Quel che è stato, è Stato

provenzano bianiCome diceva Pasolini “i diritti civili sono i diritti degli altri”, quelli difficili da comprendere ma che però esistono e chi si definisce persona civile deve tenere in considerazione anche se non ne condivide il fine, l’obiettivo perché magari non ne ha bisogno e può vivere anche senza. Le unioni civili, ad esempio.
Nello stato di diritto non si tiene una persona resa innocua dalla vecchiaia, in stato di demenza, malata terminale, detenuta in regime di carcere duro.
Le pene severe si danno quando le persone sono sane, non quando sono ridotte a larve umane incapaci di intendere e di volere.
Nella lunga “latitanza” di Provenzano, impossibile senza la collaborazione degli apparati dello stato, nella sua fine c’è tutto il fallimento scientifico – perché mirato ad occultare e nascondere la verità – di uno stato che per bocca delle sue istituzioni si vanta di combattere la mafia, addirittura di averla sconfitta come ha detto Rosi Bindi ieri sera al talk show ma poi si accontenta degli scarti umani e della piccola manovalanza.
E’ perfettamente inutile indignarsi quando in America si mandano a morire i minorati psichici o gente tenuta per vent’anni nel braccio della morte che nel frattempo è diventata altra da quella che ha commesso i reati per i quali è stata condannata alla vendetta di stato se poi, nella nostra bella “culla del diritto” si condannano a sette mesi, nemmeno da scontare com’è già accaduto altre volte, degli assassini in divisa perfettamente lucidi e coscienti, che uccidono quindi nel nome di quel popolo italiano che dovrebbero invece tutelare anche [soprattutto] quando si pone fuori dalla legge e poi si gioisce della vendetta dello stato sul vecchio boss assicurato alla “giustizia” quando ormai non serviva più, incancrenito e finito già dal male.

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“Bernardo Provenzano lasciato morire
così per potere attaccare il 41-bis”

Il boss scomparso a 10 anni dall’arresto – Di Giampiero Calapà

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Magherini, condannati tre carabinieri – Riccardo Chiari, Il Manifesto

Dei delitti, delle pene e della giustizia che non è giusta

Sottotitolo: oggi sappiamo che indossare una maglietta con scritto “Speziale libero” che non è un reato ma secondo la nostra giustizia creativa può costituire un’aggravante in caso di somma di imputazioni ma andare a manifestare davanti e dentro i tribunali per invocare la libertà di un delinquente ladro, corruttore colluso con la mafia è un normale esercizio di libertà di espressione che non costituisce eversione nemmeno se fra quelli che lo hanno fatto c’è il ministro dell’interno di questo paese, lo stesso che dà ordini alle forze dell’ordine e che impone il daspo all’ultrà violento: quello che Renzi diceva di voler dare ai politici indagati e condannati ma probabilmente quando lo ha detto “stava a scherza’”.

Oggi sappiamo che si può tenere in una galera qualcuno dei mesi senza un processo, senza una sentenza che ne stabilisca la colpevolezza certa, che si possono spiattellare sui giornali anche i suoi fatti privati, tipo quante volte fa sesso con sua moglie o guarda dei filmini pornografici senza una santanchè che gridi alla violazione della privacy e nemmeno una Serracchiani che dica che non si è colpevoli fino al millecinquecentesimo grado di giudizio. Tutto questo e molto altro mentre il presidente del consiglio eleva a statisti riformatori, ovvero personalità alte e degne del compito di rivedere e correggere le norme costituzionali un condannato per frode, berlusconi, un plurindagato rinviato a giudizio per finanziamenti illeciti, Verdini e Donato Bruno,  indagato anche lui anche se non lo sa, dice che non lo hanno avvertito, è stato proposto per la Consulta, ovvero l’ultima stazione della difesa dei diritti di tutti.

 

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L’umiliazione che poi diventa pubblica e materia per il gossip e il giudizio dei perbenisti ipocriti come metodo d’indagine.
Dunque ci sono dei magistrati che pensano che la frequenza dei rapporti sessuali coniugali di un ancora indagato ma che questo magnifico stato tiene in una galera da mesi sulla base di ipotesi non ancora certificate da una sentenza che ne stabilisca la colpevolezza, siano rilevanti per delinearne il profilo, così tanto da rendere pubblico il contenuto delle conversazioni fra Bossetti, il presunto assassino di Yara e i giudici che indagano su di lui.
Non si capisce a chi deve interessare se una coppia adulta guarda dei film porno, quante volte si unisce carnalmente e per quale motivo “notizie” di questo tipo devono diventare di dominio pubblico senza che nessuno difenda la vita privata di una persona che, benché sospettata di un omicidio, ha diritto a veder rispettati i suoi diritti fra cui anche quella privacy invocata sistematicamente per i politici mascalzoni.
Vale la pena di ricordare che sono state distrutte delle bobine dove erano registrate le telefonate fra il presidente della repubblica e un ex ministro indagato per aver mentito a processo proprio perché giudicate penalmente irrilevanti.
E nessuno saprà mai cosa si sono detti Napolitano e Mancino in quelle conversazioni, ma quante volte Bossetti faceva l’amore con sua moglie sì, si deve sapere.
Le persone normali fanno sesso e guardano anche i filmini porno se ne hanno voglia, e nel giudizio ultimo su Bossetti sulla sua colpevolezza o innocenza queste cose nel paese normale non dovrebbero costituire nessuna aggravante, in questo che è marcio e dove chi stabilisce e mette in pratica il diritto lo fa su indicazioni di chi è abituato a violarlo tutti i giorni, sì, sono un’aggravante, così tanto da meritare il pubblico ludibrio e la gogna mediatica. Cercavi giustizia, trovasti la legge” non è solo il ritornello di una canzone, in Italia.

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Tutti ad applaudire lo stato quando arresta il delinquente di borgata, se napoletano è meglio perché i napoletani si sa, nascono con la criminalità nel dna e anche i romani non scherzano.
Probabilmente senza Gennaro De Tommaso la sera degli scontri all’Olimpico dai quali è scaturita poi la tragedia in cui ha perso la vita Ciro Esposito poteva accadere qualcosa di brutto anche all’interno dello stadio che però Genny, siccome è una carogna e conosce il linguaggio della strada ha potuto evitare che accadesse.
Ora le anime candide, già le vedo, penseranno che no, l’ordine nel paese normale lo gestisce lo stato, le forze dell’ordine che prendono ordini da quel sant’uomo di alfano e che non va bene che l'”antistato” della criminalità si sostituisca allo stato originale.
Giusto.
Ma allora non va bene neanche una persona più che vicina alla mafia, anzi proprio dentro la mafia, quella che fa saltare palazzi e autostrade stia collaborando non a rimettere ordine nella curva di uno stadio ma nella Costituzione di questa repubblica, persona che viene interpellata in materia di leggi e di regole per tutti.
Quindi mi dissocio dall’ipocrisia dilagante, quella di chi applaude il carabiniere che arresta il delinquente di periferia, lo stesso carabiniere che poi ci pesta il figlio in questura, per strada o nei sotterranei di un carcere fino ad ammazzarlo ma che diventa improvvisamente un eroe quando “accidentalmente” gli parte il colpo che ammazza chi un delinquente non era ma siccome era napoletano sicuramente ci sarebbe diventato.

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Codice a sbarre – Marco Travaglio

“In Italia c’è una bandiera che sventola forte nel vento: questa bandiera è Matteo Renzi, dobbiamo riconoscerlo… Poi c’è una bandiera a mezz’asta che si chiama Berlusconi: vediamo di utilizzarla ancora, se è possibile”. Povero Cainano, va capito. A lui i giudici di sorveglianza, in cambio dei servizi sociali, hanno imposto varie prescrizioni, fra l’altro molto diverse da quelle cui era abituato: coprifuoco alle ore 23, obbligo di dimora ad Arcore o a Palazzo Grazioli, niente attacchi ai magistrati e soprattutto divieto di frequentare pregiudicati. Il che gli impedisce di andare a trovare Dell’Utri in carcere e di incontrare i tre quarti del suo partito. Renzi invece, almeno per ora, non ha di questi problemi. Infatti ha ricevuto il pregiudicato B. una volta al Nazareno e tre volte a Palazzo Chigi, molte meno comunque di Denis Verdini, che ieri ha collezionato l’ennesimo rinvio a giudizio (illecito finanziamento), dopo quello estivo per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta. Un amore. Ha voglia Bersani a chiedere di essere ascoltato anche lui: ha l’handicap insormontabile di essere incensurato.

