L’alleato

Articolo 54 della Costituzione Italiana:

“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.

I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

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Sottotitolo: Confalonieri, che, non si sa bene con quale titolo, è stato ricevuto al Quirinale dal capo dello stato quale ambasciatore delle istanze del pregiudicato condannato è la persona più vicina a berlusconi insieme a Gianni Letta, lo zio del nipote; Confalonieri è presente nella famosa intercettazione dove berlusconi e dell’utri parlano della bomba che mangano gli aveva fatto esplodere affettuosamente sul cancello di casa mentre la mafia gli faceva pervenire messaggi simpatici nei quali c’era scritto che “se non avesse fatto una certa roba, entro una certa data, gli avrebbero consegnato la testa del figlio ed esposto il suo corpo in piazza del Duomo”.

Dunque due persone che di berlusconi, della sua vita privata, delle sue frequentazioni sapevano e sanno tutto possono intercedere per lui, avere voce in capitolo nella politica come Letta che è stato imposto al parlamento da uno che che da quarant’anni paga il pizzo alla mafia.

E a uno così Napolitano ancora ieri chiedeva “responsabilità”.
A uno così si concede ancora il diritto di avere diritti, di poter rivendicare un’agibilità politica.

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Dell’Utri, storia di un impresentabile: da Mangano al boss della ‘ndrangheta Mario Portanova, Il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2013

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“B. PAGAVA COSA NOSTRA” 40 ANNI FA IL PATTO CON I BOSS DELL’UTRI L’INTERMEDIARIO (Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza).

UNA VITA CON LA MAFIA.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI CONDANNA A 7 ANNI IN APPELLO RIVELANO IL RUOLO DELL’EX SENATORE. DEL CAIMANO LA CORTE SCRIVE: “MAI SFIORATO DAL PROPOSITO DI FARSI DIFENDERE DALLO STATO”.

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silvio berlusconi, che in vita sua “non è mai stato sfiorato dal proposito di farsi difendere dallo stato”, così recitano le motivazioni della sentenza del processo a dell’utri è stato invece il più difeso, tutelato, quello a cui lo stato ha offerto, regalato più garanzie, tutele, possibilità [anche di derubarlo] rispetto ad ogni altro cittadino da quando esiste questa repubblica.

E ancora c’è chi ha il coraggio di dire e scrivere che non ci fu nessuna trattativa fra la mafia e lo stato.

Lo scorso anno al ventennale delle commemorazioni per la strage di Capaci [a quelle per Borsellino non andò perché nessuno le aveva inserite in agenda], Napolitano disse: “vent’anni fa non ci lasciammo intimidire”.

Diceva Paolo Borsellino: “stato e mafia agiscono sullo stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.
Forse è per questo che l’hanno ammazzato, mentre quelli che agivano, e agiscono, sono ancora tutti vivi.

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Rimozione forzata
Marco Travaglio, 6 settembre

Quella depositata ieri dalla Corte d’appello di Palermo a carico di Marcello Dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è la quarta sentenza in nome del popolo italiano a mettere nero su bianco che nel 1974, cioè agli albori della sua resistibile ascesa di imprenditore, Silvio Berlusconi stipulò un patto d’acciaio con Cosa Nostra attraverso il suo (di Cosa Nostra e di B.) intermediario palermitano. L’avevano già sostenuto, oltre ai pm Ingroia e Gozzo e al gup Scaduto, i tre giudici del Tribunale che l’avevano condannato a 9 anni, il pg Gatto che aveva chiesto la conferma della condanna, i tre giudici di Corte d’appello che l’avevano confermata riducendo la pena a 7 anni, i 5 giudici di Cassazione che l’avevano annullata solo per il periodo 1977-’82. Ora, su richiesta del pg Patronaggio, l’hanno ribadito altri tre giudici di appello. In totale 19 magistrati di funzioni, sedi e correnti diverse hanno accertato che 40 anni fa B. iniziò la sua carriera con un patto con la mafia. E non occorre più nemmeno la Cassazione per rendere definitiva questa verità processuale, ormai irrevocabile dalla sentenza di parziale rinvio del maggio 2012: “A seguito della sentenza della Cassazione è stato definitivamente accertato che Dell’Utri, Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (gli ultimi tre sono boss mafiosi, ndr) avevano siglato un patto in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa Nostra per ricevere in cambio protezione”. Eppure da 15 mesi giornali e politici, salvo rare eccezioni, fanno finta di nulla.

E intanto l’uomo del patto con la mafia è stato architrave del governissimo Monti, si è ricandidato alle elezioni, ha raccolto il 22% dei voti, è stato più volte ricevuto al Quirinale con tutti gli onori, è stato invitato da Bersani a indicare il candidato Pdl-Pd per il Colle (Marini), ha avuto in dono la testa dell’odiato Prodi da 101 (o forse 120) appositi franchi tiratori Pd, ha ottenuto la riconferma di Napolitano, ha strappato l’agognato governissimo, ha pure scelto il premier che preferiva (il nipote di Gianni Letta), è divenuto il partner prediletto del Pd (che in compenso schifa Di Pietro e Ingroia) e ora viene implorato da tutti i poteri che contano, ma soprattutto da Pd e Quirinale, perché non abbandoni la maggioranza e resti fedele a Letta nipote, mentre giuristi à la carte e scudi umani dell’inciucio lavorano per salvarlo da una legge che impone la sua decadenza da senatore. “Resta con noi, non ci lasciar” detto – avete capito bene – a colui che nel 1974 incontrò nel suo ufficio di Foro Buonaparte a Milano “Dell’Utri, Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo”, prima dell’“assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore…”, suggellando “il patto di protezione” con i vertici della mafia. “In virtù di tale patto i contraenti (Cosa Nostra da una parte e Berlusconi dall’altra) e il mediatore contrattuale (Dell’Utri), legati tra loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale dell’imprenditore mediante l’esborso di somme di denaro che Berlusconi ha versato a Cosa Nostra tramite Dell’Utri che, mediando i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio mediante l’ingresso nelle proprie casse di ingenti somme di denaro”. Una simbiosi andata “avanti nell’arco di un ventennio”. Questi fatti ormai consacrati da una sentenza definitiva, ma già noti da tempo, sono scomparsi dalla scena politico-mediatica. Tant’è che ancora ieri Polito El Drito, sul Corriere , pregava in ginocchio B. di restare fedele al governo “nell’interesse degli italiani”. Non volendo o potendo rimuoverlo dalla politica nell’interesse degli italiani, si rimuovono quei fatti nell’interesse suo e si racconta che è nell’interesse nostro.

Come recita un vecchio proverbio catalano: ci pisciano in testa e ci dicono che piove.

Un paese a retroattività illimitata

Un Nobel per la Pace che scatena una guerra. È come se un pregiudicato volesse fare la riforma della giustizia. [spinoza.it]

In un paese civile lo scontro sulla retroattività della legge Severino non ci sarebbe perché non ci sarebbe bisogno della legge Severino.
In un paese normale un senatore condannato si dimetterebbe subito, espierebbe la pena e una volta libero si ritirerebbe a vita privata.
[Sandro Ruotolo da Facebook]

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Berlusconi, un resistibile videomessaggio Beppe Giulietti, Il Fatto Quotidiano, 21 agosto

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Sottititolo:  Il corto parlamento – Massimo Rocca, il Contropelo di Radio Capital

Buttatelo fuori, fate cadere il governo, andiamo alle elezioni, facciamo la guerra civile, come suggerito da Bondi, ma per favore finiamola. Finiamola tutti questa soffocante, farsesca legislatura. Un non governo, con una non maggioranza, una non opposizione, un non capo dello stato, un nonsenso. Diciamocelo, può succedere. Abbiamo buttato dieci mesi. Abbiamo provato a far finta che il passato non fosse esistito, che i protagonisti non fossero quelli che sono, abbiamo provato a resuscitare i morti con il risultato ovvio di avere in giro dei Frankenstein. Non è andata, non poteva andare. Anche se ve lo avevamo detto, non portiamo rancore. Purchè non pensiate di farci vivere ancora in questa farsa ridicola, in nome della governabilità e di qualche inutile decimale di PIl che forse metteremo insieme nel 2014. Non ci obbligate a ripetere con Cromwell ” il popolo vi aveva scelto per riparare le ingiustizie, siete voi ora l’ingiustizia! Ora basta! Portate via la vostra chincaglieria luccicante e chiudete le porte a chiave. In nome di Dio, andatevene”.

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Ostellino, Corriere della Sera,  è sempre quello che scrisse a proposito delle cene eleganti del satrapo condannato, che le donne sono sedute sulla propria fortuna e perché mai non dovrebbero approfittarne.

Ma, a quanto pare anche molti uomini hanno approfittato, fino all’usura, del posto che solitamente si appoggia su una sedia.

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«L’AMACA» del 5 settembre 2013

E che bravo anche  Michele Serra che sull’Amaca di oggi dopo aver commentato sdegnato l’accusa di schifani a quelli del pd di essere loro i responsabili di un’eventuale caduta del governo gli chiede di “riaddrizzare la schiena” e rivendicare “con orgoglio” le sue idee.

Come se non fosse chiaro a tutti, e dunque anche a Serra quali sono sempre state le idee e quali gli obiettivi di chi si è immolato al sostegno e alla difesa del pregiudicato berlusconi.

Un indagato per mafia si permette di intimare, di lanciare ultimatum, di chiedere per conto terzi e cioè del noto delinquente che vengano sostituiti i membri di una giunta che deve stabilire una cosa ridicola per quanto è ovvia, ammantandola di pomposità democratica, e cioè che un delinquente condannato deve uscire dai palazzi del potere e Serra, invece di ricordare che schifani non ha proprio i requisiti per pretendere nulla né per accusare nessuno gli fa la ramanzina bonaria, come se non bastassero i toni concilianti che usa la quasi totalità del cosiddetto giornalismo italiano: un esercito di servi senza dignità responsabili quanto, come, se non addirittura più della politica di aver trasformato un delinquente per natura in uno statista.

