Quel nonsocché di ridicolo

Sottotitolo: quando Sciascia ha scritto dei “professionisti dell’antimafia” si riferiva a chi come Borsellino, specialmente a lui era indirizzato il messaggio, per combattere la mafia è morto. C’è gente che ha costruito fior di carriere perché si è sempre dichiarata contro le mafie, ma l’antimafia non si dice: si fa.
Gli antimafiosi veri in questo paese di solito li ammazzano, non gli mettono in mano il potere.

***

L’ultima intervista a Pippo Fava, ammazzato dalla mafia a Catania il 5 gennaio 1984

***

Non c’è un modo per dare una notizia: c’è la notizia,  se c’è il giornale e i giornalisti la divulgano.

Anche basta con questa storia dell’opportunità di pubblicare o meno che ha avuto il suo apice con berlusconi e quelle che erano tutt’altro che faccende sue private.
Quello che emerge dalle intercettazioni in cui sono coinvolti i politici dovrebbe interessare sempre, non per voyeurismo ma perché quei politici sono scelti dalla gente che [forse] se fosse più informata su chi sono le persone che manda al comune e in parlamento le sceglierebbe con più attenzione.
Dover rispiegare ogni volta e ancora l’importanza di conoscere il politico in tutte le sue dimensioni, anche quelle private, anche quando sono “penalmente irrilevanti” ma che danno comunque la misura della moralità e dell’etica della persona che si occupa delle cose di tutti è diventato nauseante.

I cattivi maestri ci vogliono convincere che l’intercettazione deve rimanere segreta, non essere diffusa quando i suoi contenuti non hanno niente di penalmente rilevante: la solita stucchevole tiritera che viene ripetuta ogni volta che qualcuno svela cosa c’è nel backstage della politica, una cosa normalissima che succede in tutti i paesi più civili del nostro.
Quelli buoni, invece, pensano che i cittadini abbiano il diritto di sapere chi sono, cosa fanno, cosa dicono e come si comportano SEMPRE i “signori” della stanza dei bottoni visto che sono quelli a cui si affida non solo la gestione del paese ma anche quella delle nostre vite che possono stravolgere a immagine e somiglianza: le loro, il che è tutto dire.
Ad esempio io a Renzi non avrei affidato nemmeno la gabbia dei criceti se ne avessi avuta una, mentre il 40,8% della metà degli italiani ha pensato che lui fosse la persona più giusta e più adatta per mettersi alla consolle di questo sciagurato paese il cui destino non viene deciso da istituzioni responsabili, da una politica che ha a cuore il bene collettivo ma viene manipolato da qualche gruppetto di amichetti di sontuose merende i cui interessi sono sempre altrove dai nostri.

***

Leggendo certi commenti sembra che la procura abbia smentito che esista la telefonata fra ‪Crocetta‬ e Tutino: nient’affatto, la procura ha solo detto che non è stata trascritta negli atti, che è ben diverso dal negarne l’esistenza come piacerebbe a qualcuno di quelli che “il direttore de L’Espresso si deve dimettere”.
Se in questo paese molti tendono a fidarsi più di qualche giornale e di alcuni giornalisti che di una procura qualche ragione ci sarà.

Le intercettazioni servono non solo a farci capire chi sono le persone che esercitano l’autorità politica ma anche da che tipo di gente si fanno frequentare; ‘sti cazzi del penalmente irrilevante, la balla dietro alla quale si vuole nascondere il letamaio in cui galleggia la politica che conta che raccontano e se la raccontano anche quelli che sono nella nostra stessa barca  ai quali evidentemente va bene questo andazzo. Consideriamo che ad una ventina di milioni di italiani questo sistema è andato benissimo e per mantenerlo sarebbero e sono disposti anche a votare degli irriducibili bugiardi e disonesti. Lo hanno fatto, lo continuano a fare.
Ma nel paese normale, civile e democratico davvero i cittadini hanno il diritto di sapere chi sono, chi frequentano, come si comportano in certe situazioni i politici che li governano [parlando con pardon].
Questo sarà un paese diverso il giorno in cui gli elettori potranno scegliere di non votare il politico solo perché si mette le dita nel naso, altroché le balle della Boschi. 

Ma per fortuna come diceva Ennio Flaiano la situazione politica in Italia “è grave ma non seria”. 