“Vecchia guardia” da rottamare. B. & Verdini invece no. Da quando è salito a Palazzo Chigi, il giovin Matteo s’è fatto un sacco di nemici, sfanculando nell’ordine: i costituzionalisti, i senatori pidini dissidenti, il Parlamento tutto, i giornali italiani critici (praticamente uno), l’Economist, la Rai al gran completo, le autorità europee (ma solo a parole), il Forum di Cernobbio, Confindustria, i ministri Orlando e Giannini, l’Associazione nazionale magistrati, i sindacati, la minoranza del Pd, ovviamente i 5Stelle e molti altri gufi lumache avvoltoi rosi-coni conservatori per cui manca lo spazio. Gli unici con cui va d’amore e d’accordo sono Silvio & Denis. Il fatto di poter frequentare pregiudicati per lui non è un’opportunità: è un obbligo. E, già che c’è, lo estende anche agli indagati. Nel giro di sei mesi quello che si atteggiava a ragazzo pulito, lontano da certi brutti giri, s’è avvolto in una nuvola nera di habitué di procure e tribunali.   Barracciu, Del Basso de Caro, De Filippo e Bubbico al governo. Bonaccini candidato in Emilia Romagna. Rossi ricandidato in Toscana. De Luca candidato in Campania. D’Alfonso eletto in Abruzzo. Soru e Caputo paracadutati al Parlamento europeo. Faraone e poi Carbone in segreteria. Descalzi all’Eni. Papà Tiziano in famiglia. Prossimamente Donato Bruno alla Consulta. È la famosa “svolta garantista”: chi non ha ancora una condanna definitiva è illibato come giglio di campo.   Eppure lo Statuto del Pd, sempreché Renzi lo conosca (lo Statuto e il Pd), dice tutt’altro: “Condizioni ostative alla candidatura e obbligo di dimissioni. Le donne e gli uomini del Partito democratico si impegnano a non candidare, ad ogni tipo di elezione – anche di carattere interno al partito – coloro nei cui confronti… sia stato: a) emesso decreto che dispone il giudizio; b) emessa misura cautelare personale non annullata in sede di impugnazione; c) emessa sentenza di condanna, ancorché non definitiva, ovvero a seguito di patteggiamento; per un reato di mafia, di criminalità organizzata o contro la libertà personale e la personalità individuale; per un delitto per cui sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; per sfruttamento della prostituzione; per omicidio colposo derivante dall’inosservanza della normativa in materia di sicurezza sul lavoro…” o “sia stata emessa sentenza di condanna, ancorché non definitiva, ovvero patteggiamento, per corruzione e concussione”. Appena finirono dentro le cricche di Expo & Mose, il renzianissimo sottosegretario Luca Lotti annunciò: “Le parole di Matteo contro la corruzione sono un monito, ora diamoci da fare. La pulizia deve cominciare. Ogni strumento va affinato, corretto, messo a punto: il codice etico e lo Statuto sono da cambiare e soprattutto attuare”. Matteo aveva appena promesso il “Daspo” per i corrotti. Ma tutti avevano equivocato. Era solo l’acronimo di uno straziante appello a Silvio: dai sposami.

Italia: stato di figli, figliastri e figli di nessuno

Sottotitolo: all’epoca della sentenza che ha condannato Fabrizio Corona anch’io pensavo ancora che non bisognava fare il distinguo, che un reato è un reato e che chi si pone oltre il rispetto della legge va punito di conseguenza. Ma nel frattempo sono accaduti tanti fatti gravi, gravissimi che la giustizia non ha considerato con lo stesso rigore applicato a Corona. Impossibile quindi avere oggi le stesse opinioni di ieri. Il modo in cui vengono trattati certi reati, ma specialmente chi li commette,  inevitabilmente modifica poi, da parte della pubblica opinione l’idea di affidabilità e di serietà dello stato nella figura delle sue istituzioni. 

Preambolo: “Frequentazioni criminali e atteggiamenti fastidiosamente inclini alla violazione di ogni regola di civile convivenza a cui si sommano numerosi e cospicui precedenti penali, senza dimenticare la ricerca ad ogni costo di facili [ed illeciti] guadagni e condotte prive di scrupoli volte ad accaparrare risorse da investire in un tenore di vita lussuoso e ricercato”.

Una descrizione che potrebbe essere applicata non solo a berlusconi ma anche alle decine di persone colpevoli di essersi arricchite a danno dello stato. Comportamenti che nella politica disonesta sono la consuetudine. Amici criminali, sfregio assoluto della legge, delle regole di convivenza civile, comportamenti che delineano una persona socialmente pericolosa abituata a violare la legge, invece questa è parte della sentenza che ha condannato Corona che a differenza dei politici criminali in galera ci è andato per restarci.

Dell’Utri è stato condannato a sette anni per concorso “esterno” in associazione mafiosa che sta scontando dopo un tentativo di latitanza, berlusconi a quattro per frode allo stato ridotti a qualche ora di passeggiatine in giardino coi vecchietti e alla riforma costituzionale con Renzi; i cosiddetti devastatori di Genova, accusati di aver sfasciato cose e non persone hanno avuto condanne anche a dieci anni; tre anni e sei mesi ai poliziotti assassini di Federico Aldrovandi che non hanno perso nemmeno il posto di lavoro, una sentenza ridicola dovuta al fatto che in Italia non esiste il reato di tortura e ai provvedimenti fintamente pietosi come l’indulto che viene sempre giustificato con la necessità di non infierire troppo sulla microcriminalità che riempie le carceri ma poi agisce soprattutto su quella macro, rimettendo in libertà anche i grandi delinquenti o non mandandoli in galera nemmeno per un giorno come fu ad esempio per  i mandanti dei massacri del G8 di Genova, funzionari di stato, che hanno ottenuto anziché  una giusta condanna, in relazione anche alla loro responsabilità di garantire la sicurezza e l’ordine,  premi, promozioni e avanzamenti di carriera. Ai  politici ladri di stato,  tangentari, corruttori e corrotti il peggio che può capitare è di scontare i domiciliari, poca roba, in case, ville faraoniche frutto della loro disonestà e continuare a ricevere lo stipendio pagato con le tasse dei cittadini onesti. A Fabrizio Corona, invece, tredici anni e otto mesi poi ridotti a nove per il reato di estorsione:  nove anni in galera non c’è rimasta nemmeno la Franzoni condannata a sedici per l’omicidio di suo figlio.
Qualcosa che non va, anzi molto, c’è. Se di riforma della giustizia si deve proprio parlare si potrebbe iniziare da qui, chissà che ne pensa Napolitano.

Marco Travaglio fa benissimo a rimettere ciclicamente sul tavolo del dibattito pubblico la questione della giustizia uguale per tutti, a far notare le contraddizioni di questo stato malato, visto che non lo fa nessuno. 

Non lo fa nemmeno il senatore de’ sinistra Manconi, presidente della Commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani, quella che ha definito il Kazakistan una dittatura “temperata”, Manconi che si fa promotore, sempre ciclicamente, di provvedimenti di alleggerimento di pene per tutti che invece preferisce andare a piagnucolare sul Foglio di Ferrara di quanto Marco Travaglio e Il Fatto Quotidiano siano brutti, cattivi e giustizialisti, invece di aprire lui la questione sul diritto di una persona che, sebbene abbia commesso dei reati non è giusto che venga trattata e considerata dallo stato italiano peggiore, e di conseguenza meriti una pena detentiva più severa di chi ammazza un ragazzino a calci e pugni a cui viene rifilata una condanna ridicola, di chi ruba ai cittadini e allo stesso stato e viene condannato a raccontare barzellette a incolpevoli anziani ospiti di una casa di cura.
Alessando Sallusti, diffamatore seriale pluricondannato, che per mezzo del giornale che ancora dirige ha messo a rischio e pericolo la vita di un uomo perbene per sei anni, permettendo che dalle pagine di quel giornale si raccontassero menzogne su di lui, la sua vita privata e professionale, è stato graziato su cauzione dal presidente della repubblica in persona. Diffamare qualcuno in Italia costa 15.000 euro, ma solo se ci si chiama Alessandro Sallusti.
E in un paese dove la diffamazione viene sanzionata con una multa come un divieto di sosta e la frode allo stato premiata con la concessione di poter riscrivere niente meno che la Costituzione, il paradigma per la giustizia giusta, equa, uguale per tutti non può essere Fabrizio Corona, che ha commesso sì dei reati odiosi ma la sua colpa più grave è stata quella di andare a commetterli dove non si poteva e non si doveva.
Fabrizio Corona, essendo un frequentatore di un ambiente qual è quello del gossip i cui protagonisti sono i potenti con un sacco di soldi è stato punito così severamente con la galera da scontare, non coi domiciliari in villa, affinché a nessun altro potesse poi venire in mente di fare le cose che ha fatto lui.
E un paese non sarà mai normale finché l’estorsione, ma solo quella al vip, sarà considerata e trattata dalla legge un reato più grave di un omicidio, un sequestro di persona, la truffa allo stato e la diffamazione.  In Italia nove anni in galera non ci resta nemmeno uno stupratore, un assassino.
Corona si è mosso all’interno di un mondo, un ambiente, dove tutto ruota attorno ai soldi, alla superficialità volgare e ne ha semplicemente approfittato, commettendo dei reati, certo, ma non ha ammazzato nessuno né portato un paese al ridicolo etico, morale e al disastro economico, non ha derubato lo stato. 
Senza contare poi che, se il cosiddetto vip non avesse avuto niente da nascondere poteva far pubblicare le foto come se ne pubblicano a centinaia tutti i giorni. Il ricatto, l’estorsione, nasce dalla malafede dell’oggetto delle attenzioni di Corona. Una cosa vecchia come il mondo. Chi ha pagato Corona non è migliore di lui.

E ora graziate Corona – Marco Travaglio

Ora che le telefonate di un premier alla Questura di Milano per far rilasciare una minorenne fermata per furto non sono più reato, una domanda sorge spontanea: che ci fa Fabrizio Corona nel carcere milanese di massima sicurezza di Opera per scontarvi un cumulo di condanne a 13 anni e 8 mesi, poi ridotte con la continuazione a 9 anni? È normale che un quarantenne che non ha mai torto un capello a nessuno marcisca in prigione accanto ai boss mafiosi al 41bis, per giunta col divieto di curarsi e rieducarsi, fino al 50° compleanno? Lo domandiamo al capo dello Stato, così sensibile alle sorti di pregiudicati potenti come il colonnello americano Joseph Romano, condannato a 7 anni per un reato molto più grave di tutti quelli commessi da Corona: il sequestro di Abu Omar, deportato dalla base Nato di Aviano a quella di Ramstein e di lì tradotto al Cairo per essere a lungo torturato.

