Il paese dei “figli di…”

Evidentemente la valutazione del governo è stata positiva. E tanto basta per definire di che pasta è fatto il governo di Renzi: la solita, condita con l’autoreferenzialità di casta e priva del senso minimo di responsabilità che un politico dovrebbe assumersi anche quando non gli conviene.

Sottotitolo: bei tempi quando su facebook si litigava perché qualcuno almeno si degnava di chiedere le dimissioni di ministri “inadeguati”.
Ad esempio Renzi.
Quella santa donna della Idem dovrebbe fare una class action contro chi l’ha costretta a dimettersi.
La Cancellieri e alfano no: loro hanno detto “sto”, come a sette e mezzo col cinque, e senza nemmeno soffrire come Lupi che  è uno dei risultati disastrosi delle larghe intese napolitane.  Perché non bisogna dimenticare chi ha voluto a tutti i costi gemellare e unire sotto l’ombrello di una necessità che non c’era gente che non poteva fare altro che produrre i disastri a cui assistiamo senza poter fare nulla. 

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La legge sulla responsabilità civile dei giudici non la chiedeva nessuno: nemmeno l’Europa.
Ma per Renzi era un’esigenza irrimandabile, da approvare in tempi brevissimi.
Quella sull’anticorruzione è chiusa da due anni in un cassetto e non saranno gli “alleluja” di Grasso a renderla operativa ma soprattutto efficace.
Solo uno stato profondamente corrotto intimidisce la Magistratura e lascia in pace i delinquenti, in particolar modo quelli “eccellenti” che piacciono alla destra, al centro e alla “sinistra”.  Il presidente del consiglio non dice nulla sugli arresti “eccellenti” di persone vicine al suo governo e vicinissime ai suoi ministri, così tanto da regalare Rolex a figli che si laureano, però sente il dovere di replicare al Presidente dell’Anm che lamenta un diverso trattamento della politica rispetto ai Magistrati e ai corrotti, che denuncia un governo che fa praticamente il contrario di ciò che dovrebbe mettendo l’urgenza sui provvedimenti disciplinari ai giudici e dilatando oltremodo quelli contro la corruzione che si è mangiata il paese. 

Ad oggi gli unici ad aver provato a ripulire questo paese sono stati i giudici, non la politica che li ha sempre osteggiati e contrastati in tutti i modi.
Non è colpa dei giudici se la politica ha sempre aspettato l’intervento della magistratura ma della politica che non ha mai fatto quello che deve, lo diceva ancora due sere fa Peter Gomez a Piazza pulita ad una frastornata Bonafè che insisteva nel dire che De Luca è stato votato, e finché la gente vota anche i condannati – talvolta anche i pregiudicati – non si può fare diversamente, mentre Gomez cercava di spiegarle che un partito serio non permette a un condannato, sebbene solo  in primo grado di potersi candidare in nessuna sede,  perché le regole del circolo della bocciofila che non manda in presidenza i condannati sono più severe di quelle che si dà la politica, che poi comunque le disattenderebbe come al solito.
Quindi i giudici andrebbero ringraziati, non rimproverati dal Leopoldo sdegnato che invece di agire contro il malaffare e la criminalità, anche quella di stato, ha pensato che fosse più utile e necessario fare strame dei diritti, del lavoro, della scuola: ci sono volute poche settimane per abolire l’articolo 18 ma la legge contro la corruzione è solo una delle tante ipotesi, come il game e over, il daspo per i politici indagati e condannati, del presidente del consiglio che si mette contro i giudici come un berlusconi qualunque.
E’ proprio ‪#‎lavoltabuona‬, come no.

 

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“Giovani choosy che vogliono restare sotto la gonna di mammà, sfaticati senz’ambizioni se non quella del monotono posto fisso”.
Tutte definizioni [relative ai figli degli altri] estrapolate da discorsi di genitori eccellenti di figli che, evidentemente, essendo i più bravi di tutti hanno invece meritato tutto quello che si ritrovano.
Due cattedre nell’università dove guarda caso insegnavano e facevano ricerca mamma e papà come la dottoressa Silvia Deaglio figlia di mamma Fornero, importanti incarichi manageriali strapagati durante e dopo con liquidazioni milionarie come Piergiorgio Peluso figlio di mamma Cancellieri, una vicepresidenza alla banca d’affari Morgan Stanley a 43 anni come Giovanni Monti, figlio del più noto Mario.
E come dimenticare il già viceministro della Fornero, Michel Martone, quello che “chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato”: figlio di Antonio, magistrato, professore associato a 27 anni, giusto un attimo prima della sfiga.
Alla lista si potrebbero aggiungere altri cognomi illustri: Catricalà, Profumo, Clini, Gnudi, Passera, Balduzzi, Severino i cui figli non hanno il destino e il futuro appesi, ma più che altro demoliti dalle leggi fatte col contributo dei loro genitori essendoseli assicurati per dinastia, si aggiunge ora anche il figlio di Lupi, un altro nato e cresciuto nella sua bella torre d’avorio del feudo Italia dove solo ai “figli di…” viene riconosciuto il merito, le competenze necessarie per accedere ai posti migliori.
Lupi è solo l’ultimo di un elenco odioso fatto di gente che ha letteralmente rubato la vita di chi se la deve inventare dal giorno in cui viene al mondo, e se lui “prova amarezza” per il figlio sbattuto in prima pagina provi ad immaginare cosa proviamo noi che non abbiamo un cognome eccellente, gli amici giusti al posto giusto che regalano Rolex da diecimila euro per tutte le porte sbattute in faccia ai nostri figli che, grazie ai genitori come lui, non possono nemmeno dimostrare quanto valgono.

Per indebolire Letta, mandarlo a casa sereno, Renzi ha usato anche la richiesta delle dimissioni della Cancellieri, fregandosene altamente se questo poteva dispiacere Napolitano, il grande sponsor dell’ex prefetta promossa ministra nel governo di Monti.
Nel caso di Lupi, che nel paese normale dovrebbe essere già a casa e non importa se sereno o no, nessuno vuole darsi reciproci dispiaceri.

Un partito insignificante per la politica come l’Ncd ma che può godere di protezioni altissime grazie alla vicinanza stretta con Comunione e Liberazione, che a sua volta è vicinissima anche al cardinal Bagnasco che pare accorgersi solo oggi che la corruzione in Italia è diventata insostenibile: vent’anni di berlusconi non gli avevano chiarito così bene le idee che può tenere sotto scacco il residuo minimo di dignità della politica e delle istituzioni, il cui unico interesse è che il governo dell’illegittimo non abbia di che preoccuparsi fino alla data di scadenza.

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Il ministro ai dipendenti “Non si accettano regali oltre 150 euro di valore” – Sebastiano Messina, La Repubblica, 18 marzo

Un anno fa Lupi firmò il codice etico del suo dicastero che vieta di ricevere doni o benefici come un Rolex o un lavoro.
La regola che dovrebbe spingerlo a dimettersi subito, il ministro Maurizio Lupi l’ha scritta lui stesso il 9 maggio dell’anno scorso. E’ il Codice Lupi, un decreto che fissa in maniera chiarissima cosa è tassativamente vietato a tutti i dipendenti del suo ministero, applicando il Codice Etico approvato dal governo Monti. Articolo 4: «Regali, compensi e altre utilità». Comma 2: «Il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore», ovvero «non superiore a 150 euro». Queste sono le regole etiche di cui il ministro pretende l’assoluto rispetto da parte dei dirigenti e dei funzionari che lavorano con lui: mai accettare, «per sé o per altri», regali imbarazzanti come un Rolex o «altre utilità» come l’assunzione di un figlio.
Dunque il ministro sa benissimo come bisogna comportarsi in un ministero, visto che la norma l’ha scritta lui. In realtà, è stato obbligato a farlo. Il merito è di Mario Monti, che l’8 febbraio 2012, come titolare ad interim del ministero dell’Economia e delle Finanze, inviò una circolare ai suoi dirigenti che finì sui giornali perché a partire da quel giorno proibiva le spese di rappresentanza, le consulenze e i convegni. Minore attenzione fu inevitabilmente dedicata alla seconda parte della circolare, quella in cui Monti imponeva il rigoroso rispetto di un codice etico per i regali, vietando di accettare, «per sé o per altri, beni materiali quali regali o denaro, o beni immateriali o servizi e sconti per l’acquisto di tali beni (…) che eccedano il valore di 150 euro». Poi, per essere ancora più chiaro, il presidente del Consiglio aggiungeva: «I regali e gli omaggi ricevuti (…) in ogni caso devono essere tali da non poter essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio».
Ma quel governo non si accontentò di una circolare. E prima di uscire di scena approvò il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, un regolamento previsto dalla riforma Bassanini del 2001 ma inutilmente atteso da dodici anni. Alla voce «regali, compensi e altre utilità» il Codice – che porta la firma del ministro Patroni Griffi – ripeteva esattamente il divieto imposto da Monti: «Il dipendente non accetta, per sé o per altri…». Poi però rinviava a ciascun ministero il compito di emanare un decreto ad hoc, che adattasse quella regola ai meccanismi dei suoi uffici. Così il 9 maggio dell’anno scorso la pratica è arrivata sul tavolo di Lupi, che ha firmato le norme valide per il suo ministero.
Ma lui che ha scritto il Codice Lupi, invece di dare l’esempio è stato il primo a non rispettarlo. Ha lasciato che un imprenditore al centro di appalti miliardari – capace di dirigere i lavori di 17 opere pubbliche contemporaneamente – regalasse a suo figlio Luca un Rolex Daytona, il più ambito dai collezionisti, un orologio da 10 mila euro. E non ha battuto ciglio quando lo stesso imprenditore, Stefano Perotti, un anno fa ha fatto assumere il giovane Lupi da suo cognato, spiegando che «il ragazzo deve prendere 2000 euro più Iva mensili ». Regali e favori che erano evidentemente destinati a ottenere la benevolenza del ministro e che Maurizio Lupi ha accettato: non per sé, ma «per altri», ovvero per suo figlio.
Non basta, come fa il ministro, prendere le distanze da quell’imbarazzante dono del Rolex: «L’avesse regalato a me non l’avrei accettato » ha detto al nostro giornale. Chi ha visto «I tartassati» – il magnifico film di Steno del 1959 – ricorda che a un certo punto il maresciallo della tributaria (Aldo Fabrizi) si accorge che il commerciante evasore (Totò) sta cercando di corromperlo svendendo a sua moglie un abito con l’improbabile sconto del 70 per cento. «Posalo» ordina il maresciallo alla moglie. Ecco, il ministro avrebbe dovuto imitare il maresciallo Fabrizi, e fare la stessa cosa: ordinare al figlio di restituire immediatamente quell’orologio. Ma lui non lo ha fatto, ha accettato che un suo familiare ricevesse un costosissimo regalo. Altrettanto zoppicante è la sua autodifesa sul lavoro che Perotti, tramite il cognato, ha procurato a suo figlio. «Per tutta la vita ho educato i miei figli a non chiedere favori» ha assicurato Lupi. Ha fatto benissimo. Ma avrebbe dovuto aggiungere che non bisogna neanche accettarli, i favori, soprattutto se a farli è un imprenditore che lavora con il ministero di papà. E forse è vero che lui non ha mai chiesto nulla, a quel potente imprenditore a casa del quale andava così spesso a cena. Eppure, come direbbe lui stesso se un dirigente fosse colto a violare il Codice etico in materia di regali, certi doni non basta non chiederli: non bisogna accettarli, né per sé ne per altri, se «possono essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio». Questa è la vera colpa politica del ministro. Che oggi non è più moralmente legittimato a chiedere ai suoi sottoposti il rispetto di regole che lui per primo ha infranto. E’ il Codice Lupi che oggi inguaia il ministro Lupi.

