Questione morale? Ma de che?

lodi4magChissà come si traduce “ma de che” in tutte le lingue del mondo.
Se Cameron, quando è andato in televisione a scusarsi con gli inglesi per la faccenda del Panama Papers, oppure Hollande quando  in conferenza stampa davanti a 500 giornalisti dopo la vicenda dello scoop che svelò il suo tradimento alla moglie e disse che, essendo coperto dall’immunità, non poteva denunciare il giornale che aveva scoperto l’avventura extraconiugale, se  entrambi invece di usare toni sobri, educati al limite dell’ossequioso rispetto come dovrebbero essere sempre quelli delle istituzioni quando si rivolgono ai cittadini avessero esordito come fa Renzi ogni volta che lo interpellano quindi sempre.
Non si capisce cosa ci sia di simpatico nell’atteggiamento, nel linguaggio di Renzi che vuole essere l’amico di tutti ma poi vediamo che succede ogni volta che mette un piede fuori dalla porta.
Se Renzi è davvero convinto che la questione morale non riguardi principalmente il suo partito, che è quello che esprime la maggioranza di governo, cominci a riconsiderare almeno una parvenza di educazione applicata al dire e al fare, visto che c’è un sacco di gente che non solo non vuole essergli amica ma con lui non prenderebbe nemmeno un caffè.

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I magistrati possono andare a sentenza in base alle leggi che fa il parlamento.
Se non ci vanno nei tempi brevi che chiede Renzi provi, Renzi, a farsi due domande, invece di negare ancora che la questione che riguarda la criminalità nella politica sia altrove dai tribunali, proprio in quella questione morale che il pd non si pone.
La magistratura avrebbe potuto evitarsi tante noie, il superlavoro ma principalmente tutti gli insulti dei politici se la politica fosse intervenuta prima dei tribunali che poi non possono dare le giuste risposte a quel popolo per il quale si esprimono in virtù delle leggi che fa la politica.
E’ un enorme gatto che si morde la coda e che, muovendosi di continuo, ha stritolato tutta l’Italia.
L’affidamento ai servizi sociali per i reati economici e fiscali che prevedono pene fino a quattro anni voluto dal governo di Renzi non è un modo per sveltire la giustizia, è il sistema che garantisce al politico di non subire nessun provvedimento restrittivo e punitivo, mentre il cittadino continua a rischiare anche per reati più lievi e meno dannosi per la collettività.
E finché la gente non capirà che Davigo ha ragione quando dice che i politici ladri sono più dannosi dei delinquenti di strada, proprio perché i loro reati incidono su tutto il paese e non sul singolo individuo sarà impossibile avere una classe dirigente che tenga conto di questo.
Fra cinquant’anni ci sarà ancora una Picierno che può andare in televisione a parlare di “giustizia ad orologia” come una Santanché e una Carfagna qualsiasi che diversamente da lei lo sapevano dire pure meglio.

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Prima di me schifo e deserto. Il senso di Matteo per il passato

Alessandro Robecchi – Piovono pietre – Il Fatto Quotidiano, 4 maggio

Una strana ossessione si aggira nei quartieri generali del renzismo. E’ l’ossessione del passato. Uno sarebbe portato a pensare che un grande (sedicente) innovatore e rottamatore, ascendente Verdini con la luna in Leopolda, guardi al futuro (sedicente) luminoso che sta costruendo. Invece, opplà, si casca sempre con un piede indietro. Con l’affermazione che “dopo 63 governi” l’Italia finalmente viene considerata in Europa, Matteo Renzi compie un’operazione abbastanza semplice. Non essendo sufficientemente luminoso il futuro che sta per venderci, non così gradito a tutti, non così chiaro, deve dimostrare per prima cosa che sarà sempre meglio del passato. E ora che è arrivato lui, quei 63 governi impallidiscono e svaporano nell’inconsistenza. E’ una variante di “dopo di me il diluvio” che suona così: “Prima di me il deserto”. Qualcosa di simile a: ehi, amici, vi ricordate che fatica quando non esisteva la ruota? Beh, meno male che ora l’ha inventata Matteo.

