La realtà antipatica

Sottotitolo: se dieci milioni di persone mi guardassero e ascoltassero quello che voglio dire, o meglio, quello che qualcuno mi suggerisce di dire, per poi mandarmi a quel paese quasi all’unisono non credo che sarei contenta. Non vi ringrazieremo, cari “giornalisti”, visto che vi secca sentirvi apostrofare giornalai e pennivendoli nonostante molti di voi facciate tutto fuorché dare notizie corrispondenti ai fatti reali e accaduti, quando deciderete di smettere di raccontarci balle, magari all’unisono che sarebbe meraviglioso: un nuovo Rinascimento praticamente.

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L’invenzione del reato di omicidio stradale compreso di “ergastolo della patente” è un’iniziativa sensazionalista quanto inutile come  quella che stabilisce l’aggravante per il cosiddetto femminicidio. Perché la guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti già dovrebbe costituire l’aggravante in caso di incidente e infatti lo fa. E lo stato può benissimo decidere di non restituire la patente di guida a chi ha commesso una strage perché guidava  ubriaco o drogato. Così come non dovrebbe richiedere nessuna aggiunta di pena  né una legge speciale il genere sessuale di chi è vittima di un omicidio a proposito del quale ci sono già svariate varianti di reato, da quello colposo a quello volontario passando per il preterintenzionale che a fare la lista viene il mal di testa.  Non c’è bisogno di riscrivere in continuazione leggi che già c’erano, inventarsi reati che già c’erano per farsi belli e progressisti. Basterebbe far rispettare seriamente le leggi esistenti che qui sarebbe già un lusso.

La Cancellieri vuole istituire il reato di omicidio stradale. 
Pene più severe per chi provoca incidenti a causa di imperizia, distrazione, guida pericolosa viziata dall’assunzione di sostanze che riducono l’attenzione. 

Bene, benissimo, chi guida sotto l’effetto di alcool e stupefacenti è un criminale e da tale va trattato. Ma che senso ha fare nuove ed inutili leggi per infilare tutti in galera e poi inventarsi l’indulto e lo svuotacarceri per tirare fuori tutti dalle galere? L’Italia è un paese ridicolo, surreale e grottesco non per colpa sua né della gggente ma perché amministrato da incapaci come quelli che spostano continuamente l’attenzione sulla criminalità comune che è quella che ha più rilevanza e impatto nell’opinione pubblica per distogliere l’attenzione da quella dei piani alti. La strategia è chiara così come è altrettanto chiara l’ininfluenza di queste aggiunte e appendici di reati se poi le sentenze non possono essere applicate perché applicando le sentenze relative a quelli dei piani bassi si rischia di disturbare chi delinque a quelli alti. E tutto va ad alimentare poi questo dibattito infinito permeato sempre dagli stessi argomenti.
Mi piacerebbe domandare alla superministra Cancellieri che ne pensa e che pena si merita chi si è macchiato dell’omicidio dello stato, della democrazia e tutto quello che di grave gli è capitato è rimanere in parlamento a spese dei contribuenti. E’ un’iperbole ma mica tanto. 

E che dire altresì di un ladro condannato, il più ladro di tutti con l’aggravante di essere uno degli artefici della distruzione dello stato e della democrazia che da cinque mesi e due giorni è ancora latitante alla luce del sole, lo può fare, ma questo pare ormai non interessare più nessuno tanto meno la Cancellieri, responsabile dell’ambito giustizia? 

Va benissimo l’inasprimento delle leggi quando sono manifestamente ingiuste e insufficienti a punire i responsabili di reati pesanti ma come mai per altre faccende non si richiede con lo stesso rigore la stessa assunzione di responsabilità? 

Perché negli altri paesi i reati che danneggiano la collettività sono considerati – giustamente – più gravi e puniti più severamente mentre qui da noi no? 

Che bisogna fare per ristabilire l’uguaglianza, in materia di giustizia? Chiedo.

 

AL CONFRONTO B. ERA UN DILETTANTE 

EVASIONI, STORIE DI LADRI: DALL’IDRAULICO AI POLITICI 

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Colle Oppio
Marco Travaglio, 3 gennaio

Siccome i sondaggi vanno maluccio, la stampa corazziera spaccia l’indice di ascolto del Supermonito di Capodanno per l’indice di gradimento del presidente. 
Come se il discorso di Napolitano fosse un varietà del sabato sera. 
Naturalmente l’ascolto dice soltanto quante persone erano davanti alla tv, non quante hanno condiviso le cose dette (e soprattutto non dette).
I telespettatori sintonizzati sulle reti unificate erano 9,98 milioni contro i 9,8 del 2012, cioè 180 mila (2% circa) in più: un po’ per la curiosità di sentire come Napolitano avrebbe risposto alle critiche dei suoi oppositori (prima non ne aveva mai avuti), un po’ perché la crisi ha trattenuto in casa molta più gente dell’anno prima.

Infatti lo share – calcolato sul totale dei telespettatori con la tv accesa – è calato: 53% contro il 55 del 2012 (-2%). Resta da capire dove mai l’Unità abbia tratto il dato degli “ascolti record (più 12,2%)”. È vero invece che il ridicolo boicottaggio di Forza Italia è fallito: ascoltare quel che ha da dire il capo dello Stato è comunque interessante, anche – anzi soprattutto – per chi lo critica: le critiche devono essere sempre motivate, non fatte a casaccio.
Tutt’altra storia è il messaggio di Beppe Grillo, politicamente rilevante per i contenuti ma soprattutto per i toni, decisamente nuovi rispetto al recente passato.

Non è vero che fosse la prima volta che i due messaggi si sovrapponevano la stessa sera: Grillo arringa gli italiani quasi a ogni Capodanno fin dal 1998, quando al Quirinale c’era ancora Scalfaro.

In ogni caso il raffronto con Napolitano è impossibile: Grillo non ha lanciato alcun boicottaggio e soprattutto non ha a disposizione Rai, Mediaset, La7 e Sky, ma solo il suo blog per la diretta streaming (subito saltata per eccesso di contatti) e poi youtube: in tutto quasi 1 milione di spettatori.
Tutti questi numeri però rischiano di narcotizzare la gente oscurando la vera novità del Supermonito: la malcelata coda di paglia per i deragliamenti degli ultimi anni e per la versione ufficiale della rielezione, che continua a fare acqua da tutte le parti. 
Dopo aver mandato avanti la stampa corazziera a propinarcela in tutte le salse, Sua Maestà l’ha raccontata lui stesso l’altra
sera.  Ma, rivedendosi, dev’essersi reso conto che non funzionava. Così ieri s’è registrato il replay di dieci giorni fa, quando una lettera di Cossiga approdò sulle prime pagine di Stampa , Corriere e Messaggero dopo essere “uscita dall’archivio personale di Napolitano” (Marcello Sorgi dixit).
Stavolta, aggirando un’altra volta i ferrei controlli dei corazzieri sull’uscio del Quirinale, è uscita a fare due passi e a prendere una boccata d’aria un’altra missiva, firmata da Sua Altezza in persona, datata 15 aprile 2013 e indirizzata a Bersani, Monti e Alfano. E si è autorecapitata al Corazziere della sera: “Cinque pagine – scrive  Marzio Breda – per sgombrare ogni equivoco sulla rielezione che diversi emissari già gli avevano chiesto: sarebbe ‘una soluzione di comodo’, una non soluzione”. E questa sarebbe la “prova documentale delle sue volontà”.

Infatti il Corriere titola: “Quella lettera per evitare il secondo mandato”. Purtroppo, come si dice in Veneto, l’è pezo el tacon del buso.
Per evitare il secondo mandato non c’era bisogno di scrivere lettere: bastava rifiutare la proposta indecente di B., cui si associarono Bersani, Maroni e Monti, e rispedirli tutti a votare in Parlamento, dove c’era un candidato perfetto: Stefano Rodotà, che avrebbe potuto raggiungere il quorum di 504 voti con quelli sicuri di M5S (162) e di Sel (44) e con i due terzi dei grandi elettori Pd (ne bastavano 298 su 452, vanificando fino a 146 franchi tiratori, ben più dei 101 mancati a Prodi).
Già, ma Rodotà presidente avrebbe escluso lo sconfitto B. dalla maggioranza, scongiurato l’inciucio appena bocciato dagli elettori e propiziato il “governo di cambiamento” – magari per pochi mesi – che Bersani sbandierava ma rendeva impossibile con la sua stessa presenza.  

Un governo che nessuno voleva: a parte la stragrande maggioranza degli italiani, si capisce.

Tana libera [quasi] tutti

Ultim’ora: Telefonate Napolitano-Mancino: “Pg chiede proscioglimento per pm Di Matteo”

 

L’incompetenza in ogni dove e poi si pretende la precisione scientifica col risvolto culturale da chi va a manifestare; ovvio che non si può condividere niente con chi per denunciare un disagio inneggia alla mafia e si mette sottobraccio ai fascisti, ma questo fatto che dal cittadino si pretende il comportamento esatto sempre  pena tuttoquanto e alla politica si concede sempre la licenza di fare cazzate a ripetizione non è più sopportabile.
Il dramma delle carceri esiste da almeno vent’anni, e tutto quello che sa fare la politica è il provvedimento ‘eccezionale’ ogni tot di anni, col risultato di non risolvere nessun problema ma al contrario di accentuarne altri così come è successo con  quell’indulto di cui hanno usufruito anche le bestie assassine di Federico Aldrovandi e i massacratori del G8. Senza l’indulto quelle sentenze avrebbero avuto tutt’altri esiti. Per non parlare delle licenze premio destinate e concesse ai serial killer. Un assassino seriale, totalmente infermo di mente in questo paese può ricevere il trattamento di favore perché il direttore del carcere dove è detenuto non era nemmeno a conoscenza dei suoi precedenti: la competenza prima di tutto.
Una società civile lo è anche quando la separazione fra onesti e delinquenti è netta, e non lascia spazio a nessuna interpretazione: chi ruba, ammazza, stupra, froda lo stato per i suoi interessi non è uguale a chi non lo fa.

