“Tutte le cose devono essere esaminate, discusse, indagate senza eccezioni e senza riguardi per i sentimenti di nessuno". [Denis Diderot, filosofo, scrittore, illuminista]
Berlusconi: “Il Pd non mantiene la parola: patto del Nazareno doveva ridarmi agibilità”. Renzi: “Falso, racconta barzellette”.
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Con uno che ha la fama e la reputazione del bugiardo non si va nemmeno a prendere un caffè, mentre Renzi col bugiardo che “racconta barzellette” nel frattempo passato alla condizione di pregiudicato condannato per frode allo stato ha pensato di farci addirittura l’alleanza politica per le importantissime riforme che aveva in mente solo lui. Gli incontri fra il bugiardo1 e il ballista2 si svolgevano nelle segrete stanze del Nazareno alla presenza di pochi intimi dell’uno e dell’altro e quindi nessuno può raccontare cosa si dicessero e quali sono stati, cosa prevedevano davvero gli accordi fra i due.
Durante uno degli appuntamenti Renzi chiese ed ottenne di restare solo per cinque minuti diventati sette con berlusconi: evidentemente quello che aveva da dirgli non doveva essere ascoltato da un testimone terzo, berlusconi alla fine salutò il compare dicendogli: “Matteo quando vuoi noi ci saremo sempre, di me ti puoi fidare”.
Considerata la credibilità e la serietà dei due più che un patto, un pattume.
A luglio dell’anno scorso la Serracchiani, numero 2 del pd diceva: “berlusconi sempre il benvenuto, ci dà più garanzie del M5S”. E qua ci sarebbe da aprire un trattato su che tipo di affidabilità e garanzie servivano al pd di Renzi se l’unico che poteva garantire entrambe era il delinquente seriale ma in rispetto della decenza e di me stessa non lo farò.
Solo però vorrei capire perché oggi non si può credere a berlusconi che non ha più niente da perdere né da guadagnare dalla politica e da questo stato che gli ha consentito e dato tutto quello che gli serviva: la finta condanna per un reato pesantissimo, la conservazione del maltolto e l’assoluzione impossibile al processo per sfruttamento della prostituzione minorile mentre a Renzi che ha costruito il suo consenso proprio grazie alle menzogne iniziate dall’ormai leggendario “Enrico stai sereno” e che ha fatto impallidire perfino i 314 traditori di “Ruby è la nipote di Mubarak” sì.
Assurdo che a pagare l’inettitudine di Renzi sia un uomo degno come Felice Casson, ma i complimenti più sentiti vanno ai veneziani che per punire il pd di scandali, scandaletti e vergogne varie hanno messo la loro città nelle mani di un uomo di berlusconi: una garanzia. Questo governo è una sciagura, ma anche gli elettori non scherzano.
Il problema da affrontare seriamente non sono le legioni di imbecilli che hanno libero accesso ai social ma quelle che ce l’hanno in una cabina elettorale. Perché gli imbecilli in Rete, nei social rappresentano per fortuna solo loro stessi, gli altri decidono anche del futuro di chi imbecille non è, né fuori né dentro il social.
Prepariamoci adesso all’offensiva della propaganda che dovrà ricucire lo strappo fra il pd piùmeravigliosochecisia e gli italiani si spera finalmente risvegliati dal torpore delle promesse false, del rinnovamento falso, della rottamazione falsa, delle riforme false, della grande affluenza all’Expo falsa, degli ottanta euro veri ma falsamente buoni per la spesa per quindici giorni ma nessuno dirà nulla circa il mea culpa che si dovrebbe pretendere dal segretario – presidente che ha fatto ricadere le colpe e le responsabilità sue e del governo su tutto il partito. Nel paese normale ai piani alti oggi qualcosa dovrebbe succedere, ma siccome e purtroppo siamo in questo non ci toccherà nemmeno un tweet dell’egocentrico del consiglio che, come un berlusconi qualunque, ha già fatto sapere che la colpa della débâcle ai ballottaggi non è sua ma della sinistra. Quale, non è dato sapere.
Sottotitolo: un giorno qualcuno ci spiegherà perché si continua a considerare forza Italia e berlusconi il centro destra “moderato”. Ma moderati de che? I peggiori reazionari, epidermicamente ostili alle regole democratiche sono tutti al fianco di berlusconi che ha riportato fuori dalle fogne la peggior feccia fascista per fare numero, e non si capisce perché si continua a spacciare berlusconi per un politico moderato mentre in realtà è solo uno smodato farabutto.
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Se qualcuno viene minacciato pubblicamente non ha forse il diritto di difendersi pubblicamente? Io dico di sì. Quindi, tutti quelli che “ancora berlusconi”, a proposito dell’apertura, maestosa, di Michele Santoro ieri sera a Servizio Pubblico farebbero bene a tacere, visto che probabilmente non hanno mai fatto parte delle persone minacciate da berlusconi o da chi per lui, squadracce fasciste comprese. Travaglio ha spiegato perfettamente che la decadenza politica di berlusconi non coincide con la perdita del potere che lui ha potuto accumulare grazie a chi non ha mai fatto nulla per impedirlo, ovvero la politica cosiddetta di opposizione, le istituzioni che ancora oggi lo ritengono un interlocutore degno di accoglienza e ascolto e il solito giornalismo che “franza o spagna, eccetera eccetera”.
berlusconi ha ancora molte possibilità in questo paese, quindi fa benissimo chi parla di lui non per compatirlo, per descrivere la figura del povero vecchio finito e rincoglionito dai bagordi ma per mettere in guardia chi pensa che lui non abbia più la possibilità di condizionare il consenso verso di lui.
L’eternità a berlusconi non gliel’hanno regalata Santoro e Travaglio, anche basta con questa stronzata immonda, con questa falsità usata da tutti quelli che potevano contrastare berlusconi e il suo potere ma non lo hanno mai fatto per screditare gli unici giornalisti che ce lo hanno sempre mostrato e descritto per come è.
In attesa di valutare i paventati e prevedibili effetti concreti della responsabilità di cui la maggioranza va orgogliosa, abbiamo avuto un’anticipazione dell’uso intimidatorio e ritorsivo della nuova legge a livello politico e mediatico: un messaggio preventivo ai magistrati.
E questo scatenamento di minacce e di anatemi solo perché nella fisiologia dei tre gradi di giudizio e soprattutto grazie al provvidenziale intervento in itinere della riforma Severino la Cassazione ha confermato un’assoluzione dopo una condanna in primo grado.
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Il “sistema prostitutivo” messo in piedi da berlusconi non è un teorema inventato dai suoi oppositori politici – semmai ce ne fosse rimasto ancora qualcuno – né da magistrati che non hanno niente di meglio da fare che indagare su un personaggio di cui altrove non si parlerebbe più da almeno quindici anni. Come ha ben detto Santoro ieri sera a Servizio Pubblico il fatto che non si sia potuta confermare la concussione nell’appello definitivo grazie al ritocchino in corsa della legge Severino, concussione che invece c’è stata nella telefonata di b a Ostuni come ci fu quando bastarono quattro parole di berlusconi in una conferenza stampa all’estero per licenziare Biagi, Luttazzi e lo stesso Santoro dalla Rai sono parte di un enorme vuoto legislativo, sono la dimostrazione che il potere politico tracima laddove non dovrebbe.
In un altro paese, dove i giudici non sono costretti a considerare continuamente il clima politico né il consenso del politico che sono chiamati a giudicare, cosa accaduta nella concessione dei servizi sociali che non spettavano al frodatore mai pentito in quanto privo dei requisiti minimi non sarebbe andata a finire così. La Cassazione è frutto di nomine politiche, della stessa politica che fa le leggi che i magistrati poi devono rispettare, e finché a fare le leggi saranno anche quelli che poi entrano nei tribunali da imputati la situazione sarà sempre quella di uno stato fin troppo rigoroso coi ladri di polli ma molto poco intransigente col potente delinquente, verso il quale la legge viene applicata sempre al ribasso.
Come dice spesso il giudice Davigo se i politici indagati, sotto processo per reati che non hanno niente a che fare con l’esercizio della politica si facessero da parte, fossero costretti a farlo dai loro pari, possibilmente senza una legge che stabilisca se un politico indagato si deve o no allontanare dalla scena politica, i giudici si troverebbero davanti un cittadino come un altro, non dovrebbero subire pressioni di alcun tipo e certi processi si potrebbero svolgere in un clima più disteso, lontano dai riflettori e dal voyeurismo da talk show. E probabilmente avrebbero tutt’altri esiti. Al di là di ogni sentenza ufficiale restano i fatti stabiliti proprio nel processo che ha assolto berlusconi, che da presidente del consiglio ha telefonato in una questura per sollecitare un favore personale, che c’è stata la prostituzione e ci sarebbe stato anche l’abuso di potere se qualcuno non lo avesse cancellato.
That’s all folks.
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Per me Ilda Boccassini è e resterà una gran donna, l’eccellente Magistrato che coraggiosamente ha sfidato il sistema marcio e criminale di questo paese che premia i delinquenti, i furbi, gl’incompetenti grazie al familismo, al clientelismo, alle raccomandazioni, ai ricatti politici, all’opportunismo, relega gli onesti, anche quelli che avrebbero titoli e meriti per stare al posto dei vari manovratori nelle stanze del potere nel limbo di chi non ha diritti, nemmeno di poter dimostrare quanto vale.
La ringrazio per aver tolto anche l’ultimo velo dal mantello di ipocrisia con cui è stato ricoperto e protetto un personaggio squallido, disonesto da sempre, uno di cui si dovrebbero vergognare anche i figli che è stato trasformato in un politico rispettabile malgrado e nonostante non sia mai stato l’uno né l’altro da un certo giornalismo, dalla politica e dalle istituzioni alte e altissime.
Uno che senza il castello di menzogne e coperture che è stato costruito intorno a lui, senza la politica che lo ha lasciato fare e in molti casi lo ha aiutato a fare, si è nascosta dietro la sua ingombrante presenza per sembrare migliore di lui, per elevarsi dalla sua pochezza, senza l’esercito di manipolatori a libro paga di cui si è servito per portare a termine l’unico suo progetto, quell’impunità eterna che gli interessava avere dal primo giorno in cui da abusivo e impostore si è presentato in società, non avrebbe mai avuto nessuna possibilità.
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Non chiedo scusa a berlusconi – Michele Santoro a Servizio Pubblico
Non chiedo scusa a Berlusconi, ha mentito agli italiani, ha detto “Ad Arcore si tenevano cene eleganti, qualche volta si ballava, ma io non partecipavo al ballo per un fioretto fatto in gioventù; più spesso si parlava di politica, di gossip, io confezionavo battute e cantavo i pezzi di Apicella. Mai si sono svolte scene di valenza sessuale”. La sentenza che lo assolve in appello, che lo fa giustamente gioire perché confermata in cassazione dice invece testualmente: “Le serate di Arcore erano caratterizzate da atti sessuali pubblici per stimolare la libidine del padrone di casa”. È normale che un imputato a sua difesa dica qualsiasi cosa, ma un Presidente del Consiglio, in un paese serio, non può permettersi di prendere per i fondelli gli elettori senza conseguenze.