I giornalisti hanno una grande responsabilità: quella di diffondere notizie basate su fatti veri. Se questo paese costruisce un dittatore ogni manciata d’anni, se oggi l’Italia è costretta a subire una situazione anormale, indecente e che in nessun altro paese si sarebbe potuta verificare, ovvero un delinquente condannato che può, ancora, ricattare, minacciare il parlamento e le istituzioni, registrare videomessaggi che tutte le tv faranno a gara per mandare in onda è anche una responsabilità di quel ‘giornalismo’ che non informa ma si inginocchia davanti al potente prepotente e in questo caso anche delinquente  molto spesso anche senza che nessuno glielo chieda.

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UN ESERCITO DI SCUDI UMANI (Antonella Mascali) Il Fatto Quotidiano

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Un mandante è per sempre
Marco Travaglio, 5 settembre

Che il Banano sia furibondo con i suoi onorevoli avvocati Ghedini e Longo, che l’anno scorso non gl’impedirono, anzi gli suggerirono di votare la legge Severino, aiutandolo a infilare la testa nel cappio e a stringersi il nodo scorsoio intorno al collo, è cosa nota. Che sia molto deluso anche dai superpoteri del principe del foro Franco Coppi, spacciato dai soliti ben informati per un supereroe specializzato nel far assolvere i colpevoli in Cassazione, è risaputo. Ciò che ancora non si sapeva è che avesse già trovato il sostituto, il 64° difensore della sua lunga carriera di imputato: Piero Ostellino. Il quale ieri, sul Corriere, ha voluto gentilmente anticipare la nuova linea difensiva di B. da spendere – si suppone – dinanzi alla Corte di Strasburgo. Analizzando con la consueta perizia giuridica le motivazioni della Cassazione, l’autorevole Ostellino ha scoperto che B. è stato condannato per “una nuova fattispecie giuridica di delinquente della quale finora la giurisprudenza non aveva notizia: l’“ideatore di reato’”. Va detto in premessa che l’Ostellino ha l’occhio bionico per le sentenze: due anni fa, per dire, riuscì a definire “moralmente mostruose” le motivazioni della condanna dei capi della ThyssenKrupp per la strage di Torino ben due mesi prima che venissero scritte e depositate. Ma lui, evidentemente, le conosceva già per scienza infusa. Stavolta invece si occupa di quelle del processo Mediaset, depositate dalla Cassazione il 29 agosto, e riesce a leggervi ciò che nessuno, nemmeno Coppi e Ghedini e Longo messi insieme, nemmeno il Giornale, il Foglio, Libero, Panorama, il Tg4 e Studio Aperto avevano notato. Per esempio ha scoperto che B. è stato condannato da solo, appunto come “ideatore di reato”, mentre “i suoi sodali, pur avendo commesso il reato da titolari di cariche societarie, non sono stati incriminati”.

Quindi “d’ora in poi chiunque scriva un libro giallo nel quale descriva in dettaglio il modo migliore di rapinare la Banca d’Italia sappia che è passibile di condanna anche se, e quando, altri lo facciano davvero”. Gli sfugge che l’ideatore si chiama anche mandante o concorrente nel delitto ed esiste dall’età della pietra. Ma soprattutto che, insieme a B., sono stati incriminati e processati e condannati i suoi sodali Agrama, Galetto e Lorenzano, senza contare Del Bue e Giraudi salvati dalla prescrizione, Cuomo e Bernasconi defunti e Confalonieri assolto. Ma questi, per un giureconsulto che vola alto come Ostellino, sono solo dettagli. Ciò che conta è la sua sapienza giuridica, che lui distilla sul Corriere spiegando che al massimo B., come ideatore di reato, ha “manifestato una brutta intenzione” o “una cattiva coscienza” e dunque “andava assolto”: solo “l’arbitrarietà di una certa magistratura” poteva processarlo e condannarlo inventandosi “un nuovo reato” per “accusare qualcuno senza prove” e condannarlo “per ragioni politiche”, cioè per “liberarsi del capo di un movimento che si oppone all’egemonia della sinistra”. Il che “dà la misura dell’abisso giuridico e morale in cui è caduto il Paese”, obnubilato da “una sempre ben orchestrata campagna mediatica” a cui – si suppone – contribuiscono anche i cronisti del Corriere , i quali hanno dato ampio conto delle vere motivazioni della sentenza. Che purtroppo non sono quelle descritte da Ostellino, di cui non resta che sperare che non le abbia lette, altrimenti bisognerebbe concludere che non ha capito una mazza. La Cassazione infatti non si limita a dire che B. “ideò” il reato, ma aggiunge e dimostra che “creò”, “organizzò”, “sviluppò” e “beneficiò” dagli anni 80 del “meccanismo del ‘giro dei diritti’ che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende” e per lui tramite 64 società offshore create per lui da Mills, in parte sconosciute ai bilanci e usate per “mantenere e alimentare illecitamente disponibilità patrimoniali estere, conti correnti intestati ad altre società a loro volta intestate a fiduciarie di B.”.

Tutte condotte difficilmente compatibili con quelle del romanziere che narra la rapina alla Banca d’Italia. Affranto per “la salute dello Stato diritto”, per i pericoli incombenti sulla “sicurezza di ogni cittadino” (almeno di quelli con 64 società offshore) e sulla “sopravvivenza della democrazia” peraltro “morta da un pezzo”, Ostellino invita B. a smetterla di “comportarsi come un accusato permanente” (come se fosse una sua posa bizzarra) e a “denunciare l’accusa di ‘ideatore di reato’”, “sollevare in Parlamento il problema della certezza del diritto nei confronti di tutti, soprattutto di chi non dispone delle sue risorse finanziarie per difendersi” (semprechè abbia 64 società offshore) e “accusare un modo di amministrare la giustizia non solo ingiusto, ma pregiudizievole per la sopravvivenza della democrazia”.

A questo punto, il discorso preparato da B. con l’ausilio di Coppi, Ghedini e Longo va cestinato e riscritto da capo: “Colleghi senatori, sono l’ideatore-mandante di un delitto gravissimo, ma l’amico Ostellino in un articolo pro veritate ha spiegato che, da che mondo è mondo, gli ideatori-mandanti non sono colpevoli, al massimo sono romanzieri. Non lo dico per me, ma per tutti i romanzieri che non dispongono delle mie risorse finanziarie per difendersi. Siamo tutti innocenti, da Riina e Provenzano in giù. Dunque, modestamente, anch’io”. Sarà un trionfo.

Al Capone non entrava alla Casa Bianca, berlusconi al Quirinale sì

In questa vignetta c’è tutta la miseria delle nostre istituzioni. Oggi si capisce meglio forse, spero che tutti lo abbiano fatto, che la sceneggiata della seconda nomina di Napolitano è stata tutt’altro che improvvisa e improvvisata. Che Napolitano DOVEVA restare al Quirinale per fare tutto quello che ha fatto e sta facendo, compreso dare dignità e residenza al pregiudicato silvio berlusconi.

Sottotitolo: nessun organo di informazione ha le prove televisive dell’incontro al Quirinale fra berlusconi e Napolitano di  due giorni fa.

Questo significa che l’episodio raccapricciante può essere conservato solo nella memoria di chi l’ha saputo leggendo i giornali di questi giorni.

La presidenza della repubblica, solitamente così prodiga, non ha ritenuto opportuno far pervenire alla stampa e agli organi di informazione nemmeno una traccia dei contenuti dell’importantissima conversazione fra i due statisti.
E il capo dello stato, anche lui solitamente così prodigo e ben disposto a monitare sulla qualunque non ha ancora pronunciato mezza parola sull’evento, non pensa che sia il caso di doversi giustificare, ecco.

Ma quando Laura Boldrini appena nominata presidente della camera  andò da Fazio a Che tempo che fa a dire che gli italiani dovevano imparare [o tornare] ad innamorarsi delle istituzioni l’ha fatto perché sperava che obnubilati dal fuoco della passione non ci accorgessimo della raffica di porcherie che le istituzioni avrebbero continuato a rifilarci? a proposito, che fine hanno fatto i presidenti di camera e senato, non hanno niente da dire su tutto quello che sta succedendo dentro e intorno al parlamento?

E se anche Civati si mette ad arricciare il naso, a dire che Di Battista sulla questione degli F35 “è stato volgare” è roba da ridere.

Cos’è più volgare, un presidente della repubblica che dà udienza a un delinquente dopo che lo stesso era stato ricevuto dal nipote dello zio oppure un ragazzo – fino a prova contraria – onesto che con parole semplici e oneste prova a spiegare quello che succede in parlamento? 

E di fronte allo scempio costituzionale [ci mancava anche l’ipotesi di Gianni Letta senatore a vita: il colpo di grazia, praticamente] che sta subendo un paese intero per mano di chi dovrebbe difenderlo, all’abuso reiterato nascosto dietro il paravento della “pacificazione” è davvero e ancora il caso di attaccarsi alla forma o sarebbe il caso di guardare finalmente alla sostanza? 

E per quale motivo gli italiani si dovrebbero innamorare dei complici di un ricattatore o anche semplicemente guardarli con rispetto?
Da parte mia nessun rispetto per gente così, per chi ha barattato la dignità di un paese intero in funzione di silvio berlusconi.

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Ha detto Mentana ieri sera al tg che la frase offensiva [quel fango di Falcone] di Miccoli  estrapolata dalle intercettazioni è peggio di un reato ma non è un reato.