E uno stato civile, sebbene garantendo diritti e tutela anche a chi viola la legge questo non lo può dimenticare. Anzi, lo dovrebbe proprio esaltare. E la politica tutto può fare fuorché indignarsi dei suoi stessi fallimenti.
La bonino che sgrana gli occhi davanti agli orrori di Lampedusa è la stessa che non ha fatto un plissé quando il governo di cui fa parte ha riconfermato angelino alfano dopo la deportazione di madre e figlia kazake. Mentre in un paese normale avrebbe dovuto fare le valigie pure lei.
Questi non conoscono il benché minimo significato della parola RESPONSABILITA’. Soprattutto delle loro.
L’amnistia concessa in emergenza, così come l’indulto, questo svuotacarceri di cui all’estero, nei paesi normali, non esiste traduzione, i decreti catalogati come “eccezionali” perché servono a tappare buchi ma non ad aggiustare la frana sono un fallimento dello stato i cui rappresentanti dovrebbero tenere gli occhi bassi e tacere, almeno.

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Visto che 7000 detenuti stanno per ricevere un bel regalo di natale che consiste nell’anticipazione della loro libertà, sarebbe carino se anche a Nino Di Matteo venisse restituita un po’ della sua. 

Cancellare il provvedimento disciplinare che lo riguarda sarebbe un bel gesto che il presidente della repubblica in qualità di capo del CSM potrebbe fare, se volesse. 
E, visto che ad oggi ancora non si è degnato di dire una parola nel merito delle minacce di morte al giudice Di Matteo, sarebbe anche un bel modo per farci dimenticare almeno in parte il precedente di un capo dello stato che si preoccupa e si è preoccupato – molto – della sorte dei delinquenti veri [soprattutto uno: il più delinquente di tutti] ignorando e fregandosene apertamente di quella di chi i delinquenti li combatte da una vita.

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Forche & Forconi – Marco Travaglio, 19 dicembre

Grande esultanza e complimenti vivissimi sta suscitando il decreto svuotacarceri Cancellieri-2, il terzo in tre anni dopo l’Alfano e il Cancellieri-1, varato dalla ministra dei Ligresti per liberare 7 mila criminali nei prossimi 12 mesi. La leggenda metropolitana inventata per giustificarlo è che così l’Italia non verrà più condannata dalla Corte europea che ci ha dato tempo fino al maggio 2014 per metter fine alle condizioni disumane dei 67 mila detenuti stipati in 47 mila posti-cella (solo teorici: quelli effettivi sono meno di 40 mila). In realtà l’Italia verrà condannata lo stesso: per scendere a 47 mila detenuti bisognerebbe liberarne 20 mila, uno su tre, e non farne entrare più nemmeno uno. Cioè pregare i criminali di astenersi dal delinquere fino al termine della legislatura o, in alternativa, ai giudici di andarsene in ferie o, se proprio vogliono lavorare, di assolvere tutti i colpevoli. Anche chi considera questa classe politica un pericoloso branco di cialtroni stenta a credere che il decreto Cancellieri possa davvero diventare legge dello Stato. E chi non stenta a crederlo è solo perché non lo conosce. Fra le geniali invenzioni partorite dalla ministra, oltre al regalino dei braccialetti elettronici obbligatori a Telecom (di cui è direttore finanziario il pargolo Piergiorgio Peluso), spiccano due norme ai confini della realtà. La prima è l’innalzamento da 3 a 4 anni delle pene (totali o residue) che i condannati potranno scontare comodamente in libertà, con la simpatica formula “affidamento in prova ai servizi sociali”. Oggi, in base alla legge Gozzini, chi deve scontare 3 anni o meno, resta fuori o, se è dentro, esce. I classici ladri di polli? No, la stragrande maggioranza dei condannati, visto che in media le pene irrogate dai tribunali, anche per reati gravi (soprattutto quelli finanziari e tipici dei politici e dei colletti bianchi), sono inferiori ai 3 anni. Siccome poi i reati commessi fino a maggio 2006 sono coperti dall’indulto di 3 anni, non fanno un giorno di carcere i condannati fino a 6. E, per meritare pene superiori ai 6 anni, bisogna proprio sparare o trafficare quintali di droga. Ora, non bastando questo formidabile bonus impunitario, la ministra ha previsto che resti o torni libero chi di anni ne deve scontare 4. Compresi i condannati a 7 anni per reati pre-2006. Per quelli che non riuscissero a farla franca con quel sistema, ecco la seconda ideona: l’innalzamento della “liberazione anticipata” da 45 a 75 giorni a semestre. Oggi il detenuto che si comporta bene (cioè non si comporta male: non scanna né stupra il compagno di cella) si vede detrarre 3 mesi di pena ogni 12. Ora, siccome non basta ancora, lo sconto sale a 5 mesi su 12. Immaginiamo la scena di un processo qualunque: dopo una decina d’anni passati fra indagini, interrogatori, perizie, rogatorie, arresti, perquisizioni, sequestri e intercettazioni, e poi udienza preliminare, e poi i dibattimenti di primo, secondo e terzo grado, spendendo un occhio e impegnando decine fra agenti, magistrati, cancellieri, segretarie, avvocati e così via, i giudici riescono finalmente a emettere la sentenza definitiva. Che, in caso di condanna, ammonta mediamente a 2-3 anni di pena. Mentre il presidente legge solennemente il dispositivo in nome del popolo italiano, l’avvocato dà di gomito al condannato: “Tranquillo, Jack, il giudice ha detto 3 anni, ma è tutto finto: 36 mesi vuol dire 21 e 21 vuol dire che non fai un giorno di galera. Però mi raccomando, non scordarti il braccialetto”. E Jack, asciugando il sudore dalla fronte con un sospiro di sollievo: “Ah meno male, avvoca’, chissà che mi credevo. Ho sempre pensato che il crimine paga. Ma, a furia di sentire ‘ sti politici parlare di ‘ certezza della pena’, quasi quasi ci cascavo anch’io”. Intanto la vittima se ne va schiumante di rabbia: “Se si rischia così poco, la prossima volta non lo denuncio: gli spacco direttamente la faccia”. 
Sono i risultati dal garantismo all’italiana: predica bontà e sotto sotto lavora per la forca.

O si fa come dico io o vi dimetto

Sottotitolo: processo lungo, prescrizione lunga. Dipende dall’esigenza del potente delinquente, quanto gli serve per scampare alla legge, così smantellano la giustizia da almeno vent’anni per farsi i favori reciproci ché l’oggi a te e domani a me, ma soprattutto a lui, il latitante a cielo aperto, è sempre in agguato e poi per riparare i loro danni pensano all’indulto e all’amnistia. Nel paese più corrotto al mondo, dove la galera è la prima ratio dei poveracci e di chi non ci dovrebbe proprio andare ma per il potente il trattamento è assai diverso: berlusconi e Anna Maria Cancellieri ce lo insegnano, l’unica soluzione, riforma della giustizia che sa trovare il parlamento anziché abolire quelle leggi che mettono in carcere chi non ci deve andare è il tana libera tutti per tamponare il dramma delle carceri troppo piene. 

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I tempi bui e lo spirito di verità Sandra Bonsanti per Libertà e Giustizia

Ecco perché Barbara Spinelli deve stare zitta;  lei lo conosce bene, Giorgio.
E questo Scalfari non lo può sopportare; non può tollerare che si parli di come è Napolitano e non di come ce lo descrivono i corazzieri di regime.

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Napolitano, il ricatto, il 2015 Alessandro Gilioli

[…] Insomma Napolitano è un po’ più solo e un po’ meno onnipotente, da qualche settimana, e lo sa. Di qui l’esigenza di ricordare e rafforzare il ricatto di aprile, ‘o si fa come dico io o me ne vado’: molto ai limiti della Costituzione ma soprattutto effetto di una supplenza di cui si sente sempre meno il bisogno.A proposito, Napolitano ha legato il suo secondo mandato a un progetto di governo la cui data di scadenza è adesso concordata: entro e non oltre la primavera 2015, a semestre europeo terminato.Non sarebbe il caso che a quella data – fatta la riforma elettorale, s’intende – lasciasse quindi anche il Capo dello Stato?  E non sarebbe questo un impegno che il Quirinale dovrebbe assumere già ora, anziché minacciare improbabili dimissioni ad horas ogni volta che ha bisogno di spostare a suo favore i rapporti di forza?

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Napolitano continua a non sentire il boom iniziato, con notevole ritardo, più o meno un anno fa. Si sente indispensabile e insostituibile, nonostante i rumors dicano da tempo che una consistente parte degli italiani che non si sentono rappresentati da questo signore, non senza motivi perché Napolitano ce li ha dati praticamente tutti, lo accompagnerebbero volentieri all’uscita pure adesso. L’elezione bis di Napolitano è stata sostenuta e voluta soprattutto da berlusconi che pensava che il presidente gli risolvesse l’annosa questione “galera sì galera no”, visto che Napolitano è lo stesso presidente che si è fatto garante con la sua firma di tutte le porcate che stanno consentendo a berlusconi di farsi beffe di una sentenza di condanna definitiva emessa ormai quasi cinque mesi fa. Ed è quindi comprensibile oggi il disappunto di brunetta che vuole revocare il mandato al presidente che non ha dato la grazia motu proprio al delinquente ma in compenso motu proprio sta decidendo lui al posto nostro chi deve rimanere in parlamento: cioè anche brunetta, e al Quirinale cioè lui se stesso medesimo.

Quindi quando Napolitano minaccia di andarsene se il governo non fa le riforme: demolire la Costituzione ad esempio, quando dice no a nuove elezioni nonostante il malessere diffuso nel paese che in questi giorni si sta manifestando anche in modo alquanto pericoloso, quando parla del suo spirito di abnegazione e amor di patria che gli avrebbero suggerito di accettare un secondo e straordinario mandato, mente. Perché non sta parlando al popolo che non vuole più questo parlamento né lui e lo sta dicendo in tutti i modi da mesi ma parla esclusivamente ai suoi amati partiti, quelli da difendere a tutti i costi nonostante siano proprio loro la causa del disastro Italia. In un paese diverso dal nostro un presidente della repubblica che avesse usato così malamente il suo mandato sarebbe stato messo in stato d’accusa da tempo, non perché quel mandato abbia dei limiti da riconsiderare, da lui poi, ma perché lui li ha superati tutti.