Latitante negli Usa, senz’aver mai scontato né rischiato un minuto di galera, Romano fu graziato nel 2013 su richiesta di Obama da Napolitano in barba alle regole dettate dalla Consulta nel 2006. Queste: la grazia dev’essere un atto “eccezionale” ispirato a una “ratio umanitaria ed equitativa” volta ad “attenuare l’applicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa confligge con il più alto sentimento della giustizia sostanziale”, cioè per “attuare i valori costituzionali… garantendo soprattutto il ‘senso di umanità’ cui devono ispirarsi tutte le pene” e “il profilo di ‘rieducazione’ proprio della pena”. Parole che paiono cucite addosso a Corona. Il suo spropositato cumulo di pene è frutto di una serie di condanne: bancarotta (una fattura falsa, 3 anni 8 mesi), possesso di 1500 euro di banconote false (1 anno 6 mesi), corruzione di un agente penitenziario per farsi qualche selfie in cella (1 anno 2 mesi), tentata estorsione “fotografica” al calciatore interista Adriano (1 anno 5 mesi), estorsione “fotografica” allo juventino Trezeguet (5 anni), e alcune minori.   Nessuno sostiene, per carità, che sia uno stinco di santo. Ma neppure un demonio che meriti tutti quegli anni di galera: ne ha già scontati quasi due fra custodia cautelare ed espiazione pena. Ed è bene che resti al fresco un altro po’ a meditare sui suoi errori, come ha iniziato a fare fondando un giornale per i detenuti, Liberamente, e rivedendo criticamente il suo passato nel libro Mea culpa scritto dietro le sbarre. E a curare la sua evidente patologia di superomismo: ma questo gli è impedito dalla condanna “ostativa” subìta al processo Trezeguet. I fatti, peraltro piuttosto diffusi nel mondo dei paparazzi, sono questi: un fotografo della sua agenzia immortala il calciatore in compagnia di una ragazza che non è sua moglie; Corona gli propone di ritirare il servizio dal mercato in cambio di denaro; Trezeguet ci pensa su un paio di giorni, poi sgancia 25mila euro. Tecnicamente è un’estorsione, poiché i giudici – dopo un proscioglimento del gip annullato in Cassazione   – ritengono che fotografare un uomo pubblico per strada integri una violazione della privacy (tesi controversa e ribaltata in altri processi a Corona, tipo nel caso Totti). Reato per giunta aggravato dalla presenza di un terzo: l’autista. Così, per un delitto scritto pensando al mafioso che chiede il pizzo scortato dal killer, Corona si becca 3 anni 4 mesi in tribunale, poi divenuti 5 in Appello (niente più attenuanti generiche). E scatta il reato “ostativo”: niente sconti per la liberazione anticipata (75 giorni a semestre per regolare condotta), niente percorso rieducativo e terapeutico, almeno 5 anni in cella di sicurezza. Un pesce rosso in uno stagno di squali. Proprio a questo serve, secondo la Consulta, la grazia: non a ribaltare le sentenze, ma ad “attenuare l’applicazione della legge penale” quando “confligge con il più alto sentimento della giustizia sostanziale… garantendo il senso di umanità” e il fine “di rieducazione della pena”. Una grazia almeno parziale, che rimuova il macigno dei 5 anni “ostativi”, sarebbe il minimo di “umanità” per ridare speranza a un ragazzo che ne ha combinate di tutti i colori, ma senza mai far male a nessuno. Se non a se stesso.

 

Assolto [perché i patti, sono patti]

L’assoluzione di oggi non cancella la condanna definitiva per frode.
berlusconi è e resterà per la vita che gli resta un pregiudicato. brunetta che ha già rinnovato la richiesta di grazia per berlusconi di che parla?
La grazia, per essere concessa secondo Costituzione, non – eventualmente – secondo Napolitano o la santanchè e forza Italia, ha bisogno di particolari requisiti che non risultano essere presenti nella situazione giudiziaria che riguarda berlusconi.
Se gli venisse concessa anche questa sarebbe solo la conferma che in questo paese non c’è rimasto proprio niente da salvare.

 

Se l’accordo, anzi, il patto fra berlusconi e Renzi va in porto non ce n’è più per nessuno. Nemmeno  per quegli imbecilli che non hanno ancora capito in che razza di merda schifosa sprofonderà questo paese.

Caso Ruby, Berlusconi assolto  [L’Espresso]

I giudici della seconda Corte d’Appello di Milano hanno assolto B., imputato per concussione e prostituzione minorile nel processo sulla minorenne di origini marocchine, per entrambi i capi di imputazione. In primo grado l’ex premier era stato condannato a 7 anni. 

Berlusconi assolto in appello.
E’ pieno di giudici comunisti, in Italia.

Ora qualcuno ci venga a raccontare ancora la storiella delle sentenze che vanno rispettate; dovranno essere molto convincenti, però.
Ma va bene, in fin dei conti l’amore vince sempre sull’odio, l’ha detto silvio perciò è vero.
[Mandate via i figli da qui, salvateli se potete]

 

E’ stato tutto uno scherzo.
Falcone e Borsellino non furono uccisi 20 anni fa.
Non ci fu trattativa tra Stato e mafia.
Berlusconi non fece mai sesso nelle cene eleganti.
Ruby era una dolce fanciulla in fiore maggiorenne e nipote di zio Mubarak.
E’ stato uno scherzo il patto del Nazareno ed è uno scherzo che Renzi voglia chiudere il Senato.
Il mondo intero ci guarda e noi sappiamo come farlo ridere.

[Libertà e Giustizia]

 

Non c’è stata concussione né sfruttamento di minori a sfondo sessuale, da oggi in poi se un settantenne vuole portarsi a letto previo pagamento una ragazzina di diciassette lo potrà fare senza che questo costituisca reato. 
Del resto è quello che molti auspicavano, compresi berlusconi e ghedini; abbassare l’età della maggiore età affinché i satrapi pervertiti non abbiano di che rischiare e che male c’è. 
Dunque si è trattato di pura filantropia, berlusconi davvero passava cifre sostanziose alla nipotina dello zio – ufficializzata anche dalla magistratura dopo esserlo stata in parlamento –  e alle varie frequentatrici delle cene eleganti col solo scopo [ops…] di fare un’opera di bene.  In questo paese si può morire [per eccesso di stato e anche di botte] dopo essere stati arrestati per un reato stabilito da una legge incostituzionale come è accaduto a Stefano Cucchi che, senza la legge voluta da fini e giovanardi ma approvata dal parlamento tutto intero, probabilmente ma anche certamente oggi sarebbe ancora vivo e si può essere assolti semplicemente trasformando in non reati quelli che invece sono sempre stati reati anche per la Costituzione: questo però solo se ci si chiama silvio berlusconi.

I colpi di stato oggi non si fanno più a mano armata, si mascherano dietro ad azioni perfettamente legittime e legittimate da un documento ufficiale, così come può essere la sentenza di oggi che assolve berlusconi da quelli che fino a stamattina erano reati e adesso sono invece discutibili per modalità.
Ovvero: non è concussione abusare del proprio potere per ottenere qualcosa, o per meglio dire lo sarebbe se il concussore in questione non si chiamasse silvio berlusconi e non è sfruttamento della prostituzione minorile se a pagare ragazzine per avere in cambio favori sessuali è silvio berlusconi. 
Dunque, come si può ben capire non servono i carri armati nelle piazze per sovvertire le regole che lo stato stesso si è dato. 
Perché in questo paese è sempre andata così: lo stato, per mezzo dei suoi governi, prima fa le leggi e poi le applica a discrezione. 
Se al posto di berlusconi ci fosse stato un signor Nessuno qualunque le cose sarebbero andate molto diversamente: questa non è un’ipotesi ma una certezza.
La questione comunque va oltre la sentenza, qualsiasi sentenza: i giudici devono accertare semplicemente la rilevanza penale di un fatto, ma in un qualunque paese normale silvio berlusconi sarebbe fuori dalla politica soltanto per la sua condotta pubblica e privata. 
E ad oggi nessuno vorrebbe avere a che fare con lui: eccetto Renzi.

Ha ragione berlusconi: non è la sua sentenza ad essere mostruosa ma proprio la “giustizia”

L’arresto, con tanto di manette manco fosse un berlusconi qualunque, dell’ambulante a Roma è una vergogna che può succedere solo in un paese fatto di gente che non percepisce come più grave il reato che danneggia tutti. E che quindi è stata incapace di pretendere nel tempo una politica che non abbia sempre applicato poi nelle leggi che i Magistrati devono rispettare quando scrivono una sentenza i due pesi e le due misure in materia di giustizia, una cosa che qui da noi è diventata consuetudine [per informazioni, chiedere a berlusconi, Napolitano, Letta e Renzi]. Perché la maggior parte della gente sente come più grave il danno che la tocca personalmente. Il venditore ambulante di borse non danneggia nessuno. Le signore benestanti possono continuare ad andare a fare chilometriche file in quei negozi lussuosissimi dove si entra al massimo in tre per volta, acquistare portafogli in plastica da cinquecento euro e lasciare la libertà a chi pensa che un portafoglio non debba costare cinquecento euro di potersene comprare uno da trenta senz’aver derubato nessuno ma anzi, con la consapevolezza di aver evitato che l’ambulante si debba trasformare poi per necessità nel ladro che danneggia tutti.

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“Sentenza mostruosa” Ma B. sembra una replica (Carlo Tecce) –  20 aprile

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Berlusconi come da copione trascende nonostante l’obbligo imposto dalla finta condanna che deve ancora iniziare a scontare, non lo fa una volta ma due nell’arco di pochi giorni, nonostante l’avvertimento che, ad insulto alla Magistratura avrebbe perso il suo già non diritto ai servizi sociali. E non succede niente, sempre come da copione.