Non chiedo scusa a Rubi, che ha raccontato la favola che ha frequentato Berlusconi solo per chiedergli di aiutarla a sottrarsi all’abbraccio di uomini cattivi che la spingevano a prostituirsi, mentre i giudici che assolvono Berlusconi scrivono: “Fra Berlusconi e Rubi c’è stato un effettivo svolgimento di atti di natura sessuale certamente retribuiti”. E l’avvocato Coppi, difensore vittorioso, prima di Andreotti, adesso di Berlusconi, aggiunge “Va bene, ad Arcore si sono svolte cene e prostituzione a pagamento, ma non c’è prova alcuna né che Berlusconi conoscesse la vera età di Rubi, né che abbia indotto i funzionari di polizia ad agire contrariamente al loro dovere. Ha fatto solo una telefonata, informando che c’era una consigliera regionale pronta a prendere in consegna la minore, Nicole Minetti, che poi si rivelerà” – dice proprio Coppi, attenzione – “quella che è”. Il presidente e la malafemmina.
Non chiedo scusa agli italiani, che troppo consegnano alle sentenze la selezione della classe dirigente del loro paese e, tanto meno, chiedo scusa a chi oggi crocifigge la Bocassini, perché prima dovrebbe spiegare a quelli che li ascoltano, che se una minore viene fermata per furto e racconta di prostituirsi a pagamento in un giro che coinvolge il Presidente del Consiglio i magistrati dovrebbero far finta di non sentire e girarsi dall’altra parte. Non chiedo scusa al dottor Ostuni, capo gabinetto del questore di Milano, che la sentenza di assoluzione dice chiaramente non è stato né costretto né concusso né indotto ad agire in quel modo. Ma alla Repubblica Anna Maria Fiorillo, il magistrato che aveva deciso di avviare Rubi in comunità spiega: “Io impartisco una disposizione, ma la funzionaria di polizia la disattende”. Perché la disattende? Perché glielo chiede il suo capo, Ostuni, e perché glielo chiede? Perché riceve la telefonata di Berlusconi. E qui che sta l’abuso. Il Presidente del Consiglio, scrive, proprio così, la sentenza che lo assolve, agisce, non per altruismo, ma nel suo personale interesse: alza il telefono per impedire uno scandalo che potrebbe nuocergli. Allo stesso modo, lo stesso Presidente del Consiglio, ha potuto alzare il telefono per chiedere ad altre autorità, che dovrebbero essere indipendenti, di chiudere i programmi a lui sgraditi. Non si è verificato un reato né nel primo caso, né nel secondo caso. Io questa la considero una enormità, un vuoto della legge, un vuoto del diritto, anche se noi viviamo in un paese in cui il candidato governatore del PD in Campania definisce l’abuso di ufficio una sciocchezza. Dunque, chiedo scusa, ma solo a voi spettatori, non per aver detto cose false, visto che abbiamo sempre detto cose che si sono confermate come vere, ma per il disturbo che certe trasmissioni hanno provocato.
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Gli olgettini – Marco Travaglio, 13 marzo
Ricordate il processo Mills? Nel 2005 si scoprì che B. aveva pagato 600 mila dollari all’avvocato inglese, creatore di decine di società offshore nei paradisi fiscali per schermare le sue frodi fiscali e i suoi fondi neri, perché non raccontasse nulla nei due processi dov’era testimone: quello per le tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza e quello per la mazzettona da 21 miliardi di lire a Craxi dai conti All Iberian. Mills testimoniò il falso, o meglio disse poco o nulla di ciò che sapeva, poi riferì al suo commercialista “ho tenuto Mr B. fuori da un mare di guai”, e B. la fece franca: condannato e poi prescritto nel 1999 su All Iberian, condannato e poi assolto in Cassazione nel 2001 sulla Gdf per insufficienza di prove.
Quelle prove che Mills, se non fosse stato pagato, avrebbe portato in aula, dimostrando il movente delle tangenti ai finanzieri: l’interesse personale di B. ad addomesticare le verifiche per evitare che il sistema All Iberian affiorasse già a fine anni 80.Mills fu poi condannato in primo e secondo grado, poi prescritto in Cassazione (ma sicuro colpevole, infatti dovette risarcire il ministero della Giustizia). B., a furia di allungare il brodo fra leggi e lodi ad personam, arraffò la prescrizione già in primo grado. Così la sfangò sia nel processo a monte (Gdf) sia in quello a valle (Mills). Se non avesse corrotto Mills, nel 2001 anziché assolto sarebbe stato condannato e, da pregiudicato, sarebbe finito subito in galera anziché a Palazzo Chigi, senza uscirne più. E di lì si sarebbe visto negare le attenuanti generiche che gli regalarono la prescrizione in cinque successivi processi, accumulando altrettante condanne. Ma, siccome la corruzione di Mills fu scoperta dopo la conclusione del processo Guardia di Finanza, questo ormai era impossibile da riaprire, in virtù del ne bis in idem. Conclusione: corrompere i testimoni conviene. Ora, mentre si chiude per sempre il processo Ruby-1, sta per aprirsi il processo Ruby-3: B., tanto per cambiare, è accusato di aver corrotto una cinquantina di testimoni, fra cui Ruby e un esercito di olgettine, perché dicessero il falso o tacessero il vero nel Ruby-1. Che le abbia pagate, non c’è dubbio: milioni all’ex minorenne, centinaia di migliaia di euro alle maggiorenni. Resta da dimostrare la causale dei versamenti: se fosse il silenzio e/o la menzogna delle destinatarie, verrebbe condannato per corruzione in atti giudiziari e non ci sarebbe prescrizione che tenga, visto che il reato continua tuttora. A quel punto, però, gli sarebbe comunque convenuto corrompere.
Grazie al silenzio o alle bugie delle testimoni, l’ha fatta franca nel Ruby-1. E, quanto al Ruby-3, campa cavallo: fra primo, secondo e terzo grado, ci si rivede fra 7-8 anni: quando B. ne avrà 86-87 e forse, chissà, sarà politicamente fuori gioco. A quel punto qualcuno potrebbe ricordarsi della sentenza di martedì sera: quella che l’ha assolto dall’induzione perché la Severino l’ha di fatto resa impunibile, e dalla prostituzione minorile perché le prove sulla sua consapevolezza della minore età di Ruby sono insufficienti. Chi avrebbe potuto fornirle, quelle prove? Ruby e le olgettine, che però – sempreché l’ipotesi accusatoria regga al vaglio processuale – sono state corrotte. Il processo Ruby-1 non si potrà rifare (ne bis in idem), ma almeno sarà legittimo ritenerel’assoluzioneinappelloe inCassazioneunerroregiudiziario, e rivalutare – almeno sulla prostituzione minorile – la condanna in Tribunale. Questa, naturalmente, è un’ipotetica del terzo tipo, almeno in Italia, dove il panorama mediatico è dominato da giornalisti e commentatori stipendiati da B. I quali, senza un filo d’imbarazzo per il loro conflitto d’interessi di impiegati dell’imputato, continuano a pontificare sui processi al principale tirandosela da osservatori super partes. Montano in cattedra e chiamano sul banco degli imputati chi ha sempre scritto la verità, intimandogli di discolparsi, pentirsi, scusarsi col puttaniere. I più spudorati fanno a gara a inventarsi costi immaginari di un processo costato 65 mila euro (Il Tempo li calcola in “mezzo milione”, Salvini in “qualche milione”, Libero in “500 miliardi”: chi offre di più?). I più impermeabili al ridicolo, tipo quello con le mèches, scrivono che “l’Italia aveva già capito tutto” e “la gente aveva emesso già da tempo la sua sentenza”: infatti, dopo Ruby, il padrone ha perso appena 6,5 milioni di voti. I più commoventi sono gli Stanlio e Ollio del Foglio. Stanlio, il direttore Cerasa che si ostina a scrivere di giustizia senza distinguere un codice da un paracarro, vaneggia di un presunto “reato di cena elegante”, come se nel Codice penale non esistessero la concussione, l’induzione e la prostituzione minorile e, anziché farsi qualche domanda su chi gli paga lo stipendio, emette la sua personale condanna contro i veri “colpevoli”: “i professionisti del moralismo, i campioni del porno-giornalismo”. Ollio, l’ex direttore Ferrara, rivendica orgoglioso la manifestazione autobiografica “Siamo tutti puttane” da lui promossa per difendere quello che da vent’anni e più gli passa la mesata: l’amichetto della nipote di Mubarak (una “storiella alla Totò” che “chi non possiede il sense of humour” non può cogliere). Sempre Il Foglio ricorda che pure i processi per le tangenti Fininvest ai giudici romani, svelati da Stefania Ariosto, “finirono tra proscioglimenti e miserie personali della supertestimone”: tipo le condanne di Previti, Metta, Pacifico e Acampora a 7 anni e mezzo per Mondadori e Imi-Sir.In qualunque paese la parola di questi gazzettieri olgettini varrebbe una cicca. In Italia, oro colato. È ora di riabilitare Ruby e le altre olgettine: anche loro raccontano un sacco di balle, ma almeno si fanno pagare meglio.
Giggin’ ‘a manetta è l’affettuoso soprannome col quale la malavita campana chiama Luigi De Magistris, segno evidente che la sua azione sul territorio non è passata inosservata.
Un certo linguaggio però non è un’esclusiva della malavita, da un po’ di anni a questa parte, che casualmente coincidono con l’ascesa al potere politico di uno che con certa malavita ha intrattenuto rapporti molto stretti, amichevoli e familiari è tendenza abbastanza comune quella di definire giustizialisti tutti quelli che non pensano che chi combatte la criminalità sia affetto da una sorta di perversione, di passione insana per le manette ma che sia perfettamente da paese civile e normale che i delinquenti vengano perseguiti da chi rappresenta la legge. Che non sia normale il contrario e che nessuna ragion di stato dovrebbe consentire allo stato di escludere dalla lotta alla criminalità e alle mafie coloro i quali, grazie alla debolezza e all’opportunismo di chi sapeva di poterci guadagnare qualcosa si sono accostati alla politica, sono entrati sfondando la porta anche se non avevano i requisiti ottimali per potervi accedere, col risultato di trasformare il parlamento nel rifugio ultimo di chi aveva problemi con la legge e che, grazie alla carriera politica si è garantito la sicurezza di restare impunito, o, come nel caso di berlusconi condannato per finta e per scherzo.