Nota a margine: basta con l’anzianità che diventa cattiveria. Una volta anzianità significava saggezza, l’anziano, il patriarca era il punto di riferimento della famiglia  a cui tutti i componenti della famiglia si affidavano soprattutto nei momenti di difficoltà, e nella società era il punto fermo del ragionamento, l’approdo culturale quando serviva un sostegno, una specie di capo tribù. Se guardo a Napolitano tutto mi viene in mente meno l’autorevolezza dell’età, un riferimento e la saggezza.

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NAPOLITANO MINACCIA RENZI: O SI FA COME DICO IO O LASCIO IL QUIRINALE (Fabrizio d’Esposito) – Il Fatto Quotidiano

Napolitano: “Incarico gravoso, renderò noti i limiti del mio mandato.”

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RENZI-GRILLO, LA SFIDA E LA SFIGA  – Marco Travaglio, 17 dicembre

Dire no a Renzi è un errore. Domenica Napolitano, Letta, Berlusconi, Alfano e le altre frattaglie erano terrorizzati da un Sì o anche da un Ni di Grillo. E quando è arrivato il No hanno stappato lo champagne

Tutto si può dire di Beppe Grillo, ma non che sia un fesso. Anzi, sempre più spesso la sua naïveté di neofita della politica sembra aver assorbito le furbizie dei politici politicanti. Dunque è impossibile che l’altroieri non abbia colto il senso e le possibili conseguenze dell’apertura di Renzi. Il neosegretario del Pd, anche se non può dirlo fuori dai denti, ha gli stessi nemici che hanno Grillo e il popolo italiano: Napolitano (vedi l’incredibile monito di ieri, che aveva Renzi e Grillo come bersagli unici), Letta Nipote e tutto il cucuzzaro delle Strette Intese, cioè Alfano e quel che resta di Monti&Casini. In poche parole: gli eterni gattopardi che lavorano all’imbalsamazione dell’Ancien Régime e vogliono rinviare le elezioni a chissà quando, possibilmente a mai.

Domenica, mentre Renzi lanciava la sfida all’assemblea milanese del Pd, Napolitano e Letta incrociavano le dita nella speranza che Grillo la respingesse. E devono aver tirato un bel sospiro di sollievo quando, dal blog dell’ex comico, è arrivato il niet alla “scoreggina” renziana. Intendiamoci. L’aut-aut di Renzi era carico di propaganda (“o firmi qui o sei un pagliaccio”), la tassa da pagare a un partito che considera i 5Stelle un branco di usurpatori e di brubru. Il suo messaggio di “novità” era viziato dalla presenza nella “nuova” Direzione di impresentabili come De Luca. E conteneva uno scambio assurdo tra la rinuncia del Pd alla prossima rata di finanziamento pubblico e l’appoggio grillino alle sue proposte anti-casta: se, come dice, Renzi ritiene immorali i soldi dello Stato ai partiti, già peraltro abrogati dal 90% degl’italiani nel ’93, dovrebbe rifiutarli subito, spontaneamente, senza condizioni, per sempre.

Ma il fatto stesso che per la prima volta abbia evocato con un impegno concreto, e non con le solite parole a vanvera, un cavallo di battaglia dei 5Stelle è un loro innegabile successo politico. Così come il fatto che il leader Pd tenti di uscire dalla prigione della maggioranza di governo per cercare una sponda nel M5S. E allora perché non raccogliere la sfida e rilanciarla, magari con la richiesta al Pd di restituire la rata di “rimborsi elettorali” appena incassata e di scrivere insieme le riforme anti-casta nell’unico luogo deputato a queste cose, cioè il Parlamento?

Sia che Renzi faccia sul serio, sia che bluffi, Grillo e i suoi hanno tutto da guadagnare e nulla da perdere ad “andare a vedere”. Se Renzi bluffa, scredita se stesso e la sua leadership finisce prim’ancora di cominciare, mentre Grillo e i suoi si prendono il merito di averlo smascherato e incamerano quegli elettori “di confine” che si sono lasciati incantare dalle sirene della rottamazione. Se Renzi fa sul serio, il Pd sarà comunque il secondo partito a rinunciare ai fondi pubblici, a rimorchio dei 5Stelle, i quali potranno dire di avervelo costretto; la macchina elefantiaca di quel partito carico di palazzi, soldi, tesori e tesorieri, ma pure di tessere fasulle, di debiti e cambiali da pagare a questo e quel potentato economico, è costretto alla fame ed entra in crisi con i suoi capibastone e le sue rendite di posizione e, se non si dà una nuova struttura più snella e adeguata ai tempi, si estingue.

Intanto i 5Stelle concordano in Parlamento una legge elettorale che non condanni l’Italia all’eterno inciucio, per esempio il Mattarellum rilanciato ieri da Grillo, e votano il taglio delle indennità e l’abolizione dei “rimborsi” ai consiglieri regionali, e magari altri risparmi più sostanziosi e coraggiosi, intestandosene a buon diritto gran parte del merito; ma soprattutto rompono il fronte Pd-Ncd-Monti-Casini, mandando a gambe all’aria la maggioranza e il governo Napo-Letta, trasformando Alfano, Monti, Casini & C. in quel che del resto sono: peli superflui della politica; condannano B. all’irrilevanza proprio mentre tenta di ritagliarsi un nuovo ruolo decisivo sul tavolo delle famose “riforme”; e, destabilizzando la maggioranza, avvicinano le elezioni e neutralizzano gli intrighi del Quirinale.

Per questo domenica Napolitano, Letta, Berlusconi, Alfano e le altre frattaglie erano terrorizzati da un Sì o anche da un Ni di Grillo. E quando è arrivato il No hanno stappato lo champagne. Il No al buio, senza prima “andare a vedere”, consente loro di continuare a dipingerlo come uno sfascista (anche senza la s) che tiene in freezer i suoi voti e i suoi parlamentari, che non vuole cambiare niente per lucrare sul disastro dei Paese; ma soprattutto di riprendere a inciuciare tutti insieme appassionatamente con la scusa delle “riforme”. A partire da quella elettorale, che incredibilmente Napolitano vuole appaltare in esclusiva alla maggioranza perché trovi il sistema migliore di fregare l’opposizione (come già fecero Pdl, Udc e Lega col Porcellum). Dire – come fa Grillo – “non c’è più tempo, meglio votare col Mattarellum”, è assurdo: senza una nuova legge, si voterà col proporzionale puro del 1992 riesumato dalla Consulta e i 5Stelle resteranno irrilevanti anche con il 30 o il 40 o anche il 49,9 per cento dei voti.

Naturalmente la partita è appena iniziata, come dimostrano i commenti possibilisti dei “cittadini” Di Maio, Giarrusso e Lezzi per un confronto in Parlamento. Ma siccome il tono del match lo dà Grillo, è a lui che tocca riflettere, magari contando fino a 10, prima di parlare. Ed evitando di sottovalutare troppo i risultati fin qui ottenuti dai 5Stelle (a cominciare dallo stop alla controriforma dell’articolo 138 della Costituzione, che è sostanzialmente merito loro, oltreché della nostra petizione con 450 mila firme e di movimenti come Libertà e Giustizia). Altrimenti ripeterà l’errore di marzo, quando spedì sul Colle i capigruppo senza un candidato premier e consentì ai gattopardi di accollargli tutta la responsabilità dell’inciucio. A furia di vedere trappole dappertutto, anche dove non ci sono, rischia di non notare quelle che si tende da solo.

Uno stato di diritto tutela anche i criminali

Non vorrei mai essere quella madre a cui suo figlio chiede aiuto e non glielo può dare. Piuttosto vorrei morire io al posto suo.

 La Cancellieri per Federico ha mandato l’ispezione dopo, per l’amica di famiglia  invece l’ha richiesta prima.

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“Il numero della Cancellieri non lo avevo
E mio figlio Federico è morto di carcere”

Intervista a Nobila Scafuro, madre del 34enne deceduto in prigione lo scorso 8 novembre. “Non ce la faccio più, mi stanno uccidendo”, le scriveva (leggi). Ma nonostante le ripetute perizie l’uomo non è mai stato scarcerato. [Il Fatto Quotidiano]

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Mentre tutti parlano del confronto Pd, di cui non mi fregava e frega assolutamente nulla, resto sconcertato dalla vicenda di Federico Perna. Un altro detenuto morto nell’indifferenza generale. L’ennesima prova tangibile di uno Stato assente, cinico e malato. Come Aldrovandi, come Cucchi, come Uva e tanti altri, che per loro sfortuna non conoscevano il cellulare del(la) Ministro della Giustizia.
La politica paragona empiamente berlusconi a Mandela, Moro e Pertini. E i martiri veri muoiono nell’indifferenza generale, con le madri costrette a pubblicare le foto dei figli martoriati per ricevere un briciolo di attenzione. Siamo un paese moralmente in coma. [Andrea Scanzi.]

Gli standard di moralità in politica di Polito

Ieri il Corriere della sera riportando le motivazioni della sentenza di primo grado che condanna berlusconi a sette anni per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile ha definito quelle motivazioni “accuse”. Come se fosse ancora tutto da stabilire, mentre l’unica cosa da stabilire e possibilmente fare è cacciare con disonore il più immorale di tutti. I parametri di Polito si rassegnino, e anche Polito.

I miei più sentiti complimenti a Polito che, dalle pagine del Corriere della sera, invece di augurarsi e auspicare una nuova stagione in cui non debbano più trovare spazio l’immoralità e l’indecenza in politica pensa che sia più utile trovare un compromesso; fissare l’immoralità ad una ipotetica cifra evidentemente decisa da lui [come se non bastasse quella già decisa e resa operativa dal Napo Capo] entro la quale il politico che seppur non commettendo nessun reato non si comporta come si conviene a uomini e donne di stato può essere tranquillamente perdonato e restare al suo posto. 

Si attende prossimamente la classifica stilata da Polito in persona che c’illuminerà su quali sono, secondo i suoi parametri, gli standard perfetti per concedere al politico di poter agire nel modo che vuole, anche facendosi beffe di legge e Costituzione senza dover rischiare nemmeno una critica.

Grazie a Polito che ha rimesso a posto le cose ricordandoci che l’ABC nella politica non è la trasparenza, l’azione favorevole al bene comune e non solo a quello di qualcuno [e qualcuna] ma il sottomettersi al ricatto del “se non mangi tutto cade il governo”. 

