un palese sfogo ironico [più o meno gradevole] alla violenza calcolatissima e concretissima di Berlusconi da Sofia, è appena una forzatura. Ma appena, eh. [Andrea Scanzi].

 Certi paragoni sono imbarazzanti e vergognosi.

Ieri sera Formigli ha parlato di ‘editto’ a proposito di Grillo, come se lui avesse gli stessi poteri di berlusconi.
 Se Grillo non parla coi giornalisti quelli restano al loro posto, quando berlusconi ha voluto zittire i giornalisti, quelli se ne sono dovuti andare.
Ma questa cosa semplicissima è troppo difficile da capire, evidentemente.
 Grillo non avrà MAI lo stesso potere che si è autoconcessa la politica in questi 60 anni di finta repubblica. 
Perché il sistema malato, marcio di questa Italia, costruito proprio dalla politica non lo permetterà. 
Possiamo stare tutti tranquilli e aspettare che le urgenze di Letta &Co, diventino una solida realtà, tipo tacitare la Rete e quel presidenzialismo che sembra essere diventato  la prima necessità di un paese allo stato terminale.

Preambolo: come farà Napolitano a non cedere alle lusinghe di Alfano quando questo si andrà a lamentare che a silvio stanno venendo meno quelle garanzie che proprio Napolitano gli ha – magnanimamente – concesso quando ha bacchettato i Magistrati per consentirgli di partecipare alla delicata fase politica? Oggi Napolitano non è nelle condizioni di dire a nessun esponente di governo nemmeno di farsi più in la, perché questo governo è figlio suo.

E BERLUSCONI MANDA ALFANO A CONSEGNARE L’ULTIMATUM AL COLLE

Silvio ha messo in conto la condanna per il Rubygate, ma spera nella Consulta per il processo Mediaset – Mercoledì 19 giugno è il d-day del governino: se si va verso l’interdizione, il Banana fa saltare tutto – E il ministro-segretario va al Colle ad avvertire Re Giorgio dell’incazzatura del Capo.

[Dagospia.com]

 B: “nessuno mi difende, Napolitano e la Consulta non dicono niente. Se mi condannano mobiliteremo i cittadini”.

Ecco, l’eversore torna a chiamare la piazza.

Vuole essere assolto da colpevole in tribunale e difeso dalla politica e dalle istituzioni più di quanto sia stato già fatto in tutti questi anni. Un pericoloso eversore, un  fuorilegge sovversivo ostile e contrario ad ogni tipo di legge e regola che non avrebbe trovato nessuna residenza nella politica e in parlamento. In un paese normale.

Un paese di complici

[…] «L’attuale asserita pacificazione, l’embrassons-nous di governo è il contrario assoluto della possibilità di ritrovare fiducia. Avere giustizia è far sì che tutti sappiano la verità. È una richiesta di catarsi. Quella che in Italia manca persino nell’analisi della storia del Novecento. Sia lo scetticismo morale sia la retorica [anche della Resistenza] almeno tenevano vivo il senso delle distinzioni. I vili e gli eroi. I giusti e gli ingiusti».[…]

Già Calamandrei denunciava omertà e acquiescenze alle illegalità. Oggi una filosofa parla di “società di briganti”. E dice: non ci sto. Intervista a Roberta De Monticelli, di cui esce in questi giorni “Sull’idea di rinnovamento”, pamphlet filosofico-politico edito da Cortina.

Quello che più di tutto mi fa imbestialire è che mentre il governo apparecchia e organizza l’ennesimo furto con destrezza della legge truffa sul finanziamento, l’unica cosa che tutti i governi sanno fare molto bene, la maggior parte dell’informazione continua ad occuparsi del nulla, di Grillo cattivone che caccia i giornalisti.

E allora penso che Grillo sbaglia molto, soprattutto nella forma, ma se ogni tanto ricorda alla gente chi è uno dei maggiori responsabili dell’italico sfacelo, ovvero quell’informazione che non c’è e quando c’è è distorta, non fa male.
Se l’Italia è al 57° posto nelle classifiche internazionali circa la libertà di stampa e informazione la colpa non è di Grillo e dei 5stelle ma di chi oggi si mette in cattedra impartendo lezioni di democrazia a Grillo non avendo i titoli né l’autorità per farlo.