Mi piacerebbe essere ancora viva e abbastanza lucida così da potermi godere lo spettacolo del prossimo dittatorello eletto a furor di popolo, ché noi qua siamo bravi a produrne alla velocità del ventennio, quando rivendicherà anch’egli la pretesa di poter fare il cazzo che vuole e restare impunito perché ha il consenso del popolo, che in un contesto civile da paese normale dovrebbe costituire l’aggravante, non essere motivo di indulgenza. Pretesa che non potrà essergli negata perché è già stata concessa a silvio berlusconi, per questa Gloria Swanson in versione maschile, accompagnato al declino come fosse un malato terminale al quale nulla si nega e tutto si concede, circondato da un esercito di Cecil DeMille e tutti rigorosamente nel ruolo di loro stessi, ovvero,  spudorati senza vergogna che non fanno nemmeno più finta di non esserlo.

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Evasori ed evasivi – Marco Travaglio, 22 aprile

Ha fatto il giro del web la foto dell’immigrato arrestato a Roma in piazza del Pantheon e trascinato in manette come un boss mafioso sotto gli occhi esterrefatti della gente impegnata nello shopping pasquale. Non aveva ucciso né picchiato né stuprato né scippato nessuno: vendeva borse taroccate. Naturalmente nessun garantista un tanto al chilo ha protestato contro la “gogna mediatica” e le “manette facili”, come avrebbe fatto se fosse toccato a qualche frequentatore di un palazzo lì vicino: Montecitorio. Intendiamoci: nessuno giustifica i contraffattori e i loro complici, che vanno perseguiti con severità, visto che sottraggono risorse non solo alle griffe della moda, ma anche al fisco e dunque alla collettività.

Ciò che stona non è l’arresto del venditore abusivo: è il mancato arresto di chi fa le stesse cose, frodando il fisco con i più svariati raggiri, ma resta a piede libero. C’è qualcosa di mostruosamente sbagliato in un paese che porta via in catene l’immigrato delle borse farlocche e intanto manda un frodatore incallito, condannato per 7,3 milioni evasi e miracolato dalla prescrizione per altri 300, a fare il volontario in un ospizio per 4 ore alla settimana per 10 mesi fra una campagna elettorale, un Italicum e una riforma costituzionale. Abbiamo dato volentieri atto a Matteo Renzi delle cose buone annunciate nel Def: gli 80 euro in più nelle buste paga più sottili, anche se escludono incapienti e pensionati, sono meglio di un calcio nel sedere; il tetto ai compensi dei manager pubblici e anche dei magistrati è sacrosanto; l’aumento delle tasse alle banche sul regalo miliardario delle quote Bankitalia è un’inversione di rotta dopo anni di bancocrazia (anche se era meglio evitare tout court quel pacco dono). Ma sulla lotta all’evasione la bocciatura è totale. L’altro giorno, intervistato da Repubblica , il premier ha dichiarato che l’evasione “non si combatte con nuove norme”, bensì con “la volontà politica di incrociare i dati” e “perseguire i colpevoli” con l’“uso massiccio della tecnologia”. La solita supercazzola. Per punire i colpevoli, occorrono pene severe e figure di reato efficaci che oggi non ci sono. Infatti il neocommissario anti-corruzione Raffaele Cantone le chiede eccome: prescrizione, falso in bilancio, autoriciclaggio e veri poteri alla sua Authority, oggi ridotta a ente inutile perché non può sanzionare le amministrazioni che non rispettano le regole. Si spera che Renzi sia così evasivo perché non conosce la materia e non perché teme di perdere voti alle prossime elezioni europee (i 10-11 milioni di evasori votano e fanno votare). Nel primo caso, può rimediare informandosi con qualcuno che ci capisca. Nel secondo, è in malafede e non c’è niente da fare. Come ricorda il pm milanese Francesco Greco, “il sommerso del Pil ammonta a 420 miliardi con mancate entrate fiscali per 180 all’anno”. Cifre spaventose che imporrebbero – dice Greco – “una spending review che riduca i costi della criminalità economica, anche con tagli lineari”. Ma nessuna delle slide delle televendite renziane dice niente sulla prima emergenza nazionale: basterebbe grattarne il 10% per far recuperare decine di miliardi, anziché elemosinare le briciole con le spending à la Cottarelli, le pochade delle auto blu su eBay e le false riforme del Senato e delle Province. Per farlo, occorrono proprio le “nuove norme” che Renzi non vuole. La prima è sull’autoriciclaggio, per punire finalmente chi reinveste in proprio il bottino dei suoi delitti e per garantire che il prossimo decreto sul rientro dei capitali dall’estero non diventi l’ennesimo scudo-condono. La seconda è sulla prescrizione, che garantisce l’impunità a qualunque colletto bianco che derubi la collettività. Ma, per approvarle, ci vuole una maggioranza diversa da quelle del governo (avete presente l’Ncd?) e delle riforme istituzionali (col partito dell’evasore e dell’evaso). I 5Stelle, anch’essi finora piuttosto evasivi, si facciano avanti e sfidino Renzi a presentarle, garantendo i loro voti. Tutto il resto è frottola.

 

 

Italia: un paese sempre in emergenza [e allora che ci sta a fare la politica?]

La legge Severino è retroattiva, ci fanno sapere da Torre Annunziata dove i giudici del tribunale hanno respinto il ricorso di un consigliere comunale cacciato dopo una condanna “lieve”.  [LEGGE SEVERINO, IL TAR RESPINGE IL RICORSO DI “TARZAN” ALZETTA]
Mentre per uno la cui condanna non è affatto lieve, uno che ha rubato allo stato che avrebbe dovuto servire con disciplina e onore [art.54 della Costituzione Italiana], da tre mesi una consistente parte della politica e delle istituzioni si sbatte e si spertica affinché non venga applicata una legge ridicola e che in un paese normale non avrebbe nemmeno ragione di esistere visto che nei paesi normali e civili o si fa il delinquente o il politico. Ecco perché la questione non andrebbe valutata solo dal punto di vista giuridico ma anche quello morale: può un individuo che ha frodato lo stato continuare a rappresentare lo stato? questa dovrebbe essere l’unica domanda da porre ai soloni che poi si esprimono nei vari talk show e negli editoriali di certi quotidiani, quelli moderati e liberali, s’intende. Perché Fabio Fazio che ieri sera aveva brunetta a portata di poltrona non lo ha fatto? perché bisogna invitare brunetta ad una prima serata sulla tv pubblica se poi non gli si fanno quelle semplicissime domande che tutta la società civile si pone da che una sentenza ha condannato in via definitiva berlusconi ma che poi non viene applicata in virtù di ridicoli cavilli che, come la legge Severino non avrebbero motivo di esistere [se questo fosse un paese normale]?

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Quagliariello: “Valga anche per B.”

Se si fa l’amnistia è apposta per berlusconi.
E come si sbrigano a chiedere l’uguaglianza e il rispetto di norme ufficializzato dalla legge, quando bisogna mandare in galera berlusconi però no. Non valgono.
Pezzenti. Quagliarello, eletto saggio da Napolitano e nominato perfino  ministro per me è sempre il cialtrone che in parlamento gridava:  “Eluana è stata ammazzata”. Non ha fatto progressi nel frattempo.

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L’amnistia è di sinistra? Alessandro Gilioli

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“Amnistia? Un errore”. Tutti vs Renzi

Ma chi crede di essere Napolitano, davvero il salvatore della patria? Non credo che la storia lo ricorderà così. Penso piuttosto che sia il presidente che nel momento peggiore della politica, quello in cui la gente per ovvie e legittime ragioni si è allontanata dalla politica ha fatto in modo di renderla non detestabile ma odiosa, e tutto questo dopo che la politica aveva promesso di riavvicinarsi alla gente. I berlusconi e i Beppe Grillo li costruiscono quelli come Napolitano, salvo poi piangere sui disastri altrui che invece sono proprio e solo i suoi.

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GUAI A TOCCARE RE GIORGIO. LO SCOPRE ANCHE RENZI: LAPIDATO DAL PD  _Wanda Marra, Il Fatto Quotidiano

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L’APPELLO DI MICROMEGA: “FIRMATE CONTRO IL SALVACONDOTTO”

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Se tutti sono contro Renzi verrebbe quasi da pensare che Renzi abbia ragione. Propaganda o no, marchetta politica o meno se Letta dice a Renzi che “sta esagerando” – per non parlare di frau Bonino che afferma quanto sia meglio il vecchio al posto del nuovo, magari il suo che non ha ancora capito che vuole fare da grande – istintivamente viene da pensare che abbia colpito nel segno. 

Se il diritto di un paese civile prevede che il carcere abbia delle funzioni rieducative al fine di riabilitare socialmente gente che ha violato la legge la politica e i governi si attivassero affinché il progetto venga eseguito e gli obiettivi realizzati, non facendo il contrario, mandando allo sfascio il sistema giustizia perché fa comodo che i processi durino anche dieci anni in maniera tale che si possa agire nel frattempo per rendere i reati meno reati fino ad abolire direttamente il dolo nel reato. 

Oppure confezionando leggi che mandano in galera chi non ci deve andare per riempirle oltremodo e trovare poi la scusa per quei provvedimenti straordinari e necessari ma che invece sono solo il viatico per favorire gli amici disonesti. 

Si attivasse, la politica, per pensare sistemi rieducativi alternativi al carcere, invece di rimettere per strada ogni manciata di anni grappoli di delinquenti da strada che poi sono quelli che i cittadini percepiscono di più come un pericolo alla loro sicurezza, uno schiaffo in faccia agli onesti, a chi è stato vittima di reati, gente a cui non si pensa mai. 