C’è sempre quel nonsocché di grottesco, ridicolo che aiuta a metabolizzare anche le schifezze più allucinanti.
Ad esempio il garantismo à la carte del pd secondo il quale “nessuno è colpevole fino al terzo grado” ma  nel caso di berlusconi si può anche sorvolare su una sentenza definitiva facendolo addirittura accomodare al tavolo della trattativa nazarena, però Crocetta si deve dimettere per una faccenda ancora tutta da chiarire.
Poi quel “metodo Boffo” stracitato ad cazzum ignorando che il metodo Boffo è quello orchestrato ai danni di qualcuno che viene screditato con la diffusione di menzogne come fu proprio per Dino Boffo o per delle idiozie di nessuna rilevanza non solo penale ma anche sociale come il colore dei calzini del giudice Mesiano, le foto di Vendola ragazzo nudo su una spiaggia nudisti, la Boccassini che in gioventù flirtava con un comunista, come se questi fossero dettagli determinanti a definire la serietà di persone che hanno avuto poi responsabilità pubbliche e politiche.
La facilità con la quale in questo paese tanta gente riesce ad introiettare il linguaggio usato dai politici quando devono difendersi da qualche accusa, fosse anche un’amicizia con persone discutibili è uno dei motivi per cui qui un “caso Watergate” non sarebbe mai potuto accadere e non potrebbe accadere.
La mentalità provinciale tipica di tanti italiani che di fronte a cose più grandi di loro anziché sforzarsi di comprenderle le temono, condannano chi le porta alla luce, avrebbe messo in croce anche Carl Bernstein e Bob Woodward, i due giganti del giornalismo d’inchiesta che inchiodarono Nixon – senza preoccuparsi di urtare la sensibilità di qualcuno – costringendolo alle dimissioni.

E’ la stampa, bellezze!

Sottotitolo: quello che molti chiamano “gettare fango su qualcuno” altrove lo chiamano informazione quando è oggettivamente informazione, dunque non certo pedinare magistrati per guardargli il colore dei calzini o risalire agli amori giovanili di un giudice e molto di quanto è stato utilizzato dai giornali di proprietà di berlusconi per screditare chiunque si sia opposto ai suoi piani e progetti illegali, contro lo stato, la democrazia, il benché minimo senso della morale e del pudore, e ai giornalisti dei paesi normalmente civili non interessa proprio la conseguenza delle loro inchieste. Negli States presidenti sono stati costretti alle dimissioni grazie al giornalismo d’inchiesta. 

Perché quello che un giornalista deve fare è informare la gente, poi quando e se c’è la diffamazione esistono le procure e le denunce, a meno che non ci si chiami sallusti a cui è stata offerta la garanzia per poter continuare a diffamare chiunque. 

Non lo faccio mai ma oggi vale la pena dedicare un pensiero speciale a tutti quelli che ieri si sono prodotti nelle teorie più fantasiose circa un Marco Travaglio terrorizzato dalle minacce telefoniche di Grasso [io lo avevo paragonato a b, lui addirittura a Masi, il che è tutto dire].
Soprattutto ai gestori di pagine di social network ridicole e volgari che spacciano la loro viscida propaganda a senso unico – e dunque contro il MoVimento come va di moda fare adesso – e i loro insulti per satira e libera espressione dei pensieri, che ieri hanno paragonato Travaglio a un criceto: una cosa così divertente da non riuscire a smettere di ridere, considerato il favoloso panorama del giornalismo italiano, ma ognuno ha il suo personalissimo parametro di critica e giudizi, evidentemente allineato con il proprio livello di comprensione, se così si può dire in un paese dove TUTTO si riduce a un derby calcistico.
Leggendo il fondo di oggi di Travaglio non sembra proprio di trovarsi di fronte un criceto spaventato, anzi, pare proprio di leggere un articolo di un giornalista vero che non solo non fa il benché minimo passo indietro circa le cose dette a Servizio Pubblico ma come farebbe un bravo giocatore di poker rilancia perché è sicuro di avere in mano le carte giuste. 
Proprio come devono aver pensato Carl Bernstein e Bob Woodward quando grazie ad una loro inchiesta [The Watergate Story (The Washington Post)Richard Nixon, non il presidente del circolo del burraco sotto casa e nemmeno quello del senato di un paese qualunque ma quello degli Stati Uniti fu costretto a dare le dimissioni in diretta televisiva, scusandosi per non essersi comportato come un bravo presidente avrebbe dovuto. 

E mi chiedevo se qualcuno in America abbia accusato i due giornalisti di essere stati poco opportuni o di aver gettato fango su Nixon, ma soprattutto se Nixon abbia mai pensato di dover pretendere un contraddittorio coi giornalisti, ecco.
Un pensiero speciale quindi, a tutti quelli che non capiscono la differenza fra “gettare fango” e fare cronaca, inchiesta giornalistica, quelli che pensano che un giornalista debba essere opportuno, che è come pretendere che la satira [quella vera, non le porcherie volgari] debba seguire una morale.
Ma dubito che questo possa essere comprensibile ai più nel paese dove “eminenze ” sul genere di vespa, ferrara, sallusti sono considerati personaggi autorevoli e quindi degni di avere un programma tutto loro cinque sere alla settimana nella tv pubblica ed essere ospitati a cadenza praticamente quotidiana in tutti i talk show, come se fossero giornalisti veri.