In un’altra occasione, ancora più illuminante (era il settembre del 2015) disse che il Paese aspetta la sua riforma, sua e della fatina delle riforme Boschi, da settant’anni. Cioè: Togliatti e De Gasperi, per dire, ancora stavano studiando la Costituzione (quella vera, nata dalla Resistenza), che già aspettavano con ansia le modifiche di Matteo. Una specie di macchina del tempo, insomma, usata sempre nello stesso modo: il passato fa tutto schifo, prima di me non c’è stato niente e l’intero dopoguerra italiano è stato solo un confuso periodaccio d’attesa dell’uomo del destino.

Che sia un po’ un’ossessione, questa del passato, sta cominciando a diventare evidente. Uno potrebbe anche tirare in ballo lo slogan del Partito (della Nazione?) che si inventò George Orwell in 1984: “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”, che non era niente male. Ma forse sarebbe troppo, scomodare Orwell, e allora accontentiamoci di letterature più recenti, come per esempio lo slogan coniato per il lancio de l’Unità (estate 2015): “Il passato sta cambiando”. Ecco, mai slogan aveva somigliato tanto a un’aspirazione: cambiare il passato significa anche sbeffeggiare come irrilevanti 63 governi precedenti, o immaginare che le tue riforme le aspettavamo come la manna anche prima che ci fosse qualcosa da riformare. In attesa di essere il futuro, come spera lui, e seduti su un presente che traballa un po’, Renzi e i suoi autori decidono che intanto è meglio sputare su tutto quello che c’era prima, e molti smemorati (per insipienza o convenienza) potrebbero cascarci.

Dopodiché si potrà notare che alcune delle riforme più importanti per la vita del Paese si fecero proprio in passato, alcune quando Renzi ancora non era nato. Lo Statuto dei lavoratori (1970), o il Servizio Sanitario Nazionale (1974) , per dirne solo due, si fecero addirittura con il bicameralismo perfetto, oggi indicato come causa di lentezza, e addirittura con leggi elettorali proporzionali (altro che il chi-vince-piglia-tutto dell’Italicum).

E, sempre per restare ai due esempi appena citati, è un po’ vero, sì, “il passato sta cambiando”, come diceva lo slogan de l’Unità, ma in peggio, perché le picconate allo Statuto dei lavoratori sono lì da vedere (Jobs Act), e quanto al Servizio Sanitario Nazionale, beh, lo sanno tutti quelli che ora pagano analisi che pochi mesi fa erano gratuite. Voilà. In più, l’ossessione del passato che guiderà la campagna referendaria (basta! Via! Tutto nuovo!) contiene una sua contraddizione interna: si grida che serve una nuova Costituzione per fare le riforme, che questa che c’è ci rende immobili, ma nel contempo si celebrano come epocali e strabilianti le riforme in corso. Un po’ come dire: guarda! Ho una gamba sola!, e intanto vantarsi di vincere i cento metri.

Se

Se i fatti riguardanti gli affari di famiglia della Boschi diventano sciacallaggio per bocca del ministro dell’economia, polemica strumentale per la stragrande maggioranza dell’informazione cosiddetta imparziale ed equilibrata anche se a riportarli è un giornalista che non ha bisogno di conferme come Saviano, se scrivere che un signore accusato di vari reati probabilmente non sarebbe stato assolto se avesse rifiutato la prescrizione su quello più grave e pesante quindi non si merita né l’onore né la gloria come piacerebbe a Lerner, se l’opinione di un direttore di giornale scritta nei suoi editoriali diventa cronaca solo per poter dire che quel giornale non è credibile [da quando le opinioni sono obbligate ad essere credibili? Sono opinioni, punto] è abbastanza normale che Il Fatto Quotidiano diventi poi come l’aglio per i vampiri. Il che sarebbe normale se lo fosse per chi rappresenta il potere che permette alla Boschi di fare il ministro nonostante il suo conflitto e i suoi interessi, non è più così tanto normale se ad accodarsi al parere del potere è la gente a cui non dovrebbe interessare il fallimento e la scomparsa di un quotidiano visto che ha la possibilità di non comprarlo, non leggerlo e dovrebbe quindi anche evitare di andare ad impiastrare di insulti il suo sito web e inventarsi il giochino dei titoli, specialmente se fa il presidente del consiglio.