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FACCE DI BRONZO – Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano, 18 marzo

Lo scandalo è bello grosso e infatti di prima mattina eccoli paracadutati nei talk show per difendere l’indifendibile, negare l’evidenza, confondere le acque. In missione per conto di Renzi, in quel di Agorà (Rai3), la parola all’onorevole Ivan Scalfarotto, trascorsi decorosi per i diritti civili, oggi detergente multiuso. Prova “schifo” Ivan Mastro-lindo e vorrei vedere voi a passare lo straccio sul sistema Incalza, 35 anni di appalti, 14 inchieste, un vorace amico detto Pigliatutto. Niente paura, l’ottimo governo lavora indefesso per il bene comune e la puzza diventa odor di gelsomino. Nello studio delle facce di bronzo “siamo tutti garantisti” che per l’uso smodato del termine ricorda il patriottismo secondo Samuel Johnson, ultimo rifugio dei farabutti.

Il ministro Lupi non è indagato, lasciamo lavorare i magistrati, nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, non esistono più le mezze stagioni. E la legge anti-corruzione che giace da due anni? Utile approfondimento. E il premier che voleva il Daspo per i corrotti? Quando mai. La consigliera Ncd non finge di turarsi il naso. Lupi deve dimettersi? Giammai. E il figlio di Lupi? E il Rolex da diecimila euro? E l’assunzione presso lo studio Pigliatutto? E l’abito su misura? Niente persecuzioni. Si chiude con l’ossessione Salvini e i clandestini di Crotone, “che vogliono il wi-fi, ma non le lasagne”(mah).   Possibile che nulla riesca a scuoterli? Che il format sia sempre lo stesso, un compitino scritto per non dispiacere ai capi ? Mai che qualcuno dica: sì abbiamo sbagliato, fingevamo di non vedere che l’inamovibile supermanager era il palo di un sistema tangentizio che faceva comodo a tutti. E quando dal passato è apparso sullo schermo Antonio Di Pietro che nessun ladro ha fatto fesso, di fronte alle parole di plastica abbiamo provato nostalgia per la cruda umanità di Tangentopoli.

 

E lo sventurato rispose

Sottotitolo: le parole più dure andavano dedicate a chi, ancora una volta, ha messo l’Italia in una posizione vergognosa di fronte al mondo intero.
E invece si preferisce adottare il metodo “un po’ di qua un po’ di là”.
La politica si comporta male, delinque, deve smetterla MA.
Come un padre che sgrida il figlio discolo poi per par condicio, per non mortificarlo troppo, fa la ramanzina anche al figlio che ubbidisce. Se quello poi s’incazza ha ragione.
“Patologia eversiva” sono parole pesantissime che Napolitano ha indirizzato verso l’obiettivo sbagliato. Eversione è far partecipare un delinquente al tavolo delle decisioni, è aver trovato ogni tipo di alibi e giustificazione per rendere normale l’anormalità di tre anni di legislature imposte, non volute e scelte dal popolo come Costituzione comanda.
E non può mai essere eversione, tanto meno patologica, chi a tutto questo si ribella.

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E’ arrivato il supermonito: colpa della politica ladra e corrotta? No, come sempre fra le guardie e i ladri l’occhio di riguardo è per questi ultimi.

Non è colpa dei ladri se sono ladri ma di chi se ne accorge. Più o meno le stesse cose le aveva dette il 25 aprile di due anni fa: il refrain è sempre lo stesso, non è mai colpa della politica ma sempre e solo di chi la critica, la giudica, le si oppone. Napolitano da bravo alto funzionario del sistema deve difenderlo con tutti i mezzi, soprattutto con la menzogna. Di fronte ad uno degli scandali politici più grave di tutti i tempi il presidente che ha a cuore la sorte del paese, dei cittadini, della repubblica e della democrazia avrebbe fatto tutt’altro discorso, ma la parola d’ordine more solito è il depistaggio, portare il ragionamento altrove dal problema. C’è da capirlo: tutta colpa di chi ha rovinato la bella intesa “mafia-criminalità-politica”.
Il repulisti destabilizza, effettivamente la ricerca dell’onestà in politica è un po’ eversiva in un paese dove deve sempre arrivare la magistratura a fare quello che dovrebbe fare la politica.
C’è il rischio che chi non ha capito fino adesso stavolta capisca.
Meglio mettere le mani avanti.

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Giorgio Napolitano: “Critica alla politica è degenerata in patologia eversiva”.

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La vera patologia che affligge questo paese da sempre è l’incapacità della politica ad essere onesta. Il monito di Napolitano fa il paio con le critiche di Franceschini ai manifestanti alla Scala di tre giorni fa: non è la politica ad essere degenerata, corrotta, sempre invischiata in affari sporchi, una politica che da vent’anni –  solo perché quelli di prima erano almeno presentabili –  ha reso l’Italia lo zimbello del mondo ma chi vorrebbe vivere in un paese normale, dove i ladri fanno i ladri e i politici, i politici. E dove i politici mandano in galera i ladri, non gli fanno riscrivere la Costituzione.

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Nell’Italia prima in classifica in Europa per corruzione il presidente del consiglio che voleva il daspo per i politici indagati ma poi fa le riforme con quello addirittura plurindagato per reati come truffa e corruzione Verdini e con l’altro condannato per frode allo stato berlusconi, pensa che sia il caso di inasprire le pene per i reati legati alla corruzione solo davanti al più gigantesco scandalo di corruzione e criminalità politica dopo tangentopoli. 

Il presidente del consiglio che è anche segretario di quel pd che solo qualche giorno fa ha negato l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni di Azzollini, senatore Ncd indagato per associazione a delinquere, truffa allo stato, frode in pubbliche forniture, abuso d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e reati ambientali.
La scoperta delle torture inflitte dalla CIA su terroristi e presunti tali, molti infatti erano innocenti, l’ha fatta il Senato americano, non la magistratura.
Ecco che torna di nuovo il pensiero di Paolo Borsellino: sulla delinquenza politica la politica deve intervenire prima dei giudici, perché quando intervengono loro i danni sono ormai incalcolabili.
Il danno più grave prodotto da questa politica complice del malaffare in prima persona o perché non l’ha voluto/potuto/saputo contrastare è principalmente la perdita di fiducia dei cittadini verso le istituzioni.
Chi può credere infatti che nel cosiddetto patto del Nazareno Renzi possa inserire provvedimenti severi per quei reati che berlusconi è riuscito a minimizzare fino a farli sparire come il falso in bilancio?
Le nozze coi fichi secchi non si possono fare, e nemmeno si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, se Renzi vuole essere credibile non può chiedere la collaborazione di Verdini e berlusconi per mandare in galera i politici ladri e i corrotti.

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Il tutorial di Matteo Renzi per sconfiggere la corruzione in quattro minuti – Christian Raimo

Lo spot di Matteo Renzi sulla corruzione, il video di quasi quattro minuti che è sul sito del governo, cerca di rimediare alla crisi di credibilità che nell’ultima settimana ha colpito il Partito democratico con l’apertura dell’inchiesta su Mafia capitale.

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Le vignette di Riccardo Mannelli.

Il sistema criminale fascista e mafioso nel quale Carminati aveva un ruolo di prim’ordine non gradisce il giornalismo di inchiesta, proprio come la politica che non minaccia di “fratturare la faccia” ai giornalisti ma il metodo persuasivo, quello della querela temeraria ad esempio col quale il potente tenta di scoraggiare i giornalisti che hanno l’ardire di indagare sulla politica disonesta non è meno violento.

Solidarietà a Lirio Abbate per minacce di Carminati. – Articolo 21

Carminati non era fuori perché come ha detto giorni fa il suo avvocato aveva estinto il suo debito con la giustizia ma perché in passato ha potuto beneficiare di sette sconti di pena e per ben tre volte del provvedimento pietoso, quell’indulto pensato per i poveri cristi ma che poi mette fuori anche i grandi barabba.
In questo paese funziona così: la politica e i governi fanno leggi per riempire le carceri coi poveri cristi, poi quando le carceri sono troppo piene perché quelle leggi sono sbagliate, mandano in carcere chi non ci dovrebbe andare tirano fuori i provvedimenti di emergenza, così di quel tana libera tutti possono usufruire anche quelli come Carminati, terrorista, eversore, fascista, criminale comune con precedenti che in qualsiasi paese normale gli avrebbero garantito la galera a vita.
In questo paese la politica e i governi evitano accuratamente di fare leggi necessarie tipo quella sulle torture che l’Europa chiede da svariati anni, quelli che vengono dopo si guardano bene dal ripristinare quelle eliminate da quelli che c’erano prima tipo il falso in bilancio, di fare le leggi che quelli di prima non avevano potuto fare per non andare contro gli interessi di un delinquente elevato a statista ma poi tutta la politica e tutti i governi fanno annegare l’Italia in un mare magnum di leggi inutili e ancorché incostituzionali come la bossi fini e la fini giovanardi che sono state la causa principale di quel sovraffollamento delle carceri col quale poi si giustificano i provvedimenti cosiddetti di clemenza invocati dal papa e da Napolitano. Provvedimenti che tutta la società civile poi accetta con commozione perché pensa alla libertà del povero cristo, il quale nella stragrande maggioranza dei casi verrà ribeccato a delinquere e non al grande barabba che non ha mai smesso nemmeno quando era in carcere.
E con questi presupposti Renzi si vanta che non lascerà Roma ai criminali, a quelli che lui non chiama mafiosi perché è un termine che non gli esce mai dalla bocca ma “tangentari all’amatriciana”: in effetti il suo patto con berlusconi fa pensare che nelle sue intenzioni ci sia quella di lasciare ai criminali non solo Roma ma tutta l’Italia.

La destra tutta legge, ordine, patria e galera, ma anche la “sinistra” non scherza

Questo è il tweet nel quale un indignatissimo Alemanno un anno e mezzo fa prometteva o per meglio dire minacciava la querela a Milena Gabanelli e a Report che avevano iniziato ad indagare sui fatti di Mafia Capitale che l’inchiesta Mondo di mezzo ha solo confermato.