L’indulto e l’amnistia, la prescrizione sono un insulto per chi spende anni della sua vita e del suo impegno per contrastare la criminalità, il marchio impresso a fuoco del fallimento di uno stato e delle sue istituzioni, e in questo paese che può vantare un tasso così elevato di delinquenza all’interno della classe politica più corrotta e corruttibile d’Europa e del mondo civile, la dimostrazione viva e vibrante della complicità dello stato con certa illegalità e delinquenza che non devono essere punite, altroché provvedimenti umanitari di clemenza. La sinistra, presunta, quel che ne resta ha delegato alla peggior destra la gestione della sicurezza e della legalità, e abbiamo visto tutti in che modo lo ha poi fatto. E questa sarà un’altra responsabilità storica di questi politici da mezzo centesimo che poi vengono a farci la morale sull’umanità, su quello che è giusto e sbagliato.

Italia: uno stato in malafede

Mauro Biani

Sottotitolo: Priebke,  l’Argentina rifiuta la salma.

I paesi civili i criminali non li ospitano né da vivi né da morti. Se penso che questo bastardo mai pentito ha passato la vita a Roma, città medaglia d’oro alla Resistenza, il luogo dove ha comandato la strage mi viene il voltastomaco. Ma quale stato infame e vigliacco  protegge i criminali, gli dà la scorta, li lascia vivere da persone libere nel luogo che hanno infamato, coperto di sangue,  restituisce la libertà a chi ha violato la legge  nascondendosi, more solito, dietro ad una causa di necessità  e poi non offre garanzie e tutela agli innocenti che continuano a morire semplicemente abolendo quella legge che trasforma in delinquenti quei disperati che cercano solo una salvezza e che servirebbe anche a risolvere in parte il problema del sovraffollamento delle carceri?

Non è assurdo che in un paese che ha offerto tutele, garanzie e salvezza ad un nazista criminale, un assassino stragista, e magari fosse il solo che questo stato ha protetto, non si riesca a fare in modo che si tuteli il diritto alla vita di persone innocenti, bambini, neonati? e che uno stato che protegge e dà asilo a criminali di quel calibro poi rifiuti di mettere in pratica quei diritti semplicemente normali, per fare più bella la vita di tante persone? quale capitolo della Costituzione dice che i criminali nazisti vanno ospitati e i profughi di guerra no? 

Quando muore uno di questi dispiace pensare che l’inferno non esista.
Ecco perché non si può aspettare la cosiddetta giustizia divina.
Chi il male lo fa qui, su questa terra, è qui che deve pagare le sue colpe, altroché il giudizio di Dio.
Il bastardo nazista non ha pagato niente, nessuna pena per lui.

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Annamaria Cancellieri che dice, anzi pensa, anzi ipotizza [penso di no] che il provvedimento invocato da Napolitano circa l’amnistia e l’indulto per risolvere il dramma delle carceri troppo piene è la stessa che disse, quella volta con certezza, a proposito del caso dell’espulsione di Alma Shalabayeva: “mi sono subito informata e le procedure sono perfette. Tutto è in regola e secondo la legge”. 

Com’è andata a finire e come invece non era affatto tutto secondo la legge lo sappiamo tutti.
Dice Epifani, e stavolta ha ragione, che l’amnistia e l’indulto dovrebbero essere l’extrema ratio, esattamente come dovrebbe esserlo la privazione della libertà. 

Il perdono dello stato e la punizione dello stato sono molto simili perché il carcere dovrebbe essere davvero l’ultima delle soluzioni: privare una persona della sua libertà è una questione seria che va gestita in modo serio così come restituire una libertà a chi ha violato la legge. 

E uno stato, forte delle sue istituzioni e di una politica che non hanno nulla da temere questo lo fa. 
Non pensano, le istituzioni di un paese civile, che il traffico vada regolato abolendo i segnali stradali. 
Le istituzioni di un paese civile non si fanno intimare cose da fare ogni tot di anni pena multe, sanzioni e il conseguente e ovvio discredito internazionale da un’autorità terza come il tribunale di Strasburgo, perché se quello che c’è da fare qui lo sa Strasburgo resta difficile pensare che le istituzioni alte e quelle altissime di questo paese non lo sappiano.

E allora siccome io sono maliziosa, disincantata e non ci credo più da un pezzo allo stato che agisce anche per il mio bene penso che le istituzioni lo facciano apposta a non risolvere i problemi, che lo facciano apposta a farselo dire dall’Europa cosa bisogna fare qui perché in questo modo è più facile poi prendere quei provvedimenti straordinari, perché appunto imposti, e far inghiottire agli italiani il tutto e l’oltre.
La teoria applicata che tutto si possa aggiustare col provvedimento straordinario è devastante, diseducativa, un vero incentivo a violare la legge ché tanto dopo c’è l’indulto, l’amnistia.  Lo stesso modus operandi di tanti genitori che tutto perdonano e concedono perché è più facile cedere al capriccio che educare, ecco perché in questo paese si sta allevando una sostanziosa fetta di idioti viziati che andranno a formare una società futura ben peggiore di questa attuale.

L’Annamaria Cancellieri ci tiene a rassicurare con un bel “penso di no” e non con un no che i provvedimenti straordinari non riguarderanno il frodatore berlusconi né chi ha commesso reati particolarmente gravi come lo stupro, le violenze, gli omicidi. 

E come mai allora di quell’indulto famoso del 2006, quello fatto da Prodi ma voluto da mastella perché serviva, ma che lo dico a fare? a berlusconi beneficiò anche Luigi Chiatti, un assassino di bambini? e noi di questo stato ci dovremmo fidare? di uno stato che non sa eliminare una legge che rende automaticamente criminali gli immigrati ma poi restituisce la libertà o diminuisce le pene a madri che ammazzano i figli e assicura clemenza a gente che ha usato lo stato e le istituzioni per i suoi affari, quelli che coi soldi di tutti si sono comprati macchine potenti e lecca lecca? 

E allora io voglio sapere quali diritti difende lo stato e cosa sono disposte ancora a fare le istituzioni e la politica per nascondere ogni tot di anni dietro a provvedimenti straordinari, necessari, financo umanizzati, i loro fallimenti. Si chiede di continuo una legge per punire i giudici, la loro responsabilità civile quando commettono errori che poi pregiudicano la vita degli altri, di qualcuno, e allora perché non pretenderla anche per i politici che quando commettono errori pregiudicano la vita di tutti?  I politici dovrebbero essere pagati a rendimento, e puniti esattamente come tutti, quando non fanno le cose per cui sono pagati. Anche col licenziamento in tronco e il divieto assoluto di rimettere le mani sulla politica.

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LA LEGGE GRILLO-CASALEGGIO – Marco Travaglio, 12 ottobre

Nella politica italiana si fronteggiano ormai due modelli: da un lato quello fin troppo elastico dei vecchi partiti, che se ne fregano dei loro elettori e fanno il contrario di quello che han promesso in campagna elettorale perché tanto, poi, in qualche modo, i voti li raccattano lo stesso; dall’altro quello fin troppo rigido del Movimento 5Stelle, ossessionato dal “programma” e dal rapporto fiduciario con gli elettori, al punto che Grillo e Casaleggio scomunicano i parlamentari M5S per aver presentato l’emendamento che cancella il reato di clandestinità, solo perché non è previsto dal programma e non è stato sottoposto preventivamente al vaglio della Rete. Intendiamoci, la fedeltà agli elettori e agli impegni presi con loro è un valore: si chiama coerenza e trasparenza. Molto bene fecero Grillo e Casaleggio a far scegliere dagli iscritti al portale (magari pochi, ma liberi) i candidati per il Quirinale. E molto bene fanno a richiamare gli eletti all’impegno di non fare da stampella a governi altrui con maggioranze variabili peraltro non richieste da nessuno. E molto male fece il Pd a far scegliere il candidato per il Quirinale a Berlusconi (prima Marini, poi Napolitano), impallinando Prodi e scartando a priori Rodotà, e poi ad allearsi col Caimano all’insaputa, anzi contro la volontà degli elettori: in Germania, prima di dar vita alla Grosse Koalition con la Merkel, l’Spd ha promosso un referendum fra coloro che le hanno appena dato il voto. Ma questo vale per le scelte strategiche, compatibili con tempi medio-lunghi. Per le altre, agli elettori non si può dire tutto prima.

Ci sono emergenze e urgenze che nascono sul momento (in Parlamento bisogna votare a getto continuo sì o no a questo o quel provvedimento) e richiedono risposte fulminee, incompatibili con la consultazione dei sacri testi e del Sacro Web. L’altra sera, a Servizio Pubblico, Rodotà faceva notare come in Parlamento occorra cogliere l’attimo, sfruttare una situazione favorevole che si presenta lì, in quel momento, e poi forse mai più, e bisogna afferrare il treno per la coda prima che passi. Perciò l’altro giorno i parlamentari 5Stelle Buccarella e Cioffi hanno fatto benissimo a rilanciare una proposta già contenuta nel loro “piano carceri” estivo – quella di abrogare il reato di clandestinità – trasformandola in un emendamento che quel giorno, in quell’ora, aveva buone possibilità di passare. E così è stato: hanno colto alla sprovvista il governo, il Pd e Sel e li hanno costretti a votare con loro: il primo vero e concreto successo parlamentare di M5S, la prima proposta pentastellata a ottenere la maggioranza. Cosa che non sarebbe accaduta se si fosse rinviato tutto di qualche giorno per avviare le complicate procedure di consultazione popolare.