I risultati delle elezioni in Francia sono educativi per tutti: far vincere la destra per non mandare avanti una destra peggiore.
Ovunque c’è una destra peggiore, quella estremista e fascista, sebbene la Le Pen su certi temi specialmente laici sia più progressista di Renzi, ed ecco perché i segnali che riportano alla destra peggiore non vanno ignorati.
Il diritto di critica è inalienabile, la critica non si smentisce insultando e screditando le persone ma con un argomento più forte che mette quella critica dalla parte del torto.
In altri periodi l’attacco frontale  a Saviano non sarebbe passato così inosservato, come minimo l’amico Fabio Fazio gli avrebbe offerto il salottino di Che tempo che fa, ma siccome l’attacco arriva dal partito di Renzi e del governo, non dal camorrista irritato allora niente salottino, Saviano viene messo dalla parte del torto come tutti quelli che osano mettere in discussione lo strapotere abusivo di Renzi.

Io non abbasso la guardia, per me un presidente del consiglio che ridicolizza un giornale pubblicamente perché non s’inchina al suo potere non è degno di stare nel parlamento di una repubblica democratica.

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Leopolda, i titoli di Renzi e la libertà di noi “gufi”- Caterina Soffici, Il Fatto Quotidiano

Da quando scrivo sul Fatto Quotidiano mi sono sentita dare della “disfattista”, “gufo”, “grillina”, “cinica”, “pessimista”. Per voi “va sempre tutto male, avete dei problemi” ti dicono. Questo solo per rimanere alle cose riportabili e per non parlare dei vari vaffa e di altre simpatiche locuzioni da parte dei barbari che popolano il web e che scorrazzano liberamente anche tra i commentatori anonimi dei blog del Fatto.

Io personalmente, non sono nessuna di queste cose. Anzi, se proprio dovessi dire (sul piano personale) sono fin troppo ottimista e cerco sempre di farmi andare bene le cose che mi capitano e di girarle in positivo anche se sono negative (sul piano personale, ribadisco). Sul piano pubblico il discorso è – e deve essere – diverso. Nessuno di noi scommette contro l’Italia.

Anzi, proprio perché vorremmo che diventasse un posto vivibile per i nostri figli, vorremmo che le cose cambiassero.
E proprio per questo scriviamo che ci sono troppe cose, in Italia, che non vanno bene. Quindi non possiamo farcele andare bene per non disturbare il manovratore. E’ giusto criticare, quando c’è da criticare. Criticare non è e non può essere sinonimo di disfattismo. Si chiama dissenso ed è l’opposto della propaganda. L’uniformità del pensiero unico è rischiosa. Questa cosa, il diritto di critica, ha un nome semplice semplice: si chiama libertà. Un paese civile e democratico si differenzia da un regime proprio per come applica questa semplice parolina.

A qualcuno questo non piace. Oppure pensano di poter indirizzare lo storytelling nazionale (piace molto questo modo di parlare, significa semplicemente il racconto della realtà) come vorrebbero che fosse e non come realmente è. A ben guardare l’iniziativa della Leopolda contro il Fatto Quotidiano è indice di una grande debolezza. Il Renzi della prima ora (o il Renzi1, come si definì lui stesso) non l’avrebbe mai fatto.

Cercare di gettare fango e screditare un giornale che ti critica, oltre che odioso è anche idiota. Il giochino del titolo più brutto è qualcosa di indigeribile, allo stesso livello di quando Grillo indice il concorso per votare il lecchino del giorno e il giornalista da mettere nel mirino.

Non può MAI essere un politico o un partito a giudicare le critiche di un giornalista, giudizio riservato esclusivamente ai suoi lettori (o a un giudice, in caso pubblichi cose false o diffamatorie).

Chi lo fa, o pensa di poterlo fare, ha già in mano la bottiglia dell’olio di ricino.