Alemanno ha estorto il voto ai romani dopo lo stupro e l’omicidio di Tor Di Quinto con la promessa di rendere la Capitale d’Italia un’isola felice. E’ poi migliorata Roma con lui? Naturalmente no, ma ai poveretti creduloni, agl’imbecilli fascisti che lo votarono è bastato vedere qualche sgombro ogni tanto per pensare che la soluzione fosse quella, che per ripristinare la sicurezza a Roma bastasse cacciare gli “zingari”, ma la criminalità, quella vera, quella che estorce, minaccia, si incista nell’amministrazione politica, quella che un tempo ammazzava senza pietà con alemanno sindaco è perfino aumentata, fino ai livelli che abbiamo scoperto oggi.
Parlando poi di destra tutta legge, ordine, patria e famiglia mi chiedevo come mai casapound non organizza nessun presidio, nessuna protesta per questi motivi.
Quali sono gli interessi e di chi, soprattutto, che sostiene questa banda di fuorilegge, se questo fosse un paese normale, capace di mettersi al fianco di salvini e borghezio per difendere l’Italia dalle invasioni ma che poi è costretta a tacere di fronte all’invasione vera dei delinquenti veri, loro compagni di merende.
Dove sono tutti quelli sempre in prima fila contro il pericolo dell’estensione dei diritti, quelli che difendono la famiglia tradizionale, l’italianità, il crocefisso nelle scuole e il presepio.

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Se Standard & Poor’s ha posizionato l’Italia appena un po’ prima il livello spazzatura e il Censis la dà praticamente per spacciata significa che l’articolo 18 non c’entrava niente.
Significa che le riforme in questo paese non passano per l’abolizione dei diritti e significa che i parametri coi quali le varie agenzie di controllo giudicano l’Italia sono altri.
Ad esempio quella corruzione che porta l’Italia al primo posto in Europa.
Significa che hanno mentito tutti, a cominciare da Napolitano che ha messo fretta alla conclusione del disastro perché sua maestà è stanco e vuole ritirarsi a miglior vita da vivo, che ha mentito la maggior parte dell’informazione che ha abbindolato gli italiani su quanto fossero urgenti e non più rimandabili le cosiddette riforme di Renzi, il quale parla di “sistema che fa schifo” a proposito dell’inchiesta su Mafia Capitale come se fosse un alieno arrivato da chissà quale pianeta ma poi non si è impegnato affatto a contrastare lo schifo che già si conosceva, che senza leggi adeguate non può che peggiorare.
Renzi che parla di sistema che fa schifo è il segretario di quel partito democratico che solo due giorni fa, a scandalo già esploso, ha votato no all’uso delle intercettazioni di Azzollini coinvolto in un’inchiesta per una frode da 150 milioni di euro, altri soldi, tanti soldi, sottratti alle risorse pubbliche.
Renzi che s’indigna e si schifa non prova gli stessi sentimenti, non li ha provati quando ha deciso che berlusconi poteva e doveva sedersi ancora al tavolo delle decisioni, quando ha considerato affidabile uno condannato per frode allo stato già socio in politica con un condannato per mafia e con svariati precedenti che non si sono trasformati in reati solo grazie all’aggiustamento in corsa delle leggi che lo avrebbero permesso, leggi che il governo di Renzi non ha nessuna intenzione di modificare e cancellare. Di conflitto di interessi ormai non si parla più, tutto risolto.
Renzi che parla di schifo per il sistema criminale per mezzo del quale la politica di tutti i colori non si è mangiata solo Roma ma tutta l’Italia, il presente e il futuro di un paese ormai inguardabile da qualsiasi angolazione è lo stesso che stringe la mano e s’intrattiene non per i fatti suoi ma quelli di tutto il paese con un quattro volte rinviato a giudizio, sempre per reati di truffa e corruzione.
E’ lo stesso Renzi delle cene da mille euro per il partito – e chissà chi può spendere mille euro per una cena – e degli ottanta euro per i voti.
Promettere dei soldi in cambio di voti non è forse corruzione?
Sì che lo è, il pd non avrebbe mai ottenuto quel 40,8% [della metà] senza la promessa dell’aiutino in busta paga.
In un paese normale, civile e sano la politica non chiede voti promettendo soldi ma impegnandosi ad eliminare lo schifo, ma è difficile, impossibile poterlo fare se si chiede la collaborazione di chi ha contribuito in larghissima parte a produrlo. Se qualcuno avesse dato retta a Milena Gabanelli che aveva visto giusto nel programma incriminato dall’indagato per mafia Alemanno ci saremmo risparmiati altri due anni di furti, truffe, corruzione e probabilmente, anzi sicuramente pure Renzi. Perché il dramma di questo paese non è solo la criminalità politica, sono poi quelle conseguenze che modificano, stravolgendolo, il corso della storia.
Senza tangentopoli non ci sarebbe mai stato nemmeno berlusconi considerato chissà perché dai superstiti di allora, da quelli che sono riusciti a scampare alle manette l’unico in grado di ridare dignità alla politica, mentre berlusconi non aveva proprio i requisiti minimi per accedere alla politica.
In che modo lo ha fatto, che tipo di dignità ha dato alla politica lo abbiamo visto e lo stiamo ancora subendo, ma evidentemente ancora non basta, ancora dobbiamo sopportare. Per questo dico a Renzi  che gli unici autorizzati a parlare di schifo siamo noi che lo dicevamo molto prima di lui, quando ci accusavano di populismo, demagogia, di essere dei giustizialisti che volevano mettere le manette a tutti.

Mentre noi le volevamo solo per i delinquenti, ad esempio quello che Renzi accoglie, al quale offre ascolto e concede la parola in politica, quello a cui ha ridato una dignità che la stessa legge che Renzi invoca gli aveva invece tolto per manifesta indegnità.
Quello che non gli fa poi così schifo quanto quel sistema che ha contribuito ad edificare.

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NONOSTANTE UN CORNO – Marco Travaglio

C’è un equivoco di fondo. Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla magistratura, è un uomo onesto. No. La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale. Le istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali. [Paolo Borsellino]

Forse siamo troppo cinici. O forse Saviano non lo è abbastanza. Ma domandarsi – come fa Roberto nel suo commento su Repubblica (clicca qui) – come può la politica “fidarsi ciecamente” di Buzzi & Carminati, il Rosso e il Nero, e a dare loro “massima fiducia, senza chiedere in cambio nessuna trasparenza”, nonostante i loro trascorsi rispettivamente di “assassino e terrorista dei Nar”, è un eccesso di ingenuità. Bisogna rassegnarsi ad abrogare i “nonostante”, i “malgrado” e i “sebbene” dal vocabolario politico.

I pregiudicati siedono a capotavola nei palazzi del potere non “nonostante” i loro precedenti penali, ma proprio per quelli. Così come non sono “deviati” quei settori della politica, dell’amministrazione, dell’imprenditoria, dei servizi segreti, delle forze dell’ordine che lavorano per (o trattano con) la criminalità. Ma quelli che lavorano per lo Stato e ne rispettano le leggi. Se una persona onesta chiede udienza a un potente, deve mettersi in fila, fare lunghissime anticamere, e anche nell’eventualità che venga ricevuta non ottiene quasi mai ciò che chiede: perché non ha nulla da offrire e nulla da tacere. Un delinquente invece viene subito accontentato, spesso prim’ancora di chiedere. Come disse Giuliano Ferrara: “Chi non è ricattabile non può fare politica”. Anche perché, di solito, chi è ricattabile è anche ricattatore. Io so tutto di te, tu sai tutto di me, e facciamo carriera sui nostri rispettivi silenzi.

La nuova legge sul voto di scambio politico-mafioso, sbandierata da Renzi come il colpo di grazia ai collusi, è stata scritta in modo da impedire qualsiasi condanna per voto di scambio. Ma non per un errore: apposta. Così come la legge Severino: si chiama “anticorruzione” ed è stata scritta proprio per salvare B. e Penati dai loro processi per concussione. Ora si scoprirà che il reato di autoriciclaggio, votato l’altroieri dal Parlamento, renderà impossibile la galera per chi ripulisce il bottino dei propri delitti. Giovedì, mentre Renzi annunciava la linea dura contro i corrotti (“una specie di ergastolo, di Daspo”) e spediva il commissario Orfini a bonificare la federazione romana del Pd di cui fa parte da quando aveva i calzoni corti e il commissario Cantone ad annunciare l’ennesima “task force”, il suo partito al Senato votava con FI, Ncd e Lega per respingere la richiesta dei giudici di usare le intercettazioni contro gli inquisiti Azzollini (Ncd) e Papania (Pd). Una svista “nonostante” i sospetti pesanti come macigni che gravano sui due politici? No, una scelta fatta proprio per quei sospetti pesanti come macigni.

Fa quasi tenerezza Luca Odevaine detto lo Sceriffo, che ad aprile vuole farsi un viaggetto negli Usa, ma si vede negare il visto: gli americani hanno scoperto che si chiama Odovaine con la “o” ed è pregiudicato per droga e assegni a vuoto. “Una roba da matti, una cosa assurda, in una democrazia come quella!”, si lamenta. La vocale se l’è fatta cambiare lui all’anagrafe per nascondere i suoi precedenti. Come se questi, in Italia, fossero mai stati un handicap e non facessero invece curriculum: ciò che negli Usa ti impedisce anche l’ingresso per turismo, in Italia basta e avanza per promuoverti vice capo di gabinetto della giunta Veltroni, capo della polizia provinciale della giunta Zingaretti e infine membro del Coordinamento nazionale richiedenti asilo del governo Renzi, naturalmente a libro paga di Mafia Capitale per 5 mila euro al mese. Nonostante i precedenti? No, grazie a quelli, che ti rendono affidabile. Ovviamente la Banda Carminati aveva scelto pure il presidente della Commissione di Controllo Garanzia e Trasparenza e il responsabile della Direzione Trasparenza del Comune di Roma (che, alla Trasparenza, ha non uno ma due addetti): due sceriffi di provata fede, ora indagati per mafia.

Se Marino s’è salvato parzialmente dalla catastrofe non è tanto perché, personalmente, è un onest’uomo: ma soprattutto perché gli assessori se li è scelti quasi tutti da sé, rifiutando quelli che tentava di imporgli il Pd. Sennò Carminati e Buzzi se li ritrovava perlomeno vicesindaci.

Mafia: un affare di stato [il monito oscuro]

 

C’è poco da inquietarsi per le cazzate di Grillo: se lo stato ha pensato che fosse opportuno entrare in trattativa con la mafia evidentemente ha riconosciuto alla mafia non solo una morale ma perfino il diritto di residenza.

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Succede solo in Italia.

Solo in Italia il presidente della repubblica può testimoniare in un processo per mafia da diretto interessato, può chiedere e ottenere che una parte significativa della sua vita politica possa essere nascosta ai cittadini che rappresenta.
Così come andò per le intercettazioni delle telefonate con Mancino distrutte dopo qualche ora dalla sua seconda elezione, anche questa la prima della storia di questa repubblica perché il contenuto fu giudicato irrilevante ma noi non sapremo mai se è vero, anche oggi Napolitano ha potuto imporre i suoi diktat, ovvero pretendere la testimonianza occulta che gli è stata concessa nonostante e malgrado la Costituzione non preveda che un cittadino possa scegliere di mettersi in una posizione superiore a quella degli altri.
Questo paese è una farsa, quello che succede qui non potrebbe accadere in nessun altrove dove la democrazia, la legge uguale per tutti, vengono messe in pratica anche coi potenti. Anzi, soprattutto con loro.
Mi chiedo, alla luce di questa vicenda di cui molti purtroppo non percepiscono la gravità, che senso abbia parlare ancora di politica.
Un presidente della repubblica che deve testimoniare in un processo di mafia si dovrebbe dimettere quattro minuti dopo ché cinque già sono troppi.
Solo perché non lo ha fatto prima.