In un paese in cui fosse ben chiara la differenza fra pubblico e privato in politica, su quello che può fare il politico e quello che no, e quello che NO venisse sempre condannato, indipendentemente dallo schieramento a cui appartiene quel politico, nel quale non ci sia gente che pensa che tutto sommato sia giusto che chi può approfitti del suo ruolo, della raccomandazione, dei soldi di tutti; in un paese dove il desiderio di giustizia e di uguaglianza non viene confuso col giustizialismo e la sete di chissà quale vendetta, con l’invidia sociale,  uno come Polito [ma anche come molti dei suoi illustri colleghi al Corriere] che ha sempre fatto il pesce in barile arrivando anche a comprendere e giustificare le porcherie di berlusconi non farebbe nemmeno il giornalista. Polito fa parte di quel cerchiobottismo riverente a tutti i padroni e regimi di cui il Corriere è stracolmo che ha devastato questo paese. Dai giornali di b una se lo aspetta, anche se con una legge seria sul conflitto d’interessi berlusconi sarebbe finito in galera vent’anni fa e sallusti oggi chissà dove sarebbe e a fare che, invece di essere invitato ovunque come un giornalista vero. Ma dai giornali cosiddetti ‘indipendenti’ no. Noi non finanziamo i giornali per farci scrivere su che in una democrazia civile si può tollerare la modica quantità di disonestà e immoralità in politica.

Io trovo GRAVISSIMO che dalle pagine di un quotidiano come il Corriere della sera, il giornale dell’alta finanza, della borghesia e dell’élite dei privilegiati ma finanziato dai contribuenti, dalle vittime dell’indecenza, dell’immoralità e della disonestà politica vengano diffusi messaggi di questo tipo.

È il momento delle scuse  – Marco Travaglio, 23 novembre

È il momento delle scuse. Ci perdonino Josefa Idem e Micaela Biancofiore , defenestrate dal governo Napoletta l’una per un’evasioncella di 3 mila euro su una casa-palestra, l’altra per una sparata omofoba: visto che dello stesso governo continuano a far parte Anna Maria Cancellieri in Ligresti e Angelino Kazako Alfano, le due signore vogliano accettare le nostre più sentite scuse.

Ci perdoni anche Corrado Carnevale, da noi per anni attaccato, criticato e addirittura chiamato “Ammazzasentenze” perché annullava in Cassazione le condanne dei mafiosi per vizi di forma (un timbro saltato, una pagina mancante), riceveva a casa sua i loro avvocati e sparlava al telefono di Falcone e Borsellino. Ieri il Pg della Cassazione Gianfranco Ciani, quello che convocò Grasso su ordine di Napolitano e Mancino per parlare dell’avocazione dell’inchiesta sulla Trattativa, ha avviato l’azione disciplinare contro Antonio Esposito: la scusa è l’intervista rilasciata il 6 agosto al Mattino in cui il giudice avrebbe anticipato la sentenza Mediaset, ma la colpa vera è la sentenza Mediaset, cioè la condanna di B. Infatti Esposito non anticipava le motivazioni della sentenza Mediaset, anzi diceva il contrario di quel che avrebbe scritto nella sentenza Mediaset. E di B. non parlava proprio (è l’intervistatore che l’ha fatto credere appiccicando una domanda su B. a una risposta generica). Ma, anche se avesse parlato di B. e anticipato le motivazioni, Esposito non avrebbe commesso illecito disciplinare lo stesso, perché la legge punisce solo i giudici che parlano di un processo “non definito”, e il processo Mediaset era già definito dal dispositivo della sentenza letto in aula il 1 agosto. Dunque, caro Carnevale, ci scusi tanto: nell’Italia delle larghe intese, il modello di giudice auspicato fin dai colli e dai palazzacci più alti è il suo: quello di chi le condanne eccellenti non le conferma, ma trova il modo di annullarle.

Mille scuse, infine, al giudice Renato Squillante, anche lui da noi ripetutamente attaccato soltanto perché, vicecapo dell’ufficio Istruzione e poi capo dell’ufficio Gip di Roma, faceva in modo di non arrestare o rinviare a giudizio i potenti, e aveva un conto in Svizzera comunicante con quello dell’avvocato Previti, insomma era a libro paga della Fininvest. Inezie, minuzie, quisquilie, pinzellacchere. Avevamo ingenuamente pensato che la sua condotta fosse incompatibile, non solo col Codice penale, ma anche con la Costituzione che vuole la legge uguale per tutti e tutti i cittadini uguali davanti a essa. Ci sbagliavamo: eravamo rimasti alla Costituzione del 1948, cioè alla versione non ancora aggiornata dai saggi ricostituenti. Ora è ufficiale: non tutti sono uguali davanti alla legge. Aveva ragione lei, caro Squillante. Guardi quel che sta accadendo in Sicilia ai suoi colleghi (ci scusi per l’indebito apparentamento) Di Matteo e Gozzo, isolati dallo Stato e minacciati dalla mafia perché si ostinano a cercare, a vent’anni e più dalle stragi, i mandanti occulti, i depistatori e i traditori che trescavano sottobanco con la mafia che aveva appena ucciso Falcone, Borsellino, le loro scorte e tanti altri cittadini innocenti, mentre pubblicamente fingevano di combatterla. L’altro giorno, nell’aula del processo Trattativa, a testimoniare solidarietà a Di Matteo c’erano soltanto il suo capo, Messineo, e un prete, don Luigi Ciotti. Le alte discariche dello Stato che si mobilitano in assetto di guerra e scatenano la forza pubblica non appena compare sul web una frasetta non proprio encomiastica sul loro conto, hanno altro a cui pensare. Il nostro pensiero deferente e un po’ nostalgico corre dunque a lei, caro Renatino, che negli anni 80 e 90 precorse le larghe intese, evitò ogni “guerra fra giustizia e politica”, infatti non subì neppure un procedimento disciplinare né un monito presidenziale. Si conservi in buona salute: presto – eliminati gli Esposito, i Di Matteo, i Gozzo e le altre mele marce in toga – ci sarà ancora tanto bisogno di lei.

IL LATO PORNO DELLA CASTA 

Chissà questi qui dove li metterebbe Polito. Bisognerebbe chiederglielo.

Caso Cancellieri: ‘diversamente morali’: l’Europa ci vede così

Pd, ovvero: povera democrazia

Mauro Biani

Dopo lo spettacolo osceno di ieri alla camera non oso immaginare cosa succederà il 27 prossimo quando si dovrà votare [forse, non è detto] la decadenza  del delinquente condannato, il latitante  ancora senatore dopo 110 giorni dalla sentenza definitiva di condanna per frode fiscale.

Il parlamento di questa repubblica ha ormai dimostrato di essere capace di tutto, anche di votare la fiducia sugli asini che volano [e purtroppo votano anche] per non deludere il padre padrone padrino di queste larghe e indecenti intese. 

Ma quanto può essere magnifico questo governo del “tutti per uno”: una volta è alfano, un’altra la Cancellieri, ed entrambi per ottimi motivi che ci fanno vergognare di fronte al mondo così tanto che viene quasi da rimpiangere i motivi per i quali lo faceva berlusconi?
Quanto è grande il ricatto al quale tutti si sono sottomessi?
E che può succedere di più grave di questa devastazione continuata della democrazia e della Costituzione, se cade il governo? gli elettori del pd non provano almeno un minimo di senso di frustrazione e di vergogna per aver pensato che quel partito fosse davvero quello del cambiamento?

Ieri mentre ascoltavo e purtroppo guardavo la seduta parlamentare in cui si è discussa la mozione di sfiducia alla Cancellieri proposta dai 5stelle pensavo a Letta, a quando ha detto che era finito il ventennio berlusconiano. Una cosa più berlusconiana del salvataggio della Cancellieri si fa fatica anche a immaginarla. Gli stessi metodi, lo stesso modus operandi dei 314 traditori dello stato – del resto una copiosa rappresentanza è ancora in parlamento – di Rubylanipotedimubarak.
Chissà se la presidentessa candida si è accorta di aver fatto da sponda ad una simile porcheria, lei che è sempre la prima a bacchettare chi “osa” e che difende la casa della democrazia, le istituzioni anche a sprezzo del ridicolo, tipo quando non fa nominare in aula il padre padrone padrino di quel caravanserraglio di irresponsabili incapaci e ricattati, succubi e devoti al re del nuovo millennio. 

La vergogna non può prescindere da una qualche forma di dignità.
Sono due cose strettamente legate fra loro.Evidentemente nel pd hanno deciso di fare a meno della dignità per non dover fare poi la fatica di vergognarsi. 

Aver sperato in quello scatto d’orgoglio che non c’è stato nemmeno per la questione relativa alla deportazione illegale di madre e figlia kazake, ovviamente sempre per il bene del paese e della stabilità del governo per la vicenda della Cancellieri era mera utopia.

Come diceva qualcuno “chi il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare”.

LIGRESTI AMMETTE DI AVER RACCOMANDATO LA CANCELLIERI A B: “PARLAI A SILVIO DEL DESIDERIO DI ANNAMARIA” 

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I MONITI DI RE GIORGIO E LA STORIA DI UN GOVERNO SUDDITO DEL COLLE 

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I PREFETTI DEL QUIRINALE 

Tutti quelli che hanno steso tappeti e lanciato petali di rose ad ogni sospiro di questo signore sono suoi complici. Spero che lo abbiano capito anche quelli molto avanti con gli anni tipo un certo fondatore di un giornale.

Il dito medio e la luna
Marco Travaglio, 21 novembre

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Dunque, ricapitolando. Il vero scandalo del caso Cancellieri è che la stampa abbia pubblicato le sue telefonate con i Ligresto’s. E il vero scandalo del caso Vendola è che i giornali abbiano riportato la sua chiacchierata ridanciana con Archinà, il faccendiere dei Riva. Lo sostiene una multiforme e trasversale combriccola di politicanti, che naturalmente ha deciso di lasciare la Cancellieri e il Vendola ai loro posti. Per la Cancellieri, la scusa è che non è indagata. Per Vendola non si può, perché è indagato sia sul caso Ilva (concussione) sia sulla malasanità pugliese (un paio di abusi d’ufficio), e allora la scusa è che non è stato condannato.