Dunque si lascia ancora ad intendere che delle intercettazioni venga fatto trapelare il non dovuto con l’obiettivo di sottoporre alla cosiddetta gogna mediatica gl’intercettati. Il mio non è un appunto a Mentana; voglio semplicemente rilevare che nemmeno altre dichiarazioni trapelate dalle intercettazioni sono reati, io scrivo su una bacheca facebook e un paio di blog, Mentana parla da un tg molto seguito  a diffusione nazionale, le intercettazioni sono sempre sotto attacco, e star lì a dire che “sì va bene, però”, può essere interpretato in modo distorto da chi pensa che il problema di questo paese siano le intercettazioni.
Nemmeno definire il vecchio debosciato condannato “culo flaccido” è un reato, però sapere che le amichette del cuore e dei conti in banca avessero – e probabilmente ce l’hanno sempre avute ma al conto si sa, non si comanda – certe opinioni sul presidente più amato degli ultimi 153 anni serve a definire il linguaggio con cui abitualmente si esprime e il contesto in cui si muove gente che poi pretende di presentarsi in società solo con la faccia bella e il vestito della festa.

Siccome gran parte della decadenza etica e morale di questo paese è dovuta soprattutto a gente così, che parla così e agisce così, che poi viene presa a modello, invidiata da ragazzi e ragazze posso dire che a me che vengano sputtanati la Minetti, Lele Mora o berlusconi in persona non suscita un particolare dispiacere, anzi, mi provoca un sottile e perverso brivido di piacere. 

E’ in questa melma disgustosa in cui il paese annega da quasi vent’anni che sono nati e stanno crescendo i nostri figli, che si stanno formando le nuove generazioni.
berlusconi non è pericoloso solo perché sta condizionando il presente da tutto questo tempo, perché è entrato con violenza nella vita di tutti ma perché ha già stravolto e deformato anche il futuro.
Fermarlo dovrebbe essere l’imperativo, un dovere di tutti, altroché pensare di farci affari e intese politiche.

Ciò detto a me la polemica di Grillo, l’ennesima contro Napolitano e i suoi comportamenti istituzionali irresponsabili, è piaciuta.

GRILLO: “IL CAPO DELLO STATO INCONTRA B.? COME SE AVESSE INVITATO AL CAPONE”

 Il fatto che il Quirinale, la casa di tutti gli italiani sia diventata il crocevia, il fermoposta, la segreteria, il refugium peccatorum di un ex ministro indagato in cerca di chissà quali conforti, di un diffamatore seriale che si crede un giornalista e che ottiene la grazia senz’aver scontato un’ora della sua condanna, di un ex presidente del consiglio che viene indagato e condannato al ritmo del suo respiro, uno con un bagaglio impressionante  di reati, processi, capi d’imputazione, pendenze giudiziarie di ogni tipo e misura, il tutto abilmente camuffato da esigenza istituzionale, come se fosse normale che il presidente della repubblica sia obbligato a conferire con silvio berlusconi invece di metterlo alla porta come si conviene, a me fa letteralmente vomitare.  Senza arrivare a quel che succede(va) in quel di HardCore e dintorni basterebbe ricordarsi le corna, il cucù alla Merkel, Obama l’abbronzato, la pietosa scenetta sul palco della Greenpower, la barzelletta sull’olocausto raccontata il 27 gennaio, giorno della Memoria, “mussolini ha fatto anche cose buone” e le altre squallide e volgari performance in cui si è esibito per spiegare che forse uno così con le istituzioni, con la politica e con lo stato non c’entra niente.

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Berlusconi da Napolitano: l’incontro fantasma che non finisce in Tv

Paolo Ojetti, Il Fatto Quotidiano, 28 giugno

Il Minculpop era un’associazione di filantropi, al confronto.
Cos’è, Napolitano si vergogna a far sapere in giro di certe sue frequentazioni?

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L’arte di Riccardo Mannelli

Nessuno saprà mai – e se anche qualcuno lo sapesse, verrebbe smentito a raffica – se l’ordine è partito dal Quirinale. Oppure (meno probabile) da Palazzo Grazioli. Oppure se c’è stata una indipendente congiura mediatica di giornalisti televisivi esperti in censura chirurgica. Fatto sta che dell’incontro fra il condannato Silvio Berlusconi e il rieletto Napolitano non esiste nemmeno un’immagine, nemmeno un fotogramma, nemmeno una mini sequenza, nemmeno un’istantanea. Nulla sulle televisioni, pubbliche-private-locali, nulla su Youtube. È tutto sulla fiducia. Solo il servizio di Gaia Tortora su La7 ha fatto uno scoop: ha inquadrato la nuova Audi del Cavaliere (vetri neri, forse vuota), che entrava al Quirinale, seguita dal solito furgone blindato, con a bordo una brigata di guardaspalle e fucilieri. Il Tg5 non aveva nemmeno quella e ha riproposto l’Audi vecchia, circondata da passanti e poliziotti con il cappottone, tripla sciarpa e bonnet di lana siberiana, dunque una salita al Colle dell’inverno scorso. Poi ha aggravato la truffa riciclando uno struscio fra Napolitano e Berlusconi del 2011, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Stessa vecchia Audi per il Tg1, con Simona Sala tutta in tiro: “L’incontro è servito a spazzare le nubi dopo la sentenza di Milano”.

Spazzare le nubi: ecco, al Colle si rappresentava Mary Poppins nel ballo degli spazzacamini. In compenso, si sono sprecate le riprese delle strette di mano fra Napolitano e Letta, Napolitano e Alfano, Napolitano e Cancellieri, Napolitano e Giovannini, Napolitano e Moavero, Napolitano e Saccomanni, Napolitano e un corazziere impalato. Certo, sarebbe stato imbarazzante immortalare una vigorosa stretta fra la mano di Napolitano e quella del pregiudicato Berlusconi, ancora sudaticcia dopo “la sentenza di Milano” su concussione per costrizione e prostituzione minorile, un reato che per tutti – cavalieri soprattutto – viene ritenuto davvero infamante. Anche se – il Tg2 in particolare ha enfatizzato – la parola d’ordine del giorno puntava a trasformare il Cavaliere in un personaggio eroico: “Ha avuto il coraggio di tenere distinta la sua vicenda giudiziaria dalla sorte del governo”. Di questo passo, la fragile opinione pubblica sarà stata convinta (sempre che la Santanchè smetta con gli “stili di vita”) che esistono due Berlusconi: quello buono, il politico e l’altro, il torbido utilizzatore finale di minorenni. Poiché è certo che i due non si frequentano e nemmeno si conoscono.

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Nel fondo di Travaglio dedicato a Gianni Letta manca un particolare: sempre nell’ambito dell’affare Mammì quando Gianni Letta finì sotto inchiesta con Galliani  il pm Maria Cordova chiese di arrestarli entrambi, ma il gip Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa disse di no perché Letta era, e si presume che sia ancora, un «amico di famiglia».

Il capo della Iannini era all’epoca dei fatti Renato Squillante, quello Squillante lì.

Strano che Travaglio abbia dimenticato il particolare più gustoso.

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Il Conte Zio
Marco Travaglio, 28 giugno 

Scorrendo l’elenco dei senatori a vita nominati dai presidenti della Repubblica dal 1949, s’incontrano i nomi di Toscanini, De Sanctis, Trilussa, Sturzo, Paratore, Merzagora, Parri, Montale, Eduardo De Filippo, Bo, Bobbio, Spadolini, Levi Montalcini, Luzi. Tutti personaggi che — articolo 59 della Costituzione — hanno “illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.

Ora, per dire come siamo ridotti, corre voce che Napolitano si accinga a nominare Gianni Letta. E già, all’ombra dei cipressi e dentro l’urne dei principali famedii, si registra un leggero venticello originato dal rivoltarsi nelle tombe di molti illustri precedessori. 

Ma è tutta invidia postuma. In realtà la biografia del Conte Zio combacia alla perfezione con il dettato costituzionale, avendo egli illustrato la Patria per altissimi meriti in tutti in campi indicati. Anzitutto quello letterario, come direttore negli anni 70 e 80 de Il Tempo, uno dei quotidiani più servili che la storia del giornalismo e del servilismo ricordi. In quella veste, nel 1984, è coinvolto nello scandalo dei fondi neri dell’Iri, quando il presidente dell’Italstat Ettore Bernabei mette a verbale davanti a Gherardo Colombo: “Venne a trovarmi Gianni Letta, al quale consegnai 1,5 miliardi di lire in Cct, dietro promessa di appoggio alla politica economica di Italstat”. Letta ammette: “Fu un’operazione legittima. L’Iri pagava una campagna promozionale.

Chi doveva dirci che i fondi erano neri?”. Peccato che a Bernabei quella campagna non risultasse: “Nulla so dell’effettiva utilizzazione da parte del Letta di Cct per 1,5 miliardi di lire”. Il processo trasloca da Milano a Roma e lì riposa in pace. Intanto, nel 1987, Letta-Letta (come lo chiamava Sergio Saviane, che aggiungeva: “Ha un nome da uomo, veste da uomo, porta la cravatta da uomo ma sembra sua sorella”) è passato alla Fininvest: conduttore e vicepresidente. 

E lì ha modo di illustrare la Patria nel campo artistico: anche quella delle mazzette è un’arte. Che nel ’93 gli vale l’ambìto riconoscimento di un avviso di garanzia a Milano per una stecca di 70 milioni di lire versata nel 1989, vigilia della legge Mammì, al segretario Psdi Antonio Cariglia. Lui racconta, con comprensibile orgoglio: “La somma fu da me introdotta in una busta e consegnata tramite fattorino”. 