 

“Si conosce solo l’orario d’inizio. Le dieci di stamattina, nella sala del Bronzino nota anche come “sala oscura”, perché non ha finestre sul mondo esterno. Poi tutto quello che accadrà al piano nobile del Quirinale sarà ignoto, in una sorta di blackout di stampo nordcoreano. Persino la disposizione di persone, una quarantina, tavoli e poltrone non è ammesso sapere. Giorgio Napolitano testimonierà al “buio” sulla trattativa tra Stato e mafia. Fino all’ultimo si sono moltiplicati gli appelli per dare trasparenza all’esame davanti alla Corte d’Appello di Palermo, in trasferta eccezionale a Roma. Il più autorevole ieri sul Corriere della Sera , a firma del quirinalista di via Solferino, Marzio Breda. Sembrava così che in giornata si fosse aperto uno spiraglio, ma alle sei di sera dagli uffici del consigliere per la stampa e per la comunicazione la risposta è stata laconica: “Non sono ammessi giornalisti”. Stop. [Il Fatto Quotidiano]

«Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di potere fare se davvero ne avessi da riferire» [Napolitano scrive alla Corte d’Assise di Palermo, 25 Novembre 2013]

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In questo paese, spiace per i detrattori tout court, il problema non è Grillo che lancia la sua ennesima boutade sulla mafia ma è uno stato che con la mafia ci ha trattato per ragioni sue e che non sono – evidentemente – quelle di chi per combattere la mafia è morto né le nostre di cittadini che abbiamo il diritto di sapere quanto è stato ed è coinvolto e in che misura il presidente della repubblica di questo paese nella trattativa con la mafia tutt’altro che presunta.
Un chiarimento che non avverrà perché intorno al presidente della repubblica è stato steso un cordone protettivo, una censura intollerabile per una democrazia, qualcosa che in qualsiasi altro paese democratico nessuno avrebbe mai potuto pensare di poter fare ma in Italia sì.
Ecco perché vi prendono e ci prendono per il culo quando fanno credere che il problema sia quello che dice Grillo e non quello che ha fatto e fa lo stato.
E chi guarda con commozione e rispetto alle vittime della mafia di questo paese, quelli che Grillo è sempre brutto e cattivo dovrebbero ricordarsi che oggi, a distanza di anni, dal periodo in cui la mafia faceva saltare i palazzi e le autostrade, scioglieva i bambini nell’acido c’è un presidente del consiglio che insieme ad un amico stretto della mafia, quella montagna di merda lì, può invece rovesciare le fondamenta di questa nostra già fragilissima democrazia. E lo farà.

 

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Per chi è abituato a parlare quando nessuno glielo chiede e vieppiù quando nemmeno dovrebbe, rispetto a situazioni e contesti in cui non è richiesto il suo autorevole parere [anzi], non dovrebbe essere difficile rispondere a una ventina di domande su qualcosa che invece lo riguarda eccome e che conosce bene.
Mai vista, ma soprattutto sentita già dalla voce tanta servile deferenza da parte dei giornalisti costretti a dire, per dare il minimo sindacale delle notizie, che oggi Napolitano dovrà rispondere ai magistrati di Palermo quale teste nel processo sulla trattativa stato mafia; magistrati dei quali è il capo supremo e quindi da lui sarebbe stato naturale aspettarsi un atteggiamento non ostile ma rispettoso di quello che la magistratura rappresenta, Napolitano dovrebbe essere l’esempio per tutti e la risposta a chi per decenni ha insultato la magistratura colpevole di fare quello che fanno i giudici in tutti i paesi civili: processare imputati accusati di reati e assolverli o condannarli sulla base dell’evidenza delle prove.
In questo paese c’è un sacco di gente nei settori che contano, soprattutto quello dell’informazione, ben disposta ma soprattutto predisposta naturalmente ad inchinarsi al potente e a fare in modo che non abbia di che preoccuparsi di nulla, gente che anticipa gesti di servilismo non richiesto, gente che rispetto a quello che accadrà oggi ne ha dette di ogni, inventandosele anche, per convincere gli italiani che non è normale che s’interroghi il presidente della repubblica in un processo di mafia, mentre l’anormalità è esattamente il contrario, ovvero non è normale che possa diventare presidente della repubblica un personaggio che ha dei trascorsi di coinvolgimento tale da rendere necessaria la sua testimonianza in un processo di mafia. Un evento mai successo prima nella storia di questo paese.

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Oggi è ancora più chiaro che gli investitori stranieri rinunciano all’Italia quale partner economico perché c’è l’articolo 18 e perché scioperano gli assistenti di volo per fare un dispetto al cretinetti amico del bugiardo seriale.
Non lo fanno mica perché questo era, è e resterà a dispetto di chiunque andrà al potere il paese zimbello del mondo. Credevate che fosse finita con berlusconi eh? Io però l’avevo detto, perché berlusconi continua a non essere la causa ma la conseguenza della mancanza di una netta presa di posizione dello stato contro le organizzazioni mafiose. Chi in questo paese  ha provato a combattere la mafia sul serio è morto ammazzato dalla mafia dopo essere stato abbandonato, lasciato solo da quello stato che avrebbe dovuto garantire e tutelare i veri servitori dello stato, non trattare con l’antistato. La solitudine è uno dei temi ricorrenti di tante affermazioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Nino Di Matteo e Roberto Scarpinato per fortuna nostra e loro ancora vivi sono stati abbandonati dallo stato nonostante le ripetute minacce da parte della mafia e, nel caso di Scarpinato anche da pezzi dello stato corrotti. I Magistrati antimafia di questo paese accerchiati e impediti non solo dalle organizzazioni criminali che contrastano ma anche dallo stato che dovrebbe agevolarli nel lavoro ma non lo fa perché evidentemente non può. Il perché non può è scritto a chiare lettere anche nelle attività pubbliche che hanno a che fare con lo stato. Domenica sera Milena Gabanelli in un’altra puntata di Report da far studiare ai ragazzini a scuola ci ha raccontato che sono mafia, corruzione e criminalità tutte quelle cose che vengono ammantate con la definizione di grandi opere, mentre altro non sono che il furto reiterato e perpetuato dallo stato ai danni dei cittadini che non hanno bisogno di opere grandi ma delle necessità quotidiane che vengono negate, perché le risorse che uno stato serio dovrebbe investire a favore delle esigenze e dei bisogni del paese vengono invece canalizzate in quell’altrove che poi si traduce nei rapporti fra le istituzioni che rappresentano il paese con la malavita ordinaria, quella che ha, evidentemente, mezzi e strumenti per tenere sotto ricatto quei rappresentanti dello stato che peraltro non oppongono mai resistenza: s’offrono. Ed ecco che la mafia non fa più saltare autostrade e palazzi perché non è più necessario, perché c’è chi garantisce anche alla mafia la possibilità di continuare ad essere in una tranquilla convivenza, quella che auspicava Lunardi l’ex ministro di un governo di berlusconi: l’amico di dell’utri e di mangano, persone non vicine alla mafia ma proprio dentro la mafia.

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Nota a margine: Se ci fosse un giornalismo degno in questo paese si eviterebbero anche un mucchio di polemiche inutili, perché le persone si fiderebbero di quello che leggono sui giornali e di ciò che viene riportato dai telegiornali.
Io non sono pagata per scrivere quello che vedo e le relative opinioni su quello che accade, chi si esprime da una radio, dalle televisioni e sui giornali sì: viene pagato non per raccontare cose, perlopiù balle, menzogne e falsità basandosi sulle sue simpatie ma su quello che realmente le persone dicono e fanno.
Per fare chiarezza e perché la gente capisca e possa poi costruirsi un’opinione il più possibile vicina alla realtà, non per armare casini e polemiche di cui si parlerà giorni e giorni ovunque: per radio, in televisione, sui giornali e che trasformano i social nella consueta arena da derby.
Questo piccolo preambolo solo per dire che servi non si nasce, lo si diventa, ma volendo si può anche decidere di smettere: come con l’alcool, il fumo e tutte le dipendenze che rischiano di avere poi delle ricadute sulla collettività, come la propaganda oscena che molti fanno dai canali che hanno a disposizione.
La propaganda è un male sociale, un danno collettivo e sarebbe l’ora e anche il caso che un certo giornalismo abituato a servire i vari padroni pensi ad un modo onesto per guadagnarsi lo stipendio facendo quello che fa normalmente il giornalismo nei paesi semplicemente normali; mettersi al servizio dei cittadini, non del padroncino di turno.

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Al cittadino non far sapere – Marco Travaglio, 28 ottobre

L’altro giorno anche i giornali italiani hanno celebrato Ben Bradlee, il leggendario direttore del Washington Post scomparso a 93 anni che era entrato nella storia del giornalismo e della politica pubblicando i Pentagon Papers sulla sporca guerra in Vietnam e poi l’inchiesta di Bernstein & Woodward che scoperchiò lo scandalo Watergate e abbatté il presidente Nixon, sempre in barba alla ragion di Stato e in nome della ragion di cronaca. Sono gli stessi giornali che da due anni tacciono su uno scandalo che fa impallidire il Watergate e riguarda non la Casa Bianca, ma il Quirinale a proposito della trattativa fra lo Stato e la mafia. Hanno nascosto il ruolo di Giorgio Napolitano nelle manovre del consigliere D’Ambrosio per sottrarre l’inchiesta alla Procura di Palermo. Hanno ribaltato la verità, trasformando i pm da vittime in aggressori del Colle.