I fatti emersi dalle stesse parole dei due protagonisti, con tutta la loro dirompente rilevanza morale e politica, non contano: infatti l’unica preoccupazione è che siano venuti fuori e che l’opinione pubblica ne sia stata informata. Come sempre, indichi la luna e tutti guardano il dito. Anzi tentano di mozzartelo. Ieri, a SkyNews24, il noto Nitto Palma e l’ignoto Danilo Leva – inopinatamente responsabile giustizia del Pd – cinguettavano amorevolmente sullo scandalo della stampa che pubblica intercettazioni, mentre i loro partiti in Parlamento facevano scudo alla ministra dei Ligresto’s, che Letta Nipote si era caricato sulle spalle come fosse la sua pròtesi.

Così ha deciso il presidente della Repubblica, capo del governo e segretario del Pd: Giorgio Napolitano. In effetti, se i giornali non uscissero, o non pubblicassero notizie, o si limitassero alle pagine degli spettacoli, dei necrologi e della gastronomia, nessuno saprebbe nulla della ministra Cancellieri-Fonsai. Ci vuole una riforma. Potrebbe scriverla Brunetta, che alla Camera ha dato prova di saperla lunga: a suo dire, il caso Cancellieri non esiste, se non per “la macchina del fango messa in moto da Repubblica e dal Fatto Quotidiano, dotati di intercettazioni e tabulati che non si capisce come siano finiti dalle procure a loro”.

Se volesse capire come sono finiti a noi, glielo spieghiamo volentieri: sono atti pubblici, in quanto depositati agli avvocati e agli imputati dell’inchiesta ormai chiusa sulla spoliazione di Fonsai, perforata con un buco di quasi 1 miliardo dalla famiglia Ligresti che lui dovrebbe conoscere bene, visto che gentilmente l’ha ospitato per anni nella reggia Fonsai di via Tre Madonne, quartiere Parioli, Roma.

Anche la senatrice Finocchiaro potrebbe dare una mano: l’altro giorno la cosiddetta presidente della commissione Affari Costituzionali si è molto doluta con il presidente ridens del Senato, Piero Grasso, perché i giornali hanno pubblicato le sue telefonate con la compagna Maria Rita Lorenzetti, già governatrice dell’Umbria e poi presidente di Italferr (gruppo Fs), purtroppo arrestata per corruzione.

Bisogna assolutamente fare qualcosa: per esempio abolire la cronaca giudiziaria, così la gente non saprebbe nemmeno che il marito della Finocchiaro, Melchiorre Fidelbo, è sotto processo per abuso d’ufficio e truffa su un appalto senza gara da 1,7 milioni di euro. Quindi facciamo così: una bella legge-silenziatore firmata da Brunetta, Cancellieri, Finocchiaro, e magari pure da Vendola. Il quale, davanti al consiglio regionale pugliese, anziché dimettersi per l’indegna telefonata con Archinà, ha accusato il Fatto di averla manipolata. Forse gli sarebbe piaciuto: manipolandola, gli avremmo fatto un favore. La tragedia (sua) è che l’abbiamo pubblicata integrale.

Ps. Ieri i 5Stelle hanno fatto un figurone con la mozione di sfiducia alla Cancellieri e le proteste in aula per l’inaudito salvataggio. Infatti, come sempre in questi casi, hanno deciso di sputtanarsi con un inverecondo commento sul blog di Grillo che accusa la nostra Paola Zanca di avere “mentito sapendo di mentire” sulla notizia (vera, e per nulla scandalosa) della richiesta di un contributo ai parlamentari per autofinanziare il prossimo V-Day. Complimenti vivissimi: ogni volta che si differenziano dai partiti, fanno di tutto per scimmiottare i partiti.

Il governo della fiducia umanitaria

Detenuto morto a Poggioreale
​La madre: “Era malato, non doveva stare in carcere”

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LA CANCELLIERI SMENTITA DAI TABULATI: FU LEI A CHIAMARE LO ZIO DI GIULIA E NON VICEVERSA (Giustetti e Griseri)

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 Vorrei rileggere oggi tutti quelli che hanno difeso la Cancellieri perché secondo la procura di Torino era tutto a posto e la ministra non aveva affatto influenzato la scarcerazione della signora deperita, quella che per distrarsi va a fare shopping con le amiche nelle vie eleganti di Milano e partecipa al salotto notturno dell’insetto che striscia.
E mi dispiace, perché io stimo Caselli, ma a volte bisognerebbe applicare il motto dell’ “un bel tacer non fu mai detto”: il procuratore avrebbe dovuto evitare di correre in soccorso della Cancellieri, di trasformarsi lui stesso in quell’alibi che ha fatto straparlare mezza Italia di comportamenti corretti e istituzionali. Di un gesto normale che invece a quanto pare tanto normale non è stato.

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Sono stati una trentina i morti in carcere da quando la ministra Cancellieri è intervenuta amorevolmente per sollecitare l’intervento umanitario per la figlia degli amici: 139 nell’ultimo anno. Godiamocelo in diretta il terzo mondo Italia dove se muore un figlio in carcere sua madre lo viene a sapere non dallo stato che glielo ha ammazzato ma tramite un compagno di cella. Non si è ancora dimessa la ministra dell’umanitá un tanto al chilo? Chissá se riuscirá a sentire anche il dolore di questa madre su di sé. Quanto vale la vita degli sconosciuti che non possono vantare nessuna amicizia altolocata, ministro Cancellieri? Un cazzo come sempre, suppongo.

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In un paese dove vale tutto, dove ministri, presidenti del consiglio e della repubblica possono mentire spudoratamente al popolo e non succede niente, parole come democrazia, legalità, politica e Costituzione non valgono più niente.

E non vale niente nemmeno quel paese.

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SPUNTA UNA NUOVA TELEFONATA TRA IL GUARDASIGILLI E LA FAMIGLIA LIGRESTI
E Giulia partecipa alla puntata di Porta a Porta: “mi dispiace tantissimo per chi mi ha aiutato”.

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Napolitano: ‘Veleni e toni esasperati’

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Nel paese normale stamattina stessa Enrico Letta licenzierebbe la ministra bugiarda e un minuto dopo si dimetterebbe anche lui che alla ministra ha offerto la sua fiducia “a prescindere” prim’ancora che la Cancellieri spiegasse e riferisse alla camera e al senato. E nel paese normale anche Napolitano se fosse di parola metterebbe sulla sua scrivania una bella lettera di addio, visto che aveva promesso che qualsiasi cosa avesse pregiudicato la tenuta del bel governo delle larghe intese non avrebbe trovato il suo sostegno: ora, non so cosa ci può essere di più grave di un ministro che mente al popolo italiano e lo fa per proteggere l’amica colpevole di un reato.

Nel paese normale i presidenti di camera e senato convocherebbero il parlamento d’urgenza affinché quelli che hanno tributato la standing ovation alla ministra bugiarda si possano scusare con tutti gli italiani che non li pagano per giurare che una ladruncola marocchina è la nipote di un dittatore egiziano perché il capo dei capi ha deciso che così dev’essere, per prendere le difese di un vicepresidente del consiglio ministro dell’interno che acconsente alla deportazione di una madre e di sua figlia in un paese dove si rischia la vita e nemmeno per offrire la solita solidarietà di casta ad una signora diventata ministra per volontà di Napolitano e non del voto degli italiani.
Nel paese normale non passa l’idea che la raccomandazione sia un fatto normale solo perchè la si presenta come un gesto umanitario,  che una ministra che frequenta una famiglia come i Ligresti sia un fatto altrettanto normale; in un paese normale fatto di gente normale, di politici normali e di giornalisti normali una cosa del genere avrebbe dovuto destare almeno qualche sospetto, far alzare qualche sopracciglio, e invece niente, il dettaglio più importante, e cioè che una signora che ha lavorato a stretto contatto con lo stato prima da prefetto e poi da ministro abbia mantenuto dei rapporti di amicizia, a quanto pare pure piuttosto stretti e da decenni, che suo marito abbia avuto interessi in comune con una famiglia che da una trentina d’anni è al centro di scandali e reati di ogni tipo, più odiosi di altri perché danneggiano la collettività nel paese anormale è solo una coincidenza: chi non ha per amici truffatori e bancarottieri del resto?
Nel paese normale il presidente della repubblica non parlerebbe ogni due per tre dei troppi veleni che inquinano il paese ma avrebbe dovuto essere lui – in qualità di garante della democrazia e della Costituzione – l’antidoto e la cura evitando di fare da spalla più o meno occulta ai responsabili di quell’intossicazione.

Come si permette Napolitano di parlare di troppi veleni se uno degli inquinatori della democrazia è proprio lui, i suoi atteggiamenti ambigui, il suo non prendere mai una posizione, la sua arroganza di fronte a qualsiasi cosa si possa dire di decente e di sensato che a lui non va bene mai perché rovina le sue fantastiche larghe intese.
Ci facesse sapere Napolitano che ne pensa di un latitante da 106 giorni che secondo una legge dello stato ridicola e che non esiste in nessun altro stato civile doveva essere buttato fuori almeno dal parlamento IMMEDIATAMENTE, quanto veleno c’è in una sentenza definitiva non ancora applicata, in un delinquente pregiudicato ancora libero da senatore della repubblica e in grado di condizionare la vita politica e la democrazia. 
Chi e cosa ha garantito Napolitano da quando ha messo piede al Quirinale: gli editoriali di Scalfari?

L’idea di Napolitano non è quella di stato, di una politica che rispecchi le volontà del popolo: troppo stupido quel popolo che si riduce a votare per dei signori nessuno che male o bene ci stanno provando a fare quella “rivoluzione” di cui si è sempre sentito molto parlare da salotti e scrivanie. La sua idea è quella del tutor da asilo Mariuccia, quella del genitore severo che impone la sua “educazione” e a chi non sta bene, dietro la lavagna con le orecchie d’asino, sbertucciato dai “compagni”. Questo fatto che “o così o la catastrofe” è democraticamente inaccettabile. Questa gente se ne deve andare.