Lo salva l’amnistia. Ma subito un pm di Roma chiede il suo arresto per aver illustrato la Patria anche in campo scientifico: ramo telecomunicazioni. Antefatto. Nel ’92 il ministro Mammì incarica il suo portaborse e portamazzette, Davide Giacalone, di stilare il piano delle frequenze tv: gli aspetti tecnici li segue la ditta di tal Remo Toigo, ovviamente in cambio di tangenti ai politici. Ma la Fininvest non gradisce il modus operandi di Toigo, che viene perciò convocato da Galliani. Questi gli dice che il ministero non apprezza il suo lavoro. Toigo ha un attacco di labirintite: ohibò, e che c’entra la Fininvest col ministero? Ingenuo. Galliani chiama Letta, lo prega di organizzare un incontro al ministero e parte con Toigo per la capitale. Ad attendere i due al ministero non c’è il ministro: ci sono Letta e Giacalone, che raccomanda a Toigo di fare come dice la Fininvest. 

Subito dopo Giacalone diventa consulente Fininvest e viene mezzo assolto e mezzo prescritto. Letta invece assolto. Ciò malgrado diventa sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei tre governi B., nonché gentiluomo di Sua Santità. E illustra la Patria in campo gastronomico (il “patto della crostata” della Bicamerale a casa sua) e soprattutto sociale, sponsorizzando gentiluomini come Pollari, Bertolaso, Bisignani e Guarguaglini. Perché ha un fiuto da rabdomante per le persone perbene. 

Come del resto Napolitano, che l’altroieri ha ricevuto al Quirinale un condannato per frode fiscale, concussione e prostituzione minorile, onde esortarlo a sostenere Letta (Enrico, il nipote). Forse, per il Conte Zio, il Senato a vita è un po’ riduttivo. Santo subito.

Ha vinto la sinistra senza sinistra

Sottotitolo: qualcuno dica a Ezio Mauro, Massimo Giannini e al fondatore anziano che il risultato di ieri  non significa affatto “vittoria della sinistra” come trionfalmente ha titolato oggi Repubblica. Se Atene piange Sparta non ride, a Roma ha vinto Ignazio Marino che è lontano, lontanissimo, e per fortuna, dall’idea di sinistra che hanno alla redazione di Repubblica e anche nel pd che quell’idea nemmeno ce l’ha, visto che sta governando – si fa per dire – col perdente berlusconi.

E adesso quelli faranno finta che vada tutto benissimo. 

Faranno finta che non ci sia stato l’astensionismo più alto della storia repubblicana. Faranno finta che nell’elezione più significativa (Roma) non abbia vinto un outsider eretico, più ‘nonostante’ il Pd che ‘grazie’ al Pd. Faranno finta che non siano amministrative, dove da sempre si va molto meglio. Faranno finta di non accorgersi che Berlusconi a questo giro se n’è fottuto, lasciando Alemanno e gli altri al loro destino, ma quando il tycoon si butta pancia  a terra in campagna elettorale è un’altra storia.

E cosí via. Faranno finta per non mettersi in discussione, come sempre. E continueranno cosí, mentre la loro campana è già molto suonata da tempo, e non saranno né la pochezza di Alemanno né le isterie di Grillo a resuscitarli.

 

Preambolo: nessuno, spero,  dimentica che al governo nazionale pd e pdl sono insieme in virtù di un’emergenza nazionale di cui però ancora nessuno si sta occupando.

Gli impegni del governo attualmente sono altri: il presidenzialismo, l’assalto alla Costituzione,  i tentativi di censurare la Rete, come rifilare alla gente l’ennesima truffa sui finanziamenti ai partiti; cose così e tutte importantissime, ci mancherebbe.

Ma a me oggi, quello che interessa più di tutto è che Roma sia tornata al ruolo che le compete di città Antifascista.

Le polemiche le lascio volentieri a quegl’irriducibili che non vedono la differenza fra Ignazio Marino e gianni alemanno e che quindi si presume non vedano nemmeno quella fra il razzista gentilini e il nuovo sindaco di Treviso.

A guardare bene, invece, la differenza c’è.

Marino non ha vinto grazie al pd, ha vinto nonostante il pd.

 Epifani, segretario del suo partito, non era al suo fianco mentre cercava di sottrarre Roma ad alemanno.

Quando i talk show smetteranno di fare i processi a Grillo forse Grillo smetterà di avercela coi giornalisti.

E dire che di argomenti ce ne sarebbero come si dice, “a iosa”.

Si potrebbe parlare di un governo di emergenza che non fa fronte alle emergenze ma poi per bocca del presidente del consiglio si vanta dei risultati elettorali che sarebbero una prova di fiducia dei cittadini verso le larghe intese: e ci vuole o una grande fantasia o una enorme scorrettezza per leggere questo nei risultati di ieri.

A Roma vota un quinto degli elettori e la prima cosa che fa Letta è tributare l’onore alle larghe intese? la politica, quella bella che piace a Napolitano che ha sempre ottime parole di elogio per il suo bel governo del largo inciucio non imparerà mai la lezione.

 Su una popolazione di cinque milioni di persone sono andati a votare in 630.000. Per fortuna sono bastati a cacciare il fascista.

Oppure  della disfatta della lega;  gentilini ha perso a Treviso, lo sceriffo, l’immondo razzista leghista che voleva travestire gli immigrati da leprotti “per fargli pum pum”.

[Il virgolettato è suo, originale, una persona normale si vergognerebbe perfino di pensarla una cosa del genere].
O ancora, analizzare il fenomeno di un astensionismo preoccupante; in questo paese la maggioranza dei cittadini a votare non ci vuole andare più perché ha perso la fiducia nella politica non per colpa di Grillo ma proprio e solo della politica.  

Marino ha vinto a Roma soprattutto perché si è distaccato dal pd che di sinistra non ha nemmeno un’idea.


CASSE VUOTE URNE VUOTE [Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano]

Le larghe intese non c’entrano nulla, la catastrofe Pdl è la fotografia di un partito padronale che quando il padrone non scende in campo è costretto a schierare vecchi catorci o giovani nullità e i risultati si vedono. La destra perde a Brescia a furor di popolo, tracolla a Imperia dove l’ex potente Scajola è finito in un buco nero e crolla a Treviso dove quel Gentilini che voleva sparare agli immigrati è finito impallinato lui. Poi c’è Alemanno, il peggior sindaco che si ricordi, con la Capitale ridotta a una discarica attraversata da bande di raccomandati e grassatori. Le larghe intese non c’entrano nulla, il 16 a 0 del centrosinistra è frutto di candidature mediamente decenti che al confronto con gli impresentabili dell’altra sponda fanno per forza un figurone. Poi c’è Ignazio Marino, marziano a Roma, come Pisapia a Milano o De Magistris a Napoli o Zedda a Cagliari solo che questa volta il Pd ci ha messo il timbro. Chirurgo di fama, dovrà amministrare una città con immensi problemi dove per la prima volta nella storia repubblicana ha votato meno della metà degli elettori. Ma questo è anche il ritratto di un Paese, massacrato dalla crisi e imbrogliato dalle false promesse, che fugge velocemente dalla politica. C’è un nesso strettissimo tra le casse vuote e le urne vuote. L’Italia amava votare ed era in materia la prima della classe in Europa. Adesso non è più così, ma i politologi del reparto frenatori dicono: niente paura e parlano di fenomeno fisiologico, come se fosse una botta di cattivo umore collettivo e non il segno di un disgusto sempre più profondo. E perché mai non dovrebbe essere così? Mentre il progressivo calo del Pil è il segnale di un declino industriale forse irreversibile, il governo galleggia nell’incertezza, convalidata dai segnali del Quirinale che un giorno sì e l’altro pure fissano un termine all’esperienza del giovane Letta. Una politica degli annunci che si sposa a quella del rinvio, mentre lo Stato ha già speso i soldi destinati a tutto il 2013. In queste condizioni, votare non è dunque un atto eroico?

 

Il remake

Sottotitolo:

Gli scorpioni e lo stupore scemo – di Alessandro Gilioli

Ma perché mai Alfano, che un paio di mesi fa guidava l’occupazione del Palazzo di Giustizia di Milano, non sarebbe dovuto andare al comizio contro la magistratura di Brescia? Qualcuno in giro aveva davvero creduto che nel giro di poche settimane l’uomo che ha dato il suo nome al Lodo salva-Silvio fosse diventato un Norberto Bobbio redivivo? O qualcuno poteva pensare che la nuova carica istituzionale rendesse “responsabili” gli eversivi del Cavaliere che da vent’anni ci dimostrano di anteporre proprio il Cavaliere alle istituzioni, anzi di usare semplicemente le seconde per gli interessi del primo?

Ma davvero in giro ci sono idioti così, convinti che bastava abbracciare gli scorpioni nell’aula della Camera per togliere loro il veleno?

Mio padre rispettava i giudici e si è sempre presentato in tribunale.

 L’esecutivo appena nato a Brescia rischia il crac  di Eugenio Scalfari

L’angoscioso dramma domenicale di Scalfari non è come salvare l’Italia da berlusconi ma il pd da berlusconi.
Tutto ciò che preoccupa l’esimio fondatore di largo Fochetti è la tenuta di un governo di servi, di venduti, di gente senza dignità che si è consegnata a berlusconi dietro il paravento della necessità delle larghe alleanze, come se noi fossimo la Francia, la Germania o qualsiasi altro paese civile, come se in qualunque altro paese democratico fosse normale che dei ministri, un vicepresidente del consiglio scendano in piazza a manifestare contro un potere dello stato per sostenere chi di quello stato, delle sue regole e leggi si è fatto e si fa beffe.