Hanno chiesto a gran voce la distruzione delle telefonate Napolitano-Mancino, onde evitare il rischio di inciampare in una notizia e di doverla pubblicare. Hanno sorvolato sulla vergogna di uno Stato che, tramite i suoi massimi rappresentanti, non ha mai solidarizzato con i pm condannati a morte da Riina, depistati e minacciati con pizzini e strane visite in case e uffici da uomini di servizi e apparati (deviati, si fa per dire). Si sono arrampicati sugli specchi per sostenere l’insostenibile esclusione degli imputati dall’udienza al Quirinale per la testimonianza di Napolitano dinanzi alla Corte d’Assise, ai pm e ai legali degli imputati. E ora non dicono una parola sull’ultima vergogna: il divieto di accesso e di ascolto in quell’udienza imposto dal Quirinale alla stampa (cioè ai cittadini).   Solo il Corriere e solo ieri è intervenuto per chiedere che i giornalisti possano assistere alla scena, mai accaduta prima, di un capo dello Stato italiano sentito come teste in un processo di mafia. Una richiesta di trasparenza condivisibile, ma supportata da motivazioni assurde: “conviene alla massima istituzione del Paese” per evitare “interpretazioni strumentali, illazioni fuorvianti, inquinamenti della realtà, suggeriti da una campagna culminata nella morte per infarto di D’Ambrosio e in una sfida tra poteri… in grado di ledere il prestigio e l’autorevolezza del supremo organo costituzionale”. Cioè: la stampa dev’essere presente non per informare i cittadini di ciò che dirà o non dirà il Presidente sulla pagina più nera della storia recente, ma per salvargli la faccia dalla “spettacolarizzazione del processo” (che peraltro, per legge, sarebbe pubblico), da “letture manipolate e virali” dei “professionisti della controinformazione a caccia di scandali, a costo di inventarli”. Come se ci fosse bisogno di inventarli, gli scandali. Come se la stampa più serva del mondo (in fondo alle classifiche della libertà d’informazione) si divertisse a mettere in cattiva luce il Presidente (ma quando mai). Come se il compito dei giornali fosse di surrogare l’ufficio stampa del Colle.   Naturalmente il Corriere ce l’ha col Fatto, che ha il brutto vizio di scrivere quello che gli altri occultano e financo “accostare la testimonianza del presidente perfino al caso Clinton-Lewinsky”. Già: il paragone è azzardato. Infatti Clinton doveva rispondere dei suoi rapporti orali con una stagista, non degli “indicibili accordi” fra Stato e mafia (orali e scritti in un papello) che il suo consigliere afferma di aver confidato a Napolitano. Il video dell’interrogatorio di Clinton dinanzi al procuratore Starr fece il giro del mondo, su tutte le tv e i siti Internet, e qualche miliardo di persone poté farsi un’idea della sincerità del presidente Usa da ogni smorfia e piega del suo volto. Invece la deposizione di Napolitano non la vedrà nessuno, perché non sarà neppure filmata. Far notare questo sconcio, per il Corriere, è roba da “quarto potere che gioca sul vittimismo” e “deraglia dalle regole base della deontologia”. Chissà come avrebbe reagito il vecchio Ben Bradlee se i nostri maestrini di deontologia gli avessero spiegato il giornalismo come manutenzione al monumento equestre di un presidente.

 

 

 

 

Riformiamolo, con viva e vibrante soddisfazione

Ogni volta che un tribunale si avvicina a un politico per condannarlo, assolverlo o chiamarlo a testimoniare a Napolitano gli scappa sempre la riforma della giustizia.
E’ un’incontinenza ciclica la sua ormai. Non la può trattenere. Nella nuova richiesta urgente di riforma della giustizia  non più rimandabile: secondo Napolitano è solo da questa che può ripartire l’economia e dopo averla sollecitata anche in due precise occasioni, quando condannarono b e quando sempre b fu assolto dal processo per sfruttamento della prostituzione minorile  c’entrerà qualcosa la richiesta, ennesima, del tribunale di Palermo che chiede a Napolitano di comportarsi come un qualsiasi cittadino rispettoso delle regole che quando lo stato chiama, risponde?

Lo scopriremo solo vivendo.

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Re Giorgio è stanco (e può andare via) – Fabrizio d’Esposito, Il Fatto Quotidiano

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IL TESTIMONE NAPOLITANO – Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Il Fatto Quotidiano

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Monumentale Sabina Guzzanti che introduce l’argomento del suo film in prossima uscita sulla trattativa stato mafia.

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Nel paese col tasso più alto di corruzione e malaffare all’interno della classe politica e dirigente la riforma della giustizia, fortemente voluta dal presidente della repubblica che l’ha sollecitata in varie e precise occasioni anche prima di oggi, sarà frutto dell’accordo, del patto segreto di cui nessuno deve sapere fra un presidente del consiglio abusivo e un condannato per aver rubato allo stato.
Se non è un colpo di stato questo è sicuramente un colpo allo stato del quale sono complici tutti quelli che hanno agevolato le oscure e antidemocratiche manovre di palazzo che consentono ad un parlamento illegittimo, mantenuto in vita non da democratiche elezioni ma da una sentenza della Consulta che aveva intimato al parlamento di garantire la tenuta dello stato il tempo ragionevole per produrre una legge elettorale che permettesse ai cittadini di tornare a scegliersi i propri rappresentanti.
Renzi è in parlamento da oltre sei mesi, a Letta non fu concesso neanche un giorno di più perché non aveva portato nemmeno un risultato.
Nemmeno Renzi lo ha portato, a parte la quantità sesquipedale di chiacchiere non una cosa è stata fatta per garantire la tenuta dello stato e del diritto, anzi si lavora per sfoltire proprio nei diritti ma nessuno gli mette fretta: il progetto di demolizione dei diritti e di rendere vita facile alla casta deve andare avanti perché così ha detto e chiesto il re.

In un paese dove solo gli introiti provenienti da attività illegali e criminali fanno lievitare il Pil chissà di quale riforma della giustizia ci sarà bisogno. Vogliamo legalizzare l’illegale mentre vengono tolte tutte le tutele ai lavoratori onesti che si fanno il mazzo?
Mentre i giovani sono senza più nemmeno la possibilità di pensare un futuro e i disoccupati a quarant’anni troppo vecchi per rientrare nel circuito del lavoro?
Presidente, si dimetta, ché s’è fatta quell’ora.
Mai vista un’istituzione così palesemente contro il popolo che rappresenta e che continua a sostenere il sistema che ha distrutto lo stato sociale.

E dire che proprio lui il 25 aprile di due anni fa auspicava il riavvicinamento dei cittadini alla politica, chiedeva alla politica e alle istituzioni di cambiare registro per scongiurare il pericolo dei populismi.

 

Non è una guerra fra guardie e ladri

Notizia tamarra del giorno: berlusconi è ancora cavaliere perché il Napo Capo troppo preso a monitare, sgridare, cazziare, decidere che deve fare Renzi e adesso pure a occuparsi dei mondiali di calcio,  non ha trovato un attimo di tempo per avviare l’iter di indegnità necessario per rimuovere l’onorificenza dal curriculum del delinquente matricolato, lo stesso che Renzi incontrerà ancora e di nuovo  tra breve  per decidere le strategie politiche e di governo. Appena avrà finito di spiegare ai cinesi che per i reati che danneggiano la collettività prevedono pene durissime e anche la condanna a morte,  la sua lotta di contrasto alla corruzione.

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MONTECITORIO PUNISCE I GIUDICI
E ora al Senato si rischia il voto segreto
 

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Punire le guardie al posto dei ladri, l’anti-corruzione in Parlamento – Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano

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LA CANTONATA E I SUPER POTERI ATTENDONO ANCORA (Gianni Barbacetto) Il Fatto Quotidiano

 

 

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Polizia e carabinieri violenti, guardia di finanza corrotta, politici, costruttori, capi di impresa corrotti e corruttori in una simpatica alternanza… ma quante sono queste “poche mele marce”?
E in un paese così disastrato il problema sono i giudici che sbagliano. 
Se non fosse vero ci si potrebbe ridere da qui all’eternità.

Siccome non bastavano i tre gradi di giudizio, i lodi, i legittimi impedimenti, la prescrizione, gli indulti approvati dai governi di centrosinistra per favorire i delinquenti di destra,  il fumus persecutionis, la presunzione d’innocenza che per qualcuno vale anche dopo una condanna definitiva, tutto quello che in questo paese rende impossibile arrivare ad una sentenza in tempi ragionevolmente umani, quando proprio non ci si arriva per le avvenute contingenze di cui sopra ci mancava la responsabilità civile per i giudici da affidare ad altri giudici.
La politica sta sempre sul pezzo e sull’urgenza; la crisi, la disoccupazione, le inchieste sulle tangenti, niente di tutto questo è importante come bloccare il parlamento per decidere qualcosa che era già possibile fare senza un disegno di legge apposito.
In questo paese esisteva già la possibilità per i cittadini di potersi rivalere sul giudice che sbaglia.
Chissà perché c’è bisogno di ribadirla con una legge ad hoc.
Spero che il senato rispedisca questa porcheria che sa tanto di ritorsione della politica contro i giudici ai vari mittenti, alla lega che l’ha pensata e al piddì che l’ha prontamente votata; quando il voto è segreto si vede la vera faccia del partito democratico.
Mettiamo il caso che un potente con un sacco di soldi, tanti avvocati costosi in grado di cercare anche l’ultimo cavillo per evitare responsabilità al cliente venga messo sotto inchiesta, con quale spirito lavoreranno i magistrati che lo devono giudicare se sanno che poi potrebbero pagare per un danno magari costruito ad arte proprio dagli avvocati? Ma chiaramente anche questa è una legge d’urgenza, pensata per il nostro bene.

Se l’indipendenza dei giudici non è “mero privilegio” come monita il grande capo allora facciamo che nemmeno il garantismo deve essere il viatico per l’impunità come piacerebbe ai lor signori “dè sinistra” che ieri hanno votato, ma in segreto, lo scempio voluto dalla destra: il sogno erotico più ricorrente di berlusconi, altroché i bunga bunga perché – hanno detto – in questo paese c’è bisogno di un “garantismo imprescindibile” che poi non si capisce che c’azzecchi con la responsabilità dei giudici. 


Se il provvedimento disciplinare da applicare ai giudici è una cosa riservata allo stato e non ad altri intermediari è proprio per garantire l’imparzialità del giudizio, della valutazione dell’errore. In questo paese la magistratura non gode di nessun “strapotere” altrimenti avrebbe ottenuto ben altri risultati nel paese con le classi dirigenti più corrotte al mondo, al contrario è l’istituzione più osteggiata nel paese dove si fa credere che ci sia una guerra fra guardie e ladri mentre le cosiddette guardie fanno semplicemente quel che attiene al loro ruolo, ovvero indagare e processare quei ladri che troppo spesso sono gli stessi che fanno le leggi per contrastare l’operato dei giudici.

Se il magistrato sbaglia lo stato si può rivalere su di lui: c’è già una legge che lo consente. 
Quando non succede è perché lo stato non interviene, non perché il giudice sia oltre che incapace anche un disonesto paraculo come molti politici. 
Chi gioisce per questa porcata della responsabilità civile dei giudici che dovrebbe essere schifata solo perché proposta dalla lega, forse ignora che è solo l’ennesimo regolamento di conti della politica contro la magistratura.
Nulla di ciò che viene pensato dalle menti bacate dei cialtroni in camicia verde può essere considerato giusto; e anche se per un evento eccezionale lo fosse si può almeno sospettare del tempismo?  L’unica emergenza vera di questo paese è liberarlo una volta e per sempre dalla delinquenza di ogni ordine e grado che la politica di destra, di centro e di centrosinistra si è sempre messa disinvoltamente in casa, altroché garantismo e presunzioni del cazzo.
Se Raffaele Cantone, il giudice incaricato di monitorare sugli appalti di stato disintegrati dal malaffare e dalla criminalità,  voleva una risposta a dargliela è stata quella settantina di pavidi che sono andati contro il loro partito e il loro governo, non certo chi ha smascherato, astenendosi, la faccia vera del partito democratico, lo stesso che ieri cacciando, anzi spostando, anzi “armonizzando”  Chiti e Mineo, che lo ha saputo tramite agenzie mentre partecipava ad una trasmissione televisiva, ha dato una grande prova di qual è il livello della sua democrazia: quella interna al partito ma che poi per forza di cose, essendo il pd forza di governo viene estesa anche nell’azione dell’esecutivo. Ma loro sono i democratici, i riformatori senz’accento sulla “o”.