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Anna Maria Pinocchieri
Marco Travaglio, 15 novembre

Adesso, nel Paese dell’Embè, ci diranno che non fa niente se la ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri ha mentito sotto giuramento ai magistrati che la interrogavano come testimone il 22 agosto sulle telefonate con la famiglia Ligresti. Tutti, dal Pdl al Pd a Scelta civica, per non parlare del silenzio-assenso del Quirinale che nomina i ministri, avevano già detto “embè?” sulle bugie della Guardagingilli al Parlamento. Balla più, balla meno, che sarà mai. Il Parlamento, poi, figurarsi. Tre anni fa votò che Ruby era la nipote di Mubarak, o comunque B. ci credeva davvero. E quattro mesi fa s’è bevuto che il vicepremier e ministro dell’Interno Angelino Alfano non sapeva niente del sequestro a Casal Palocco e della deportazione in Kazakhstan di Alma Shalabayeva e della sua figlioletta di 6 anni, organizzati nel suo stesso ministero. Sono tutti (o quasi) uomini di mondo, con stomaci forti e moquettati.

Digeriranno anche le frottole della cosiddetta ministra della Giustizia. La quale, il 17 luglio, la sera della retata che aveva portato agli arresti l’amico Salvatore Ligresti e le due figlie (il maschio latitava in Svizzera), chiamò la compagna del patriarca, Gabriella Fragni. E il 22 agosto, davanti ai pm di Torino, spiegò, che l’aveva fatto solo per “darle la mia solidarietà sotto l’aspetto umano”. E non era vero, perché aveva pure criticato i giudici (“non è giusto, non è giusto, è la fine del mondo” arrestare tre magnager che hanno spolpato un’azienda scavando un buco di almeno 600 milioni: dove andremo a finire, signora mia) e si era messa a disposizione (“qualunque cosa io possa fare, conta su di me”). Poi, sempre nell’interrogatorio, aggiunse: “Dopo di allora non ho più sentito la Fragni né altri in relazione al caso Ligresti, ad eccezione della telefonata con Antonino Ligresti (fratello di Salvatore, pure lui amico di famiglia, ndr) di cui ho già riferito”. È la chiamata del 19 agosto, in cui Antonino le segnala che Giulia è malata di anoressia e in carcere rifiuta il cibo, insomma bisogna tirarla fuori. La ministra, sempre per ragioni umanitarie, si attivò telefonando ai due vicecapi dell’Amministrazione penitenziaria, Cascini e Pagano, che per sua fortuna la stopparono e la salvarono da un’accusa di abuso d’ufficio.

Purtroppo però non è vero nemmeno che, dopo il 19 agosto, l’Umanitaria non abbia “più sentito altri in relazione al caso Ligresti”. Infatti – come rivela Paolo Griseri su Repubblica – i tabulati della Procura di Torino registrano un’altra telefonata, partita la sera del 21 agosto dal cellulare della ministra verso quello di Antonino Ligresti e durata 7 minuti e mezzo. È la sera prima dell’interrogatorio davanti ai pm, dunque è difficile che la Cancellieri possa averla dimenticata nel breve volgere di una notte. E che non l’abbia dimenticata lo dimostra lei stessa, quando aggiunge a verbale: “Ieri sera Antonino Ligresti mi ha inviato un sms chiedendomi se avessi novità e gli ho risposto che avevo effettuato la segnalazione, nulla di più”. Una risposta a un sms, una cosetta.

E qui casca l’asino, perché ora al posto dell’sms salta fuori una conversazione di 450 secondi. Perché nasconderla? E che senso hanno le numerose chiamate, anch’esse risultanti dai tabulati, dal telefono del marito della ministra, Sebastiano Peluso, a quello del solito Antonino negli stessi giorni? Sarà stato davvero il consorte a usare quel cellulare? Davvero bastano il gran cuore e lo sconfinato empito umanitario della Guardagingilli, per spiegare quella mobilitazione generale da emergenza nazionale? Il 21 novembre, finalmente, la Camera dovrà votare la mozione di sfiducia individuale presentata dai 5Stelle contro la Cancellieri. Il Pd inghiottirà anche il nuovo rospo per non disturbare le larghe intese e coprirà tutto con il solito “embè”? La speranza è che la Cancellieri non abbia consumato tutta la sua umanità per fare scarcerare la povera Giulia. E ne conservi ancora un pizzico per liberare il Pd dai Ligresti domiciliari.

Italia: uno stato “ne me quitte pas”

Giulia Maria [Ligresti] è un po’ come la Giulia Sofia di Crozza – Montezemolo: a differenza della seconda però, di cui non si conoscono il cognome e il volto e che è un’esperta di aragostate lei è lo è delle paraculate. Che non sono per niente charmantes.

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Sottotitolo: “in uno stato davvero democratico vige il principio che tutti sono sostituibili, specie se è in gioco il prestigio delle istituzioni, per un principio di responsabilità. Ma noi siamo uno stato “Ne me quitte pas”: Cancellieri, Napolitano, Amato, non ci lasciate altrimenti non sappiamo che fare. Noi non siamo uno stato davvero democratico. [Michele Santoro]

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I renziani sono critici, poi votano sempre con la maggioranza. Visto che qui c’è una mozione di sfiducia individuale, non al governo, perché – oltre a criticare la Cancellieri – non le votano anche contro? Sono rottamatori o manutentori?”[Marco Travaglio]

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Per tutti quelli che “la Cancellieri ha fatto bene”.
E se trovano un po’ di vergogna da qualche parte, la usassero pure senza parsimonia.

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“In qualunque altro paese, la Cancellieri sarebbe già a casa. Qui invece è finita con 29 secondi di standing ovation al Senato e 18 alla Camera.” Marco Travaglio, nel suo editoriale, analizza punto per punto il discorso in aula del Ministro della Giustizia sul “caso Ligresti”.

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Se quelle di Letta sono palle d’acciaio non oso pensare di che materiale siano quelle dei romani che hanno scoperto che da tredici anni pagavano biglietti dell’autobus usati. Clonati. E magari qualcuno è stato pure sanzionato perché non l’aveva fatto senza sapere che il suo era già stato pagato da un altro incolpevole utente Atac. Ma ovviamente l’amministrazione capitolina per tredici anni si è dovuta occupare di altre urgenze, tipo chessò, tappare le buche, evitare che Roma si trasformi nella Venezia del centro Italia dopo appena qualche ora di pioggia. Non fare nulla affinché la criminalità organizzata e la mafia prendessero possesso della Capitale d’Italia litorale compreso o risistemare le periferie. Cose così, ecco.

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Verrebbe da chiedersi come mai Renzi tutte quelle belle cose a proposito delle dimissioni della Cancellieri non le abbia dette in tempo utile affinché entrassero nel dibattito prima dell’inutile “riferirò” della ministra in parlamento. 

In politica non basta pensare le cose: bisognerebbe dirle e poi farle. E quello che è inacettabile è che un leader, candidato a guidare un partito e nel suo immaginario anche un governo dica delle cose mentre il partito di cui fa parte, anche i suoi, i cosiddetti “renziani” ne fanno altre tipo la standing ovation alla ministra bugiarda. 

Certo che è un bel tipo Matteo Renzi, uno con la scritta “sòla” in fronte ma che in questo paese di irriducibili romantici passa davvero per il rinnovatore che non è. 
Renzi che vuole cambiare la politica di centrosinistra tirandosi dentro tutto il vecchio e sudicio che lo sta rappresentando e lo ha rappresentato fino ad ora.

Se Renzi vuole essere credibile  faccia votare ai suoi la mozione di sfiducia alla ministra salvalavitamasoloseèligresti, insieme a Sel e ai 5stelle, altrimenti la smetta di andare in televisione a bocce, anzi, a palle d’acciao ferme a prendere in giro gli italiani. 
Ché questo è un film già visto e replicato troppe volte.

E, a proposito di Renzi, signora e permesso zona traffico limitato:  questi non si spostano sulle automobili di servizio [o in bicicletta quando sanno che c’è una telecamera a riprenderli] che il permesso ce l’hanno incorporato? gliene serve uno ulteriore anche per l’auto di famiglia? e per quale motivo? c’è gente che paga centinaia di euro l’anno per poter accedere alle ZTL per lavoro, non sono sindaci né onorevoli e senatori. E questi che già hanno tutto pure quello devono avere gratis?

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HENRY PALLE DI ACCIAIO (Marco Travaglio)

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GLI SCANDALI DEL PAESE E IL CERVELLO DEGLI ITALIANI (Bruno Tinti)

Vero: i politici di casa nostra hanno una faccia di bronzo che potrebbe essere usata per lo scampanìo di Pasqua. Ma è anche vero che i cittadini italiani soffrono di amnesia per gli eventi che non li toccano personalmente: un p o’ di indignazione, due o tre giorni di proteste e poi ricominciano a lamentarsi dell’eccessivo peso fiscale.

L’azione sinergica del bronzo e dell’assenza di memoria fa sì che la classe politica italiana sia, giustappunto, quella che Renzi vuole rottamare (va detto: senza convincenti sostituzioni e senza garanzie che, al posto del bronzo, ci sia solo più una grottesca maschera veneziana). Tutti sanno che il problema è resistere (lo aveva già detto Borrelli): qualche giorno, un paio di settimane, nei casi gravi un mesetto; e poi – come un’oca che sbuca dall’acqua più asciutta di prima – niente dimissioni, si ricomincia.

Abbiamo un presidente della Repubblica che manteneva frequenti rapporti con un imputato di falsa testimonianza in un processo che, se l’accusa fosse fondata, ferirebbe a morte i sopravvissuti della classe dirigente dell’epoca, tutta gente saldamente ancorata alla roccia del potere. Attenzione: che l’accusa sia fondata o no non ha nessuna importanza; un presidente della Repubblica non può avere amicizia con indagati, imputati, condannati; men che meno per reati quali quello ascritto a Mancino.

Abbiamo un ministro dell’Interno che ha permesso (perché ha collaborato attivamente, perché ha omesso di intervenire, perché ha trascurato di sorvegliare quello che succedeva nel suo ministero; non importa, è lo stesso) un sequestro di persona eseguito sul territorio italiano da emissari di una potenza straniera (come si dice nei film di spionaggio) e organizzato da un ambasciatore impadronitosi dei locali e delle strutture del ministero.

