Preambolo: l’ultima cosa che ha fatto berlusconi da presidente del consiglio prima di dare le dimissioni per il bene del paese e cioè il suo è stata riunirsi coi figli, il socio in affari e malaffari Confalonieri e il povero Ghedini per escogitare il piano che avrebbe ridotto le inevitabili conseguenze sulle sue proprietà: ecco, questo chiarisce bene il concetto di “conflitto di interessi”.
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Sottotitolo: ho smesso di comprare l’Unità quando Concita De Gregorio fu cacciata, come già accadde per Colombo, Travaglio e Padellaro per ordini di partito, il PD, Repubblica non la compro più da quasi due anni, e cioè da quando l’esimio fondatore anziano di Largo Fochetti ha deciso che anche il suo giornale dovesse fare da eco non alle cose che accadono e raccontarle per come accadono ma, dopo aver elogiato anche i sospiri del sobrio governo dei guastatori dello stato sociale, mettersi a completa disposizione di un partito, sempre il PD.
Se non possiamo ambire ad una libertà di informazione reale ma, stando ai dati internazionali che mettono l’Italia insieme o addirittura sotto a paesi da cui dovremmo stare invece lontani anni luce nemmeno parziale dunque assolutamente insufficiente, perché dobbiamo continuare a pagarla come se fosse buona? chi comprerebbe un prodotto scadente pagandolo come se fosse invece, eccellente?
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Riforma antigiudici, soldi ai partiti
La ricetta dei “saggi” di Napolitano
I ‘saggi’ imbavagliano le intercettazioni?
La Banda degli Stolti: inciucio sulla giustizia e denari ai partiti
Nella relazione del comitato, la limitazione delle intercettazioni e il controllo politico sul Csm
Quagliariello (Pdl) festeggia: “Siamo legittimati”. E il finanziamento pubblico “non è eliminabile”
Blog Gomez: E’ arrivata l’agenda dell’inciucio – Economia: molto fumo e poco arrosto [Il Fatto Quotidiano]
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In un paese devastato dagli scandali, sul piano morale prima di tutto, solo per le cose squallide, per i crimini commessi da chi dovrebbe dare un esempio di rettitudine, dopo quello che è uscito fuori, le ladrate, lo spreco di soldi intollerabile in un momento di crisi profonda a beneficio di chi aveva già il tutto e il troppo, mentre la gente si suicida, si svena e non in senso metaforico perché si vede negare i diritti di base, lo stipendio, una pensione, la sicurezza di un lavoro, la possibilità di curarsi, di studiare, non solo la politica, tradizionale e tecnica non si è mai messa dalla parte offesa, almeno quella dei cittadini in difficoltà, non solo ha dimostrato come ha potuto tutti i suoi fallimenti e la sua incapacità ma, ancora una volta, per mezzo dei dieci “saggi” nominati ed eletti dal sempre ottimo Napolitano in nome e per conto dei partiti, dei loro referenti, di quelle brutte facce impresentabili e oscene che sono dietro a tirare i fili di queste marionette pensa a tutelare i suoi interessi, la privacy…ah, la privacy, certo, abbiamo imparato a conoscerli certi contenuti di molte vite private di chi dovrebbe dare un esempio “alto” di moralità, di senso etico, non foss’altro perché poi obbliga noi, per mezzo delle leggi che fa e che non fa a comportarci in un certo modo, ci detta le linee guida circa la nostra vita pubblica, privata, incide sulle nostre scelte personali, ci vieta di fare cose che la politica, i potenti e i pre-potenti delinquenti però non si negano e non si sono mai negati, perché ci sono cose che non è giusto far sapere ai cittadini, i loro panni sporchi se li vogliono lavare in separata sede, nel silenzio omertoso di chi sa di aver sbagliato molto, troppo, ma non ha più nemmeno un culo a cui paragonare la sua faccia perché s’è venduto pure quello.
Non c’è stato mai nessuno che abbia ammesso di aver fallito e che se ne sia andato chiedendo scusa, nessuno.
Sono ancora tutti lì, chi di dritto e chi di rovescio, ancora a spillare quattrini dei contribuenti sottoforma di tutto, di vitalizi, di liquidazioni, di buone uscite, luride sanguisughe senza vergogna né decenza.
E Napolitano ha avuto anche il coraggio di dire che è il fanatismo moralizzatore la rovina della politica, non lo schifo prodotto dalla politica e fatto subire a tutto il paese anche col suo consenso.
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Bei tempi, quando Repubblica era sempre in prima linea contro i bavagli, le censure, a favore di una vera libertà di informazione, quando il giornale rivolgeva le dieci domande più dieci a berlusconi circa le sue attività di intrattenitore di cene eleganti.
Poi la curiosità come pure la richiesta è andata via via scemando, ad esempio sulla home page di stamattina non c’è traccia del fatto che i cosiddetti dieci saggi abbiano inserito nelle loro proposte l’ennesimo attacco alle intercettazioni.
Quando pensi che nessuno possa fare peggio di così, di qualsiasi così, c’è sempre e per fortuna qualcuno che rimette subito le cose in pari ricordandoci che questa è pur sempre l’Italietta dei mediocri, degli sciacalli, dei servi.
Di gente incapace di agire in autonomia perché deve sempre rendere conto a qualcuno che a sua volta dovrà rendere conto a qualcun altro, incapace di alzare la testa e dire a chi la paga: “no, grazie, il mio mestiere è un altro, io faccio il giornalista”.