Come se in un paese normale e civile si permettesse a un berlusconi di salire ai piani alti della politica.
Ma, e molti lo sapevano prima, altri spero che lo abbiano capito adesso, anche l’ultimo romantico che pensava davvero al governo di necessità, quello formato per risolvere i guai degli italiani, quelle larghe intese sono solo l’ultimo espediente offerto a berlusconi, il regalo ultimo per sottrarlo alle sue responsabilità penali.
Solo un idiota senza memoria fa poteva pensare che la teppa del pdl potesse cambiare pelle, dimostrare davvero il senso di responsabilità necessario a questo paese senza una guida, senza un punto di riferimento, senza un presidente della repubblica, che ieri ha taciuto di fronte allo scempio, richiamato di corsa perché lui e solo lui poteva evitare la catastrofe, e invece l’ha praticamente costruita mettendo un paese in mano a degli sciagurati traditori della Costituzione sulla quale hanno giurato solo pochi giorni fa: il remake di un film già visto e del quale si conosceva già il finale. 
Ma nemmeno questo è servito a scoraggiare i sostenitori di un obbrobrio qual è questo governo, nemmeno la certezza scientifica che alla prima occasione i cosiddetti responsabili non avrebbero avuto nessuna difficoltà a vestire i panni consueti, quelli degli eversori anti stato al servizio del boss.
Ecco perché io, a differenza di Scalfari,  auguro a questo governo e a chi lo compone la fine ingloriosa che si merita chi tradisce la Costituzione e lo stato.

La voce del ladrone
Marco Travaglio, 12 maggio

Bella l’idea del pellegrinaggio nella sua Medjugorje privata, Brescia, dove da vent’anni sogna di traslocare i processi da Milano. Purtroppo per lui, anziché dai giudici amici, il Cainano ha trovato ad accoglierlo migliaia di contestatori col dito medio alzato, cori “In galera” e cartelli con scritto “Hai le orge contate”. Il pretesto della scampagnata era sostenere un tal Adriano Paroli, il solito ciellino candidato a sindaco. Il quale, a cose fatte, è salito sul palco affiancato – per peggiorare la sua già penosa condizione – dalla Gelmini. E si è scusato di esistere: “Non era previsto un mio saluto…”. Intanto il Popolo delle Libertà – qualche migliaio di poveretti – sfollava rapidamente la piazza, come alla fine dei concerti quando arrivano gli elettricisti e i facchini a portar via gli strumenti. Il meglio era accaduto prima, quando l’anziano delinquente (parola del Tribunale e della Corte d’appello), aveva intrattenuto i complici sull’imprescindibile tema dei cazzi suoi.Raramente s’erano viste scene più paradossali (a parte il silenzio di Pd, Letta e Napolitano, troppo impegnati contro i 5Stelle per accorgersi di quanto accade a Brescia). Un vecchietto di 77 anni coi capelli bicolori – gialli sulla calotta asfaltata, neri ai lati –, gli occhi che non si aprono più, la dentiera che fischia e una preoccupante emiparesi al labbro superiore, annuncia un piano ventennale per salvare l’Italia da lui governata per 10 anni su 12 (un premier con qualche potere in più di Mussolini, un Parlamento ridotto a bivacco di manipoli, una Consulta e una Giustizia a sua immagine e somiglianza). Un monumentale evasore promette a quelli che pagano le tasse al posto suo di ridurgliele, dopo averle votate (così come Equitalia). Il politico più ricco del mondo lacrima il suo “struggimento per chi ha perso il lavoro” a causa dei suoi governi. Un imputato recidivo che da vent’anni si trincera dietro l’immunità e le leggi ad personam suam per non farsi processare, si paragona a Tortora che rinunciò all’immunità per farsi processare. Il leader del terzo partito dà ordini al primo, da vero padrone del governo Letta (“ci ho lavorato a lungo, l’ho voluto io, è un fatto storico, epocale”). E quando gli iloti sotto il palco urlano “chi non salta comunista è”, ridacchia: “Io non posso saltare perché coi comunisti ci governo insieme!”. Il vicepremier e ministro dell’Interno Alfano, col ministro Lupi, noti moderati non divisivi e fautori della pacificazione, sfilano contro un altro potere dello Stato. Molto applaudite le parole dello spirito di mamma Rosa: “Mi diceva che sono troppo buono per far politica: da bambino mi impediva di legarmi campanelli alle caviglie per avvertire le formichine del mio passaggio e non schiacciarle”. Due sole volte il Cainano perde il buonumore. Quando evoca Grillo, la mascella si contrae, gli occhi a fessura saettano, la gente tumultua. Quando cita “gli eventi drammatici di questi giorni” si pensa alle donne uccise o sfigurate con l’acido, ai morti di Genova, alla guerra in Siria. Invece lui parla della sua condanna, “me lo chiedono tutti”. Segue la solita sbobba piduista sulla responsabilità civile dei giudici (che c’è già dal 1988), la separazione delle carriere, i pm ridotti ad “avvocati dell’accusa che vanno dai giudici col cappello in mano” (come Previti quando andava da Squillante col cappello pieno di banconote), le intercettazioni (non gli piacciono, a parte quella Consorte-Fassino), la carcerazione preventiva (non si arresta uno prima del processo: se scappa o delinque ancora, tanto meglio). Poi viene finalmente al punto: “Le carceri sono un inferno”. Lo sanno bene i suoi guardagingilli Castelli, Alfano e Palma, che le hanno ridotte così. Prossima mossa: una bella amnistia. Così escono un po’ di delinquenti e soprattutto non ne entrano altri, tipo lui. Ma questo non lo dice, non è ancora il momento: “Mi fermo qui, sono sopraffatto dalla commozione”. Appena pensa alla sua cella, gli vien da piangere.

Le retour de la momie

“E’ tornato incazzato come un puma con Passera. Perché ha detto che non sarebbe un bene il suo ritorno in politica: una cosa che avrebbero detto tutti, Obama, la Merkel, perfino Al Qaeda. 
E’ che è più forte di lui. Quando vede che il paese ce la fa lui non resiste, deve tornare. Monti ci ha messo tutte ‘ste supposte una per una come le cartucce di una cerbottana, adesso torna berlu e sale lo spread, io, non dico il pudore che è un sentimento antico, ma una pragmatica sensazione di aver rotto il cazzo, no?”.

Sole 24 Ore: Piazza Affari crolla in apertura [-2,30%], lo spread schizza a 350 punti, giù i bancari. Tra i pochi titoli a resistere Campari, Luxottica Snam, e guarda caso, Mediaset.

La Süddeutsche Zeitung, uno dei più importanti e venduti quotidiani tedeschi, posizione liberal, “racconta” così il ritorno di Silvio Berlusconi.

Di nuovo in alto“, sempre per quella storia dell’autorevolezza.

Financial Times: “se B. avesse un po’ di pudore la smetterebbe di giocare con il presente del proprio Paese”.

El Pais: “B. è disposto a morire uccidendo”.

Oscar Giannino a Radio 24: “Berlusconi e il pdl casi clinici: il fascismo ha avuto una fine più dignitosa”.

Sottotitolo: ma se quella di Schicchi [pace all’anima sua che almeno ha contribuito a rasserenare un sacco di gente] era pornografia, quello che si fa in altri ambiti, ad esempio nella politica, cos’è? la fornero che ieri sera  a Report difendeva il suo disastro chiamato riforma permettendosi anche di fare dell’ironia col giornalista che la stava intervistando  è molto più oscena di mille inquadrature hard.  Almeno la pornografia – come tutte le arti – non toglie nulla ma al contrario restituisce in termini di serenità, sebbene temporanea ed effimera: di questi tempi, un lusso.

La prima pagina dell’edizione di oggi del quotidiano francese: ovvero il prestigio internazionale di cui gode berlusconi e che ha sempre fatto fare all’Italia la sua porca figura.

Gianfranco Fini a Che tempo che fa: “berlusconi ha una concezione della dialettica politica un po’ padronale”.
Lui e casini sembrano due estranei, due che hanno fatto solo finta di sostenere i governi dell’irresponsabile delinquente.

Buoni a nulla che hanno rinunciato per opportunismo politico e convenienza personale a costruire una destra liberale e non fascista come ce n’è  in tante democrazie europee.

Berlusconi: “Il tempo dei tecnici è finito”
E ora punta a due ore di show su Raiuno

Ma da uno che prima di dare delle dimissioni virtuali, che non hanno spostato di una virgola la possibilità di avere ancora voce in capitolo, di poter condizionare, naturalmente sempre in negativo, l’andamento politico, uno che mentre l’Italia precipitava ha pensato che la cosa più urgente da fare fosse riunirsi coi figli, il socio in malaffari, il fido mavalà per mettere al sicuro la sua roba – cosa che ha continuato imperterrito a fare anche in questi dodici mesi perché questo è il motivo, l’essenza della sua famosa  “discesa in campo” –  cosa ci si poteva aspettare? la colpa è di chi poi vota uno così o di chi lo ha legittimato fino ad ora? Napolitano gliele ha concesse tutte, Napolitano, il cosiddetto garante della Costituzione e di tutti gli italiani, non di una parte di loro è stato il presidente della repubblica che più di tutti lo ha fatto non mettendosi mai di traverso; è il presidente dalla firma facile e che ancora oggi accoglie a braccia e sorrisi aperti Gianni Letta, l’uomo che ha materialmente creato il politico berlusconi, quello che ha scritto la sua agenda in tutti questi anni; il deus ex machina di tutta l’azione che ha portato alla demolizione, alla distruzione economica, morale ed etica di un paese intero compiuta da  uno che dalla politica doveva stare lontano miliardi di chilometri ma al quale invece TUTTI hanno offerto una prima, una seconda, una terza, una quarta, una quinta e oggi financo una sesta possibilità.

Questo significa solo una cosa, che la strategia politica di chi avrebbe dovuto impedire o perlomeno – a giochi purtroppo fatti – contrastare l’ascesa politica di berlusconi è stata fallimentare; significa non aver capito che non è berlusconi il pericolo ma tutto il sistema che gli ha permesso di arrivare fino ad oggi.

Significa non aver capito che sono stati tutti complici.