Un parlamento che nel tempo si è riempito di inquisiti, indagati, condannati per reati contro lo stato, di criminalità comune, truffatori, evasori, frodatori, puttanieri, collusi con le mafie e la criminalità, amici personali di personaggi che una persona normale si vergognerebbe di conoscere di vista. In italia per vent’anni abbondanti ha imperversato una classe politica indecente che ha messo la firma su leggi altrettanto indecenti e che successivamente sono state cassate, rese nulle da quella Consulta che da ultimo baluardo del diritto si vuol trasformare nell’ennesimo approdo per chi dei diritti se ne frega allegramente. Ovviamente solo quando riguardano gli altri, perché per i loro è sempre stata un’altra storia. Quello che accade oggi a De Magistris è il risultato di vent’anni di malgoverno, di assoluto disprezzo della Costituzione, di un sistema informativo che si è reso complice diffondendo l’idea che chi lotta contro i criminali e le mafie sia un nemico dello stato da definire giustizialista e forcaiolo, che ancora oggi sostiene che sia perfettamente normale che un condannato in via definitiva possa mettere bocca negli affari di stato, essere il braccio destro del presidente del consiglio del parlamento illegittimo col quale riformare le fondamenta dello stato.
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Abbiamo un ministro dell’interno proprio zelante. E dire che quando bisognava votare la decadenza di berlusconi si attaccava a tutti i cavilli possibili collezionando le solite figure da alfano perché la legge Severino fu approvata anche coi voti di forza Italia già pdl. Quindi si può facilmente immaginare che razza di legge sia. Per berlusconi doveva valere solo a sentenza definitiva, per De Magistris vale da subito, anzi, da prima di subito anche se entrambe le imputazioni, quella di b e di De Magistris e i relativi reati risalgono a prima dell’approvazione della legge Severino.
Quindi per gli amici non doveva valere la retroattività, per i nemici sì. alfano è stato quello che ha fatto sequestrare madre e figlia mettendo a rischio la loro incolumità e non è successo niente perché sennò cadeva il governo e piangeva Gesù. E’ stato quello che ha sputtanato pubblicamente una persona non ancora colpevole di niente ma che lo stato tiene in una galera senza sentenza e senza condanna e anche lì non è successo niente, manco un monito piccino contro i ministri chiacchieroni. In precedenza è stato quello che è andato a fare eversione davanti e dentro i tribunali per perorare la causa di un delinquente conclamato. E anche lì non è successo niente, solo folklore. E uno così si è permesso di sollecitare la sospensione di un galantuomo colpevole di aver indagato, di voler capire il perché molti politici sono sempre in contatto coi criminali mafiosi. Verrebbe da chiedersi in che paese si affiderebbe la sicurezza nazionale ad uno come alfano, o proprio ad alfano.
Il fatto che il pd non si accontenti della sospensione di De Magistris ma chieda nuove elezioni al fine di proporre a sindaco di Napoli un candidato frutto dell’osceno patto col delinquente costringe alla presa di posizione netta. Non sono solita stare con questo e quello perché è già abbastanza complicato stare con me, ne sa qualcosa mio marito che con me ci sta da più della metà della nostra vita, ma appoggio in modo incondizionato la disobbedienza civile di De Magistris verso quella che chi ha il minimo sindacale di onestà intellettuale sa benissimo essere non una sentenza giusta, e che per questo va rispettata, ma una vigliaccata infame per punire l’ex pm colpevole di voler portare alla sbarra quei politici che fanno affari coi criminali per mangiarsi l’Italia.
La sentenza che condanna Gioacchino Genchi e Luigi De Magistris e la reazione di Alfano, incredibilmente e ancora ministro dell’interno di questo paese, sempre in prima linea per difendere berlusconi e i suoi reati, le sue condanne, sempre pronto a piagnucolare di magistratura politicizzata quando i magistrati per sbaglio condannano i veri criminali sono la conferma che alla consolle di questo paese continua ad esserci quel sistema che si fa condizionare da fattori e personaggi “contingenti”, proprio quelli contro i quali De Magistris ha combattuto.
Per questo e molto altro io sto con De Magistris: come lui, disobbedisco a questo stato iniquo che alza la voce in base alla sua convenienza, a quello che deve salvare perché “bisogna” salvarlo e non per esprimere quella giustizia giusta e uguale per tutti come da Costituzione.
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L’Angelino Severino – Marco Travaglio
Con De Magistris e la società civile, con la politica onesta che non si fa mandante, esecutore e complice di chi sta ammazzando questo paese. #sospendetecitutti.
Il 1° agosto 2013 Silvio B. viene condannato in Cassazione a 4 anni di reclusione per frode fiscale, dunque deve decadere immediatamente da senatore in base alla legge Severino da lui stesso votata. Angelino Alfano, vicepremier e ministro dell’Interno del governo Letta nonché segretario Pdl commenta: “Tutto il Pdl è forte e unito attorno al suo leader Silvio Berlusconi. È interesse della democrazia che una parte importante del popolo italiano non venga privata della sua leadership, visto che Berlusconi è il leader più votato di questi ultimi venti anni”. Il 20 agosto Alfano si reca in pellegrinaggio ad Arcore a prendere ordini dal pregiudicato. Il 21 incontra il premier Letta e gli chiede di “farsi carico dell’agibilità politica di Berlusconi”.
Poi vola al Meeting di Rimini: “Noi chiediamo che il Pd rifletta, astraendosi dalla storica inimicizia di questi vent’anni, sulla opportunità di votare no alla decadenza di Berlusconi” perché “l’esempio di Cristo testimonia l’esigenza di un giusto processo e la pericolosità di certe giurie popolari”. Il 24 si tiene ad Arcore il Gran Consiglio del Pdl. Alla fine B. ordina ad Alfano di leggere la seguente nota, e lui esegue: “La decadenza di Berlusconi da senatore è impensabile e costituzionalmente inaccettabile. Ci appelliamo alle massime istituzioni della Repubblica sulla questione democratica che dev’essere affrontata per garantire il diritto alla piena rappresentanza politica e istituzionale dei milioni di elettori che hanno scelto Berlusconi. In base a precisi riferimenti giuridici chiediamo al Pd una parola chiara sul principio della non retroattività della legge Severino”. Il 24 settembre Alfano incontra Napolitano e gli chiede di graziare B. Il 27, Consiglio dei ministri sull’aumento dell’Iva: tutto bloccato da una rissa tra Franceschini (“Volete solo salvare Berlusconi”) e Alfano (“Siete voi col vostro anti-berlusconismo a cacciare il governo nei guai”). Il 28 settembre B. ordina le dimissioni dei suoi cinque ministri, che obbediscono all’istante, compreso Alfano. Il 29 Alfano, con Quagliariello, Lorenzin e Lupi, si dissocia da se stesso: “Basta estremismi, difendiamo il governo. Siamo diversamente berlusconiani”. Il 30 ottobre, a tre mesi dalla condanna, B. è ancora senatore. Ma il Senato decide che voterà sulla decadenza a scrutinio palese. Per Alfano è “un sopruso”. Il 15 novembre Alfano lascia il Pdl e fonda l’Ncd, ma avverte: “Continueremo a difendere Berlusconi dal governo”. E chiede di rinviare il voto sulla decadenza di B. a gennaio. Il 27 novembre il Senato approva la decadenza di B. Tutto l’Ncd vota contro. Alfano comunica: “Oggi è una brutta giornata per il Parlamento e l’Italia. Rivendichiamo con forza la storia di questi 20 anni. Ho sentito Berlusconi per dirgli che avremmo dato battaglia contro un cosa profondamente ingiusta”.Ieri Alfano, ministro dell’Interno del governo Renzi, ha annunciato alla Camera che il prefetto di Napoli, suo sottoposto, avrebbe sospeso subitissimo, prima che Napolitano arrivi in città, il sindaco Luigi De Magistris, condannato in primo grado (non in Cassazione) a 15 mesi con pena sospesa (non a 4 anni senza condizionale) per abuso d’ufficio sui tabulati non autorizzati di 8 parlamentari (non per una monumentale frode fiscale). Alfano avrebbe potuto attingere al suo repertorio e dire, in coerenza con se stesso, che De Magistris è il sindaco di Napoli più votato degli ultimi vent’anni, dunque gli va garantita l’agibilità politica; e poi la legge Severino non può essere applicata retroattivamente a fatti commessi nel 2007, cioè prima che venisse approvata nel 2012; e comunque la condanna è solo in primo grado e c’è la presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva; e basta con l’uso politico della giustizia di chi vuole liquidare un avversario per via giudiziaria. Invece ha detto – a sua insaputa, s’intende – l’unica cosa giusta della sua inutile carriera: De Magistris va sospeso in base alla legge Severino, e subito. Non dopo 4 mesi: dopo 7 giorni. E alla fine non è neppure arrossito. La sua vergogna è emigrata un anno e mezzo fa in Kazakistan insieme al suo cervello, senza più dare notizie di sé.
Bel paese quello in cui si lasciano i delinquenti a piede libero e si ammazzano gli animali nei loro habitat.
Chi “sbaglia” una dose di narcotico e chi si lascia sfuggire proiettili in modo “accidentale”. Vite spezzate per l’incompetenza, incapacità spesso dolose di chi è chiamato alla gestione e alla tutela del territorio che è popolato da persone ma anche da animali. Ora l’Italia è più sicura. Certo. E anche i cercatori di funghi imbecilli sono al sicuro. Che brutto paese è l’Italia, brutto e cattivo.
Verrebbe voglia di dissociarsi dal genere [dis]umano.
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Daniza, morta l’orsa del
Trentino.
“Non è sopravvissuta alla
narcosi”
Dalla Provincia fanno sapere che l’animale è stato narcotizzato, insieme a uno dei suoi cuccioli, ma non è sopravvissuto. L’esemplare di 19 anni verrà sottoposto ad autopsia, mentre del fatto sono stati avvertiti anche il ministero dell’Ambiente, l’Ispra e l’autorità giudiziaria. In agosto, dopo che l’orso aveva aggredito un cercatore di funghi, le istituzioni avevano assicurato: “Non verrà abbattuta, ma solo catturata”. [Il Fatto Quotidiano]
Un paese in balia di una banda di ricattati e ricattatori che votano o non votano in base alle promesse che si fanno, a quello che possono guadagnare da qualcuno o togliere a qualcuno votando in un modo o in un altro. Un governo che alla prova del voto segreto rivela tutta la sua consistenza di cartapesta. Un presidente del senato che vista la malparata scappa. I temi etici affidati ad un emendamento della lega razzista e xenofoba. Ma dove andiamo con questi?
Passa un emendamento della Lega Nord sulla competenza sui temi etici delle Camere. M5S: “Ora Palazzo Madama dovrà essere elettivo”. Con il voto palese bocciata riduzione del numero dei deputati.