 

 

Leopolda: il nulla elevato a “convenscion”

matteo-renzi-festa-unità1       Preambolo:  Renzi, nell’interminabile monologo in chiusura della Leopolda ha detto, in riferimento al signore che si è suicidato perché aveva perso tutti i risparmi grazie al suo decreto salvabanche, che  “personalmente gli fa schifo chi strumentalizza i morti”.
In questa foto alle spalle di Renzi che ha fatto da scenografia al suo intervento durante l’ultima festa dell’Unità campeggia la foto di Aylan, il bambino siriano morto sulla costa turca che ha fatto il giro del mondo.
Renzi l’ha voluta alla sua festa dell’Unità, scegliendo di mostrare la foto del bambino vivo anziché morto come lo abbiamo visto dappertutto, probabilmente per non farsi troppo schifo di persona personalmente. 

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Tre giorni di rottura di coglioni diffusa per cielo terra e mare per dire che “loro” sono l’ammmòre e chi non è con loro è odio e disfattismo.

Cambiano le facce ma gli slogan no, difficile vedere la differenza fra la‪ #‎Leopolda6‬, un congresso di forza Italia e una riunione di scientology.
Matte’, cala che vendi. Forse.

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Quando berlusconi promulgò l’editto di Sofia per cacciare Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Michele Santoro dalla Rai non disse esplicitamente che andavano cacciati, si limitò ad affermare che i tre facevano “un uso criminoso del servizio pubblico della Rai”, all’epurazione ci pensarono i funzionari addetti ai lavori sporchi dei regimi. berlusconi era già a metà della sua opera ma iniziava a sentire aria di disfatta e le certezze che la magistratura non sarebbe arrivata a depotenziare la sua attività “politica” si facevano sempre più flebili: Renzi in meno di due anni di presidenza del consiglio [abusiva] in fatto di stampa e informazione ha già criticato pesantemente tutto il criticabile. I talk show sono “inutili” solo quando non invitano lui ad esaltare le sue magnifiche riforme e i giornali, nella fattispecie uno, sono cattivi quando non si trasformano in velina del partito unico.
Il segno che il globetrotter delle balle “ripetute finché non diventano la verità” non si sente poi così sicuro.
Dalla classifica “ironica” dei quotidiani chiesta da Renzi in persona alla sua leopolda mancano l’Unità con annesso rondolino e Repubblica: in un paese normale questo sarebbe il sintomo che sia l’Unità sia Repubblica non fanno il loro dovere di controllori del potere, in questo invece diventano il pulpito della verità. Cambiano i nomi ma non il metodo, cambia – forse – lo stile ma non le intenzioni, si ammanta di falsa giovinezza, di rottamazione inesistente l’interesse primario della politica, ovvero tentare di silenziare il dissenso in qualsiasi modo, anche con la seduzione di un “giochino innocente” come quello di fare la classifica dei quotidiani meno servili durante la kermesse privata del partito del presidente del consiglio.  Non è vero che il dissenso non può a sua volta essere criticato per forma, sostanza, toni e linguaggio solo però nel paese normale non è compito dei presidenti della repubblica, di quelli del consiglio, dei capi dei partiti né dei movimenti di popolo: non devono essere loro a decidere chi può stare e chi invece sarebbe meglio che andasse perché non risponde alle esigenze del governo, del partito e del movimento.
Gli unici a decretare il successo, l’insuccesso e la credibilità del quotidiano come del talk show sono i lettori e gli spettatori, non quelli che per ruolo dovrebbero essere i controllati dall’informazione mentre qui diventano i serviti e riveriti da chi dovrebbe far loro le pulci ogni momento. Dover parlare ancora di questo argomento è nauseante ma temo che visti i tempi sarà ancora necessario farlo.