Grillo e Casaleggio contestano sia il metodo sia il merito della proposta, convinti che, inserendo l’abrogazione del reato di clandestinità nel programma elettorale, “il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico”. Ma, così dicendo, denotano una profonda disinformazione in materia (dimostrata anche dall’assenza di qualunque proposta, nel famoso programma, sul tema della clandestinità). È vero che quel reato è previsto anche in altri paesi europei, sia pure in forme e con applicazioni diverse da quelle dello sciagurato pacchetto Maroni. Ed è vero che l’immigrazione clandestina non può e non dev’essere lecita: nessuno Stato sovrano può tollerare che circolino indisturbate sul suo territorio persone senza un’identità certa. Ma non tutto ciò che è e dev’essere proibito può esserlo per le vie penali. Esistono anche sanzioni amministrative che, quando funzionano, sono altrettanto o addirittura più efficaci. I clandestini non vanno inquisiti e processati per il solo fatto di trovarsi in Italia (quando commettono delitti invece sì, come gli italiani): vanno semplicemente identificati e poi espulsi dalle forze di polizia.

Ma con un distinguo: nel gran calderone dei “clandestini” in Italia sono compresi non solo gli immigrati che arrivano apposta per delinquere o vagabondare; ma anche gli onesti lavoratori che non riescono a ottenere il permesso di soggiorno perché la Bossi-Fini impedisce loro di regolarizzarsi. Una legge seria dovrebbe distinguerli nettamente: cioè agevolare le procedure di identificazione ed espulsione dei primi (con i mezzi necessari, visto che le questure non hanno soldi neppure per la benzina delle volanti, figurarsi per pagare il biglietto aereo ai rimpatriandi); e quelle di regolarizzazione dei secondi. Poi ci sono i profughi, come gli ultimi sbarcati a Lampedusa, che hanno tutto il diritto di ottenere l’asilo in quanto fuggono da guerre e persecuzioni politiche. Né la Bossi-Fini, né peraltro la precedente Turco-Napolitano, hanno mai aiutato a sciogliere questi dilemmi. Ma tantomeno l’ha fatto il pacchetto Maroni: da quando l’immigrazione clandestina è un reato e non più un’infrazione amministrativa, le presenze di clandestini “veri” in Italia non sono diminuite di una sola unità, anzi han continuato ad aumentare. Chi fugge per disperazione dal suo paese non si lascia certo intimidire da un reato finto, che non prevede il carcere né prima né dopo la condanna e finisce quasi sempre in prescrizione, o al massimo con una multa di qualche migliaio di euro che il condannato non può (o finge di non poter) pagare, visto che non lavora o lavora in nero o delinque. L’unico risultato è l’ulteriore intasamento dei tribunali, già oberati di arretrati spaventosi, con costi spropositati e risultati zero. Grillo (che ha sposato un’iraniana) e Casaleggio non sono né razzisti né xenofobi, come s’è affrettata a scrivere la stampa di regime: semplicemente, essendo abituati al contatto con la gente, conoscono bene i sentimenti profondi e inconfessabili che animano milioni di italiani costretti a una vergognosa guerra tra poveri da una politica inetta e distante. E temono di veder equiparato il loro movimento ai partiti che chiacchierano in tv, piangono ai funerali e non fanno nulla.

Ma, sulla clandestinità, i due capi dei 5Stelle hanno perso un’occasione per tacere. Invece di scomunicare i loro bravi parlamentari, dovrebbero elogiarli per il servigio reso all’Italia, e poi fermarsi a ragionare a mente fredda, interpellando qualche esperto della materia, per riempire il vuoto programmatico su un tema cruciale come questo. Con proposte serie e anche severe: non è scritto da nessuna parte che abolire il reato di clandestinità implichi l’iscrizione automatica nel partito dei buonisti, delle anime belle che negano il problema della clandestinità, spesso collegata alla criminalità. I 5Stelle hanno ancora la credibilità per fare proposte, a differenza dei vecchi i partiti che pontificano sull’un fronte e sull’altro, responsabili unici del disastro di oggi, avendo sempre oscillato fra le sparate xenofobe contro i “bingo bongo” da respingere in mare a cannonate e le geremiadi piagnucolose e generiche dell’“accoglienza” e dell’“integrazione” (che, con la loro inconcludenza, seminano anch’esse razzismo a piene mani). Quindi continuino a insistere per l’abrogazione del reato di clandestinità e di buona parte della Bossi-Fini, e poi propongano con che cosa sostituirle: a partire da un piano straordinario di controlli preventivi e repressivi efficaci, dotando dei mezzi necessari le forze dell’ordine. E la smettano di vergognarsi dei propri successi.

Del senso dello stato e di uno stato che fa senso

Chiunque, se aggredito, ha il diritto di difendersi, dunque anche dei Magistrati e Giudici che non pensano, semplicemente perché non è vero, che la pacificazione nazionale debba passare il salvataggio dei delinquenti pregiudicati condannati. E che un politico nella sua condizione di pregiudicato condannato non abbia nessun diritto a pretendere ancora di poter svolgere la sua [non] attività politica né da dentro né da fuori [il 99% di assenze in parlamento: proprio adesso vuole fare politica, berlusconi? poteva pensarci prima, invece di usare lo stato per i suoi sporchi affari]. E che non  ritengono giusto che le questioni che riguardano i procedimenti penali di silvio berlusconi vengano ridotte ad una guerra fra guardie e ladri, semplicemente, come sopra, perché non è vero.

E se questo è ancora un paese libero io mi prendo la libertà di dire che fra quei Magistrati che in condizioni impossibili sono riusciti a condannare chi dello stato, delle leggi, delle regole ne farebbe a meno ed è stato agevolato a farne a meno dalla politica, chi pensa che quel delinquente sia davvero un perseguitato dall’invidia, dalla cattiveria e dalla giustizia e un presidente della repubblica che fa finta di essere super partes come il ruolo gl’imporrebbe di essere,  fa finta di dimenticare vent’anni di storia italiana resa orribile e oscena da silvio berlusconi, fa finta di dimenticare che solo pochi mesi fa rappresentanti del partito di proprietà del pregiudicato condannato fra cui il ministro dell’interno e vicepresidente del consiglio sono andati a manifestare contro la Magistratura davanti ai tribunali di Brescia e Milano con tanto di tentativo di intrusione: un atto eversivo fatto passare senza conseguenze come una libera espressione del dissenso come se fosse normale che un potere dello stato si metta contro un altro,  fa finta di dimenticare che solo qualche giorno fa silvio berlusconi era di nuovo a ricattare pubblicamente lo stato, minacciare  quei Giudici e i cittadini onesti, ho scelto e da tempo da che parte stare.

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NAPOLITANO SALVA BERLUSCONI E MONITA MAGISTRATI E STAMPA 

LA RISPOSTA DEI MAGISTRATI AL COLLE: “LASCIATI SOLI” 

LE BRUTTE INTESE NELLA STANZA 138 

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RODOTA’: “CHI MI ATTACCA OFFENDE LA MIA STORIA” 

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Nella mia repubblica alfano non sarebbe un ministro dell’interno e né – figuriamoci – il vicepresidente del consiglio. E non avrebbe dunque la possibilità, in qualità di segretario del partito di un delinquente pregiudicato condannato [non piacciono le ripetizioni della descrizione di berlusconi? chissenefrega neanche a me piace che si continui a chiamare cavaliere, presidente ancora adesso] di chiedere conto del significato delle parole di un galantuomo come Stefano Rodotà costringendololo ad affannarsi a rettificare, spiegare in radio e ai telegiornali.

E ringraziamo Napolitano anche di questo: di aver reso angelino alfano, uno dalla personalità e cultura nulle e inesistenti, per non parlare dell’onestà che ci vuole per fare il segretario del pdl, più autorevole di una persona come Rodotà.

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Anm, dura replica a Napolitano: “Siamo responsabili, ma subiamo insulti”

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Napolitano dopo la rielezione: “Ho accolto la sollecitazione a rendermi disponibile per una rielezione solo per senso del dovere in un momento grave per la Nazione: essendo urgente sbloccare la formazione di un Governo che affrontasse le difficoltà in cui si trovano oggi troppe famiglie, troppe imprese, troppi lavoratori italiani”

Mettiamola così, siccome tutto è stato detto e scritto e siccome chi non ha capito fino ad ora non capirà più, del resto non sono bastati vent’anni di attività criminose e criminali per far capire a tutti che berlusconi non sembra un delinquente ma è proprio un delinquente quindi è inutile confidare nel ben dell’intelletto generale: questo paese non ha bisogno di essere sconvolto e stravolto più di quanto sia stato già fatto.
E non ha bisogno dunque di un presidente della repubblica che non fa, perché ormai è evidente che non la può fare, una distinzione netta fra l’attività del politico delinquente, quella del giudice e quella dei giornalisti che danno le notizie.

Non ha bisogno di un presidente della repubblica che preferisce sacrificare alla verità ormai storica la sua dignità alle affermazioni indecenti di daniela santanchè: “poteva fare prima” [nel merito delle dichiarazioni scellerate sui giudici che devono trovare il senso del limite] e “vorrei asfaltare i giudici” dice la moderata vestale cinque minuti dopo che Napolitano in persona li aveva già asfaltati.