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La domanda è pertinente, solo, ci vorrebbe un giornalista che gliela formulasse: Renzi chiarisca perché vuole un senato composto da persone non scelte dal popolo ma nominate dalla casta che poi non avranno nessuna facoltà di modificare il percorso delle leggi, correggerle, così come serve adesso a lui che ha detto di voler affidare proprio al senato che vuole abolire perché inutile [secondo lui] l’ultima rilettura della porcata remix che ha concordato col delinquente condannato.
Perché la sensazione è che Renzi non voglia abolire il senato ma trasformarlo nella camera di sicurezza di indagati e imputati dei quali la politica non vuole, ma più che altro non può liberarsi. La riforma, cosiddetta, del senato non avrà nessuna ricaduta positiva sull’economia disastrata di questo paese, non creerà lavoro né occupazione, non farà aumentare di un euro il PIL. In un paese in stato comatoso grazie a politiche criminali spacciate per il giusto rimedio alla crisi – pena la miseria, il terrore, la morte e il pianto di Gesù – dove è stato devastato lo stato sociale, quello dei diritti, del lavoro, della casa, dell’istruzione, della sanità, dove la pressione fiscale ha raggiunto e sfondato il muro di ogni suono rendendo impossibile ai cittadini che hanno ancora la fortuna di avere un lavoro di essere semplicemente onesti, la priorità di un governo che è lì perché avrebbe dovuto occuparsi di risolvere le emergenze, non certo di demolire la Costituzione a immagine e somiglianza di un delinquente e di uno sbruffone miracolato, non può e non deve essere la riorganizzazione della casta. Per le riforme che piacciono a Napolitano, Renzi e al delinquente seriale ci vuole un parlamento eletto dalla gente. Diversamente, nessuno dovrebbe azzardarsi a toccare la Costituzione senza l’autorizzazione del popolo che, se non ricordo male, in Italia dovrebbe essere sovrano, non schiavo o suddito. In un paese normale una maggioranza come quella di Renzi, non potrebbe decidere nemmeno il colore delle tende dei terrazzi di un condominio. Ma questo, la cosiddetta informazione si guarda bene dal raccontarlo agli italiani.
Riepilogando: un parlamento di eletti da nessuno, presenti in sede grazie ad una legge illegittima a cui la Corte, quando ha proclamato l’incostituzionalità della legge elettorale ha consentito di farsi carico unicamente della tenuta dello stato, non del suo stravolgimento, si autoproclama avente diritto alle riforme della Costituzione, l’ombrello grazie al quale questo paese poteva ripararsi proprio e soprattutto dal rischio dell’uomo al comando.
La Costituzione è nata per questo, per evitare a questo paese di poter rischiare di nuovo un regime autoritario e ancorché sanguinario qual è stato quello fascista. E il garante della Costituzione che fa? Invece di riparare la Scrittura si mette dalla parte di chi la vuole demolire che a sua volta, per la buona riuscita dell’impresa, ha chiesto la collaborazione di un plurindagato e un pregiudicato.
Il tutto facendosi scudo col mantra ripetuto compulsivamente da Matteo Renzi e la sua corte al seguito che questo è ciò che gli hanno chiesto gli italiani, cosa assolutamente non vera. Perché gli italiani non hanno votato nessuno a cui affidare la loro sorte. Renzi non è lì per una scelta popolare ma per una manovra di palazzo che ha fatto diventare vincitore di checazzoneso uno che aveva vinto solo le primarie del suo partito e fatto diventare maggioranza di governo il partito che solo in seguito ha vinto delle elezioni, ma europee, non nazionali.
Il governo di Renzi – caravanserraglio di larghe intese con dentro loschi figuri come un ministro dell’interno che ha consentito e organizzato due sequestri di persona ma nessuno gli chiede di lasciare il suo posto – non ha nessuna autorità conferitagli dal popolo che gli consenta di mettere le mani sulla Costituzione, unica garanzia rimasta per i cittadini che può evitare a questo paese il tracollo definitivo.
Tutto il potere che il governo di Renzi si vanta di avere non l’ha avuto tramite elezioni regolari ma per volere di Napolitano che sarà nominato Re quando eventualmente tornerà la monarchia, per il momento la repubblica italiana è ancora in mano ai cittadini, non ad un club privé di scambisti di poltrone.
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Smacchiare il canguro Marco Travaglio
Il guaio, per Renzi e l’allegra compagnia di ventura che sta cercando di scassare il Parlamento per scassinare la Costituzione, è che sopravvivono in Italia alcuni putribondi figuri che la Costituzione l’hanno letta, e persino capita. Giuristi, intellettuali disorganici, artisti, semplici cittadini che stanno contribuendo al successo dell’appello del Fatto, giunto a 200mila firme in due settimane. L’altroieri ha aderito Gherardo Colombo, ex pm, ora presidente della Garzanti e membro indipendente del Cda Rai, impegnato da anni in un giro delle scuole e dei teatri per spiegare la Costituzione. Nell’intervista a Silvia Truzzi, Colombo si è permesso – con il suo ragionare pacato, rispettoso e argomentato – di appellarsi al presidente della Repubblica, che ha giurato non una, ma due volte sulla Costituzione: quella del 1948, non un’altra. E ha osato ricordare il percorso ideologico di Giorgio Napolitano, che fino ai 20 anni fu fascista, poi comunista dal novembre ‘45 (quando fu proprio sicuro che Mussolini fosse morto), stalinista e filosovietico nel ‘56 con l’imbarazzante elogio dei carri armati dell’Armata rossa che schiacciavano nel sangue la rivolta d’Ugheria, ma anche nel 1964 quando esaltò l’espulsione e l’esilio di Solgenitsin e nel 1969 quando partecipò all’espulsione dei compagni del Manifesto che osavano criticare Mosca per la repressione della Primavera di Praga, e infine divenne filocraxiano nei primi anni 80, attaccando frontalmente Berlinguer, reo di insistere troppo sulla “questione morale”. Colombo ricorda le radici del “centralismo democratico” e del “primato della politica” (cioè del partito e poi dei partiti), per spiegare l’appoggio del Colle al disegno antidemocratico Senato & Italicum e alle tagliole & canguri antidemocratici imposti da Grasso al Senato. E le reazioni da destra, centro e sinistra è un piccolo trattato su com’è ridotta la democrazia in Italia: la miglior conferma alle tesi di Colombo. Sul Corriere, il corazziere Paolo Franchi freme di sdegno perché Colombo “da magistrato ai tempi di Mani Pulite proponeva a se stesso e ai suoi col- leghi di ‘rovesciare l’Italia come un calzino’. I risultati sono sotto gli occhi di tutti”.
Forse confonde Colombo con Davigo, che peraltro non propose mai di “rovesciare l’Italia come un calzino”: fu accusato di volerlo fare da Giuliano Ferrara. Il fatto poi che la corruzione sia sopravvissuta all’inchiesta su Tangentopoli non è certo colpa del pool di Milano (“i risultati sotto gli occhi di tutti”): a meno che Franchi non ritenga che la sopravvivenza della mafia sia colpa del pool di Falcone e Borsellino. Non contento, Franchi si avventura poi nella difesa del passato più indifendibile di Napolitano, dando a Colombo del “cocomeraio” che fa “un’immangiabile marmellata di marcia su Roma, Stalin, Ungheria” e accusando Silvia Truzzi di non avergli domandato che c’entri tutto ciò con la riforma costituzionale. Se sapesse leggere, il corazziere scoprirebbe che la nostra giornalista quella domanda l’ha fatta, e Colombo ha risposto. Se poi a Franchi la risposta non garba, affari suoi. Ma non si comprende cosa voglia, anzi lo si comprende benissimo: vorrebbe che ci allineassimo al giornalismo italiota, che censura i fatti per non disturbare il manovratore. Come Massimo Bordin del Foglio, che dipinge Colombo come un rampollo dell’“élite milanese che negli anni 60-70 trovava posto dietro i ritratti di Stalin portati in processione da Capanna”: forse lo confonde col suo direttore Ferrara, lui sì ex comunista togliattiano. Il meglio però lo dà il fu Giornale, che registra una ridicola nota del Quirinale: “La storia del presidente parla da sola” (appunto). E riprende le tragicomiche difese d’ufficio dei pidini, letteralmente sgomenti dalla comparsa di un uomo libero. Miguel Gotor invita Colombo a “rileggersi la biografia di Napolitano” (riappunto). E tale Stella Bianchi trova “impossibile che quelle frasi inaccettabili vengano da un uomo delle istituzioni”. Giusto: un uomo delle istituzioni dovrebbe usare la propria libertà di parola solo per incensare chi comanda. Resta da capire la differenza fra le istituzioni e Cosa Nostra.
Mentre scrivevo questo post è arrivata la richiesta di arresto per Luigi Cesaro, ex presidente della provincia di Napoli che segue di poche ore l’arresto di Giancarlo Galan, ex governatore del Veneto votato ieri dal parlamento ed eseguito in serata. Entrambi sono di casa nel partito di quello che ieri Napolitano ha definito l’interlocutore significativo, ovvero il pregiudicato delinquente col quale Renzi vuole scassinare la Costituzione con la benedizione, anzi, il sollecito, di Napolitano.
Il parlamento italiano si riunisce per decidere l’arresto di qualcuno con una frequenza impressionante. Un qualcuno che, nel peggiore dei casi, tutto quello che gli può capitare è restare in una cella il tempo necessario [ore] ai suoi avvocati per inoltrare la fatidica richiesta di concessione dei domiciliari che verrà puntualmente accolta. In questo paese i cittadini sono costretti ad assistere alle assemblee di persone pagate per fare altro, per occuparsi dei problemi della gente e non dei loro, che devono decidere se è il caso o meno che un cittadino, eletto e dunque soggetto al rispetto di quella Costituzione che pretende che il cittadino a cui vengono affidate funzioni pubbliche adempia ad esse con disciplina ed onore, debba o meno continuare a far parte degli eletti, restare una persona libera oppure no anche quando tradisce il suo mandato e la legge. Personalmente non mi fido di gente che, secondo coscienza, la sua, ha votato per ben due volte no all’arresto di cosentino nonostante la sua liaison con la camorra fosse un fatto ormai acclarato.
Mi piacerebbe vivere in un paese dove al politico non fosse riconosciuto lo status di privilegiato anche quando commette dei reati.
Abbiamo un articolo della Costituzione che ORDINA al funzionario di stato, quale che sia il suo ruolo e livello, di adempiere alla sua funzione con disciplina e onore. Se i politici presenti nei vari parlamenti da svariati decenni ad ora avessero dovuto essere giudicati in base al semplicissimo dogma che chi si deve occupare delle cose degli altri deve essere meglio degli altri, il parlamento sarebbe rimasto deserto.