Formigli irritante e imbarazzante ieri sera a Piazza Pulita.
Quasi quanto l’Annunziata.
Questi il coraggio e le palle li trovano solo coi 5s, come mai l’Annunziata non ha mai chiesto le referenze ad Alfano come ha fatto domenica scorsa  con Fico? magari agli italiani farebbe piacere sapere come ha fatto un portaborse a diventare vicepresidente del consiglio e ministro dell’interno. Deve essere proprio bravo, l’Angelino: il più bravo di tutti.

Molti rappresentanti dei 5s non sanno nemmeno come ci si comporta davanti a una telecamera e gli esperti infieriscono, lo fanno apposta per farli cadere in contraddizione, con gli altri invece domande e risposte vengono concordate nel backstage.

Nei paesi normali non  funziona così, in Inghilterra Blair ha dovuto rispondere a un giornalista che gli faceva notare che anche lui aveva le mani sporche di sangue, provassero a fare la stessa osservazione qui a TUTTI i presidenti del consiglio che hanno appoggiato e finanziato le guerre.  Per non parlare di bush e e di quando un giornalista gli chiese se era vero che sniffasse cocaina. La differenza del rapporto fra informazione e potere è gigantesca, negli altri paesi l’informazione è davvero il cane da guardia del potere.

In fatto di libertà di stampa e di informazione l’Italia è passata dalla padella, berlusconi e il conflitto d’interessi mai risolto e che mai nessuno regolerà per gli ormai noti motivi di pacificazione nazionale alla brace di Monti, che non ha spostato di una virgola lo stato indecente dell’informazione italiana.

E adesso col governo delle larghe intese benedetto dal Re la situazione è, se possibile, peggiore di questa.

Premetto  che io questo meccanismo secondo il quale spendere soldi significa risparmiare non l’ho mai capito: l’unico modo per risparmiare che conosco è non spendere i soldi ma va bene, per molte cose sono una donna ancora all’antica, si vede, ma che finanziare i partiti debba essere più conveniente di finanziare le associazioni umanitarie penso che sia la peggiore delle perversioni maligne che la politica e questo governo potessero anche e solo immaginare di mettere in pratica.
Vuol dire che grazie alla finta legge, alla truffa organizzata della legge sul finanziamento pubblico ai partiti sarà più conveniente per i contribuenti dare soldi ai partiti piuttosto che ad Emergency, 

In un paese dove i governi e la politica non si occupano più della gente e le associazioni umanitarie, le onlus sono sempre di più un punto di riferimento per chi non può curarsi, mangiare, essere assistito, un paese dove ci sono malattie che non si possono curare perché lo stato non finanzia la ricerca, indispensabile a trovare rimedi per le malattie rare, dove per ogni cosa importante, che serve, dalle cure alle ricostruzioni dopo i terremoti si chiedono soldi alla gente sotto forma di tutto; messaggini, sottoscrizioni, piante, arance perché lo stato non c’è, non c’è mai quando serve, ancora una volta la politica violenta il benché minimo senso del pudore e dell’onestà aggiustandosi una legge vergognosa per poter continuare ad avere vantaggi, soldi e privilegi. 
E questa è la migliore risposta per tutti quelli che ancora oggi vorrebbero convincere gli italiani che il governo messo su in fretta e furia da Napolitano, quello delle larghe intese, dell’inciucio a cielo aperto sia davvero il governo delle necessità. 
Quello in grado di dare le risposte all’emergenza.

