Articolo 54 della Costituzione Italiana:
“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.
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Sottotitolo: Confalonieri, che, non si sa bene con quale titolo, è stato ricevuto al Quirinale dal capo dello stato quale ambasciatore delle istanze del pregiudicato condannato è la persona più vicina a berlusconi insieme a Gianni Letta, lo zio del nipote; Confalonieri è presente nella famosa intercettazione dove berlusconi e dell’utri parlano della bomba che mangano gli aveva fatto esplodere affettuosamente sul cancello di casa mentre la mafia gli faceva pervenire messaggi simpatici nei quali c’era scritto che “se non avesse fatto una certa roba, entro una certa data, gli avrebbero consegnato la testa del figlio ed esposto il suo corpo in piazza del Duomo”.
Dunque due persone che di berlusconi, della sua vita privata, delle sue frequentazioni sapevano e sanno tutto possono intercedere per lui, avere voce in capitolo nella politica come Letta che è stato imposto al parlamento da uno che che da quarant’anni paga il pizzo alla mafia.
E a uno così Napolitano ancora ieri chiedeva “responsabilità”.
A uno così si concede ancora il diritto di avere diritti, di poter rivendicare un’agibilità politica.
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Dell’Utri, storia di un impresentabile: da Mangano al boss della ‘ndrangheta Mario Portanova, Il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2013
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“B. PAGAVA COSA NOSTRA” 40 ANNI FA IL PATTO CON I BOSS DELL’UTRI L’INTERMEDIARIO (Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza).
UNA VITA CON LA MAFIA.
LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI CONDANNA A 7 ANNI IN APPELLO RIVELANO IL RUOLO DELL’EX SENATORE. DEL CAIMANO LA CORTE SCRIVE: “MAI SFIORATO DAL PROPOSITO DI FARSI DIFENDERE DALLO STATO”.
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silvio berlusconi, che in vita sua “non è mai stato sfiorato dal proposito di farsi difendere dallo stato”, così recitano le motivazioni della sentenza del processo a dell’utri è stato invece il più difeso, tutelato, quello a cui lo stato ha offerto, regalato più garanzie, tutele, possibilità [anche di derubarlo] rispetto ad ogni altro cittadino da quando esiste questa repubblica.
E ancora c’è chi ha il coraggio di dire e scrivere che non ci fu nessuna trattativa fra la mafia e lo stato.
Lo scorso anno al ventennale delle commemorazioni per la strage di Capaci [a quelle per Borsellino non andò perché nessuno le aveva inserite in agenda], Napolitano disse: “vent’anni fa non ci lasciammo intimidire”.
Diceva Paolo Borsellino: “stato e mafia agiscono sullo stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.
Forse è per questo che l’hanno ammazzato, mentre quelli che agivano, e agiscono, sono ancora tutti vivi.
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Rimozione forzata
Marco Travaglio, 6 settembre
Quella depositata ieri dalla Corte d’appello di Palermo a carico di Marcello Dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è la quarta sentenza in nome del popolo italiano a mettere nero su bianco che nel 1974, cioè agli albori della sua resistibile ascesa di imprenditore, Silvio Berlusconi stipulò un patto d’acciaio con Cosa Nostra attraverso il suo (di Cosa Nostra e di B.) intermediario palermitano. L’avevano già sostenuto, oltre ai pm Ingroia e Gozzo e al gup Scaduto, i tre giudici del Tribunale che l’avevano condannato a 9 anni, il pg Gatto che aveva chiesto la conferma della condanna, i tre giudici di Corte d’appello che l’avevano confermata riducendo la pena a 7 anni, i 5 giudici di Cassazione che l’avevano annullata solo per il periodo 1977-’82. Ora, su richiesta del pg Patronaggio, l’hanno ribadito altri tre giudici di appello. In totale 19 magistrati di funzioni, sedi e correnti diverse hanno accertato che 40 anni fa B. iniziò la sua carriera con un patto con la mafia. E non occorre più nemmeno la Cassazione per rendere definitiva questa verità processuale, ormai irrevocabile dalla sentenza di parziale rinvio del maggio 2012: “A seguito della sentenza della Cassazione è stato definitivamente accertato che Dell’Utri, Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (gli ultimi tre sono boss mafiosi, ndr) avevano siglato un patto in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa Nostra per ricevere in cambio protezione”. Eppure da 15 mesi giornali e politici, salvo rare eccezioni, fanno finta di nulla.
E intanto l’uomo del patto con la mafia è stato architrave del governissimo Monti, si è ricandidato alle elezioni, ha raccolto il 22% dei voti, è stato più volte ricevuto al Quirinale con tutti gli onori, è stato invitato da Bersani a indicare il candidato Pdl-Pd per il Colle (Marini), ha avuto in dono la testa dell’odiato Prodi da 101 (o forse 120) appositi franchi tiratori Pd, ha ottenuto la riconferma di Napolitano, ha strappato l’agognato governissimo, ha pure scelto il premier che preferiva (il nipote di Gianni Letta), è divenuto il partner prediletto del Pd (che in compenso schifa Di Pietro e Ingroia) e ora viene implorato da tutti i poteri che contano, ma soprattutto da Pd e Quirinale, perché non abbandoni la maggioranza e resti fedele a Letta nipote, mentre giuristi à la carte e scudi umani dell’inciucio lavorano per salvarlo da una legge che impone la sua decadenza da senatore. “Resta con noi, non ci lasciar” detto – avete capito bene – a colui che nel 1974 incontrò nel suo ufficio di Foro Buonaparte a Milano “Dell’Utri, Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo”, prima dell’“assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore…”, suggellando “il patto di protezione” con i vertici della mafia. “In virtù di tale patto i contraenti (Cosa Nostra da una parte e Berlusconi dall’altra) e il mediatore contrattuale (Dell’Utri), legati tra loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale dell’imprenditore mediante l’esborso di somme di denaro che Berlusconi ha versato a Cosa Nostra tramite Dell’Utri che, mediando i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio mediante l’ingresso nelle proprie casse di ingenti somme di denaro”. Una simbiosi andata “avanti nell’arco di un ventennio”. Questi fatti ormai consacrati da una sentenza definitiva, ma già noti da tempo, sono scomparsi dalla scena politico-mediatica. Tant’è che ancora ieri Polito El Drito, sul Corriere , pregava in ginocchio B. di restare fedele al governo “nell’interesse degli italiani”. Non volendo o potendo rimuoverlo dalla politica nell’interesse degli italiani, si rimuovono quei fatti nell’interesse suo e si racconta che è nell’interesse nostro.
Come recita un vecchio proverbio catalano: ci pisciano in testa e ci dicono che piove.