Nessuno ha mai avuto i titoli corrispondenti a ciò che chiede la Costituzione. Non solo per disonestà ma anche per aver approfittato della carica politica per favorire parenti, amici e conoscenti. Ed ecco che anche in questo caso vengono a mancare sia la disciplina che l’onore, quel disinteresse onesto col quale approcciarsi alla politica.
Il politico che viene indagato o accusato deve tornare ad essere un cittadino come gli altri, farsi da parte e risolvere le sue beghe, in caso di innocenza, tornerà, ma basta con questa sceneggiata della seduta parlamentare per decidere l’arresto che ormai ha una cadenza fissa e anche piuttosto frequente.
Non date retta a Napolitano, gli spettri ci sono eccome, e ce ne sono tanti. Firmate e fate firmare l’appello del fatto Quotidiano, non servirà ma almeno ci togliamo la soddisfazione di far sapere al presidente della repubblica che è anche un bugiardo, perché i governi di “emergenza” e di larghe intese, non eletti da nessuno non si occupano di riforme costituzionali.
Le riforme costituzionali le fanno i parlamenti scelti dai cittadini con elezioni regolari e NAZIONALI per mezzo delle quali si ottiene una maggioranza vera, non un minicaravanserraglio di incapaci e bugiardi anche loro come quello di Renzi che in forza dei dieci milioni di persone che lo hanno votato alle europee pensa di poter stravolgere le regole di un paese.
Napolitano ha imposto agli italiani Monti, nominato senatore a vita in fretta e furia senza le prerogative che prevede la Costituzione, proprio come fu nominato Napolitano a sua volta da Ciampi, ufficialmente per tirare fuori l’Italia dal disastro economico col risultato che Monti e i suoi ministri sobri, eleganti, quelli davanti ai quali la stessa informazione che oggi incensa Renzi e ieri lo faceva con Letta jr si è prodotta in orgasmi multipli e ripetuti sono riusciti solo a distruggere quel poco di stato sociale su cui potevamo ancora fare affidamento nonostante berlusconi.
Dopodiché Napolitano ha imposto le larghe intese e il governo di Letta ufficialmente per garantire una governabilità ma soprattutto perché il parlamento lavorasse ad una legge elettorale per permettere ai cittadini di potersi scegliere un parlamento e un governo ai quali delegare ANCHE, eventualmente, le riforme costituzionali.
Naturalmente, come ben sappiamo anche il governo di Letta non ha prodotto nulla di utile ma tutti, comprese le meteore sconosciute nominate ministri e sottosegretari sono state pagate e strapagate e lo saranno ancora e a vita come se avessero lavorato davvero per il bene del paese.
Ora abbiamo Renzi che ha praticamente tolto la poltrona sotto al culo di Letta pensando di averne i titoli solo perché aveva vinto le primarie del suo partito che, vale la pena di ricordare, non hanno nessuna valenza istituzionale: a nessun amministratore di condominio eletto anche col plebiscito dai residenti nel palazzo si affiderebbe la gestione di un paese.
E il governo di Renzi si sta forse impegnando a quella legge elettorale necessaria per far tornare i cittadini a votare? Ovviamente no, se ha rimesso in mano la discussione e la relazione della nuova legge anche all’autore di quella giudicata incostituzionale dalla Consulta, una contraddizione talmente enorme che ha costretto anche calderoli a riconoscerla.
Nel frattempo però Renzi si sta dando molto fare per quelle cose che lui ritiene siano necessarie a far ripartire il paese: forse lavorare per il lavoro? Ri_ovviamente no, le cose necessarie per ridare fiducia agli italiani, quelle impellenti e non più rimandabili sono l’abolizione del senato, restituire quell’immunità parlamentare a cui gli italiani avevano già detto no con un referendum, e immancabilmente quella riforma della giustizia invocata da Napolitano al quale non va giù che l’Interlocutore Significativo, quello necessario alle riforme e ben accolto nei palazzi sia diventato nel frattempo un pregiudicato, condannato in via definitiva. Napolitano sta imponendo agli italiani delle riforme da fare con un delinquente da galera senza che nessuno provi un po’ di vergogna, i cosiddetti democratici, quelli che al delinquente si sarebbero dovuti opporre ma non l’hanno mai fatto e naturalmente la stampa a 90 che continua a descrivere l’operato di Renzi e l’appoggio incondizionato del presidente della repubblica, che invece si comporta e agisce come un capo di partito, come la miglior cosa che ci potesse capitare. Se ancora non fosse chiara la questione, ha detto Napolitano, presidente della repubblica e capo supremo della Magistratura nonché garante della Costituzione, che Renzi può riformare la Costituzione e la giustizia con un condannato alla galera.
Pertini all’età di Napolitano ha smesso il mandato e si è ritirato a vita privata. Se la figura del presidente della repubblica restasse simbolica come dovrebbe essere secondo Costituzione andrebbe bene anche l’età avanzata, specialmente se è il giusto coronamento ad una carriera politica meritevole, mentre Napolitano non è affatto simbolico, lui ordina, interviene, suggerisce e ottiene. Per il bene del paese, s’intende. Di Napolitano inoltre non si ricorda nulla di significativo: cos’ha fatto di bello Napolitano? Per quali motivi importanti i ragazzini di domani dovranno leggerlo sui libri di Storia? Sono queste le domande, a cui però è difficile dare una risposta.
L’età quindi diventa un problema quando come nel caso di Napolitano, unico nella storia di questa repubblica, non solo perché rieletto una seconda volta, evidentemente alla politica serviva proprio lui, non rappresenta un simbolo ma si pone oltre quelle prerogative previste dalla Costituzione che lui dovrebbe garantire, non contribuire al suo smantellamento. Napolitano decide, interviene, comanda con la SUA visione delle cose, che è quella di una persona di novant’anni. Nulla da obiettare sull’anziano che fa altri mestieri: Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Andrea Camilleri, Dario Fo, persone rispettabilissime che hanno fatto il loro con onore. E’ proprio la figura del capo dello stato che mal si attaglia ad una persona di quella età che essendo vecchia impedisce un progresso moderno.
Il problema è che a 89 anni non te ne frega un cazzo di spenderti per un paese migliore, specialmente se i tuoi figli, e i figli dei loro figli hanno e avranno un futuro assicurato, niente da temere.
A quell’età non interessa il futuro ma si vive molto attorcigliati nel proprio passato. Quella è l’età in cui tutti gli argomenti e le situazioni sono uguali. Non esiste più una priorità né la paura di fare brutte figure, di rovinarsi la reputazione anche per quell’assurda teoria che l’anziano va rispettato in virtù della sua età.
Nemmeno per idea, il rispetto è qualcosa che si può eventualmente raccogliere dopo averlo dato e dimostrato. A qualsiasi età.
E l’età avanzata, lo abbiamo imparato proprio dai politici, quasi mai coincide con la saggezza.
Non c’è più niente che sia così importante, da dover difendere quando una manciata di mesi separa dalla morte.
E’ per questo che a novant’anni una persona che ha pure la fortuna di esserci arrivata in buone condizioni di salute, non foss’altro perché da più di sessanta c’è chi lavora per lei, non dovrebbe avere nessun diritto di ricoprire un ruolo così importante nello stato.
Il tetto non ci vorrebbe solo sui compensi ma anche sull’età.
A novant’anni stai a casa tua a fare altro, quello che fanno tutti i privilegiati che ci arrivano, altroché il presidente della repubblica.
Erano alcuni giorni che Giorgio Napolitano non interferiva nei lavori parlamentari e non s’impicciava in quel che resta della libera stampa, ma ieri alla cerimonia del Ventaglio ha recuperato su entrambi i fronti in una botta sola. Non contento della maggioranza più bulgara dai tempi della Cortina di Ferro e anzi allarmato dalla sopravvivenza a Palazzo Madama e nell’opinione pubblica di alcuni vagiti di opposizione al pensiero unico renzusconiano, ha pensato bene di dare una legnata a quei quattro gatti che osano sottolineare gli aspetti duceschi e castali della presunta “riforma del Senato”: “Non si agitino spettri di insidie e macchinazioni di autoritarismo”. Ce l’aveva con l’appello del Fatto, che ha superato le 150 mila firme, con i 5Stelle, con Sel e con la sparuta pattuglia di dissidenti nel Pd, nei vari centrini e nel centrodestra. Noi, per parte nostra, possiamo assicurargli che il suo monito irrituale e illegittimo ci fa un baffo: continueremo ad agitare gli spettri di autoritarismo di due controriforme che – secondo i migliori costituzionalisti – concentrano molti poteri e aboliscono molti controlli sulla figura mostruosa di un premier-padrone che fa il bello e il cattivo tempo e impediscono ai cittadini di scegliersi i deputati e addirittura di eleggere i senatori.
Non è vero – come afferma il presidente – che “la discussione sulle riforme è stata libera”: di quale discussione va cianciando? Tra chi e con chi? I cittadini sono totalmente esclusi dal processo riformatore, visto che non hanno mai votato per questa maggioranza e questo governo, non hanno mai eletto questo premier (se non a sindaco di Firenze) e l’ultima volta che andarono alle urne per il Parlamento (febbraio 2013) nessun partito sottopose loro l’idea di abolire le elezioni per il Senato e confermare le liste bloccate per la Camera. Anzi tutti i partiti promisero di abolire il Porcellum per restituire agli elettori il sacrosanto diritto di scegliersi i parlamentari, non per farne un altro chiamato Italicum. Napolitano sostiene che le critiche alle “riforme” “pregiudicherebbero ancora una volta l’esito della riforma della seconda parte della Costituzione” e il superamento del “bicameralismo paritario, un’anomalia tutta italiana, un’incongruenza costituzionale sempre più indifendibile e fonte di gravi distorsioni del processo legislativo, quasi idoleggiato come un perno del sistema di garanzie costituzionali”. E purtroppo anche qui mente: i senatori dissidenti, i costituzionalisti critici e anche noi del Fatto abbiamo avanzato fior di proposte per differenziare poteri e funzioni di Camera e Senato, quindi è falso che vogliamo conservare il bicameralismo paritario: vogliamo semplicemente un Senato elettivo, con ruoli diversi da quelli attuali, ma non degradato a dopolavoro part time per sindaci e consiglieri regionali nominati dalla Casta e coperti da immunità full time. Ed è una balla che il processo legislativo sia bloccato o distorto dal bicameralismo, come dimostrano le peggiori porcate approvate in meno di un mese. In ogni caso non spetta né al Colle né al governo, ma al Parlamento stabilire se e come la Costituzione vada cambiata: non s’è mai visto un governo cambiare la Carta fondamentale a tappe forzate, con la complicità del Quirinale. Non foss’altro perché il capo dello Stato e i membri del governo giurano sulla Costituzione esistente e si impegnano a difenderla, non a smantellarla. Senza contare che il governo sta in piedi solo grazie a un premio di maggioranza che non dovrebbe esistere, e invece gli consente di impedire – con i due terzi estrogenati – ai cittadini di esprimersi nel referendum confermativo. Non manca, e ti pareva, un monitino alla stampa: Sua Altezza intima ai giornalisti – che peraltro obbediscono in gran parte col pilota automatico – di astenersi “dal gioco sterile delle ipotesi sull’ulteriore svolgimento delle mie funzioni da presidente: una valutazione che appartiene solo a me stesso”. In realtà appartiene alla Costituzione, che fissa in 7 anni il mandato presidenziale, e pure ai cittadini, che hanno il sacrosanto diritto di sapere se e quando se ne va Il finale è da manuale: sotto con la “riforma della giustizia”, ovviamente “condivisa”. Con chi? Con il pregiudicato, ça va sans dire.