Quelli che poi distribuiscono patenti di fascismo a chi almeno chiede il parere dei suoi iscritti, prima di prendere un’iniziativa.

Il partito democratico nel trentennale della morte di Enrico Berlinguer ha spiegato molto bene qual è la sua idea di questione morale.

 

 

Le grandi mazzette

Expo, Mose, a quando una bella retata anche per il Tav? Così almeno capiscono tutti, si spera in modo definitivo, che le grandi opere italiane servono soltanto a far ingrassare i grandi delinquenti di tutti i colori politici. Va bene che l’onestà non è più e da tempo la “condicio sine qua non” per fare politica, ad occhio però pare che qualcuno se ne sia approfittato oltremodo.   Il dramma è che ancora ci illudiamo che si possa fare una qualche differenza. Stiamo sempre ad insistere e a convincerci che no, non sono tutti uguali, ma la diversità purtroppo non la fa il nome.

La verità è che la politica dovrebbe stare lontana anni luce dai soldi di tutti.
Io non sono più garantista verso la politica, spiacente, ho terminato i bonus.
Noi gente un motivo per fare schifo lo abbiamo sempre, tutti dicono sempre che la colpa è nostra, di tutti, nessun distinguo così come si fa puntualmente per i politici: loro non sono tutti uguali ma noi sì.
E se quel motivo non c’è lo si inventa, ipotizza, un po’ come nella barzelletta del cinese che quando rientra la sera a casa picchia la moglie che sicuramente qualcosa per meritare la punizione l’ha fatta.
Ma va tutto bene. Dio salvi le regine e pure i re.

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L’INCHIESTA SUL MOSE: 35 ARRESTI, 100 INDAGATI, 40 MILIONI SEQUESTRATI
LE CARTE/1 – DOMICILIARI PER IL SINDACO DI VENEZIA ORSONI. “500MILA EURO PER LE ELEZIONI”
LE CARTE/2 – RICHIESTA DI CUSTODIA PER GALAN: ‘PER LUI UNO ‘STIPENDIO’ DI UN MILIONE ALL’ANNO’

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Ci dicono che i politici che rubano sono poche mele marce, la stessa cosa ce la raccontano a proposito delle forze dell’ordine violente. 
Non sono tutti ma sono tanti,  corruzione, ladrocini, anzi  “distrazioni”, come si dice ai piani alti e violenze si sono ripetuti con una cadenza pericolosamente frequente.
Digitando su google le parole pestaggio e polizia esce fuori un intero mercato di mele marce. 
Per conoscere il peso e la quantità delle mele marce in politica invece basta leggere i quotidiani tutti i giorni.
In entrambi i casi quelle mele non smetteranno di marcire finché non verrà curata la pianta, non verrà usato l’opportuno veleno che si chiama legge, giustizia, certezza della pena, lo stesso trattamento che si riserva al criminale quando è solo un cittadino. 
Ma finché il politico ladro sarà considerato come uno che non ha rubato e al poliziotto, al carabiniere violento si lascerà la divisa addosso come a chi violento non è, quegli alberi non guariranno. 
Chi tradisce lo stato, da politico o da funzionario va radiato, dal parlamento come da una caserma, da una questura, messo in condizioni di non nuocere e non tradire più.

Fassino, quello che “aveva una banca?” che garantisce per Orsoni, il sindaco di Venezia arrestato ma prontamente spedito ai domiciliari – ché non sia mai le eccellenze possano constatare “de visu” quali sono le condizioni delle carceri in Italia, per loro l’arresto è una semplice toccata e fuga da parte dello stato – è lo specchio della malattia endemica e virale di questo paese dove nella politica non si è delinquenti mai: nemmeno con le prove. berlusconi è la prova provata di uno stato che in materia di applicazione di legalità, giustizia e uguaglianza ha fallito, ceduto le armi democratiche alla disonestà e alla delinquenza nelle istituzioni.

Per tutte le altre categorie, invece, non ci sono Fassini garanti pronti a sputtanarsi per il collega che viene beccato a fare quello che non si fa.

Ed è anche la prova che quella casta che doveva modificare il suo assetto, mettersi al servizio del paese, abbassare la testa come da richieste napolitane di un paio d’anni fa non ci pensa minimamente a farlo. Da quando Napolitano sprecò un 25 aprile per illuminarci sui pericoli del populismo anziché riflettere sui motivi che hanno eroso e corroso fino ad annullarlo l’interesse dei cittadini per la politica. Come se il voltafaccia della gente fosse il frutto, il risultato di piccoli sgarbi e non di una politica che da quando esiste questa repubblica ha sempre messo l’interesse personale davanti a quello pubblico.

Inutile spiegare che se Renzi “non c’entra” è comunque la faccia di un partito che non può vantarsi di essere migliore di altri, e quando si entra a far parte di un’organizzazione così malconcia se non si è responsabili in prima persona delle malefatte avvenute prima un po’ complici lo si è.

Il pd è sempre quello delle larghe intese con Alfano [ancora e incredibilmente ministro dell’interno] che ieri si congratulava con la correttezza della procura di Venezia perché “gli arresti sono avvenuti dopo le elezioni”, verrebbe da chiedersi se anche gli elettori sono d’accordo con Alfano, se gli è andato bene votare “a babbo morto” un partito che ha dimostrato ampiamente di essere tal quale a quello che ha sempre fatto finta di ostacolare in parlamento, Renzi è quello che discute di legge elettorale e di riforme costituzionali con Verdini, indagato, inquisito varie volte sempre per gli stessi reati legati a truffe e corruzione e Renzi è sempre quello della profonda sintonia con un criminale, il magnifico rassemblement benedetto dall’anziano monitore che poi si commuove nelle occasioni importanti.

La Moretti, una delle vestali giovani del pd di Renzi che ieri sera dalla Gruber magnificava l’avventura di questa classe politica nuova è la stessa che un paio di giorni prima delle elezioni diceva che si potevano votare tutti, “anche Ncd e forza Italia ma non i 5stelle”.

Nardella, neo sindaco di Firenze mette già le mani avanti dicendo che “i sindaci sono persone sempre esposte”, come se l’esposizione dovesse comprendere per forza anche i legami con la criminalità e il malaffare. Non si può fare il sindaco di una grande città senza esimersi, evidentemente.

A margine di tutto c’è una grande percentuale di cittadini/elettori a cui le vicende di corruzione e tangenti non interessano. Il pd ha preso il 40,8% alle elezioni europee nonostante lo scandalo e gli arresti di Milano, l’arresto del ras di Messina Francantonio Genovese, cose accadute non un anno o dieci fa ma solo qualche giorno prima di votare, e l’IPSOS ci ha fatto sapere che il governo di Renzi gode del 68% dei consensi fra la gente.

Raffaele Fitto, ex presidente di regione in Puglia ed ex ministro di berlusconi, dunque condannato in primo grado a quattro anni ridotti ad uno grazie all’indulto per corruzione, finanziamento illecito ai partiti e abuso d’ufficio è stato l’eletto più preferito dagli italiani.

Tutto questo perché a margine del margine c’è stato il grande lavoro della cosiddetta informazione che, mentre glorificava gli splendidi scenari che si sarebbero aperti col governo di Renzi parlava d’altro, cosa che continua a fare, che ha sempre fatto da quando salvo rare eccezioni ha scelto di mettersi al servizio della politica, quale essa sia, dei governi, anziché svolgere quella funzione educativa e pedagogica qual è quella di informare correttamente i cittadini su cosa fa realmente la politica e come si comportano i politici.

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Idea, non punire più i delinquenti: lo dice la legge  – Beatrice Borromeo, Il Fatto Quotidiano

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#mazzettastaiSerenissima – Marco Travaglio, 5 giugno

Se esistesse ancora un minimo di decenza, milioni di persone perbene – elettori, giornalisti, intellettuali, eventuali politici e imprenditori – dovrebbero leggersi l’ordinanza dei giudici di Venezia sul caso Mose e poi chiedere umilmente scusa a Beppe Grillo e ai suoi ragazzi. Anni e anni sprecati ad analizzare il suo linguaggio, a spaccare in quattro ogni sua battuta, a deplorare il suo populismo, autoritarismo, giustizialismo, a domandarsi se fosse di destra o di centro o di sinistra, a indignarsi per le sue parolacce, a scandalizzarsi per le sue espulsioni, ad argomentare sui boccoli di Casaleggio e sul colore del suo trench, a irridere le gaffes dei suoi parlamentari, a denunciare l’alleanza con l’improbabile Farage (l’abbiamo fatto anche noi, ed era giusto farlo, ma in un paese normale: dunque non in Italia). Intanto destra, sinistra e centro – quelli che parlano forbito e non hanno i boccoli – rubavano. Rubavano e rubano tutti, e insieme, sempre, regolarmente, scientificamente, indefessamente, su ogni grande e piccola opera, grande e piccolo evento, appalto, consulenza, incarico.

Anzi, ogni grande e piccola opera, grande e piccolo evento, appalto, consulenza, incarico servono soltanto a far girare soldi per poterli rubare. Tutti i più vieti luoghi comuni del qualunquismo bar – sono tutti d’accordo, è tutto un magnamagna – diventano esercizi di minimalismo davanti alla Cloaca Massima che si spalanca non appena si intercetta un telefono, si pedina un vip, si interroga un imprenditore. Basta sollevare un sasso a caso per veder fuggire sorci, pantegane, blatte e bacherozzi maleodoranti con i nostri soldi in bocca, o in pancia (il Mose doveva costare 2 miliardi, ne costerà 6 e ora sappiamo perché). La Grande Razzia che ha divorato l’Italia e continua a ingoiarsene le ultime spoglie superstiti è sopravvissuta a Mani Pulite, agli scandali degli ultimi vent’anni e alla crisi finanziaria, nutrendosi dell’impunità legalizzata, dell’illegalità sdoganata e dell’ipocrisia politichese di chi vorrebbe ancora convincerci che esistono i partiti, le idee, i valori della destra, del centro e della sinistra. 