Quelli che non pagano mai
Marco Politi, Il Fatto Quotidiano, 4 giugno

Chiedeva domenica papa Francesco di pregare per le vittime delle nuove schiavitù e guerre. E in effetti con l’indebolirsi della democrazia, il progredire della crisi e il gonfiarsi del potere economico- finanziario si profila ogni giorno di più un nuovo tipo di guerra. La guerra spietata dei potenti contro gli indifesi, la guerra dei prepotenti contro la massa di chi rispetta la legge e pensa (ingenuamente) che la società dovrebbe orientarsi secondo i dettami di un’etica civile sancita dalle norme. Potenti e prepotenti non vogliono pagare mai. Né rispondere delle loro azioni. Né risarcire morti e sofferenze causate da loro. Mai. Prendiamo la sentenza Eternit: disastro doloso. L’imprenditore elvetico Herr Schmidheiny latita, come si conviene a “chi può”. Il predecessore barone Cartier de Marchenne è passato a miglior vita, reato estinto, gli eredi nulla devono. Andrebbe promossa ex novo una causa civile, con sentenze chissà quando… Chi ha avuto, ha avuto! La storia non è nuova. Nel disastro di Bhopal del 1984, quando un’immensa nube tossica uccise 3.787 persone, poi arrivate secondo stime a 15.000, con danni ulteriori a mezzo milione di indiani, il management americano della multinazionale Union Carbide India Ltd. se la cavò senza un graffio. Persino papa Wojtyla, coraggioso altrove, nel suo primo viaggio in India non disse una parola. Stesse impunità in altri regimi e latitudini. Disgusta l’arroganza smisurata dei potenti e prepotenti. Quanto più è diffusa – sulla carta – la cultura della legge uguale per tutti e la retorica dei diritti umani, tanto più si scintilla l’atteggia – mento sprezzante dei boss, che non devono sottostare alle leggi dei comuni mortali. I comuni mortali pagano l’Imu? La Chiesa-potere non vuole proprio. Strano: il rigoroso Monti, così europeo e attento ad ascoltare la messa, aveva deciso che tutti dovevano dare sull’unghia nel 2012, solo la Chiesa nel 2013. Ora manca un reale catasto dell’uso degli edifici e il gettito sarà aleatorio. Curiosa coincidenza. Il governo Letta ne sa qualcosa? Anche i pedofili ben collocati possono partecipare alla partita. Il sindaco Alemanno, costituendosi parte civile in ritardo contro il prete abusatore Conti, ha ritardato la sentenza di Cassazione con la prospettiva di un pacchetto di prescrizioni: senza risarcimenti. Il gioco ormai è scoperto. Tu paghi e io no.

I Geni italiani hanno avuto tutti vita breve, quelli che non sono morti li hanno tacitati con altri sistemi.

Ave, Roma, morituri te salutant

Vittorio Arrigoni è stato ucciso a Gaza il 15 aprile di due anni fa, quando ne aveva trentasei, poche ore dopo il suo sequestro.

Vittorio era un uomo di pace che si impegnava per la pace in una zona dove non c’è mai stata pace, un  giornalista coraggioso: in ogni suo messaggio invitata a “restare umani”, qualcosa che diventa sempre più difficile da mettere in pratica.

Sottotitolo: queste cose possono succedere anche perché tanta gente non capisce. La questione fra Grasso e Travaglio è stata educativa, pedagogica, ha spiegato molto bene in che modo purtroppo pensa una larga parte della gente di questo paese.

Report, Alemanno inaugura la querela via twitter

Attendiamo quindi di sapere quale sia la nuova cifra milionaria avanzata dai querelanti per riparare l’onta della diffamazione. L’ennesima “querela temeraria”. Dopo quella dell’Eni che ha stimolato oltre 100 mila cittadini a firmare una petizione. Che continua. Perché cambia il querelante ma non la sostanza: si usa la querela come strumento intimidatorio per impedire ai giornalisti di documentare e ai cittadini di sapere, di conoscere la verità.

Contro queste “querele temerarie”, tema su cui i saggi hanno ben poco saggiamente sorvolato, è ora e tempo che il Parlamento si pronunci.

Più che un governo in Italia ci vorrebbe un team di educatori e rieducatori alla legalità, altroché i dieci inutili  saggi di Napolitano.
L’Italia è stata sventrata da cima a fondo perché il controllo sulle amministrazioni e sugli amministratori, dunque anche e soprattutto sui politici  è stato sempre troppo debole, perché quando ci sono di mezzo soldi, molti soldi, le istituzioni preposte pensano che si possa e si debba essere meno rigorosi e severi e non preoccuparsi nemmeno da dove vengono e per quali conti correnti bancari passano i soldi.
Quindi tutto va bene se le attività di una zona balneare, giusto per fare un esempio di quelli descritti da Report, possono essere gestite, praticamente alla luce del sole, dalla criminalità organizzata e non succede niente.
Ed è normale che il sindaco di Roma abbia fatto di Roma una cosa sua sotto gli occhi di un’opposizione distratta e ancorché assente, e nessuno ha mai pensato di doversene preoccupare.