L’estate scorsa, dopo la condanna di B. per frode fiscale, il presidente annunciò che era venuto il gran momento; ora, dopo l’assoluzione di B. per il caso Ruby, ribadisce (con notevole coerenza) che è giunta l’ora. Cos’è cambiato? Roba forte: “È arrivato il riconoscimento espresso da interlocutori significativi per ‘l’equilibrio e il rigore ammirevoli’ che caratterizzano il silenzioso ruolo della grande maggioranza dei magistrati”. E chi sarà mai l’“interlocutore significativo”? Ma il pregiudicato B., naturalmente: il fatto che insulti i giudici che lo condannano ed esalti quelli che lo assolvono (anche perché al primo insulto finisce al gabbio) è un evento epocale, meraviglioso, balsamico che – svela il monarca – “conferma quello che ho sempre asserito”: anche Napolitano, come il Caimano, pensa che “la grande maggioranza dei magistrati fa il proprio lavoro silenziosamente, con equilibrio e rigore ammirevoli”. Viva i magistrati muti che assolvono i potenti aumma aumma. A dire il vero, ci sarebbe l’ultimo ritrattino dell’Interlocutore Significativo per la riforma della Costituzione e della Giustizia, tracciato dall’amico Emilio Fede: quattro parole icastiche, “Mafia soldi soldi mafia” col contorno di Dell’Utri & famiglia Mangano. Ma che sarà mai. Fortuna che Totò Riina non ha ancora chiesto udienza al Quirinale, a Palazzo Chigi e al Nazareno per proporsi come Interlocutore Significativo. A questo punto sarebbe difficile dirgli di no. E soprattutto spiegargli il perché.
Expo, Mose, a quando una bella retata anche per il Tav? Così almeno capiscono tutti, si spera in modo definitivo, che le grandi opere italiane servono soltanto a far ingrassare i grandi delinquenti di tutti i colori politici. Va bene che l’onestà non è più e da tempo la “condicio sine qua non” per fare politica, ad occhio però pare che qualcuno se ne sia approfittato oltremodo. Il dramma è che ancora ci illudiamo che si possa fare una qualche differenza. Stiamo sempre ad insistere e a convincerci che no, non sono tutti uguali, ma la diversità purtroppo non la fa il nome.
La verità è che la politica dovrebbe stare lontana anni luce dai soldi di tutti. Io non sono più garantista verso la politica, spiacente, ho terminato i bonus. Noi gente un motivo per fare schifo lo abbiamo sempre, tutti dicono sempre che la colpa è nostra, di tutti, nessun distinguo così come si fa puntualmente per i politici: loro non sono tutti uguali ma noi sì. E se quel motivo non c’è lo si inventa, ipotizza, un po’ come nella barzelletta del cinese che quando rientra la sera a casa picchia la moglie che sicuramente qualcosa per meritare la punizione l’ha fatta. Ma va tutto bene. Dio salvi le regine e pure i re.
Ci dicono che i politici che rubano sono poche mele marce, la stessa cosa ce la raccontano a proposito delle forze dell’ordine violente. Non sono tutti ma sono tanti, corruzione, ladrocini, anzi “distrazioni”, come si dice ai piani alti e violenze si sono ripetuti con una cadenza pericolosamente frequente. Digitando su google le parole pestaggio e polizia esce fuori un intero mercato di mele marce. Per conoscere il peso e la quantità delle mele marce in politica invece basta leggere i quotidiani tutti i giorni. In entrambi i casi quelle mele non smetteranno di marcire finché non verrà curata la pianta, non verrà usato l’opportuno veleno che si chiama legge, giustizia, certezza della pena, lo stesso trattamento che si riserva al criminale quando è solo un cittadino. Ma finché il politico ladro sarà considerato come uno che non ha rubato e al poliziotto, al carabiniere violento si lascerà la divisa addosso come a chi violento non è, quegli alberi non guariranno. Chi tradisce lo stato, da politico o da funzionario va radiato, dal parlamento come da una caserma, da una questura, messo in condizioni di non nuocere e non tradire più.
Fassino, quello che “aveva una banca?” che garantisce per Orsoni, il sindaco di Venezia arrestato ma prontamente spedito ai domiciliari – ché non sia mai le eccellenze possano constatare “de visu” quali sono le condizioni delle carceri in Italia, per loro l’arresto è una semplice toccata e fuga da parte dello stato – è lo specchio della malattia endemica e virale di questo paese dove nella politica non si è delinquenti mai: nemmeno con le prove. berlusconi è la prova provata di uno stato che in materia di applicazione di legalità, giustizia e uguaglianza ha fallito, ceduto le armi democratiche alla disonestà e alla delinquenza nelle istituzioni.
Per tutte le altre categorie, invece, non ci sono Fassini garanti pronti a sputtanarsi per il collega che viene beccato a fare quello che non si fa.
Ed è anche la prova che quella casta che doveva modificare il suo assetto, mettersi al servizio del paese, abbassare la testa come da richieste napolitane di un paio d’anni fa non ci pensa minimamente a farlo. Da quando Napolitano sprecò un 25 aprile per illuminarci sui pericoli del populismo anziché riflettere sui motivi che hanno eroso e corroso fino ad annullarlo l’interesse dei cittadini per la politica. Come se il voltafaccia della gente fosse il frutto, il risultato di piccoli sgarbi e non di una politica che da quando esiste questa repubblica ha sempre messo l’interesse personale davanti a quello pubblico.
Inutile spiegare che se Renzi “non c’entra” è comunque la faccia di un partito che non può vantarsi di essere migliore di altri, e quando si entra a far parte di un’organizzazione così malconcia se non si è responsabili in prima persona delle malefatte avvenute prima un po’ complici lo si è.
Il pd è sempre quello delle larghe intese con Alfano [ancora e incredibilmente ministro dell’interno] che ieri si congratulava con la correttezza della procura di Venezia perché “gli arresti sono avvenuti dopo le elezioni”, verrebbe da chiedersi se anche gli elettori sono d’accordo con Alfano, se gli è andato bene votare “a babbo morto” un partito che ha dimostrato ampiamente di essere tal quale a quello che ha sempre fatto finta di ostacolare in parlamento, Renzi è quello che discute di legge elettorale e di riforme costituzionali con Verdini, indagato, inquisito varie volte sempre per gli stessi reati legati a truffe e corruzione e Renzi è sempre quello della profonda sintonia con un criminale, il magnifico rassemblement benedetto dall’anziano monitore che poi si commuove nelle occasioni importanti.
La Moretti, una delle vestali giovani del pd di Renzi che ieri sera dalla Gruber magnificava l’avventura di questa classe politica nuova è la stessa che un paio di giorni prima delle elezioni diceva che si potevano votare tutti, “anche Ncd e forza Italia ma non i 5stelle”.
Nardella, neo sindaco di Firenze mette già le mani avanti dicendo che “i sindaci sono persone sempre esposte”, come se l’esposizione dovesse comprendere per forza anche i legami con la criminalità e il malaffare. Non si può fare il sindaco di una grande città senza esimersi, evidentemente.
A margine di tutto c’è una grande percentuale di cittadini/elettori a cui le vicende di corruzione e tangenti non interessano. Il pd ha preso il 40,8% alle elezioni europee nonostante lo scandalo e gli arresti di Milano, l’arresto del ras di Messina Francantonio Genovese, cose accadute non un anno o dieci fa ma solo qualche giorno prima di votare, e l’IPSOS ci ha fatto sapere che il governo di Renzi gode del 68% dei consensi fra la gente.
Raffaele Fitto, ex presidente di regione in Puglia ed ex ministro di berlusconi, dunque condannato in primo grado a quattro anni ridotti ad uno grazie all’indulto per corruzione, finanziamento illecito ai partiti e abuso d’ufficio è stato l’eletto più preferito dagli italiani.
Tutto questo perché a margine del margine c’è stato il grande lavoro della cosiddetta informazione che, mentre glorificava gli splendidi scenari che si sarebbero aperti col governo di Renzi parlava d’altro, cosa che continua a fare, che ha sempre fatto da quando salvo rare eccezioni ha scelto di mettersi al servizio della politica, quale essa sia, dei governi, anziché svolgere quella funzione educativa e pedagogica qual è quella di informare correttamente i cittadini su cosa fa realmente la politica e come si comportano i politici.
#mazzettastaiSerenissima – Marco Travaglio, 5 giugno
Se esistesse ancora un minimo di decenza, milioni di persone perbene – elettori, giornalisti, intellettuali, eventuali politici e imprenditori – dovrebbero leggersi l’ordinanza dei giudici di Venezia sul caso Mose e poi chiedere umilmente scusa a Beppe Grillo e ai suoi ragazzi. Anni e anni sprecati ad analizzare il suo linguaggio, a spaccare in quattro ogni sua battuta, a deplorare il suo populismo, autoritarismo, giustizialismo, a domandarsi se fosse di destra o di centro o di sinistra, a indignarsi per le sue parolacce, a scandalizzarsi per le sue espulsioni, ad argomentare sui boccoli di Casaleggio e sul colore del suo trench, a irridere le gaffes dei suoi parlamentari, a denunciare l’alleanza con l’improbabile Farage (l’abbiamo fatto anche noi, ed era giusto farlo, ma in un paese normale: dunque non in Italia). Intanto destra, sinistra e centro – quelli che parlano forbito e non hanno i boccoli – rubavano. Rubavano e rubano tutti, e insieme, sempre, regolarmente, scientificamente, indefessamente, su ogni grande e piccola opera, grande e piccolo evento, appalto, consulenza, incarico.