   Invece esiste soltanto una gigantesca, trasversale, post-ideologica associazione per delinquere che si avventa famelica su ogni occasione per rubare, grassare e ingrassare a spese di quei pochi fessi che ancora si ostinano a pagare le tasse. A ogni scandalo ci raccontano la favola delle mele marce, la frottola della lotta alla corruzione, l’annuncio di regole più severe, la promessa del rinnovamento, della rottamazione. E intanto continuano a rubare, secondo un sistema oliato e collaudato di larghe intese del furto che precede e spiega le larghe intese di governo. E la totale mancanza di opposizione a sinistra negli anni del berlusconismo rampante e rubante. Anche l’art.27 della Costituzione, quello della presunzione di non colpevolezza, diventa una barzelletta se si leggono le carte delle indagini su Expo e sul Mose, dove i protagonisti delinquono in diretta telefonica, o a favore di telecamera: non c’è bisogno della Cassazione, e nemmeno della sentenza di primo grado, per capire che rubavano davvero. Politici, imprenditori, funzionari, generali della Finanza, giudici amministrativi e contabili. Il solito presepe di sempre, che avvera un’altra celebre battuta da bar: a certi livelli “non esistono innocenti, solo colpevoli non ancora presi”. Renzi non ruba, e i suoi fedelissimi sono lì da troppo poco tempo. Ma rischia di diventare il belletto per mascherare un partito marcio con cui – per prenderne il controllo – ha accettato troppi compromessi. Marcio nella testa prim’ancora che nelle tasche. Ieri, senz’aver letto un rigo dell’ordinanza, l’ineffabile Piero Fassino già giurava sulla leggendaria probità del sindaco Orsoni appena arrestato (“chi lo conosce non può dubitare della sua onestà e correttezza”), invitando i giudici ad appurarne al più presto l’innocenza per “consentirgli di tornare alla funzione di sindaco”. Perché, se ne appurassero la colpevolezza cosa cambierebbe? Fassino lo promuoverebbe a suo braccio destro, come ha fatto con Quagliotti pregiudicato per tangenti?

O il Pd gli restituirebbe la tessera, come ha fatto con Greganti pregiudicato per tangenti? La Cloaca Massima è così pervasiva che ogni strumento ordinario per combatterla diventa favoreggiamento. Ma davvero Renzi pensa di affrontarla con il povero Cantone e la sua “task force” di 25 (diconsi 25) collaboratori? O con qualche presunta riforma? A mali estremi, estremi rimedi: cancellare le grandi opere inutili ancora in fase embrionale, dal Tav Torino-Lione al Terzo Valico; cacciare ogni inquisito dai governi locali e nazionali; radiare dai contratti pubblici tutte le imprese coinvolte in storie di tangenti; introdurre gli agenti provocatori per saggiare la correttezza dei pubblici amministratori (come negli Usa); imporre a chi vuole concorrere ad appalti una dichiarazione in cui accettano di essere intercettati, a prescindere da ipotesi di reato (come fece Rudy Giuliani sindaco di New York); piantarla con le “svuotacarceri” (l’ultima è a pag. 7), costruire nuovi penitenziari e, nell’attesa, riattare caserme dismesse per ospitare i delinquenti che devono stare dentro; radere al suolo tutte le leggi contro la giustizia targate destra, centro e sinistra degli ultimi 20 anni. Tutto il resto non è inutile: è complice.

 

Ladri più di ieri e meno di domani

RENZI CHIAMA IL PM ANTI CAMORRA A SORVEGLIARE GLI APPALTI EXPO

Il magistrato antimafia, chiamato dal premier Matteo Renzi a seguire i lavori della rassegna internazionale del 2015, in un’intervista al Mattino spiega: “I partiti sono ancora in preda del malcostume. E l’opinione pubblica è spesso distratta.

Cantone neo-commissario a Expo 2015
“Tangentopoli non ha insegnato nulla”

Il magistrato anti-mafia collega i casi Berlusconi, Scajola Dell’Utri e mazzette a Milano: “Politica
non ha fatto passi avanti. I partiti hanno responsabilità, non si sono dotati di regole trasparenti”.

Ecco.
Bisogna avvertire Scalfari, Ezio Mauro e tutto l’esercito dei meravigliati del mainstream de noantri, quelli che “ma com’è possibile che i criminali di oggi sono gli stessi di vent’anni fa”. E domandare che hanno fatto di bello e di utile in questi vent’anni per evitarlo.

 

Certo che può parlare di esilio anche Matacena e Dell’Utri può dire di essere un perseguitato da vent’anni se ancora oggi si parla del Craxi esule costretto a chiedere asilo politico come chi fugge dai regimi. Gli esempi contano, e forse conterebbero meno se il presidente della repubblica evitasse di partecipare alle varie commemorazioni in onore di un corrotto, un pregiudicato latitante, un vigliacco che si è sottratto a una giusta condanna. 
E se si evitasse di citare Craxi infilandolo nel pantheon di sinistra come ha fatto Fassino senza ripercorrere la fase che lo ha trasformato da statista a cittadino indegno. 
Tutti martiri dell’onestà in questo paese.

Se berlusconi, dell’utri, matacena, forse pure scajola a sua insaputa sono prigionieri politici, perseguitati dalla giustizia noi che siamo? 

Perché qua mi pare che i veri prigionieri politici, gli unici ad avere il diritto alla definizione siamo proprio e solo noi, veri ostaggi di una politica, di un governo, di istituzioni che nessuno ha scelto e che ci tocca subire. Questa gentaccia andrebbe incriminata, oltre che per i suoi reati anche per terrorismo semantico. Per abuso indiscriminato di parole che hanno un significato preciso, che vengono buttate nel frullatore mediatico senza che ci sia nessuno poi che spiega perché berlusconi, Dell’Utri e Matacena sono tutt’altro che vittime. 
Le vittime siamo noi, questo non va dimenticato.

L’assenza dello Stato e il sentimento di vendetta – Furio Colombo, Il Fatto Quotidiano

La stampa e l’informazione che oggi cadono dal pero, si meravigliano, si scandalizzano come Scalfari nell’editoriale di ieri ed Ezio Mauro in quello di oggi che i criminali di oggi sono gli stessi di vent’anni fa dovrebbero dare il giusto risalto a queste cose, così come lo fanno rispetto a qualsiasi scemenza, falsità, menzogna, diffamazione che esce dalle bocche di questi criminali. Quello che avrebbero dovuto fare in questi vent’anni, quelli di berlusconi impostore, abusivo della politica, delle leggi ad personam, della cancellazione dei reati per agevolare la collusione fra la politica e la criminalità. Se ad un condannato per una frode fiscale da 300 milioni di euro invece di una condanna gli si dà un premio, si annulla di fatto la sentenza che lo ha reso un cittadino non avente più diritto ai diritti di tutti, di chi non ruba allo stato e non si mette fuori dallo stato e dalla legge  è inutile poi lagnarsi, indignarsi che i protagonisti dei ladrocini siano sempre gli stessi, la stessa cricca ispirata anche dalle teorie del più ladro di tutti, ovvero l’abuso dello stato per l’interesse e l’arricchimento personali. Come fa notare anche Gherardo Colombo la politica anziché attivarsi per contrastare la delinquenza dentro la politica ha contribuito all’esaltazione del crimine, non ha modificato di una virgola quello che berlusconi e un parlamento complice hanno stravolto. Non ha lavorato né si è impegnata per ridare a questo paese una parvenza di decenza salvo poi gridare al lupo al lupo tutti insieme, informazione e politica, quando è arrivato il buffone a rovesciare il tavolo dell’immoralità.
Col risultato che noi cittadini oggi  non abbiamo più nessuna tutela né un punto di riferimento sano in un momento drammatico in cui ce n’è un estremo bisogno.

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“Come ai tempi di Mani Pulite colpa delle leggi ad personam”  Liana Milella – La Repubblica

Tutto «come vent’anni fa». I magistrati hanno raccolto «una serie quasi infinita di prove», ma le leggi ad personam e la prescrizione hanno falcidiato i processi. L’ex pm di Milano Gherardo Colombo è convinto che la svolta «non arriverà in tempi brevi». Un primo passo è sicuramente quello di «allontanare dal suo ufficio chi sbaglia la prima volta». Quanto alla politica, anche della sinistra, il giudizio è netto: «Non vedo da tempo interventi utili a prevenire la corruzione ».
Tangentopoli Due, Dell’Utri condannato, Scajola arrestato. Che succede in Italia?
«Tenuta ferma la presunzione di innocenza fino al giudizio definitivo, non c’è bisogno di queste notizie per avere la forte impressione che non sia cambiato molto dai tempi di Mani pulite. Forse sono diverse le modalità e, al momento, pare che non si riscontri quel coinvolgimento dei partiti politici che si era verificato allora. Ma l’impressione è che esista comunque una corruzione particolarmente diffusa nel nostro Paese».
Il sottosegretario Del Rio dice che bisogna cambiare l’etica pubblica. Come se fosse facile, visto che in Italia pare che il Dna dell’onestà sia carente.
Siamo condannati a veder riprodotti all’infinito questi comportamenti?
«È una questione che non riguarda solo l’etica pubblica, ma anche quella privata, perché quando si verifica un fatto di corruzione, oltre a una parte pubblica, è sempre coinvolto un soggetto privato, impresa o persona fisica che sia. A livello di vertice, la corruzione può essere un fenomeno costante solo se esiste una pratica diffusa in qualsiasi altro livello della società. Se non si promuovono cambiamenti che riguardano il rispetto delle regole per tutti, è difficile, se non impossibile, marginalizzare la corruzione anche ai livelli più alti».
Nella famosa intervista che dette a D’Avanzo 20 anni fa lei indicava nella politica e nel patto della Bicamerale una responsabilità determinante. Oggi la colpa su chi ricade?
«Non credo sia importante stabilire di chi sia la colpa, quanto cercare le cause. E allora mi chiedo: quali modelli di comportamento sono stati promossi in questi anni? Quali punti di riferimento sono stati indicati? Considero un equivoco pensare che un problema così generalizzato si possa risolvere a livello giudiziario, attraverso le inchieste, i processi e le sentenze. Proprio l’esito delle indagini degli anni Novanta costituisce un riscontro inconfutabile. La raccolta di una serie quasi infinita di prove, attraverso le quali venivano individuate le responsabilità di un gran numero di persone, non ha quasi avuto seguito a livello giudiziario ».
Non è troppo pessimista?
«I processi spesso si sono conclusi per prescrizione o per assoluzioni dipendenti da incisive modifiche della legislazione processuale e sostanziale, che hanno ridotto l’efficacia probatoria di alcune emergenze, hanno accorciato i termini di prescrizione e hanno ridimensionato reati come il falso in bilancio. Tutto ciò non ha impedito che la corruzione continuasse a mantenere livelli molto elevati. Da tempo sono convinto che incidere sulla corruzione sia necessario intervenire soprattutto a livello educativo e preventivo».
Non le viene il dubbio che così, tra 50 anni, ci troveremo con gli stessi fatti criminali?
«Se consideriamo che il fenomeno è così esteso, di certo la soluzione non potrà intervenire in tempi particolarmente brevi. Essa potrà essere tanto più rapida, quanto più l’educazione e la prevenzione saranno agite in modo tempestivo, organico e profondo».
Com’è possibile che nel mercato degli appalti trattino e facciano mediazioni personaggi come Frigerio e Greganti?
«In tanti casi persone ritenute responsabili di corruzione o che avevano patteggiato per questi reati sono state lasciate a svolgere le stesse funzioni. La questione coinvolge la responsabilità di chi ha il compito di applicare la legge e di fare scelte di gestione, e cioè scelte politiche».
Governo Prodi nel 2006, governo Renzi nel 2014. Le leggi di Berlusconi sono sempre in vigore. Non c’è una responsabilità della sinistra nell’ostacolare la riconquista della legalità?
«Da tempo, non ho visto interventi legislativi che cercassero di incrementare effettivamente, al di là delle parole, una maggiore capacità di intervento sia a livello educativo che a livello preventivo».
Cantone, un ex pm, è il nuovo commissario anti-corruzione e Renzi l’ha appena coinvolto da Renzi per Expo. I suoi consigli?
«Non credo di potergliene dare su come gestire il suo ufficio, ma è necessario che gli vengano dati gli strumenti e i mezzi per poter svolgere un’efficace attività di controllo in posizione assolutamente indipendente».