Se dovessi scegliere a chi dare le mie chiavi di casa fra Milena Gabanelli e gianni alemanno non avrei nessun dubbio a chi consegnarle.
Ora, che il miracolato [perché solo un miracolato avrebbe potuto mantenere il suo posto nella sua condizione dopo tutti gli scandali e porcherie varie di cui è stato ed è protagonista] non abbia nemmeno aspettato la fine di Report ieri sera per correre al computer o chiedere a qualcuno di farlo, per annunciare le sue intenzioni bellicose contro Report e Milena Gabanelli è sintomatico di quanto questo sia un paese ir-re-cu-pe-ra-bi-le dal punto di vista della legalità.
In un paese normale le autorità non si sottraggono alle domande della stampa e dell’informazione, non scappano davanti ai microfoni di un giornalista [capito Uòlter? vale pure per te], si mettono a disposizione della stampa e dell’informazione per ogni tipo di chiarimento circa il loro operato, non pensano che la cosa più opportuna da fare sia portare in tribunale i giornalisti.
Quelli che lo fanno evidentemente non hanno la coscienza troppo pulita e pensano così di potersela cavare grazie ai loro eserciti di avvocati, alle immunità che si sono autoconcessi, alle leggi che solo in questo paese rendono politici e amministratori della cosa pubblica “più uguali degli altri”.

Ed ecco perché non bisogna mai stare dalla parte del potente delinquente se dall’altra c’è un giornalista, chiunque sia il potente o il delinquente che intimidisce, avverte, minaccia. 
Una querela, una denuncia verso un giornalista dicono e significano che su quello che fanno potenti e delinquenti non si può indagare, non si possono fare inchieste, è meglio non ficcare il naso in certe faccende e raccontare certi fatti, mentre invece in un paese normale succede esattamente il contrario: i giornalisti fanno le loro inchieste, pubblicano quello che bisogna pubblicare senza preoccuparsi troppo dei turbamenti dell'”eccellenza” di turno.

In un paese massacrato dalla corruzione, dalla criminalità che ha preso i posti di comando un po’ ovunque con la complicità di chi avrebbe dovuto impedirlo il pericolo, il nemico non può essere il giornalismo d’inchiesta, dovrebbero essere proprio e solo i delinquenti che un po’ a turno e indipendentemente dall’orientamento politico, hanno ridotto l’Italia a brandelli.

Radicali liberi

Bonino al Quirinale, si fa presto a dire Travaglio

Questa è miseria.
Ma non politica o istituzionale, proprio umana.
E questo può succedere solo in un paese dove la figura del giornalista e quella dell’uomo, o in questo caso della donna politica vengono equiparate.
Dove il dovere di un giornalista di informare viene confuso col discredito, e dove ancora troppa gente non ha capito che ogni volta che un politico si mette ad opinare e a battibeccare coi giornalisti compie SEMPRE un abuso, perché il gioco non è e non sarà mai ad armi pari, fra il potente e il giornalista.
Se l’Italia è un paese da buttare è anche grazie a chi a tutto questo non solo non si oppone perché non capisce, non ci arriva, ma si mette dalla parte del potente com’è accaduto con Grasso.

Nel giornalismo l’unico parametro con cui misurare e valutare un fatto e una notizia è la loro veridicità; dunque una notizia e un fatto possono essere veri e inconfutabili anche se non piacciono poi ad una parte della pubblica opinione e ai protagonisti di quella vicenda e di quel fatto.
E quando una notizia e un fatto non vengono smentiti, non ne viene chiesta la rettifica significa che quel fatto e quella notizia sono veri; diversamente esiste il reato di diffamazione che vale per tutti meno per alessandro sallusti, quello che, come il padrone che lo paga è più uguale degli altri e quindi non tenuto a rispettare leggi e regole comuni col beneplacito dell’estremo difensore di quelle regole e leggi che invece di ribadirle di fronte a certe vicende preferisce mettersi una mano sul cuore e prendere una penna per firmare com’è accaduto ieri quando ha concesso la grazia per conto terzi, e cioè di Barak Obama, ad un sequestratore di cittadini residenti sul suolo italico.
Detto ciò ribadisco, ripeterò finché avrò la possibilità di farlo e finché qualcuno me la darà, il mio totale disgusto per chi da una posizione dominante tenta di intimidire il giornalismo libero, quello che non offende, che non diffama né scredita ma ha il solo e unico difetto di rendere partecipi i cittadini italiani di cose che interessano, o perlomeno dovrebbero interessare più loro che i coinvolti nei fatti e nelle notizie ai quali, come da tradizione italica, non è mai successo nulla grazie agli esiti delle inchieste giornalistiche,   diversamente da quel che accade praticamente ogni giorno nei paesi civili dove al giornalismo è permesso di fare quel che deve e cioè vigilare sul potere, non esserne la vittima.