Anzi, ogni grande e piccola opera, grande e piccolo evento, appalto, consulenza, incarico servono soltanto a far girare soldi per poterli rubare. Tutti i più vieti luoghi comuni del qualunquismo bar – sono tutti d’accordo, è tutto un magnamagna – diventano esercizi di minimalismo davanti alla Cloaca Massima che si spalanca non appena si intercetta un telefono, si pedina un vip, si interroga un imprenditore. Basta sollevare un sasso a caso per veder fuggire sorci, pantegane, blatte e bacherozzi maleodoranti con i nostri soldi in bocca, o in pancia (il Mose doveva costare 2 miliardi, ne costerà 6 e ora sappiamo perché). La Grande Razzia che ha divorato l’Italia e continua a ingoiarsene le ultime spoglie superstiti è sopravvissuta a Mani Pulite, agli scandali degli ultimi vent’anni e alla crisi finanziaria, nutrendosi dell’impunità legalizzata, dell’illegalità sdoganata e dell’ipocrisia politichese di chi vorrebbe ancora convincerci che esistono i partiti, le idee, i valori della destra, del centro e della sinistra.
Invece esiste soltanto una gigantesca, trasversale, post-ideologica associazione per delinquere che si avventa famelica su ogni occasione per rubare, grassare e ingrassare a spese di quei pochi fessi che ancora si ostinano a pagare le tasse. A ogni scandalo ci raccontano la favola delle mele marce, la frottola della lotta alla corruzione, l’annuncio di regole più severe, la promessa del rinnovamento, della rottamazione. E intanto continuano a rubare, secondo un sistema oliato e collaudato di larghe intese del furto che precede e spiega le larghe intese di governo. E la totale mancanza di opposizione a sinistra negli anni del berlusconismo rampante e rubante. Anche l’art.27 della Costituzione, quello della presunzione di non colpevolezza, diventa una barzelletta se si leggono le carte delle indagini su Expo e sul Mose, dove i protagonisti delinquono in diretta telefonica, o a favore di telecamera: non c’è bisogno della Cassazione, e nemmeno della sentenza di primo grado, per capire che rubavano davvero. Politici, imprenditori, funzionari, generali della Finanza, giudici amministrativi e contabili. Il solito presepe di sempre, che avvera un’altra celebre battuta da bar: a certi livelli “non esistono innocenti, solo colpevoli non ancora presi”. Renzi non ruba, e i suoi fedelissimi sono lì da troppo poco tempo. Ma rischia di diventare il belletto per mascherare un partito marcio con cui – per prenderne il controllo – ha accettato troppi compromessi. Marcio nella testa prim’ancora che nelle tasche. Ieri, senz’aver letto un rigo dell’ordinanza, l’ineffabile Piero Fassino già giurava sulla leggendaria probità del sindaco Orsoni appena arrestato (“chi lo conosce non può dubitare della sua onestà e correttezza”), invitando i giudici ad appurarne al più presto l’innocenza per “consentirgli di tornare alla funzione di sindaco”. Perché, se ne appurassero la colpevolezza cosa cambierebbe? Fassino lo promuoverebbe a suo braccio destro, come ha fatto con Quagliotti pregiudicato per tangenti?
O il Pd gli restituirebbe la tessera, come ha fatto con Greganti pregiudicato per tangenti? La Cloaca Massima è così pervasiva che ogni strumento ordinario per combatterla diventa favoreggiamento. Ma davvero Renzi pensa di affrontarla con il povero Cantone e la sua “task force” di 25 (diconsi 25) collaboratori? O con qualche presunta riforma? A mali estremi, estremi rimedi: cancellare le grandi opere inutili ancora in fase embrionale, dal Tav Torino-Lione al Terzo Valico; cacciare ogni inquisito dai governi locali e nazionali; radiare dai contratti pubblici tutte le imprese coinvolte in storie di tangenti; introdurre gli agenti provocatori per saggiare la correttezza dei pubblici amministratori (come negli Usa); imporre a chi vuole concorrere ad appalti una dichiarazione in cui accettano di essere intercettati, a prescindere da ipotesi di reato (come fece Rudy Giuliani sindaco di New York); piantarla con le “svuotacarceri” (l’ultima è a pag. 7), costruire nuovi penitenziari e, nell’attesa, riattare caserme dismesse per ospitare i delinquenti che devono stare dentro; radere al suolo tutte le leggi contro la giustizia targate destra, centro e sinistra degli ultimi 20 anni. Tutto il resto non è inutile: è complice.
L’unico vero dovere morale di Napolitano sarebbe stato lasciare berlusconi al suo ruolo e al suo destino di delinquente fuori legge. Di non chiedere una riforma della giustizia trenta secondi dopo la sua condanna definitiva, di non intromettersi fra berlusconi, la sua delinquenza e i giudici per consentire all’inguaribile delinquente di poter partecipare alla vita politica. Napolitano anche quando agisce “motu proprio” sa che lo fa in nome e per conto di tutti gli italiani, e alla maggior parte degli italiani non piace, non trova giusto e civile che un delinquente, di quel calibro poi, debba e possa avere la possibilità di fare le stesse cose di chi rispetta la legge. Di avere voce in capitolo nella politica. Quante altre volte berlusconi dovrà parlare pubblicamente di “sentenza mostruosa”, prima di perdere il suo già non diritto ai servizi sociali che, vale sempre la pena ricordarlo si assegnano soltanto ai colpevoli di reati che hanno riconosciuto e accettato la loro sentenza, la loro condanna e che hanno dimostrato pentimento e intenzione di ravvedimento? berlusconi non solo non è niente di tutto questo ma può perfino decidere quando andare, e chi si è occupato di assegnargli il servizio può perfino decidere di affidargli una mansione che “tenga conto delle sue inclinazioni”. Come se non fossero già tristemente note a tutti. Anzi, a quasi tutti.
Giusto perché in una sentenza non si può scrivere di un vecchio erotomane, malato, pervertito e con un irresistibile vizio per la delinquenza. Così, pareva brutto.
Dall’Olocausto ai servizi sociali, ancora una volta in campagna elettorale Berlusconi ruba la scena
‘Napolitano? Grazia era dovere morale’. Renzi? ‘L’avrei preso in Fi’. Caso Shoah, Merkel: ‘Assurdo’
BERLUSCONI A PIAZZAPULITA TORNA SULL’INDULGENZA MANCATA: “L’AVEVO CHIESTA A NAPOLITANO SENZA PRESENTARE ATTI FORMALI”.
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Invece di preoccuparsi delle strategie e dei deliri da eccesso di viagra di un vecchio criminale che qualcuno ancora sta a sentire, sul quale bisognerebbe far calare il silenzio ché questa sì, sarebbe la vera condanna per lui, bisognerebbe farlo a proposito delle strategie di governo; preoccuparsi, ma seriamente, di quello che ci mandano a dire questi giocolieri delle balle a ripetizione. Ad esempio che con ottanta euro una famiglia fa la spesa per mangiare due settimane. Perché questa sì che è strategia: se ottanta euro bastano per mangiare due settimane significa che si può continuare a tagliare sulle altre necessità, che si possono aumentare le tasse abbassando gli stipendi.
Significa che si può continuare ad accorciare l’asticella del rapporto dignità – lavoro.
La politica invece di lavorare per restituire dignità al lavoro ci manda a dire, con una certa continuità, che “chi ha poco o niente è perché non si è impegnato e non ha fatto niente” e che con gli ipotetici ottanta euro che regalerà questo magnifico governo giòòòvane e abusivo – non a tutti ma solo a qualcuno – si può mangiare due settimane in casa e due volte addirittura al ristorante.
Una propaganda becera, volgare e strisciante finalizzata – come sempre – a ridurre anziché potenziare i diritti.
Ormai viviamo in un’epoca in cui l’occupazione è collegata unicamente al concetto di “portare i soldi a casa”. Avere un lavoro che permetta di vivere ma anche di sentirsi gratificati professionalmente e umanamente è un privilegio di pochi. Tutti gli altri, chi un lavoro ce l’ha, sono costretti a misurarsi ogni giorno con l’umiliazione, la mortificazione di non vedersi riconosciuto il diritto ad esistere come persona che offre la sua collaborazione in relazione alla sua competenza in cambio di un giusto compenso, della sicurezza. E questo si traduce nel peggioramento dei servizi di tutti: al precario magari laureato, costretto a fare tutt’altro da quello che dovrebbe fare che lavora oggi ma non sa se lo farà anche fra sei mesi non interessa dare il meglio di sé, non gli conviene. E come se non bastasse tutto questo dobbiamo sopportare anche queste nullità elevate a parlamentari che si proclamano progressisti/e che insultano un giorno sì e l’altro pure.
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Renzémolo – Marco Travaglio, 29 aprile
Dunque sabato sera i telespettatori di Amici saranno privati dell’imprescindibile presenza di Matteo Renzi accanto a Maria, a causa di una legge odiosamente illiberale: la par condicio che proibisce le ospitate di politici nei programmi non giornalistici in campagna elettorale. Si teme così che il premier, già costretto a declinare l’autoconvocazione come goleador alla Partita del Cuore, non tenterà neppure di sfoggiare le sue doti di cantante al concertone del 1° Maggio o a The Voice, cucinare prelibatezze della cucina toscana a Masterchef, saggiare la sua enciclopedica sapienza (leggendaria fin dai tempi della Ruota della Fortuna) in un quiz pre o post-tg, declamare con la sua voce baritonale il segnale orario, le previsioni del tempo e l’oroscopo.