I finti Monti – Marco Travaglio, 10 dicembre

Ora che Monti cade, la tentazione è ripubblicare quello che noi del Fatto, in beatissima solitudine, scrivemmo 13 mesi fa quando Monti nacque. Purtroppo, non c’è da cambiare una virgola: nel prologo era già scritto l’epilogo. E oggi l’unica cosa che stupisce è lo stupore di Napolitano e Monti, che Ferruccio de Bortoli descrive “sbalorditi” e “indignati”, il primo che “non si persuade” e il secondo che “non si capacita”. Ma solo chi, dopo 19 anni, non ha ancora capito niente di B. può meravigliarsi di quel che accade: quelli che s’illudevano che il Caimano si fosse ritirato per il suo alto senso delle istituzioni, rassegnato a un dorato pensionamento in cambio della prescrizione sul caso Mills, della condanna annullata a Dell’Utri e del congelamento dell’asta sulle frequenze tv, e ora vibrano di stupefatto sdegno perchè, al momento buono, ririririridiscende in campo e manda il governo e l’Italia a gambe all’aria. Ma con chi credevano di avere a che fare: con uno statista? Quel che accade è la naturale conseguenza della scelta sciagurata compiuta un anno fa da Napolitano, Bersani e Casini di non andare subito alle urne, cioè di cambiare il governo senza cambiare il Parlamento, consegnando i tecnici a una maggioranza-ammucchiata controllata, anzi ricattata da chi aveva condotto il Paese nel baratro. Il nemico –insegna Machiavelli– va eliminato subito, possibilmente la prima notte. Votando un anno fa, B. sarebbe stato asfaltato dagli elettori. I partiti di opposizione (Pd, Fli, Udc, Pd, Idv), che avevano osteggiato le ultime leggi vergogna e la mozione su Ruby nipote di Mubarak, avrebbero potuto assecondare i mercati e l’Europa indicando Monti come premier di una maggioranza di salute pubblica che in due anni risanasse i conti dello Stato e poi restituisse la parola agli elettori per ripristinare la normale dialettica democratica fra un centrodestra e un centrosinistra finalmente ripuliti e rinnovati. Lo spread si sarebbe placato, B. sarebbe tramontato e un Monti legittimato dal voto popolare e sostenuto da una maggioranza politica avrebbe avuto le mani libere per accollare i costi della crisi a chi ha di più anziché ai soliti noti: draconiana lotta agli evasori, serie leggi anticorruzione, antimafia e anticasta, patrimoniale, liberalizzazioni, privatizzazioni, tagli netti a spese folli e inutili come il Tav, gli F-35 e i 40 miliardi l’anno di incentivi alle imprese. Invece i “professionisti della politica”, quelli che si credono molto furbi e giocano a Risiko con la democrazia, han pensato di salvare un’altra volta B. mettendogli in mano le chiavi della maggioranza. Lui li ha lasciati fare. Ha profittato dalla quiete sui mercati per risollevare i titoli boccheggianti delle sue aziende, ha incassato tutto l’incassabile su giustizia e tv, ha avuto il tempo di far dimenticare a mezza Italia i disastri e le vergogne dei suoi governi. Ogni due per tre Monti gli lisciava il pelo, dandogli dello “statista”, bloccando l’asta tv, scrivendo finte leggi su corruzione e incandidabilità, esaltando le virtù civiche di quell’altro galantuomo di Letta, sempre incensato pure da King George. Ora Napolitano e i suoi giornaloni cadono dal pero e scoprono che B. antepone i suoi affari alle istituzioni. E Monti confida a de Bortoli le “pressioni sulla giustizia” che lo statista di Milanello gli ha inflitto per mesi (grazie, ma si notavano a occhio nudo dalla politica giudiziaria e televisiva del suo governo). Ma tu guarda:
lo statista bada ai suoi porci comodi, chi l’avrebbe mai detto. Davvero questi finti tonti pensavano che B. si sarebbe accomodato buono buono su una panchina dei giardinetti, mentre sistemavano sulle poltrone che contano Monti, Bersani, Montezemolo, Passera, Casini e Fini, senza dimenticare uno strapuntino per Vendola e uno per Alfano e/o Frattini? La verità è che lui non si accontenta mai: come dice Cecchi Gori, che ci è già passato, “gli dai un dito e lui ti prende il culo”. Deve ancora nascere chi lo mette nel sacco: Bersani, Casini e Fini dovranno difendersi per tutta la campagna elettorale dall’accusa di aver riempito l’Italia di nuove tasse, mentre lui che le ha votate tutte fingerà di essersi opposto da sempre; e avrà buon gioco a gabellare Monti per un criptocomunista, come nel ’95 fece con Dini, affossandone la figura super partes e impallinandolo nella corsa al Quirinale, dove King George l’aveva già destinato in barba agli elettori.
Sono vent’anni che chi pensa di fregarlo col “dialogo” finisce fregato: per informazioni, citofonare D’Alema e Veltroni. E, da ieri, anche Napolitano e Monti. Ben arrivati nel CVB, Club Vittime di Berlusconi

Della Repubblica [e dell’informazione che non c’è]

  Sottotitolo:  nel piddì qualcuno mi legge. Solo ieri avevo scritto che il cosiddetto e ormai defunto a quanto pare centrosinistra si trova impossibilitato a fare quelle leggi che in paesi normali e civili fanno anche governi di destra moderati e liberali tipo regolamentare le coppie di fatto e omosessuali perché c’è sempre qualche Fioroni e qualche Binetti di troppo. Avevo dimenticato, purtroppo, il pezzo da novanta, quella Rosy Bindi che in tutti questi anni per molti ha avuto il ruolo della pasionaria, di quella che per il bene del suo partito e di leggi riformiste utili al rinnovamento e alla crescita di un paese ancorato e incollato ai desiderata della vaticano spa e incapace di smarcarsene –  come si fa nei paesi civili dove le leggi si fanno in parlamento e non in sacrestia né nell’anticamera di sua santità – avrebbe messo da parte il suo sentire personale, la sua fede religiosa. Invece Rosy nei momenti topici ci tiene a ricordare che nelle sue intenzioni non c’è niente di tutto questo,  che un cattolico è come un diamante: per sempre, specie se fa il politico in Italia. Ed ecco perché all’interno di un vero partito di sinistra, liberale e riformista non ci possono stare i cattolici. Almeno non quelli come Fioroni, Binetti e Rosy Bindi.

Meno di un mese fa Bersani era ancora a chiedersi se fosse opportuno chiamare “matrimonio” l’unione fra due persone dello stesso stesso. Come se il problema fosse la definizione, il nome e non il fatto che l’Italia nel terzo millennio è ferma al medioevo, e non certo per colpa del vaticano che fa il suo, lo faceva anche quando c’erano fanfani e andreotti ma questo non ha impedito ai governi di allora di varare leggi importanti come la 194 e quella sul divorzio, ma di quella politica (tutta, praticamente) che ha il terrore di perdere il voto dei cattolici più integralisti – oggi più di cinquant’anni fa. E questo è inconcepibile per un paese moderno, di questi tempi.

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Disastro all’assemblea Democratica Bersani in balia delle correnti del partito


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Volevo aspettare settembre, avevo deciso di concedere una deroga a Repubblica anche se ultimamente la sua deriva verso la fuffa sembra inesorabile, ma se le cose stanno così non aspetto neanche un minuto di più: arrivo in spiaggia (ieri),  e poi come faccio sempre apro i miei quotidiani sulla prima pagina cercando quelle notizie che voglio leggere prima di altre. Guardo Repubblica e allibisco. Mi sono detta, no, Ezio Mauro, quello delle dieci domande e poi ancora altre dieci  a berlusconi non può fare una cosa del genere, nascondere la dichiarazione scellerata di Letta. E invece sì, lo ha fatto, e allora per me diventa una questione di dignità personale, non faccio da spalla a nessun house organ, né tantomeno a quella stampa che si dice libera e liberale ma poi nega le notizie ai suoi lettori.
Ho smesso di comprare l’Unità a luglio dello scorso anno quando Concita De Gregorio fu cacciata, come già accadde per Colombo, Travaglio e Padellaro per ordini di partito [il pd], e da quando esiste Il Fatto non ne ho perso un solo numero [anche se sono arrabbiata coi moderatori che censurano i commenti dei lettori sul sito on line], insieme al Fatto fino a ieri ho comprato anche Repubblica perché a me piace il giornale di carta, è una lettura diversa rispetto a quella che si fa sui siti on line e su Repubblica scrive gente che mi piace aldilà dei suoi direttori – fondatori – editori.
Però, caro Ezio Mauro, non si fa così l’informazione, sulla prima pagina  di Repubblica di ieri, sabato 14 luglio,  non c’è traccia della dichiarazione del vicesegretario del pd Letta, che preferisce i delinquenti [e non lo sono perché lo dico io ma il numero impressionante di processi, imputazioni, condanne e prescrizioni che riguardano gran parte dei componenti del  partito delle libertà provvisorie a partire dal suo padre padrone assoluto] alle persone oneste, sicché oggi stesso avvertirò il mio edicolante di non conservarmi più Repubblica.
Perché io il gioco non  lo reggo a nessuno, non sono serva di nessuno, tantomeno di un partito ridicolo come il pd.
Se Repubblica ritiene che le dichiarazioni di Letta non meritino l’evidenza della prima pagina significa che non ha rispetto per l’intelligenza dei suoi lettori,  che li considera perfetti idioti che non devono sapere che il vicesegretario del partito che vorrebbe diventare la prima forza di governo ha simpatie per l’avversario più feroce che la politica di sinistra e di centrosinistra ha saputo confezionare, costruire in questi ultimi due decenni, e siccome non è più in grado di combatterlo, semmai ci sia stata davvero la volontà di farlo visto che a quanto pare invece lo ha reso sempre più forte e potente, ne prova perfino nostalgia, lo preferisce ad un movimento  che ha tutto il diritto, se preferito dalla gente a dire la sua anche in parlamento così come funziona in una democrazia che si rispetti.

Io però, no, nostalgie canaglie non ne ho.