Abbiamo un ministro della Giustizia che mantiene rapporti di stretta amicizia con una famiglia di imprenditori il cui patriarca è stato condannato (nel 1992; erano già amici) a 2 anni e 4 mesi di prigione per il reato di corruzione. Che è arrestato insieme ai figli per un colossale falso in bilancio. Che, invece di spiegare ai suoi amici (magari con tristezza) che un pubblico funzionario (nel 1992 era prefetto) ovvero un ministro (come è ora) non può mantenere rapporti con persone che hanno problemi (gravissimi, non si tratta di una guida senza patente) con la giustizia, si mette a disposizione per “tutto quello che può fare”. Che qualcosa (non penalmente rilevante allo stato della legislazione attuale) effettivamente fa. E che si giustifica dicendo che non ha mai fatto pressioni sulla magistratura. Che dunque non si rende conto che il problema non sono le pressioni non fatte (ci mancherebbe altro) ma la deviazione dei pubblici poteri di cui è investita.

Di Napolitano e di Alfano non si parla più. Napolitano è stato eletto una seconda volta presidente ed è osannato come salvatore della Patria. Alfano si prepara a incassare il consenso degli pseudo moderati che, con B. al potere, erano onorati di fargli da tappetino della doccia. Di Cancellieri, tra un mese, nessuno ricorderà gli abusi commessi. Sicché c’è poco da scandalizzarsi: la mutua assistenza tra le facce di bronzo riposa sull’impunità garantita dall’amnesia dei cittadini.

Alla fine provo un po’ di pena per B. Di lui si continua a ricordare tutto. Un capro espiatorio per ripulire la coscienza del popolo. Che, come ai tempi delle indulgenze plenarie (ma ci sono ancora?), è pronto a ricominciare. Nel nostro caso, a dimenticare.

 

Italia: un paese a irresponsabilità illimitata

Riccardo Mannelli per Il Fatto Quotidiano

Quello che si evince da tutta questa triste vicenda che vede un ministro fare – more solito – un uso privato del suo ruolo pubblico è l’ipocrisia non solo della claque chiamata ad applaudire ma proprio di quel ministro che ieri ha bloccato il parlamento per esprimere il nulla, per non dare quelle risposte che ci si aspettavano da lei e per chiedere una inutile fiducia, visto che è stata lei stessa un paio di giorni fa a dire che è matto chi la accusa, che il suo comportamento è stato cristallino e che non si sarebbe mai dimessa. Nonostante i rumors nel paese dicessero altro, avrebbero preferito quel passo indietro utile a ridare alla politica anche il significato nobile di un gesto simbolico qual è quello di un ministro che si assume la responsabilità delle sue azioni non davanti ai suoi pari ma ai cittadini che è chiamata a servire con onore e disciplina come da Costituzione. Altroché quella correttezza istituzionale che altri ipocriti peggio di lei le hanno riconosciuto. Solo degli idioti o gente che crede davvero alla balla del governo di necessità, dunque in malafede – due categorie ben rappresentate all’interno di “questa zozza società” – avrebbero potuto pensare ad un gesto di responsabilità di un ministro che fa parte di un governo nato per volontà di Napolitano ma su richiesta di berlusconi.

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RIDATECI JOSEFA IDEM 

“In un Paese normale, per esempio la Francia, uno degli uomini più ricchi del Paese, proprietario di aziende e televisioni e squadre di calcio, fondatore di un partito ed eletto a furor di popolo in Parlamento, com’era Bernard Tapie, una volta condannato per frode fiscale decade il giorno stesso e finisce in galera. Qui invece blocca l’intera nazione e ricatta il governo da sei mesi.” [Curzio Maltese]

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E LIGRESTI CHIAMÒ B: “TROVATELE UN POSTO IN EMILIA ROMAGNA” 

“Parola di ministro: “In nessun modo la mia carriera è stata influenzata da rapporti personali”. Così Anna Maria Cancellieri ha solennemente dichiarato ieri in Parlamento, tra gli applausi. Eppure è Salvatore Ligresti a smentirla seccamente: “Sono intervenuto presso Silvio Berlusconi a favore della Cancellieri, quand’era prefetto a Bologna”. [Gianni Barbacetto]

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SISTEMA ANNA MARIA 

“Con la signora (l’unico vero uomo del governo Letta, avrebbe scritto Montanelli) che ieri alla Camera ha liquidato la pratica in una ventina di minuti, mentre intorno si spellavano le mani. Che spettacolo! Infatti l’unica verità politica di questa messinscena viene attribuita al costernato premier nipote che, inorridito dalla prospettiva di un rimpasto, avrebbe pigolato: “Se salta lei, salta tutto”. Proprio vero, poiché la tanto umana Anna Maria nelle telefonate con casa Ligresti rappresenta in realtà un solido e collaudato sistema di relazioni, al vertice del quale c’è il Quirinale con sponde a destra e a sinistra, nell’alta burocrazia ministeriale e nella finanza che conta. E un sistema non si dimette certo. Così come protetto dal sistema è quel ministro Alfano che consentiva ai kazaki del caso Shalabayeva di fare i loro porci comodi al Viminale, poiché se così non fosse da quel dì si ritroverebbe a prendere il sole nella natìa Agrigento. Si dirà che anche la Idem da ministro ebbe la sua scivolata. Ma non era nel sistema e infatti l’hanno sistemata.” [Antonio Padellaro]

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Si troveranno quattro o cinque volontari?

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L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI LIGRESTI: FAVORI NON SOLO A GIULIA. MA ANCHE A JONELLA E PAOLO 

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Per bocca di Edward Luttwak [niente meno] e con la consueta sobrietà che lo distingue sappiamo cosa pensano della vicenda Cancellieri nei gloriosi States. 
E se anche un reazionario fascista come lui può dare lezioni di democrazia significa che la situazione non è solo grave ma gravissima e mette, anzi lascia l’Italia al solito posto da peracottara zimbello del mondo che le spettava prima con berlusconi e che le compete anche adesso col bel governo larghinciucista, quello che ieri ha tributato la standing ovation ad Anna Maria Cancellieri considerando evidentemente impeccabile il suo comportamento nei riguardi degli amici di famiglia.

Luttwak parla inoltre di Letta come un traditore che davanti a Obama dice delle cose e poi quando torna qui ne fa altre, alcune, aggiungo io, proprio non riesce a farle, tipo favorire l’uscita ad un ministro che non si comporta esattamente da funzionario di stato qual è. 

E immagino come ci si possa sentire gratificati e soddisfatti ad essere difesi da gente come brunetta, santanchè e schifani [un indagato per mafia], quanto da questa brillante esperienza ne possa trarre un vantaggio il proprio valore umano e professionale. 

L’America ha un mucchio di difetti fra cui anche Luttwak, ma gli americani sono meno sportivi, meno disposti a comprendere, giustificare e perdonare come invece hanno fatto tanti italiani che in questi giorni, anche fra la gente semplice, la stessa che a berlusconi e a chi gli ha reso la vita facile non ha perdonato [giustamente] nulla, ha invece apprezzato il solito, squallido e tipicamente italiano intervento ad personam pro personam della ministra Cancellieri. Sfido chiunque ci tenga a mantenersi il posto di lavoro a resistere alla tentazione dell’obbedienza se un ministro chiede DI SUA INIZIATIVA , anche con cortesia, anche senza imposizione, anche se il fatto non costituisce un reato di fare qualcosa nel particolare, non nell’usuale e nel consueto dei doveri di un ministro e di chi lavora per quel ministro. 
Gente pagata per servire lo stato, non qualcuno nel particolare.

I diritti sono quelli di tutti e per tutti.
Quando sono solo per qualcuno si chiamano privilegi, ed è in ragione di uno stato che ha sempre favorito i privilegi per i pochi rispetto ai diritti per i tutti che questo paese è ridotto in macerie. E quei pochi sono sempre gli stessi fra l’altro, componenti di un’élite che sta bene soprattutto alla politica che dovrebbe annullare le differenze sociali come Costituzione comanda quando dice che i cittadini sono tutti uguali, invece le promuove e se le tiene da conto. Se riforme costituzionali devono essere ne voglio una fatta bene. Non per aggiungere cose ma per toglierle. Noi viviamo ormai in un corto circuito permanente dove il buon senso e la ragione non trovano più spazio e residenza. Non è possibile che si guardi di traverso chi propone un’idea onesta della politica e si lascino immense praterie a quel vecchio, rancido e marcio che ha distrutto questo paese.  Tutto mi sarei aspettata fuorché la difesa della Cancellieri da parte di gente che a berlusconi non gli faceva passare nemmeno la verdurina in mezzo ai denti. Gente che non capisce che la politica non va difesa mai perché la fregatura è sempre in agguato, e bisogna stare pronti a schivarla, o quanto meno ad accorgersene.

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Tengo ministra
Marco Travaglio, 6 novembre