Gli italiani dovranno dunque attendere fine maggio per sapere che faccia ha il presidente del Consiglio, ingiustamente oscurato da tutte le tv, eccezion fatta per i programmi del mattino, del pomeriggio, della sera e della notte. A meno che non accolga l’invito di Barbara D’Urso a Domenica Live che – lo si è scoperto dopo il monologo del Cainano – è nientemeno che un “programma giornalistico”. Se non ci fosse da scompisciarsi di fronte a un capo del governo così pieno di sé da voler occupare ogni teleinterstizio diurno e notturno, verrebbe da domandargli perché se ne infischi così ostentatamente di una legge nata per riportare un minimo di decenza nella patria del conflitto d’interessi, al punto di farsi dare una lezione di par condicio addirittura da Mediaset. La risposta, purtroppo, è nota: vent’anni di berlusconismo hanno coperto e giustificato i conflitti d’interessi del centrosinistra, trincerato dietro l’alibi del “lui ce l’ha più grosso di noi”. Chi parla più della mostruosità di un leader politico proprietario di tre reti televisive che da vent’anni si fa intervistare (si fa per dire) dai suoi impiegati? Anziché sciogliere quel nodo, il centrosinistra si è preso la rivincita controllando pezzi di Rai e di giornali, che usano i medesimi riguardi riservati a B. dai suoi impiegati, senza disdegnare qualche ospitata a Mediaset per dimostrarne lo squisito pluralismo. D’Alema che cucina il risotto a Porta a Porta o duetta con Gianni Morandi su Rai1. Fassino che piagnucola davanti alla tata Elsa a C’è posta per te. Amato che finge di giocare a tennis con Panatta chez Vespa. Politici di ogni colore che fanno i pagliacci al Bagaglino con le torte in faccia. Quando Renzi dice che il patto con B. riguarda “solo” le riforme (hai detto niente), gli sfugge che la scelta di un simile partner costituente gl’impedisce di polemizzare con le mostruosità che escono dalla sua bocca (per dire qualcosa sulla dichiarazione di guerra alla Germania, ha dovuto equipararla alla “frase inaccettabile di Grillo sulla Shoah”, che però non esiste: Grillo non ha detto nulla sulla Shoah; ha parafrasato molto inopportunamente un brano di Primo Levi, con un assurdo fotomontaggio sulla P2 e Auschwitz). E di fare qualcosa contro il conflitto d’interessi, che infatti resta tabù. Più i giorni passano, più il leader “nuovo” somiglia a quelli che doveva rottamare: chiacchiere tante, fatti pochi e transumanze da una tv all’altra per “fare il simpatico”. La differenza è il giubbotto fico al posto della grisaglia. Appena entrato a Palazzo Chigi, oltre ai virus della chiacchierite e dell’annuncite, Renzi ha contratto pure la prezzemolite. Aiutato dalla peggior classe giornalistica del mondo, s’è convinto che gl’italiani muoiano dalla voglia di sapere se preferisce la carne o il pesce, le bionde o le more, gli slip o i boxer. Ieri è apparso in tv con un pallone e poi con una banana in mano. Intanto la Boschi ci ragguagliava su Vanity Fair su altre questioni decisive: se vuole dei figli, e se sì quanti, se ha già trovato l’uomo giusto o se possiamo fare qualcosa per aiutarla nelle ricerche. Un giorno o l’altro magari verrà fuori un politico serio, che si fa eleggere e va al governo per governare e parla solo quando ha qualcosa da dire: non per promettere ciò che farà, ma per comunicare ciò che ha fatto. E non lo noterà nessuno.
Sottotitolo: il partito dell’amore, fondato da un mafioso, guidato da un delinquente abituale e votato da masse di imbelli e mentecatti che secondo qualcuno meritano rispetto e una loro rappresentanza politica. Per questo dobbiamo sopportare un presidente della repubblica e uno del consiglio che trattano, concedono udienza, riconoscendo dunque una dignità politica che non merita più, semmai l’abbia mai meritata, ad un interdetto e giudicato decaduto da senatore qual è l’amico fraterno, inseparabile di un mafioso condannato per frode allo stato. Uno che non può nemmeno votare. Una catena di affetti che non si può interrompere.
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Vittorio Mangano, l’eroe di berlusconi e di dell’utri perché capace di tenere la bocca chiusa, era già un mafioso quando venne assunto da berlusconi su suggerimento di dell’utri in qualità di stalliere. In quel periodo, molto prima della famosa discesa in campo, aveva già collezionato tre arresti, denunce, condanne e una diffida con segnalazione di “persona pericolosa”. Ma nonostante questo sia berlusconi che dell’utri hanno sempre detto di non essere a conoscenza delle sue attività delinquenziali. Dichiarazioni smentite dal tribunale di Palermo che affermò che dell’utri non poteva non conoscere lo “spessore delinquenziale” di Mangano, e anzi, lo avrebbe scelto proprio per le sue referenze quale angelo custode dei figli di berlusconi dopo esplicite minacce di morte ricevute nel caso in cui non avesse ubbidito alle richieste della mafia. I rapporti di dell’utri con la mafia formano una relazione stabile da almeno trent’anni, e una sentenza gli ha riconosciuto il ruolo di intermediario fra berlusconi e cosa nostra, anzi, loro. Uno come dell’utri, coi suoi precedenti, con le sue conoscenze, con le sue frequentazioni, è proprio necessario vederlo con la lupara in mano per considerarlo persona inaffidabile? Eppure, berlusconi con uno così ha fondato Forza Italia, lo stesso partito con cui oggi, anno del signore 2014, Matteo Renzi si siede al tavolo della discussione politica.
Sono tre anni che sopportiamo ministri abusivi di governi abusivi che fanno cazzate a raffica e che non si possono dimettere perché sennò cade il governo, piange Gesù e anche Napolitano. Beh, chi se ne frega dei governi – abusivi – che cadono. Se Renzi non prende provvedimenti con Alfano, se Alfano resta ministro dell’interno nonostante non abbia saputo prendere le opportune misure per evitare la fuga del numero 2 di forza Italia, il mafioso mentore del criminale numero 1 non vale niente il governo e non vale niente nemmeno Renzi.
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La memoria è importantissima. Così come è importantissimo ricordare le cose. Anche se “sono sempre le stesse” e c’è chi si annoia a sentirsele ripetere. Perché le cose saranno sempre le stesse finché non verranno sostituite da altre cose. Finché quelle cose “stesse” non verranno risolte, finché non lasceranno spazio all’ipotesi che anche l’Italia un giorno che verrà potrà diventare un paese [un po’ più] normale [un po’ più] civile [un po’ più] sano. Finché nella mentalità generale di chi abita questo sciagurato paese non si accenderà quella luce che illumina il pensiero. Il lavoro di Marco Travaglio è un gigantesco esercizio di memoria quotidiano, e per fortuna che che lo fa, per fortuna non si stanca di ripetere le cose “stesse”, per fortuna anche stamattina ci ricorda l’assurdo teorema di berlusconi che andava battuto politicamente col quale si è fatta scudo una politica vigliacca, disonesta, che prima ha costruito il mostro e poi non se ne è voluta [potuta] liberare.
Noi invece dovremo raccontare ai nostri figli e nipoti, e lo dobbiamo fare facendo nomi e cognomi, che in Italia c’è stato chi, da onesto come si definiva, ha considerato dei mafiosi, delinquenti comuni, criminali seriali persone politicamente affidabili [vale la pena ricordare la “profonda sintonia” di Renzi con berlusconi col quale parla ormai come un vecchio amico] nascondendo questo scempio dietro l’alibi di un consenso popolare che contrariamente a quel che molti pensano non è un’autorizzazione a delinquere. I due fondatori di Forza Italia pregiudicati, delinquenti conclamati e condannati e l’attuale governo con un partito così pensa di farci le riforme, di fargli avere voce in capitolo per modificare niente meno che la Costituzione sotto gli occhi compiaciuti del giornalismo servo e complice e del presidente della repubblica orgoglioso di aver edificato questa mostruosità e che su una simile empietà non trovano niente di strano, di anormale e di malato ma anzi continuano a suggerire di andare avanti che meglio di così non si potrebbe.
Non c’era miglior modo di celebrare il ventennale di Forza Italia dell’arresto dei due padrini fondatori. Il primo, SB detto l’Evasore, è ufficialmente detenuto ma resta a piede libero e non al gabbio, ma solo a patto che non parli male dei giudici e non frequenti pregiudicati: cioè che smetta di vivere (non può vedere Previti, né Dell’Utri, ma nemmeno il fratello Paolo e neppure i direttori dei suoi giornali). Il secondo, MDU detto l’Evaso, dovrebbe essere in galera (dove già soggiornò per un breve periodo nel 1995) da qualche giorno, ma si è dato latitante: chi dice in Libano, chi a Santo Domingo, chi in Guinea-Bissau. E solo grazie alla provvidenziale benevolenza della Corte d’appello di Palermo, che ha respinto un anno fa una richiesta della Procura generale di arrestarlo e poi due istanze per vietargli almeno l’espatrio, firmando il mandato di cattura soltanto il 7 aprile, una settimana prima della sentenza definitiva del suo processo per mafia, quando il galeotto era già uccel di bosco.
Vengono così smentite tre leggende metropolitane che hanno dominato il dibattito politico nell’ultimo ventennio: che quella di Forza Italia sia una storia politica e non criminale; che B.&C non andassero combattuti “per via giudiziaria”; e che la giustizia italiana sia affetta da “manette facili” per i potenti. Ora i nodi vengono al pettine tutti insieme: quella di Forza Italia è una storia criminale (non bastando i due fondatori, spiccano Cosentino e Matacena, leader del partito in Campania e in Calabria, entrambi detenuti); senza la “via giudiziaria” B.&C sarebbero ancora al governo; le manette per i potenti non sono facili né difficili, sono impossibili. Nella sua lunga vita B. ha cambiato due mogli quasi tre, centinaia di donne, vari mestieri e stallieri, due squadre di calcio (da giovane era interista), diversi amici degli amici, ville, pelli e capelli, ma Marcello non si cambia: un Dell’Utri è per sempre. Malgrado le differenze anagrafiche (uno nato a Milano nel 1936, l’altro a Palermo nel 1941), i due sono legati indissolubilmente finché morte non li separi, nei secoli fedeli e soprattutto zitti, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. Malattia che ora si manifesta in simultanea, come nelle coppie così affiatate da diventare una cosa sola, in singolare coincidenza con l’approssimarsi della galera: ginocchio infiammato per l’uno, guai cardiaci per l’altro. A volte si sono separati, come fra il 1978 e il 1982 quando Marcello lasciò la Fininvest per lavorare con un altro amico dei boss (Rapisarda), o come nel 1999 quando con prodigiosa precocità staccò Silvio e tutta la Banda B. patteggiando in Cassazione la sua prima condanna definitiva a 2 anni e 3 mesi, mentre gli altri, trafelati, erano ancora imputati in tribunale. “Per loro – disse Luttazzi – il codice penale è un catalogo di opzioni”. Marcello si specializzò in concorso esterno, estorsione, false fatture, abusivismo edilizio (per una casetta su un albero), minaccia a corpo politico, loggia P3, corruzione. Silvio rispose da par suo con corruzioni di giudici e di testimoni, finanziamenti illeciti ai partiti, falsi in bilancio, falsa testimonianza, prostituzione minorile, concussione e naturalmente frode fiscale: la specialità della casa che alfine li affratella in un solo destino. Marcello lasciò il Parlamento l’anno scorso. Silvio lo seguì a stretto giro: ricandidato, rieletto, ma quasi subito decaduto e ineleggibile. Ora l’uno rieducherà un gruppo di incolpevoli anziani e/o disabili, che andranno poi rieducati una seconda volta dalla sua rieducazione; intanto riforma la Costituzione col premier Renzi, noto rottamatore; e, da detenuto, fa campagna elettorale entro e non oltre le ore 23. L’altro peregrinerà ramingo per il Terzo mondo, senza peraltro notarvi soverchie differenze con l’Italia. Sempre-ché non lo acciuffino. Ma è altamente improbabile: le ricerche sono affidate al ministro dell’Interno Alfano, imbattibile nella cattura di donne e bambine kazake, ma piuttosto digiuno in fatto di siciliani.