E a un delinquente continuerò a preferire sempre una persona, o più persone, oneste.

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 Ai servi di b ci eravamo abituati, li guardavamo ormai con compassione chiedendoci come fosse possibile arrivare all’ultimo stadio della prostituzione, quella che spesso sfocia nelle peggiori perversioni. E’ agli altri che non ci si abitua, a chi omette, tace e nasconde le malefatte di chi berlusconi avrebbe dovuto contrastarlo ma non l’ha mai fatto. Ogni riferimento – da parte mia –  al pd, a Letta & soci  e a Repubblica non è puramente casuale ma voluto e intenzionale.

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Salme e salmi
Marco Travaglio, 15 luglio

Si pensava che la ridiscesa in campo del Ricainano e il voluttuoso entusiasmo con cui è stato accolto tra le file della servitù inducesse la servitù medesima ad astenersi dalle litanie sugli antiberlusconiani orfani di B. che non sanno più cosa dire e scrivere, con cui ci ammorbavano dal giorno della caduta di B. Invece insistono imperterriti: ora scrivono che la notizia del riritorno del Rinano avrebbe scatenato caroselli di giubilo a Repubblica, al Fatto, nel clan Santoro e tra i “comici militanti”: “Aiuto, si rivedono gli zombie anti-Cav” (il Giornale), “Quelli che… ricomincia la festa: da Crozza a Travaglio, i comici e i giornalisti militanti non vedevano l’ora del ritorno di Silvio”. Strano, perché gli unici festeggiamenti per la riesumazione della salma si riscontrano proprio sugli house organ della medesima. “Perché torna Berlusconi”. “Si torna a Forza Italia. Comincia la rimonta”. “Berlusconi cerca la donna perfetta per il ticket” (una nuova versione del bungabunga?) titola il Giornale di zio Tibia Sallusti, tutto eccitato per la “buona idea” e arrapatissimo da quel bell’uomo che s’è pure “messo a dieta” facendo footing a villa Ada, ha “sfoltito la corte” e ha addirittura “annullato le vacanze”. “Noi — aggiunge l’impiegato — non l’abbiamo mai visto morto e non abbiamo mai avuto dubbi sul suo ritorno. O ce la fa lui, o addio sogno di un Paese liberale”. Anche Prettypeter, al secolo Belpietro, quando il caro estinto gli annunciò il ritiro dalle scene, capì subito che era tutto “un bluff” e ora la resurrezione lo ringalluzzisce perché “o ci prova lui o non lo fa nessun altro”. Giuliano Ferrara s’era già buttato su Monti (con le conseguenze facilmente immaginabili per Monti). E ora oplà, con agile balzo si rituffa su padron Silvio: “Il pupo ha molta energia. È come un ragazzo”. “Amore, ritorna. Le colline sono in fiore e sarebbe bello che Silvio Berlusconi e Veronica si amassero ancora”. Si attende ad horas il ritorno all’ovile di Schifani, uno dei pochi che aveva creduto al decesso, dunque si era rimesso a vento col classico calcio dell’asino, o del lombrico. Mariastella Gelmini, dal tunnel del Gran Sasso dove ancora insegue i neutrini, scarica Angelino Jolie con cui per sei mesi era tutta puccipucci e annuncia trionfante: “Col Cav riprenderemo Nord e imprese”. Libero comunica esultante: “Operazione pulizia, Berlusconi fa sul serio: la Minetti deve lasciare”. Ma come, non ci avevano spiegato che l’igienista era una superlaureata, un volto nuovo, una statista in erba, una reincarnazione di Luigi Einaudi appena più popputo? Sì, alla fine dobbiamo confessarlo: il riritorno della risalma mette allegria anche a noi, ma non tanto per lui: per lo spettacolo impagabile dei trombettieri che si riposizionano alla spicciolata. Vespa torna a Palazzo Grazioli per raccogliere — informa su La Gazzetta di Parma — dalle labbra di B. “le ragioni del suo ritorno in campo”. Queste: “Se alle elezioni dovessimo scendere per assurdo all’8%, che senso avrebbero avuto 18 anni d’impegno politico?”. All’incontro “partecipa anche Alfano”, con grembiule, crestina e strofinaccio. Un giornalista normale farebbe notare a B. che essere ancora a piede libero e controllare Rai e Mediaset non è malaccio, come bilancio di questi 18 anni. Infatti l’insetto non fa notare. Galli della Loggia non ha mai risparmiato critiche al partito di plastica. Ma non perché fosse berlusconiano, anzi perché non lo era abbastanza: non separava le carriere dei magistrati e non difendeva il “primato della politica”, cioè i politici ladri e mafiosi. Ancora l’altro giorno Polli del Balcone lacrimava per Mancino seviziato dai pm siciliani cattivi. Ora se la prende col “conformismo” del “sistema dell’informazione… eccessivamente indulgente verso il potere politico ed economico” e conclude: “Ci siamo stati dentro tutti nell’Italia degli ultimi anni, se non sbaglio”.

Ecco, sbaglia: ci sono stati dentro in tanti, lui compreso. Noi no. Parli per sé e per loro. Non per noi.

Li manda Picone

Chi aveva il timore  che Monti non si sarebbe occupato della Rai come aveva promesso a Che tempo che fa può smettere di preoccuparsi. E anche di indignarsi a tempo scaduto.

Perché questo è l’unico modo con cui Monti si è occupato, si occupa e si occuperà di tutto.   Affidare tutto ai suoi simili trasformando così tutti i settori importanti di questo paese in tante piccole dittature bancarie.

Quindi, indignarsi è inutile, varrebbe la pena chiedersi piuttosto fin dove a questo signore sarà concesso di arrivare: questa è la vera preoccupazione.

Almeno la mia sì perché faccio fatica a pensare e a credere che solo adesso l’interesse sia quello di far prevalere il profitto, il controllo del bilancio rispetto ad arte, cultura, scienza, informazione e tutto quello che un vero servizio pubblico dovrebbe garantire dopo aver permesso agli stessi funzionari di quell’azienda che oggi si vuole, si deve a tutti i costi salvare,  di fare terra bruciata intorno a queste cose per favorire un delinquente abusivo e i  suoi interessi.  
Ma la politica dov’era, dove è stata in tutto questo tempo? dov’era la politica che avrebbe dovuto contrastare, abbattere, l’enorme conflitto di interessi in cui stiamo annegando tutti?

Grande lettitudine
Marco Travaglio, 10 giugno

 
Dunque, per la gran parte dei giornali, con la nomina di madama Tarantola alla presidenza della “nuova ” Rai e l’indicazione di Gubitosi alla direzione generale, Monti avrebbe scelto “due alieni”, compiuto “un salto di qualità”, percorso “una strada diversa” e “inedita”, “non contaminata dalla lottizzazione”, con “un pacchetto a prova di interferenze politiche”, lanciando “una sfida ai partiti alleati” per “piegarne la resistenza” e “metterli davanti alle loro responsabilità” (Corriere della Sera), “voltando pagina” con la “rivoluzione dei tecnici” (Repubblica), addirittura “cercando l’incidente” coi partiti ignari, scavalcati e dunque furibondi (il Giornale).
Seguono ritratti-soffietto dei due prescelti: la Tarantola sarebbe
“la Thatcher di Bankitalia” (il Giornale), “una lady di ferro” (Repubblica), tutta “disciplina e rigore” (La Stampa), “la signora della vigilanza bancaria” (Corriere); e Gubitosi “il super manager che ama gli scacchi”, “di fede romanista” (Corriere), “schivo ” e di “stile sobrio”, visto che “preferisce il volontariato ai salotti” (La Stampa). Curiosamente, in questo festival della saliva e dell’incenso, è sfuggito a tutti (fuorché al nostro giornale) che la vigilante di Bankitalia s’era lasciata sfuggire sotto il naso le prime imprese truffalde di Gianpiero Fiorani, anche perché legatissima allo sgovernatore Fazio. Ed è pure sfuggito a tutti (fuorché al Fatto ) ciò che scrisse Giovanni Pons un anno fa su Repubblica, e cioè che Gubitosi, vicino all’Opus Dei, “si è fatto presentare al potente sottosegretario Gianni Letta da Luigi Bisignani”, noto piduista e pregiudicato per la maxitangente Enimont da lui riciclata allo Ior, di lì a poco coinvolto nello scandalo P4 per il quale patteggerà 1 anno e 7 mesi di reclusione. Ed è pure sfuggita l’indagine della Procura di Roma che ipotizzava una mega-mazzetta per la vendita di Wind dall’Enel al magnate egiziano Sawiris, operazione in cui si fece il nome di Bisignani in cabina di regia e che fruttò a Gubitosi, all’epoca direttore finanziario di Wind, un’accusa di corruzione poi archiviata perché nessun paese straniero rispose alle rogatorie entro i termini massimi consentiti per indagare. Lasciamo stare gli eventuali reati, che qui non interessano, e concentriamoci sulle amicizie: in un paese normale chi fosse accostato al nome di Bisignani si affretterebbe a smentire, oppure diverrebbe un appestato. In Italia invece la bisignanitudine, così come la lettitudine, fa curriculum. Basta contare i ministri e alti papaveri nominati o conservati al loroposto che hanno avuto e/o hanno rapporti con Letta e Bisignani. Altro che “alieni”, altro che “tecnici”, altro che “meritocrazia”, altro che “sfida ” all’establishment. Tutto continua ad avvenire nelle segrete stanze, all’ombra dei grembiulini e delle tonache color porpora. Fanno quasi tenerezza Santoro e Freccero, che avevano inviato a Monti i loro curricula grondanti di medaglie e di esperienze in fatto di tv: l’aver ideato e condotto programmi di grande successo e diretto reti televisive in Italia e all’estero con risultati eccellenti, lungi dall’essere un merito, è una colpa. Sotto i governi politici come sotto quelli tecnici,che ne sono la prosecuzione con altri mezzi, anzi con gli stessi.
Perché qui, prim’ancora che di nomi, è questione di metodo. La miss Marple uscita dai caveau di Bankitalia e il manager sbucato da quelli di Bank of America-Merrill Lynch, oltre a non distinguere un televisore da un paracarro, sono stati calati dall’alto, fatti scegliere – si dice – a una società inglese di cacciatori di teste (di cavolo) che mai li avrebbe messi a dirigere la Bbc, o France 2 o l’Rtf francese. Perché nel mondo civile prima viene il curriculum con le competenze specifiche, poi arriva la nomina.