E quindi, stando così le cose, l’unica cosa da fare è stare dalla parte del più debole, dunque, la mia totale solidarietà a Marco Travaglio, il più bersagliato, insultato e diffamato di tutti, anche dal potere, di tutti i colori.

 

Svalutation

 Sottotitolo: al Coisp, l’indegno sindacato di quella polizia di Stato che offre solidarietà a quattro assassini oltraggiando una famiglia e tutta l’Italia onesta andrebbero messi dei sigilli, per questioni d’igiene ambientale e di sicurezza pubblica. Che è un concetto diverso dalla pubblica sicurezza.

Un abbraccio affettuoso ai ragazzacci di Anonymous che sono riusciti a zittire per un po’ almeno virtualmente i cialtroni sostenitori di quattro delinquenti oscurando i loro spazi web.  

ANONYMOUS DALLA PARTE DI FEDERICO

In Italia il concetto di giustizia “ad personam” è molto di più che una semplice opinione o sensazione. E’ una realtà applicata ai fatti e anche alle persone;  vorrei sapere in quale altro paese democratico la vita di una persona vale tre anni e sei mesi – condonati –  di quella miserabile di chi gliela toglie a calci e botte.

Preambolo: non guardo Porta a Porta, proprio non mi passa nemmeno per la mente di guardare una trasmissione al solo scopo di criticarla e di poterne sparlare, insultando, nelle pagine dei social network. 
Posso fare al massimo qualche battuta sul sentito dire o quel che leggo sui giornali. 
E veramente faccio fatica a capire come invece tanta gente si sottoponga all’inutile tortura di mettersi ogni giovedì sera davanti alla televisione a guardare Servizio Pubblico per fare solo questo: sparlarne insultando.

Non giudico una cosa nel complesso ma per quel che mi dà.

E se Patrizia Moretti va da Santoro invece che da Vespa mentre Bersani e Monti vanno da Vespa e non da Santoro qualche ragione ci sarà.

Comunque, un consiglio a Santoro: per le riabilitazioni esistono cliniche apposite, non serve proporre un personaggio squallido come Sgarbi una settimana sì e l’altra pure.

Sono stufa, nauseata e disgustata di chi dà la colpa dei fallimenti della politica a tutto il mondo meno che ai veri responsabili.

Di chi deve trovarsi sempre il capro espiatorio pur di rinnegare la verità.

Solo in un paese a maggioranza di idioti può fare paura un giornalista, l’unico a fronte di centinaia di servi e damerini più o meno accomodanti che pensano che il loro lavoro consista nel non imbarazzare i potenti prepotenti. Di essere opportuni.

Poi si può discutere quanto vogliamo sull’utilità di una polemica, ma per evitarla bastava che Grasso non telefonasse a Santoro col tono della zitella stizzita e Formigli non organizzasse quell’indegno teatrino servile permettendo ad un ex magistrato procuratore antimafia ora assurto alla presidenza del Senato di poter insultare i suoi ex colleghi dicendo FALSITA’ protetto da quell’immunità che i suoi ex colleghi non hanno e non possono per questo rispondergli alla pari né trovare giornalisti accomodanti, disponibili e disposti a lasciarli parlare in libertà. 
Ecco perché Caselli è stato costretto a chiedere tutela al CSM e non a Formigli. 
E non si capisce perché l’onore di una persona deve valere più di quello di un’altra. Marco Travaglio aveva e ha il diritto di difendersi da chi gli dà del vile e del vigliacco, da chi da vent’anni lo accusa di essere uno sfascista disfattista solo perché sa fare il suo mestiere, a differenza di molti suoi “colleghi” ritenuti affidabili perché col potere non si sono mai scontrati, esattamente come Grasso, simpatico a dell’utri sia come procuratore antimafia che nella nuova veste di presidente del Senato [e io qui qualche domanda me la farei, invece di insultare un giornalista] si prende la libertà di poter dire che ad una carica ottenuta sulla base del sospetto, di leggi contro qualcuno e a favore di qualcun altro non si potesse proprio dire di no.