I giudici possono sbagliare, è vero, ogni lavoro, professione comporta dei rischi e quanto è più alta la responsabilità maggiori possono essere quei rischi e le conseguenze che ricadono poi sui cittadini. 
Ma sopra a quei giudici che sbagliano, quali che siano i motivi, ci sono altre istituzioni pronte ad intervenire, mentre sopra ai politici che sbagliano, e sappiamo bene quali sono gli errori più frequenti dei politici è ormai acclarato, assodato che non c’è nessuno. C’è un presidente della repubblica che nell’eterna contesa fra la politica disonesta e la giusta pretesa dei cittadini della società civile di non essere governati dai politici disonesti ha preso e da tempo una posizione che non favorisce i cittadini ma i politici disonesti in virtù di non si sa bene quale ragion di stato a noi negata.

Il bacio di Angelino Alfano al capomafia Croce Napoli di Palma di Montechiaro in occasione di un matrimonio nel 2002. Ha ancora i capelli ma è proprio lui: il  vicepresidente del consiglio, ministro dell’interno e segretario del pdl.

Il senso della misura

Natangelo

La riforma della giustizia, necessaria in questo paese dove per arrivare ad una sentenza ci vogliono cinque, dieci anni e anche oltre non ha niente a che fare con i procedimenti penali di berlusconi che da questa disfunzione è stato solo avvantaggiato e di più ancora lo è stato in virtù delle leggi fatte apposta per lui, volute da lui, eseguite da un parlamento complice e firmate dal garante della Costituzione della legge uguale per tutti.

A berlusconi non interessa una giustizia che funziona, veloce e che faccia in modo di stabilire in tempi ragionevoli l’innocenza e la colpevolezza. L’unica giustizia che interessa berlusconi è quella che non si occupa di lui, dei suoi reati, del suo essere tendenzialmente e naturalmente predisposto a delinquere come recita il primo grado della sentenza del processo Ruby.

E un presidente della repubblica che due ore dopo la condanna di berlusconi e due giorni dopo l’ennesimo attacco allo stato di berlusconi parla di riforma della giustizia e di Magistratura che non deve superare i limiti fa pensare male.

Qualcuno dovrebbe ricordare alla Cancellieri che ribadisce la litania di un’intesa simile a quella che ci fu dopo il fascismo, che questa fu possibile solo DOPO che il fascismo fu combattuto e messo fuori legge, purtroppo solo sulla Carta. Che quell’intesa avvenne dopo aver rimesso faticosamente in sicurezza il paese, col sangue e non le chiacchiere.

Una condizione che oggi nei fatti non c’è visto che un parlamento, repubblicano, democratico che deve TUTTO proprio al fatto che in altri tempi i nemici si combattevano, non ci si facevano alleanze né grandi e larghe intese, non riesce, non vuole e non può liberarsi del nemico, che non è una parolaccia da evitare ma un concetto da ribadire: chi si mette contro lo stato è un nemico dello stato, non uno da far sedere al tavolo delle decisioni, da mantenere in un posto, quella casa della democrazia che le istituzioni a parole difendono ma nel concreto no.

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“NAPOLITANO E BERLUSCONI, DOVE SONO EQUILIBRIO E MISURA?”

L’interesse del paese non consiste nella tutela e nella protezione di delinquenti da parte dallo stato. 

In un paese normale e in uno stato civile la separazione delle carriere andrebbe fatta, va fatta soprattutto fra onesti e delinquenti. Fra chi rispetta lo stato e chi non lo fa.
E quanto più i delinquenti sono pericolosi più lo stato ha il dovere di fare in modo che non invadano, inquinandola, la società civile: quella degli onesti.

Non è al sicuro un paese dove il presidente della repubblica dice cose che la maggior parte dei cittadini non si aspetta, perché quel presidente dovrebbe essere il faro e la guida di un paese, e dovrebbe interpretare il sentire dei cittadini, e non penso né credo che la maggior parte dei cittadini italiani abbia a cuore la difesa dei delinquenti a scapito di chi per mestiere i delinquenti li condanna, nella fattispecie di uno che proprio lo stato ha violato e frodato, a svantaggio degli onesti che svolgono un lavoro e che vorrebbero fra le altre cose che il loro contributo economico, quei soldi che lo stato pretende e non gl’importa se la gente può o non può pagare, non servisse poi a pagare e mantenere agi e vite privilegiate a chi non sa più garantire sicurezza al paese pur essendo pagata e strapagata per farlo.

Non è al sicuro un paese dove il presidente della repubblica sfida, spesso tracimando oltre quel limite e quella misura che invita i Magistrati a rispettare, un limite e una misura che spesso e continuamente significano decenza, decoro e pudore, non fa sentire la sua vicinanza ai cittadini che dovrebbe illuminare e guidare, non fa più capire da che parte sta lo stato fra gli onesti e i delinquenti ma al contrario ciclicamente e sempre più spesso dice cose – molto più che sottintese – per tranquillizzare, favorire e far rialzare la testa a chi ha usato e abusato dello stato di tutti e anche dei tutti. 

Perché a furia di sentir dire da autorità alte e altissime che in questo paese c’è una guerra in corso fra guardie e ladri molta gente ci ha creduto e pensa veramente che il pericolo in Italia siano i Magistrati che applicano le leggi e non i delinquenti che le violano.

Non è al sicuro un paese dove il presidente della repubblica glissa e fa finta di ignorare che da cinquanta giorni, quasi due mesi, c’è un delinquente pregiudicato e condannato a piede libero a cui viene permesso di offendere pubblicamente lo stato, i cittadini, i Magistrati, di ricattare e minacciare i suoi sciagurati alleati di governo, quelli che più o meno consapevolmente hanno deciso di unirsi al partito di proprietà del delinquente come richiesto e preteso dal presidente della repubblica “per il bene del paese”.

Come se il bene del paese significasse la tutela e l’appoggio ai delinquenti.

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Ma ci faccia il piacere – Marco Travaglio, 21 settembre

Atteso e prevedibile come la caduta delle foglie in autunno, il supermonito di Napolitano ai magistrati per dare il contentino al Cainano pregiudicato e non farlo sentire troppo solo, è puntualmente arrivato. Secondo il Presidente Pompiere, bisogna “spegnere nell’interesse del Paese il conflitto tra politica e giustizia”. Che è un po ’ come dire: siccome un chirurgo è stato condannato perché scannava i pazienti, bisogna spegnere il conflitto tra chirurgia e giustizia; siccome un ciclista è stato condannato per doping, bisogna spegnere il conflitto tra ciclismo e giustizia; siccome un tossico è stato condannato perché ha svaligiato un supermarket, bisogna spegnere il conflitto fra tossicodipendenza e giustizia; siccome un riccone è stato condannato perché non paga le tasse, bisogna spegnere il conflitto fra ricchezza e giustizia. Insomma, una solennissima assurdità. Gentile Presidente, si rassegni: se il suo amico Silvio è stato condannato per frode fiscale, è perché ha frodato il fisco. Si chiama “processo penale”, non “conflitto fra politica e giustizia”. E che senso ha dire che “politica e giustizia non devono essere mondi ostili guidati dal sospetto reciproco”? In Italia, da oltre vent’anni, è Berlusconi che attacca tutta la magistratura, invitando i cittadini a ribellarvisi anziché a ubbidirle; nessun magistrato ha mai attaccato tutta la politica in quanto tale, semmai alcuni magistrati (sempre troppo pochi) hanno condotto inchieste ed emesso sentenze su politici che violavano la legge, in base al principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione. Che dovrebbe mai fare un pm o un giudice davanti a un politico ladro o mafioso, se non “sospettare” di lui? La presunta “spirale di contrapposizioni tra politica e giustizia che da troppi anni imperversa in Italia” esiste solo in qualche mente confusa. Anche ammesso e non concesso che il conflitto esista, esso nasce dal fatto che molti politici delinquono e potrà finire soltanto se e quando questi la smetteranno di delinquere. Nessuno meglio del garante della Costituzione, in quanto presidente della Repubblica, e del difensore del-l’autonomia e indipendenza della magistratura, in quanto presidente del Csm, dovrebbe saperlo. Ed è preoccupante che vada a insegnare queste amenità a degli studenti universitari. Se qualche magistrato, come lui sostiene senza far nomi né portare prove, ha violato i doveri di “equilibrio, sobrietà, riserbo, assoluta imparzialità e senso della misura e del limite”, il Csm da lui presieduto ha tutti gli strumenti per sanzionarlo. Purché, naturalmente, si tratti di condotte vietate dalla legge, e non di esternazioni legittime o doverose per spiegare ai cittadini e soprattutto ai politici ignoranti o diffamatori come funziona la giustizia. E qui Napolitano incappa in una doppia contraddizione, quando esorta i magistrati a “un’attitudine meno difensiva e più propositiva rispetto al discorso sulle riforme di cui la giustizia ha indubbio bisogno e che sono pienamente collocabili nel quadro dei principi della Costituzione”. Sia perché da anni l’Anm e molti singoli magistrati propongono riforme utili a sveltire i processi e a combattere meglio la criminalità di ogni specie e livello, regolarmente zittiti come invasori di campo da chi fa soltanto leggi criminali e criminogene per sé o per i suoi complici; sia perché sul tema ogni magistrato è libero di pensarla come gli pare. A meno di voler sostenere che il magistrato è libero di parlare, ma solo se acconsente con le porcate sfornate a getto continuo da un Parlamento indecente e sempre firmate da chi avrebbe dovuto respingerle al mittente. Se invece dissente, allora deve tacere. La libertà d’espressione ridotta a dovere di applauso al potere è tipica delle dittature, non delle democrazie. Resta poi da capire che cosa siano il “senso della misura e del limite” prescritti dal Presidente Pompiere ai magistrati: come si calcola, e soprattutto chi lo calcola? Se un pm esagera, ci sono sopra di lui un Gip, un Gup, un Tribunale del Riesame e una Cassazione pronti a correggerlo. Idem per i giudici, nel Paese che – unico al mondo – prevede cinque fasi di giudizio pressochè automatiche. In ogni caso, per azionare gli estintori, Napolitano ha scelto la sede meno adatta: la commemorazione del suo ex consigliere giuridico Loris d’Ambrosio. Un magistrato che parla per mesi al telefono con un indagabile e poi indagato per falsa testimonianza sulla trattativa Stato-mafia, assecondandolo in ogni suo capriccio per ordine del suo capo, non è certo il miglior esempio di “senso della misura e del limite”, e nemmeno delle tanto decantate virtù di “equilibrio, sobrietà, riserbo, assoluta imparzialità”. Anzichè stendere un velo pietoso, anche per rispetto verso un signore che non c’è più e che fu trascinato da Napolitano e da Mancino in quell’imbarazzante abuso di potere, il Presidente lancia un messaggio implicito alle Corti d’assise di Caltanissetta e Palermo che si accingono a interrogarlo come testimone nei processi Borsellino-quater e Trattativa. Poi se la prende a suon di allusioni con il nostro giornale (l’unico che intervistò D’Ambrosio per ascoltare la sua versione dei fatti), reo di avere pubblicato ieri un servizio di Lo Bianco e Rizza sulle nuove carte depositate dalla Procura di Palermo al processo sulla trattativa. Carte che documentano il vero e proprio stalking esercitato dalla Procura generale della Cassazione, per ordine del Quirinale, sul procuratore nazionale Grasso (che ora, asceso a più alte poltrone, fa finta di nulla), affinchè interferisse nelle indagini dei pm siciliani contro la legge e ben oltre i suoi poteri. “Nulla è stato più paradossale e iniquo  dice il Presidente  che vedere anche Loris divenire vittima di quello che il professor Fiandaca ha chiamato ‘un perverso giuoco politico-giuridico e mediatico‘.  La cui impronta mistificatoria si è fatta sentire proprio oggi forse in non casuale coincidenza con questo incontro”. Stia tranquillo, Presidente: i giornali, almeno il nostro, servono a dare notizie. E quelle carte erano una notizia, per giunta attuale visto che il loro deposito è avvenuto giovedì.  L’idea che le abbiamo raccontate apposta (“non in casuale coincidenza”) per disturbare la sua fondamentale prolusione alla Luiss può venire soltanto a chi è abituato a certi giochetti. Dunque non a noi. Come dice Massimo Fini, “omnia munda mundis, omnia sozza sozzis 