Spero che stavolta Travaglio abbia imparato la lezione, e che in futuro eviti di preoccuparsi per i diffamatori seriali, quelli che il fango sulla gente lo buttano davvero e poi vengono perdonati dallo stato.

Il falso Grasso
Marco Travaglio, 23 marzo

Giuro che l’altra sera, quando Piero Grasso ha telefonato in diretta a Servizio Pubblico per sfidarmi a duello, ho pensato allo scherzo di un imitatore. Tipo quello di Paolo Guzzanti che chiamò Arbore con la voce di Pertini. O a quello dei monelli de La Zanzara che hanno intortato due grilli dissidenti spacciandosi per Vendola. Invece pare che fosse proprio lui, il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, forse mal consigliato in famiglia. Altrimenti non avrebbe chiamato come un Masi qualunque (Masi almeno il programma lo stava seguendo, Grasso invece no) per lamentarsi del fatto che si parlasse male di lui in sua assenza. Sono decenni che in tv, sui giornali e nei palazzi si parla di lui, quasi sempre in sua assenza (nemmeno un santo come lui ha ancora il dono dell’ubiquità): solo che se ne parlava sempre bene. Grasso infatti è il magistrato più fortunato d’Italia. Per vent’anni, qualunque pm s’imbattesse in un indagato eccellente veniva massacrato, ricusato, trasferito, punito, insultato, vilipeso, calunniato, spiato fin nei calzini. Tranne uno: Grasso, che ha sempre goduto di elogi e plausi unanimi, da destra e da sinistra, fino all’omaggio di tre leggi ad personam targate Pdl che eliminavano il suo unico concorrente (Caselli) per la PNA. Anche l’altro giorno, quando è asceso alla seconda carica dello Stato, ha ricevuto i complimenti di B. e financo di Dell’Utri. C’è chi, per molto meno, avrebbe una crisi di coscienza e si domanderebbe cos’ha fatto per meritarsi tutto questo. Invece lui non s’accontenta e pretende di spegnere anche le poche voci che ancora lo criticano (quando lo merita: chi scrive l’ha elogiato per aver respinto le manovre di Quirinale e Cassazione sulla trattativa a gentile richiesta di Mancino): è convinto chi vuole criticarlo debba farlo solo in sua presenza. Un concetto del contraddittorio davvero singolare, peraltro non nuovo: l’aveva già sostenuto il suo predecessore e presunto rivale, Schifani, dopo una mia intervista da Fazio.
Naturalmente Santoro è lieto di organizzare il faccia a faccia con Grasso nella prossima puntata di Servizio Pubblico, o in un’edizione speciale anticipata, vista la curiosa fretta manifestata da Grasso (attende forse un altro incarico ad horas?). Le repliche, da che mondo è mondo, si pubblicano sulla stessa testata che ha ospitato le affermazioni a cui replicare. Avete mai visto una rettifica a un articolo del Corriere pubblicata su Repubblica , o viceversa? Ieri invece alcuni colleghi si sono molto agitati, ansiosi com’erano di ospitare il faccia a faccia. Li ringrazio di cuore, ma io lavoro al Fatto e a Servizio Pubblico. Peraltro un duello non è un talk show con ospiti, servizi filmati e pollai vari. È un confronto a due, come ha correttamente chiesto Grasso, con carte e documenti alla mano. Personalmente non chiedo di meglio e non vedo l’ora. Sono dieci anni che seguo passo passo la sua resistibile ascesa in toga e poi in politica, raccontando ciò che fa e soprattutto non fa sull’Unità, l’Espresso , MicroMega , il Fatto e in alcuni libri, a partire da Intoccabili (scritto a quattro mani con Saverio Lodato). Ogni tanto Grasso minacciava querele, che non sono mai arrivate. Altre volte replicava con rettifiche che non rettificavano nulla, regolarmente pubblicate con le dovute risposte. Più volte, fra il 2003 e il 2005, quand’era procuratore a Palermo, i colleghi da lui emarginati tentarono di informare il Csm del suo operato, ma l’allora presidente Ciampi e l’allora vicepresidente
Rognoni preferirono evitare. Se dunque il presidente del Senato volesse, al duello potrebbero partecipare alcuni testimoni oculari, persone informate sui fatti, che hanno molte cose da raccontare e non hanno mai avuto modo di farlo. Nei duelli di un tempo, ciascun duellante si faceva assistere da uno o due padrini. In questo caso non si sa mai: meglio chiamarli testimoni.