Come diceva Hugo: “c’è gente che pagherebbe per vendersi”, in Italia invece ce n’è un esercito che si fa pagare, che paghiamo anche noi con le nostre tasse e a peso d’oro, la sua vigliaccheria, un tanto al chilo le sue infamità salvo poi piagnucolare, fare la parte delle vergini violate, gridare al regime quando qualcuno tira fuori la questione dell’opportunità del finanziamento pubblico ai giornali, ché non sarebbe democratico rifiutarsi di sovvenzionare la carta stampata, ché sarebbe una limitazione della libertà impedire ai giornali di diffondere balle a getto continuo, di demolire quei personaggi che hanno osato infastidire il potere.
Informare i cittadini in modo pulito, onesto, è l’ultima delle preoccupazioni della stragrande maggioranza del giornalismo italiano, della carta stampata: il loro compito è sempre un altro, servire e riverire, agevolare i soliti giochi di potere dai quali poi, poterne ricavare convenienza, l’assicurazione per la sopravvivenza.
E allora io mi chiedo e chiedo in che modo noi cittadini possiamo difenderci, smettere di essere non contribuenti e finanziatori ma complici di indecenze vergognose che qualcuno spaccia per giornalismo, professionismo e informazione.
Bisogna creare competizione anche nella carta stampata, in un paese normale e in assenza di conflitti di interesse sarebbe assolutamente normale che emergano i bravi e i meno bravi restino dietro.
Così come accade in tutte le altre attività imprenditoriali.
Ma siccome qui tutti vogliono assicurare all’ impunito, al conflitto di interessi fatto persona lunga vita che si tenessero anche le conseguenze di questo.
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Il calcio dell’asino
Marco Travaglio, 13 aprile
Uno straniero che si trovasse a passare in Italia in questi giorni, nel leggere certi titoloni contro Antonio Ingroia, penserebbe che l’ex pm di Palermo sia stato colto con le mani nel sacco a rubare, a dire falsa testimonianza, a trescare con mafiosi, a coprire assassini, a corrompere minorenni. “Ingroia, vai a lavorare”. “Ingroia ha mentito anche a se stesso” (Libero ). “L’antico vizio di sentirsi il più antimafia di tutti. Ecco perché ha fallito il giudice palermitano coccolato dai media” (La Stampa). “Il finale grottesco del giudice Ingroia” (Repubblica). Cos’ha fatto Ingroia per meritarsi tutto questo? Si è candidato in politica come decine di suoi colleghi, ha perso le elezioni, ha chiesto il permesso di lavorare in un incarico extra-giudiziario — quello di commissario delle esattorie siciliane — a metà stipendio. Ma il Csm gli ha risposto picche confinandolo in Val d’Aosta (l’unica regione dove non era candidato). La prima destinazione, ineccepibile dal punto di vista delle regole, era quella di giudice: solo che ad Aosta gli organici giudicanti sono tutti coperti, dunque Ingroia sarebbe stato “in soprannumero”: avrebbe percepito stipendio pieno scaldando una sedia. A quel punto il Csm s’è accorto che la porcata era troppo sporca persino per i suoi standard e l’ha nominato pm, derogando al divieto di funzioni requirenti per chi si è candidato. Lui ha annunciato ricorso: deroga per deroga, c’è un posto ben più consono alla sua storia e competenza: quello di sostituto alla Procura nazionale antimafia, che ha competenza su tutta Italia e funzioni di puro coordinamento di indagini altrui, dunque non striderebbe troppo col divieto di tornare in toga dove ci si è candidati. Resta da capire perché Ingroia non può fare il commissario delle esattorie siciliane, crocevia di interessi illegali e spesso anche mafiosi, che richiede proprio un uomo della sua esperienza. La risposta dei sepolcri imbiancati è che l’incarico non ha attinenza con l’attività giudiziaria, dunque un magistrato non può ricoprirlo. Ingroia ha chiesto di esser sentito, per spiegare che così non è. Ma non l’hanno neppure degnato di una risposta. Che strano. Un anno fa il Csm autorizzò la giudice Augusta Iannini in Vespa, dal 2001 distaccata al ministero della Giustizia, a passare al Garante della privacy: che attinenza avrà mai quel ruolo con la giustizia? Del resto, in questi anni, Palazzo dei Marescialli ha autorizzato vari magistrati a fare gli assessori nella regione in cui fino al giorno prima erano pm (Russo nella giunta siciliana Lombardo e Marino nella giunta Crocetta): funzioni non elettive, ma di nomina politica, ben più delicate di un’esattoria. Perciò ha ragione da vendere Ingroia a denunciare il trattamento contra personam di un Csm presieduto da Napolitano, la cui voce fu da lui casualmente ascoltata intercettando Mancino. Fare due più due è facile, ma anche legittimo.
Eppure commentatori che non hanno mai scritto una riga in difesa di Ingroia quand’era massacrato perché indagava sui potenti, oggi lo massacrano perché s’è dato alla politica. Il solito Francesco Merlo, su Repubblica , lo accusa financo di aver “usato le indagini antimafia per uscire dalla magistratura” e di “danneggiarla” dando ragione a Sallusti. Ora — a parte il fatto che Sallusti non è in carcere grazie a Merlo che chiese per lui la grazia e a Napolitano che la concesse — dov’era Merlo quando Ingroia veniva isolato con i suoi colleghi perché osava indagare sulla trattativa Stato-mafia? Se gli piaceva tanto il pm Ingroia, perché non l’ha difeso quando tutti lo attaccavano? Il Fatto è stato il primo a criticare la scelta di Ingroia di fare politica (non perché non ne avesse diritto, ma perché rischiava di scendere di livello anziché salire). Ma pure a solidarizzare con lui e i suoi colleghi isolati e linciati da tutti.
Anche da quanti ora si esercitano nello sport italiota più diffuso e più vile: la bastonata allo sconfitto, detta anche il calcio dell’asino.