Qui invece prima arriva la nomina e poi il curriculum, peraltro privo di competenze specifiche.

Un foglio bianco, con in calce una scritta in piccolo: “Mi manda l’Opus”, “Mi manda Bisi”, “Mi manda Gianni”.

Scialla! (stai sereno)

Sottotitolo: Tornerò ad avere qualche stima nei giornalisti televisivi quando uno di loro, a caso, dirà “il cosiddetto o sedicente” parlamento padano. Quello non è un parlamento ma un’associazione privata, e come tale va denominata. Tutti invece dicono: convocato il parlamento padano, senza neanche aggiungere dè ‘sto cazzo. Il cosiddetto ‘parlamento padano’ e un circolo della bocciofila pari sono, e così dovrebbe essere presentato e descritto al pubblico.

Bersani dice che questo governo cosiddetto ‘di emergenza’ è più forte senza politici. Io non lo penso affatto: credo invece che in un governo, qualsiasi governo, ci vorrebbero casomai dei politici veri. E il segno che di politici veri, seri, competenti, disinteressati che sappiano occuparsi veramente del paese e non dei soliti affari di bottega, la loro,  non ce ne siano più consiste proprio nell’inconcludenza, nell’inutilità, nella mancanza assoluta di serietà e responsabilità dei governi che si sono succeduti in questi ultimi vent’anni. Ché se ci fossero stati, nessuno avrebbe aperto un dibattito su Gianni Letta ma neanche su Amato. Il primo perché è tutt’altro che quella figura ‘alta’ che molti, compresa la Bindi fino a ieri sera descrivono ma anzi è stato quello che tirava i fili dietro le quinte di quell’orrenda commedia che è stata il governo berlusconi, dunque oggi né mai nella sua vita farebbe gl’interessi contrari di berlusconi, l’altro perché con la sinistra e col centro sinistra non c’entra assolutamente niente. Possibile che sia questa, la real politik? per me dovrebbe essere quella che si spertica per risolvere davvero i problemi, che trova sì, un accordo anche con l’avversario politico, quello che in condizioni normali e fuori dalle emergenze si dovrebbe contrastare con tutte le forze possibili, certamente non quella che favorisce l’inciucio e la perdita di memoria collettiva, cazzo, si parla di Gianni Letta come di uno dei migliori statisti di questi ultimi anni, quello che ha sempre favorito il dialogo sereno (ma dove, quando?) fra le opposte (si fa per dire) fazioni, e non invece di uno che doveva andare a finire in galera e non c’è andato solo perché il gip si chiamava Augusta Iannini (in Vespa), amica di famiglia. In questo paese la gente è talmente intossicata da non saper più distinguere il fango dalla merda e viceversa. Questo è un paese composto per metà da gente che non legge e non si informa, l’altra, il resto, per fortuna non tutto, da persone senza memoria, ecco perché anche uno come buffon può venir confuso con qualcuno che fa discorsi da statista. Con Pertini al Quirinale credo che in un momento come questo la Nazionale di calcio sarebbe stata ricevuta ai giardinetti.

Cicciolina almeno non ha mai nascosto che mestiere facesse:  l’ha sempre detto ed è stata eletta lo stesso.

Non si finisce mai

Ha detto Al Fano che il tizio non andrà ai giardinetti. Beh! Peccato. Io ce lo vedrei con le calze nere e la giarrettiera appena sopra il ginocchio, le scarpe col tacco, senza mutande e l’impermeabile da aprire quando gli vengono incontro le donne con la sporta della spesa in mano.
La nostra ubriacatura è finita, godere è stato lecito e liberatorio, ma ora è giunto il momento di porre la pietra tombale davanti alla cripta che deve rinchiuderlo, fatta di oblio e memoria. Nulla potrebbe fargli più male che l’indifferenza o la visione reale di quel che resta di lui: un indagato, un imputato, un vecchio triste e criminale.
Di sogni ne abbiamo fatti, ma è ora (o almeno lo sarebbe) di ridestarci e tornare con tutti e due i piedi nella realtà che non è dipinta con tinte pastello, ma con toni cupi e senza sfumature. L’Italia è passata di mano, da quelle di una cosca mafiosa ad altro potere, che non è quello del popolo. Ora, come un ostaggio, l’Italia è stata ceduta ai poteri economici, alla chiesa e ai militari, e non c’è rimasto nulla da ridere.
Sorridere semmai, dinnanzi alle solite cronache che ci raccontano la domenica montiana, che è una bella giornata di sole, che è fatta di lavoro e poi della Santa Messa. Un messaggio per chi ancora non fosse convinto; dopo le cronache d’avanspettacolo del vecchio porco, un signore distinto che si reca alla messa al braccio della moglie, è assai più rassicurante, anche per chi ancora non ha capito bene l’entità del sacrificio da affrontare. Ma Bagnasco è tranquillo, e anche questo – in teoria – dovrebbe rassicurare l’italiano medio, quello che esulta per la caduta del mostro e trova il nuovo messia da adorare.
Certo, c’è anche l’ipotesi del paradosso, secondo cui nonostante Mario Monti sia stato chiamato in tutta fretta a dar pace alle banche italiane, la sua ascesa potrebbe ridare davvero un minimo di respiro anche a noi, ma solo secondariamente. Un domani, forse, se non si saranno cancellati i diritti di vita della comune umanità. Noi.
Sarebbe bello non scordare il passato, sarebbe obbligo ricordare ed è fatto obbligo continuare a resistere e lottare. Potremmo persino iniziare a fare quel che non abbiamo mai fatto: esigere. Per esempio ridando dignità allo stato e alle istituzioni. Esigere epurazioni. Se non si ripulirà lo stato dalla melma, tutti coloro che continueranno a passeggiarci sopra ne usciranno sempre con le scarpe infangate.
Epurazione è un brutto termine, lo so, ma non ne esiste uno migliore per sottolineare l’urgenza di civiltà. È inutile dire che sepolto il tizio si debba educare il popolo al libero pensiero, al senso critico e alla responsabilità, se non esistono modelli da poter mostrare con vanto, se una volta sola in questo stato non ci sarà qualcuno che si possa rispettare. Via tutti i servi dai gangli dello stato che ormai è come un terreno minato e da sminare. Bonificare, forse è un termine più leggero di epurare, ma il senso non cambia, e questa dovrebbe essere la nostra esigenza.
Però ho visto spuntare di nuovo fuori il Veltroni, e allora mi sorrido pensando che non è ancora giunto il tempo di dedicarmi ad altro, di pensare alla grazia della prosa dei racconti da scrivere e dei romanzi, che nascondono tra le pagine da vergare, le ombre di un sole che cala, o di uno che sorge.

C’è da stare ancora qua a R-esistere. Non è ancora tempo di sospirare.

Rita Pani (APOLIDE)

La Norma

In filosofia, la norma è una regola, un criterio, un giudizio.
Nelle scienze sociali, la norma è una regola di comportamento.
In matematica, la norma è un concetto collegato a quello di distanza.
In statistica, la norma indica il valore che compare più frequentemente.
In gastronomia, la pasta alla Norma è un piatto tipico della città di Catania.
In musica, Norma è una celebre opera lirica di Vincenzo Bellini.
In diverse lingue, Norma è un nome proprio di persona femminile.
In geografia, Norma è un comune italiano in provincia di Latina.

L’ Europa aspetta il decreto salvaitalia (e dintorni)  e quel furbetto di silvio oltre al consueto nulla di fatto che fa? insieme ai dodici condoni che premiano i truffatori evasori a discapito degli onesti che pagano le tasse, riesce ad infilarci dentro anche l’ennesima legge ad personam con una specifica norma (ad Veronicam?) che cambia le regole della “legittima” ai figli. Tutto questo per favorire Marinella e Piersilvio e fare un dispetto a quella fedifraga di Veronica e a quell’ingrata di Barbara che osò criticare i comportamenti del suo “illustre” papà nella famosa intervista di qualche tempo fa.  Il cavaliere potrà accentuare le differenze tra le quote dei figli . (E così, anche come padre non smentirà di essere quel disonesto che è.)

Una legge utilissima a tutti gli italiani che, notoriamente, in cima ai loro problemi e specialmente in questo periodo in cui tutto va bene, hanno proprio quello di dover distribuire “equamente” eredità miliardarie. 

Lasciando da parte il fatto che con una legge del genere silvionostro sta forse prendendo atto di non essere immortale e questo non può che farci piacere, è mai possibile che lui non sappia fare niente che non preveda anche l’aggiustamento dei propri affari invece di risolvere – come dovrebbe – i nostri? poi se l’Europa ci ridicolizza c’è pure qualcuno che si offende?

Sarkò le Mokò ha osato offendere l’onore e la dignità dell’Italia, ridacchiando al nome del Caro Cucù. Sdegno e riprovazione, con annunciata manifestazione di protesta sotto il balcone dell’ambasciatore francioso a Roma, al termine della quale i dimostranti, guidati da Ferrara, forse sperano in un lancio di brioches, visto che il pane comincia a farsi un po’ caro. Ma come ti permetti, ‘a Sarkò? Non lo sapevi che soltanto i ministri della nostra amata Patria possono dire che con il tricolore ci si puliscono il culo?

(Vittorio Zucconi)

Velo pietoso