Minima & [Im]moralia [riflessioni sulla vita offesa]

 

Dell’Utri che per almeno diciotto anni si fa premura di garantire l’armonia fra berlusconi e la mafia si prende sette anni e berlusconi, l’utilizzatore finale [anche] di Dell’Utri, il beneficiario dell’intesa, non c’entra niente? E, chiedo al rottam’attore: bisogna ancora fare accordi politici e magari riscrivere la Costituzione col partito di un condannato per mafia e uno per frode allo stato? 

 

E’ normale che berlusconi consideri assurdo l’arresto di un favoreggiatore di latitanti così tanto da sentirsene addolorato. Lui non ha la benché minima idea del rapporto fra i cittadini che non si chiamano berlusconi e la legge, la giustizia italiane. E ignora che in questo paese si può essere arrestati anche per il furto di piccole cose, condannati a processi che durano anni per la sottrazione di un ovetto kinder al supermercato o per aver strappato un fiore ai giardini pubblici. Ecco perché per i delinquenti inside come lui non è sufficiente la misura alternativa al carcere ma ci sarebbe voluto proprio il carcere.
Quello sì che lo avrebbe educato.

Ma meno male che ci pensano i nostri grandi statisti a ricordarci che la corruzione non è un’esclusiva italiana, bravo Napolitano che, sentendo puzza di bruciato [come se fosse una cosa nuova] dentro ai partiti che gli piacciono tanto ha subito messo in guardia per la milletrecentesima volta, contata per difetto, sui pericoli del populismo che nel linguaggio di Napolitano ha la forma di una stella ripetuta per cinque volte.
Ci fosse mai una volta che il presidente prenda il toro per le corna, che miri ai bersagli giusti. Che se la prenda coi ladri, i corrotti, i criminali.
Condannano berlusconi e chiede la riforma della giustizia, i magistrati fanno inchieste anche sui potenti e lui li avvisa, gli chiede di non essere troppo intransigenti.
Arrestano un ex ministro già colpito da diversi procedimenti giudiziari, dai quali è potuto uscire indenne solo grazie al fatto di vivere in questo paese dove a chi non è mai capitato di trovare 900.000 euro sul comò coi quali acquistare lussuosi appartamenti vista Colosseo?
Arrestano una manciata di persone vicine ma più che altro dentro ai partiti di tutti gli schieramenti e sempre per corruzione, uno dei cancri di questo paese e lui che fa? ri_avvisa, non monitando sul vizio endemico della politica di mettersi in casa delinquenti e disonesti di ogni ordine e grado e di farci affari insieme ma di stare attenti all’unico partito, movimento, che avrà pure un leader pregiudicato ma che almeno ha avuto il buon gusto di non candidarsi. 

Gli arrestati di Milano non sono alieni arrivati da un altro pianeta, è gente che è stata sempre ben presente intorno alle istituzioni, dentro la politica, vicina ad altra gente che si professa e si proclama onesta ma che poi non prova nessun disagio a frequentare e farsi frequentare da persone così, già accusate in passato di reati, fatte oggetto di provvedimenti giudiziari per gli stessi motivi, lo stesso reato, probabilmente a causa di quella catena degli affetti che non si può interrompere. Il problema non è chiedersi perché non si riesce a combattere la corruzione in Italia ma perché, malgrado ce lo chieda anche l’Europa che per altre cose viene prontamente ascoltata e accontentata, in questo paese non c’è una legge seria sulla corruzione e perché  nessuno pensa a regolare i conflitti di interesse che sono molteplici e non riguardano solo berlusconi.  E un altro problema è che in questi vent’anni sono stati troppo pochi quelli che hanno ricordato, anche a costo di sembrare noiosi, che berlusconi è il risultato di scelte politiche e di manovre di palazzo.   Altroché dare sempre la colpa alla gggente che poi, anche ignorantemente va a votare.

 

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ExpoMazzette2015
Marco Travaglio, 10 maggio

Chiunque sia stato a dedicare l’Expo Milano 2015 alla mancanza di cibo in vaste zone del mondo dev’essere un genio, dotato per giunta di un sopraffino sense of humour. Come dimostrano le carte della retata, i politici, i costruttori e i faccendieri intenti a costruirlo avevano una fame da lupi e mangiavano a quattro palmenti. Una fame atavica, abbondantemente soddisfatta grazie a zanne e ganasce collaudate fin dai tempi di Tangentopoli. Il fatto stesso che se ne occupassero i Frigerio e i Grillo (Luigi, per la destra) e i Greganti (per la sinistra), tangentisti di provata fede ed esperienza, dimostra che la corruzione è ormai considerata una variabile indipendente della politica e dell’economia. La mazzetta simpaticamente lubrifica, agevola, risolve. Guai se non ci fosse. E pazienza se poi le opere costano il doppio o il triplo che negli altri paesi: i costruttori sono contenti, i politici anche, i mediatori-professionisti-consulenti pure. Ci rimettono solo i cittadini, con tasse sempre più alte e servizi sempre più scadenti, ma a distrarli e a trascinarli alle urne ci pensano i giornaloni e le tv a colpi di annunci e di slide. La corruzione ci ruba 60 miliardi di euro all’anno e l’evasione 180, però su eBay abbiamo venduto sei auto blu per 57 mila euro, mica bruscolini: basta venderne un altro milione e siamo a cavallo. La reazione dei politici agli arresti fa rimpiangere Genny ‘a Carogna, che avrebbe trovato parole più adeguate. Napolitano, per gli amici Giorgio ‘o Gnorri, apre la sua consueta campagna elettorale invitando gli italiani a evitare “il populismo” (cioè Grillo) e a non farsi influenzare dalle retate: “Non tirerei in ballo le Europee su vicende che sono strettamente italiane”. Il fatto che in Italia si rubi più che in tutto il resto d’Europa e che lui sia il presidente strettamente italiano e non di un altro paese, non lo tange (scusi il termine). Anzi, “il superamento di fenomeni di corruzione, che non sono esclusivi del nostro Paese, sono legati molto alla creazione di un impegno e di regole comuni in Europa”. Ecco: tutto il mondo è paese, così fan tutti. E, per combattere la corruzione, non bisogna smettere di rubare né emarginare i ladri, ma creare un impegno e regole comuni europee. Il conte Mascetti, con le supercazzole, era un dilettante.
Si rifà vivo anche D’Alema, che al nome “Greganti” salta su come la rana di Galvani. Nel 1993, appena finì dentro il Compagno G, Max attaccò il pool Mani Pulite chiamandolo “il soviet dei golpisti”, mentre l’amico Amato e l’amico Conso preparavano il colpo di spugna. Ora che il Compagno G torna dentro, la Volpe del Tavoliere filosofeggia: “Non è la riedizione di Tangentopoli e comunque la corruzione non è un fatto legato ai partiti, ma è endemico della società italiana”. Ah, meno male, chissà che credevamo. Poi aggiunge: “Io resto un garantista e ho preso una certa prudenza in materia: ho calcolato che il 40-45% degli accusati vengono poi prosciolti”. Forse dovrebbe cambiare pallottoliere: solo il 5% degli imputati di Tangentopoli furono dichiarati innocenti; gli altri “prosciolti” erano colpevoli e spesso rei confessi, anche se poi furono salvati da leggi che cambiavano i reati o cestinavano le prove, e dalla solita prescrizione (che fra l’altro salvò anche lui). Nemmeno una parola sulle mazzette accertate, filmate e fotografate dagl’inquirenti: sono “endemiche”. Ora però – intima il Foglio – Renzi deve “cambiare i poteri della magistratura”: in effetti fu un grave errore affidare ai giudici il potere di arrestare i ladri, bisogna rimediare. “Questa roba non fa bene”, commenta il renziano Matteo Richetti, anche se il Matteo supremo ha invitato a “non commentare”. “La cosa è preoccupante, potrebbe essere il grimaldello per scardinare tutto”, conferma Quagliariello (Ncd). E la “roba” che non fa bene, la “cosa” che li preoccupa non è la corruzione che, vista la notorietà dell’Expo, fa il giro del mondo qualificando l’Italia per quello che è; bensì il fatto che – come intonano a una sola voce Sallusti, Belpietro, Ferrara, Berlusconi (centrodestra), Cicchitto (Ncd) e Pisicchio (centrosinistra) – “gli arresti portano voti a Grillo”, dunque è “giustizia a orologeria” (Toti). Ora, per essere giusti, i giudici devono arrestare qualche grillino a caso, anche se non ruba.

Beh, non c’è molto da dire

Sarà anche peccato per chi come me di solito sta sempre negli argomenti recenti e quotidiani ma il dibattito sulla “nuova” legge elettorale non mi appassiona manco un po’.

Lo sento distante milioni di chilometri, da me, dalle esigenze di un paese allo stremo ma soprattutto dalla politica, che non cerca una regola ma solo una continuità sua, per poter continuare a fare bellamente quel che le pare nascondendolo ovviamente dietro il paravento della scelta condivisa [da loro, con un delinquente da galera per giunta], quindi fintamente democratica [per noi].

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Mauro Biani

Renzi si sente ancora in profonda sintonia con questa gente qui? e noi dobbiamo rispettare gli otto milioni di debosciati che si fanno rappresentare da un delinquente e i suoi complici nel malaffare? E aggiungo:  cavaliere un cazzo. La possono piantare sì o no i signori redattori dei giornali e siti on line di usare questa parola per definire un criminale a settecentoventi gradi?

“Venti magistrati hanno commissariato la politica”: dice il padre ma più che altro padrino della patria.
Non, invece, che la politica è stata per lungo tempo un ricettacolo di delinquenti da galera che in parlamento hanno trovato l’approdo per farsi beffe della legge e costruirsene altre per rendere inutili quelle che c’erano. 
Non, invece, un presidente della repubblica che legittima un delinquente chiedendo alla magistratura di essere “meno protagonista” e di lasciare al delinquente la possibilità di continuare ad essere parte in causa della politica.
E non, invece, una stampa e un’informazione scellerate che per vent’anni hanno descritto l’attività di un delinquente, dei suoi sodali e i tentativi dei giudici di metterci un punto come una guerra fra bande.
Come se i delinquenti fossero da entrambe le parti.

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“Ha comprato i testimoni del caso Ruby” B. indagato: corruzione in atti giudiziari

IL CAVALIERE SPARA SUI PM: “VENTI MAGISTRATI HANNO COMMISSARIATO LA POLITICA”

Il Cavaliere, Piero Longo, Niccolò Ghedini, Ruby e le olgettine [in tutto 45 persone] sono accusate a vario titolo di corruzione in atti giudiziari. L’inchiesta sarà seguita dai pm Pietro Forno e Luca Gaglio, non quindi da Ilda Boccassini. [Dal Fatto Quotidiano]