Ieri Massimo Fini ha scritto sul Fatto un articolo in dissenso con i miei sul caso Cancellieri- Ligresti. Il pezzo si basa sull’assunto che io abbia equiparato le due chiamate fatte dalla ministra ai vicecapi del Dap Cascini e Pagano per raccomandare Giulia Ligresti alle sette telefonate di Berlusconi alla Questura di Milano per raccomandare Ruby “nipote di Mubarak”. In effetti penso che quelle telefonate abbiano almeno un denominatore comune: l’intenzione del potente di turno di usare la carica di governo per assicurare un trattamento privilegiato a un’amica tramite la solita scorciatoia all’italiana. Ma l’analogia finisce qui e ha ragione Fini nel sottolineare le differenze. Che sono tre. 1) B. abusava di una funzione che non aveva, perché non era il diretto superiore della Questura (era premier, non ministro dell’Interno), infatti è imputato per concussione; mentre la Cancellieri ha tentato di abusare di una funzione che ha, in quanto massimo responsabile dell’amministrazione penitenziaria. 2) B. ha ottenuto il suo scopo, grazie alla remissività dei funzionari della Questura; la Cancellieri invece ha incontrato la resistenza dei due vicecapi del Dap, che non hanno dato seguito alle sue pressioni e così l’hanno salvata da una possibile accusa non di concussione, ma almeno di abuso d’ufficio (figurarsi l’imbarazzo dei magistrati di Torino, quando decisero motu proprio di scarcerare Giulia Ligresti per le sue condizioni di salute, se avessero saputo che il ministro era intervenuto a raccomandarla). 3) La responsabilità di B. è penale, infatti è già approdata a condanna di primo grado, mentre quella della Cancellieri è politico-morale, anche se lei nega, dà di matto, farfuglia di “metodo Boffo” (ma basta!) e pretende gli applausi che ieri puntualmente una maggioranza indecente le ha tributato lasciandola sulla poltrona. Non sarei invece così sicuro, come lo è Fini, che solo B. volesse “ricavare un vantaggio, cioè che Ruby non spifferasse quanto succedeva nelle notti di Arcore”, mentre la Cancellieri “non riceveva alcun vantaggio, se non sentimentale”. Temo che, anche per la signora ministra, i sentimenti c’entrino poco. Basta inquadrare le sue telefonate intercettate (e anche quelle purtroppo non intercettate con Antonino Ligresti, fratello di Salvatore) nel contesto della sua trentennale amicizia con una delle famiglie più malfamate del capitalismo italiano. I fratelli Salvatore e Antonino Ligresti sono due pregiudicati per corruzione. Antonino, proprietario di cliniche private, è amico del marito farmacista della ministra, a sua volta arrestato nel 1981 per uno scandalo di fustelle false. Salvatore, costruttore e assicuratore, è anche lui amico della Cancellieri (come pure la sua compagna Gabriella Fragni), nonché proprietario della casa dove vive il figlio della ministra, Piergiorgio Peluso, che è stato per un anno direttore finanziario della Fonsai uscendone con una generosa liquidazione di 3,6 milioni. Don Salvatore dichiara ai magistrati di aver favorito, con un intervento presso l’amico B., la carriera prefettizia della Cancellieri (lei smentisce). Giulia Ligresti dice in una telefonata intercettata che la buonuscita di Piergiorgio a dispetto dello scarso rendimento in azienda si deve al suo cognome (lei rismentisce). È questo il contesto che spiega perché la ministra della Giustizia, appena vengono arrestati Ligresti e le due figlie (mentre il terzo figlio latita in Svizzera), sente l’impellente bisogno di chiamare la Fragni per solidarizzare con gli arrestati contro i magistrati (“non è giusto”, “c’è modo e modo”), scusarsi di non aver chiamato prima (quando la Dinasty siculo-milanese era già indagata per gravi reati finanziari) e mettersi a disposizione (“Qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me”). Nessun accenno alle condizioni di salute di Giulia, che entreranno in scena solo un mese dopo con le telefonate ai vicecapi del Dap. Telefonate che, a questo punto, sono forse l’aspetto meno grave di una vicenda che vede un ministro (non della Marina mercantile, ma della Giustizia!) soggiogato dal rapporto preferenziale con due noti pregiudicati che da almeno vent’anni entrano ed escono dalle patrie galere. Un ministro la cui condotta autorizza addirittura a ipotizzare che sia ricattabile, almeno nella mente turbata e nelle parole malate dei Ligresti sui presunti doveri di riconoscenza che la Cancellieri e la sua famiglia dovrebbero avere nei loro confronti. Altrimenti non si spiega perché, prima da prefetto della Repubblica, poi da ministro dell’Interno e infine da Guardasigilli, la Cancellieri non abbia interrotto i rapporti con due condannati definitivi e, anzi, li abbia riagganciati dopo la nuova retata. Giustizia, nella Costituzione e nei dizionari, è sinonimo di imparzialità, eguaglianza, pari opportunità. C’è bisogno d’altro per affermare che questa signora può fare tutto fuorché il ministro della Giustizia?

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei

CASO LIGRESTI, UNA GUARDASIGILLI CHE E’ RICATTABILE?

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Una persona che frequenta da trent’anni una famiglia di disonesti truffatori faccendieri ha paura che venga applicato il metodo Boffo anche su di lei; chi altro conosce la Cancellieri?

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Ha ragione D’Alia quando dice che ricordare i principi costituzionali  è demenziale.

Qui ormai siamo arrivati talmente oltre il punto del non ritorno che se non c’è il reato, l’azione penalmente rilevante non ci deve stare nemmeno la critica. E spesso e volentieri non ci può stare nemmeno in presenza del reato. Da novantasei giorni un pregiudicato condannato è ancora libero ma non si può dire: bisogna aspettare i tempi della democrazia per applicare una sentenza a un delinquente. Perché quel delinquente fa parte della casta protetta e privilegiata alla quale tutto è concesso, anche violare la legge e avere un trattamento diverso da quello riservato ai cittadini comuni.
Non ci sono solo i comportamenti illegali, ci sono anche quelli in contrasto con quell’etica a cui si richiama la Costituzione ispirata soprattutto dal buon senso lungimirante della prevenzione. Pensata specialmente per evitare di sbagliare. C’è scritto tutto, e c’era scritto anche che una persona come il delinquente ancora a piede libero non avrebbe potuto accedere alla carriera politica per evidenti contrasti fra i suoi interessi e la gestione delle cose pubbliche, ma questo non ha impedito che al delinquente siano state aperte lo stesso le porte del parlamento. Perché questo sia potuto accadere non ce lo ha mai spiegato nessuno; nessuno che si sia cosparso il capo di cenere per scusarsi di aver dato il permesso ad un personaggio che, se prima si poteva definire discutibile oggi si può addirittura dire di lui che è un pregiudicato condannato, di poter stravolgere un paese fin nelle sue fondamenta che risiedono proprio in quella Costituzione divenuta ormai un fastidio. Anzi, tutti si sono attivati per rendergli la permanenza nelle istituzioni il più confortevole possibile continuando a sfregiare quella Costituzione con leggi fatte apposta per lui e convalidate da chi viene definito “garante”: delle istituzioni e della Costituzione ma che in realtà l’unica cosa che ha difeso è proprio e solo quella casta di privilegiati di cui nulla si può dire senza essere tacciati di essere antipolitici, populisti antistato e demagoghi. E l’ha talmente difesa bene da volerla riunire tutta nell’abbraccio nelle larghe intese il cui operato non si deve discutere pena la stabilità del paese. Ora io non so se nel governo della stabilità del paese è prevista la presenza di un ministro che non pensa di aver fatto nulla in contrasto con quell’etica costituzionale occupandosi personalmente di segnalare con urgenza il caso di una persona amica che fa parte di una famiglia da sempre al centro di inchieste giudiziarie. Non c’è bisogno che nelle frequentazioni e nel comportamento del ministro ci sia qualcosa di penalmente rilevante per pensare che chi svolge una professione delicata che ha a che fare principalmente con l’applicazione della legge e della Costituzione non dovrebbe avere niente a che fare con gente abituata a violare la legge. E che non sta bene un ministro che pensa e dice che non sia stato giusto il trattamento riservato agli esponenti della famiglia fuorilegge dicendo di essere solidale con la famiglia e non con lo stato che rappresenta mettendosi a disposizione non dello stato ma dei fuorilegge.
Quello che so è che in un paese appena un po’ normale, uno di quelli dove presidenti e ministri si dimettono appena l’ombra del sospetto aleggia su di loro una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere. In questo invece quel ministro non solo trova il sostegno e la solidarietà della politica, del presidente della repubblica che non ha detto una sola parola nel merito della questione quindi è facile immaginare quale sia il suo pensiero, del presidente del consiglio la cui fiducia nei confronti del ministro è “a prescindere” ma anche di tanta gente comune che in questi giorni si è appellata all’impossibile e all’inenarrabile per difendere quel ministro in spregio non solo della Costituzione, della legge e del rispetto di quelle regole che vorrebbe che ognuno stia al suo posto: i ministri a fare i ministri e i delinquenti a fare i condannati quando li scoprono ma soprattutto in virtù di quella demenza diffusa che ha fatto perdere di vista il semplicissimo concetto di quello che è giusto, sbagliato, di quello che si può fare e quello che non si deve mai fare. Soprattutto quando si rappresenta lo stato, la qual cosa prevede anche il rispetto di quella Costituzione pensata proprio per difendere lo stato, non gli amici delinquenti dei ministri.

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Quello che mi dà fastidio, un enorme fastidio, sempre in base a quel concetto di demenza diffusa, sono le accuse di giustizialismo, di essere persone che umanamente non valgono niente rivolte a chi non pensa che difendendo la Cancellieri si sostenga qualche giusta causa. 
Men che meno quella della condizione disumana delle carceri che non si risolve occupandosi di pochi fortunati prescelti né liberando delinquenti a grappoli ogni tot di anni perché nelle galere si sta stretti. 

Chi tocca temi come amnistia e indulto verrà sbranato finché la politica non si libererà del più delinquente di tutti, se la politica non lo fa, se non elimina quelle leggi barbare che mandano in carcere chi non ci deve andare, significa che non le interessa minimamente la realtà drammatica dei detenuti in Italia ma le interessa che il dramma continui ad esistere in modo tale da poter giustificare poi i provvedimenti straordinari che non risolvono i problemi di chi in galera ci deve purtroppo stare ma aiutano a non entrarci chi non ci vuole proprio andare anche se la merita. 

E la Cancellieri per prima ha dimostrato che non le interessano i casi di tutti ma solo quelli di qualcuno, con buona pace di chi da giorni va impestando bacheche pubbliche ripetendo la litania che “la ministra ha agito secondo quelli che sono i suoi doveri”: e non è affatto così. 

E la domanda da fare non è la solita scemenza del “se capitasse a te” ma proprio quella opposta e cioè “se capitasse a ME”, e francamente l’idea di dovermi trovare in una situazione difficile e dover essere io quella che resta fuori dall’interessamento personale di un ministro non mi affascina particolarmente. Ecco perché il ministro si deve occupare di tutti e non solo di qualcuno. 

E dà fastidio anche la supponenza, quella presunta superiorità intellettuale benaltrista di chi pensa che ci si stia occupando troppo della vicenda rispetto ad altre realtà come se guardare una cosa impedisse di osservarne altre. 

E la solita insopportabile categoria di idioti nel profondo di quelli che, manco a dirlo, danno la colpa a certi giornali [uno nella fattispecie: il solito Fatto Quotidiano], e a certi giornalisti [uno nella fattispecie: il solito Marco Travaglio] di quella profonda insensibilità forcaiola di noi che vorremmo vivere in un paese dove le sentenze definitive si applicassero anche al prepotente delinquente nei tempi previsti dalle leggi, dove un ministro non telefonasse a casa di famiglie non al di sopra di ogni sospetto ma molto al di sotto di un’idea di onestà senza per questo doverci sentire noi dei fuori legge disumani.