Italiano Celentano
Marco Travaglio, 29 marzo

Naturalmente Celentano è liberissimo di pensare — e di scrivere su Repubblica — che un giornalista deve “fermare la lingua”, “azzerare il passato” e “soprassedere”, rinunciando a dire ciò che sa del nuovo presidente del Senato, perché siamo in un “momento così delicato”. Se invece non lo fa, anzi insiste a raccontare in perfetta solitudine la biografia della seconda carica dello Stato, non è perché il mestiere di giornalista consiste appunto nel dare notizie vere e documentate; ma “per sminuire l’ascesa di Grasso alla presidenza del Senato” e per “appesantire l’aria”. A suo dire, “Travaglio deve aver pensato: perché lasciare intatta la credibilità del nuovo presidente del Senato, che potrebbe fare qualcosa di buono e dopo noi ci intristiamo?”. Ora, se queste scemenze appartenessero solo al nostro amico Adriano, che purtroppo s’informa poco e nulla sa di Grasso né del perché è arrivato fin lì, anche se potrebbe con poco sforzo informarsi, pazienza. In fondo dev’essere dura per un grande artista nazionalpopolare restare confinato troppo a lungo nel campetto degli outsider: due anni all’opposizione, con le battaglie per i referendum del 2011, poi per i nuovi sindaci, poi per 5Stelle, sono forse troppi per lui. È ora di tirare i remi in barca, rientrare nei ranghi e tornare all’ovile. All’insegna dello scurdammoce ‘o passato “in tutti i settori, anche nel campo della giustizia” (ma sì, regaliamo a B. una bella amnistia o un bel salvacondotto e non parliamo più della sua ineleggibilità, come fanno Flores d’Arcais e centinaia di migliaia di cittadini, perché “è una stronzata”, “una cazzata”, “una scorrettezza elettorale”, bisognava pensarci prima; e pazienza se Flores ci aveva pensato fin dal ’94, quando Celentano votava B.). Ma Italiano Celentano dà voce alla pancia di molti cittadini che, complici il suicidio di Bersani e certe mattane autistiche di Grillo e dei 5Stelle, si sono già spaventati del cambiamento che un mese fa hanno innescato nelle urne. E ora vivono le stesse paure che li attanagliarono a fine 2011 quando, esaurita rapidamente l’euforia per le dimissioni di Berlusconi, si aggrapparono acriticamente alla zattera dei tecnici. E tremavano se qualcuno, in perfetta solitudine, scriveva che era meglio andare a votare subito, che forse SuperMario Monti e i suoi supertecnici non erano quei geniali salvatori della patria che stampa e tv unificate accreditavano, anche perché la maggioranza l’aveva sempre il centrodestra, almeno in Parlamento, non certo nel Paese. Per qualche mese restammo soli a scrivere queste cose, beccandoci le letteracce di molti lettori. Oggi sparare su SuperMario e i supertecnici che non han salvato niente e nessuno è come picchiare un bambino che fa la cacca sul vasetto: troppo facile, anche perché lo fanno tutti. Anzi i supertecnici si sparano fra loro sul caso dei marò che sparavano ai pescatori scambiandoli per pirati: un po’ come molti soloni della politica e dell’informazione che speravano nei tecnici scambiandoli per Cavour, De Gasperi ed Einaudi. Gira e rigira, si torna sempre all’Abc di questo oggetto misterioso (per molti) che si chiama democrazia: gli elettori votano, chi vince governa, chi perde si oppone, la stampa e la magistratura controllano, i cittadini vigilano, gli intellettuali pensano e aiutano gli altri a pensare. E non c’è emergenza che possa indurre un giornale o un programma libero a “fermare la lingua”, “azzerare il passato” e “soprassedere”. Sarebbe un tradimento del nostro mestiere e dei nostri lettori, oltreché un piccolo ulteriore arretramento dalla nostra democrazia. E poi lo fanno già in troppi. Chi vuole giornalisti cantori che suonano la viola del pensiero sotto il balcone dei potenti può cambiare giornale, e canale. Noi continueremo a raccontare e a criticare chi lo merita. E, se è il caso, a disturbare i manovratori.