Un paese senza una guida ostaggio di delinquenti e diffamatori

Se questo fosse un paese normale il presidente della repubblica, in qualità di capo del CSM, avrebbe già detto due parole a sostegno dell’ennesimo giudice diffamato dai sicari di silvio berlusconi.

Ma siccome purtroppo è solo l’italietta dei furbi, dei delinquenti, dei diffamatori a libro paga del primo delinquente di questo paese già condannato in primo grado per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile e in ultimo, quello definitivo, per frode fiscale, pare che il capo dello stato abbia intimato al partito ex democratico, con la scusa di mantenere in piedi il governicchio delle larghe intese,  di mettere in sicurezza il pregiudicato silvio berlusconi –  pena la minaccia delle sue dimissioni anticipate –  facendosi beffe della Costituzione, della legge, di una sentenza di condanna definitiva, dell’onestà dei milioni di cittadini obbligati a rispettare la legge  che si sentono defraudati, violentati e che possono solo assistere all’osceno spettacolo di un onest’uomo  colpevole di niente diffamato, e  quand’anche il giudice Esposito avesse davvero una responsabilità da chiarire non penso che il sistema giusto sia quello dell’oltraggio a mezzo stampa dalle pagine di un fogliaccio il cui direttore è quel di sallusti, noto diffamatore seriale e recidivo, a cui proprio Napolitano ha concesso una grazia in seguito, ça va sans dire, ad una condanna definitiva per diffamazione.

Quando al tempo della condanna annullata scrissi che un periodo di riflessione non avrebbe fatto male a sallusti sapevo quello che scrivevo e dicevo, quello che poi scrivevamo in tanti, tutti quelli che hanno ben chiara la differenza fra libertà di espressione/informazione e diffamazione.

Nessuna libertà dovrebbe essere concessa a chi la usa come arma, in nessun’altra democrazia civile gestita da persone che hanno a cuore il bene dello stato sallusti, belpietro, vittorio feltri, tutta l’orrida corte dei miracolati che  berlusconi può usare pro domo sua,  grazie al suo conflitto di interessi mai risolto da quella politica che ancora oggi lo supporta e sostiene,  avrebbero  avuto la possibilità di continuare a farlo. 

La diffamazione è un reato,  non un  modo di esprimersi folkloristico e ancorché simpatico.

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La nuova Leva

Esposito vs Giornale: “Hanno diffamato”
Ma ora Wanna Marchi lo vuole querelare

Caccia grossa contro Antonio Esposito: ora i berluscones vogliono mettere le mani sulla registrazione dell’intervista del giudice al “Mattino”. Sperano di trovare il cavillo per impugnare la sentenza della Cassazione. Obiettivo: prendere tempo e ottenere l’“agibilità” politica ed elettorale per il condannato.

 
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Il Pornale
Marco Travaglio, 11 agosto
Da quando, il 23 maggio, ha avuto la sventura di essere nominato presidente della sezione feriale della Cassazione e, a luglio, vi ha visto piovere il processo Mediaset che andava trattato subito per evitarne – secondo le regole – la prescrizione, il giudice Antonio Esposito ha finito di vivere. Sapeva che, per campare sereno, avrebbe dovuto calpestare la Costituzione, la legge e la sua coscienza annullando la condanna di B. possibilmente senza rinvio: insomma assolverlo, anche se dalle carte risulta inequivocabilmente colpevole. 

Non è vero, come scrivono i soliti tartufi, che gli sia stata fatale l’intervista “inopportuna” al Mattino di Napoli per quella frase sul motivo del verdetto, mai autorizzata nel testo concordato con l’intervistatore (“non è che tu non potevi non sapere perché eri il capo. Teoricamente, il capo potrebbe non sapere. No, tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva”), per giunta appiccicata a una domanda mai fatta sul caso specifico di B.

Anche se non l’avesse pronunciata nel colloquio informale con l’amico cronista che poi l’ha tradito, e anche se gli avesse buttato giù il telefono, Antonio Esposito sarebbe stato linciato ugualmente dal Giornale e dagli altri house organ della Banda B. Il peccato originale non è la frase o l’intervista: è la condanna. Il pool Mani Pulite non disse una parola su B., eppure viene manganellato da vent’anni. 

Il giudice Mesiano non disse una parola dopo aver condannato la Fininvest a risarcire De Benedetti per lo scippo della Mondadori, eppure fu pedinato e sputtanato in tv per i suoi calzini turchesi. La giudice Galli non disse un monosillabo sul processo Mediaset, eppure prima e dopo la condanna d’appello fu diffamata addirittura perché figlia di un giudice assassinato dalle Br. 

“Non ce l’hanno con noi per quello che diciamo, ma per quello che facciamo”, ripete Piercamillo Davigo. Con Esposito il Giornale ha esordito accusandolo di portare le scarpe da jogging e la camicia aperta, di alzare il gomito (essendo astemio), di aver anticipato in una cena la condanna di Wanna Marchi (emessa l’indomani da un collegio di 5 giudici), di aver raccontato telefonate sexy delle girl di Arcore (mai lette da nessuno e poi distrutte), di aver barattato la condanna di B. con la richiesta di archiviazione di un’indagine disciplinare suo figlio (avvenuta a gennaio, sei mesi prima che il processo Mediaset finisse sul suo tavolo) per una cena con la Minetti, di aver voluto vendicare l’estromissione del fratello Vitaliano su pressione del Pdl da subcommissario dell’Ilva. 

E perché, se sapeva tutte queste cose, il Giornale non le ha scritte prima della sentenza? Poi, siccome ogni pretesto è buono per la caccia all’uomo che ha osato condannare B., il Giornale è passato dalla cronaca all’archeologia riesumando vicende che affondano nella notte dei tempi. Fino al 1980, quando Esposito era pretore a Sapri e alcuni esponenti Pci e Psi (tra cui Carmelo Conte, poi plurinquisito) l’attaccarono in varie interrogazioni parlamentari perché disturbava la quiete del paese con i suoi processi. Titolo: “Il magistrato inchiodato pure alla Camera. Nel 1980 il presidente della Commissione antimafia Pci denunciava al Guardasigilli: ‘Esposito fazioso e troppo protagonista’”. 

Purtroppo il Giornale dimentica di aggiungere che nel procedimento disciplinare che ne seguì Esposito fu prosciolto in istruttoria perché chi l’aveva denunciato “aveva motivi di inimicizie verso il pretore per i provvedimenti da lui emessi nell’esercizio delle sue funzioni”, in parte “sottoposte a procedimenti penali per gravissimi reati”. Fu, secondo la commissione disciplinare del Csm, “un vero e proprio complotto contro l’Esposito di tale portata e gravità da determinare la commissione a sollecitare il Csm a non abdicare al fondamentale ruolo di garanzia dell’indipendenza della magistratura… apprestando un’energica tutela al magistrato che è stato fatto oggetto di un così vasto attacco, scorretto nelle forme e illecito nei contenuti, da parte di un gruppo di persone che per soddisfare il proprio sentimento di vendetta o per salvaguardare i loro interessi posti in pericolo non hanno esitato a costruire a tavolino gli elementi di accusa e a coinvolgere nella disdicevole operazione rappresentanti del Parlamento”. 

Vergogniamoci per loro.