Il giornalismo serio che ha a cuore la sua mission che non è fare favori al potere si sarebbe dissociato dal giochino di Renzi, avrebbe detto: signori miei, ma anche signore mie, qui abbiamo un capo del governo che, forte del suo strapotere che [rispetto a berlusconi] nessuno gli contesta, così come non si contesta la sua azione politica [così come si faceva con berlusconi], ha deciso che un giornale non può più criticarlo, anche se nei fatti Il Fatto è l’unico che lo fa.
Poi va bene, del Fatto Quotidiano si possono criticare i toni, spesso anche certi termini, si può dire anche che sia un giornale fazioso, esattamente come lo sono tutti gli altri perché questo fa parte dello stile e della linea editoriale che ogni giornale e giornalista danno al loro lavoro.
Quello che non fa parte di nessun paese mediamente sano, discretamente civile sono i presidenti del consiglio, capi non solo del governo ma nel caso di Renzi anche del partito che si è dichiarato unico portatore della migliore politica, l’unica alternativa, che aizzano la folla contro giornali e giornalisti.
Immaginatevi se lo facessero la Merkel, Cameron, Hollande, se Obama, come spesso ha fatto Napolitano proprio rivolgendosi al Fatto Quotidiano si mettesse a dare giudizi su giornali e giornalisti.
In nessuna democrazia sarebbe possibile una cosa del genere, in Italia invece non è solo l’eccezione ma proprio la regola.

Disastro Leopolda e attacchi al Fatto: Renzi non ne indovina una

Fuori dalla ‎Leopolda‬ molti hanno rifiutato le copie del ‪Fatto Quotidiano‬ distribuite gratuitamente.
I piddini, specialmente renziani quindi leopoldi non sanno fare niente gratis.

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Il comunicato di direzione e redazione

Saviano, la Boschi e il tradimento dei chierici servi

Il peggiore resta comunque Bersani che pur riconoscendo valide le argomentazioni di Saviano [non fanno una piega: testuali parole] ha detto che la Boschi non si tocca, che chiedere le dimissioni è “esagerato”.
Esagerato rispetto a cosa, se si può dire?

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Vota lo scontrino dell’anno – Marco Travaglio, 13 dicembre – Il Fatto Quotidiano

Che un bimbominkia si diverta a far votare dai compagnucci della parrocchietta Leopolda il peggior titolo di giornale fra una gamma di 16 (di cui 11 del Fatto), ci può stare: ciascuno si diverte come può, specie se è affetto dalla sindrome di Peter Pan e a 40 anni suonati indossa ancora il chiodo di Fonzie e, abbandonati la playstation e il calciobalilla dopo la scomparsa di Orfini, si riduce a giocare ai trenini immaginari in una vecchia stazione in disuso. Il problema, semmai, è che il bimbominkia fa pure il segretario del primo partito italiano e, incredibile ma vero, il presidente del Consiglio. E dovrebbe occuparsi, anziché dei titoli di giornale, dei titoli tossici spacciati dalle banche amiche di suo padre e di papà Boschi a migliaia di risparmiatori finiti sul lastrico o indotti al suicidio. Ma il premierminkia va ringraziato per il giochino di società ideato dal suo trust di cervelli nel tentativo disperato di resuscitare una Leopolda morta e sepolta, dove nessuno dei Vip millantati alla vigilia ha voluto farsi un selfie con lui e la sua presunta nuova classe dirigente ggiovane e fichissima consiste in qualche vecchia cariatide quattrostagioni e in parecchie sciure in botox, pelliccia e menopausa.
Davvero non c’era miglior modo per illustrare a chi non l’avesse ancora capito il suo concetto di libera informazione. Si dirà: anche Grillo, due anni fa, inaugurò sul blog il terrificante concorso “Il giornalista del giorno”, facendo di tutt’erba un fascio fra chi doverosamente lo critica (noi compresi) e chi meno legittimamente lo diffama con accuse calunniose e notizie inventate. Vero. La differenza è che Grillo è all’opposizione, per sua fortuna sprovvisto di giornali, tg e reti televisive. Renzi è il capo del governo, dispone di un giornale di partito ufficiale e molti altri ufficiosi, nonché di tre quarti di Rai e mezza Mediaset al suo servizio. Sopravvivono purtroppo in tv un paio di talk show liberi, subito da lui additati e dai suoi giannizzeri manganellati, e in edicola una manciata di testate che non gli leccano il culetto. Il che per lui è francamente insopportabile. Tant’è che gli 11 titoli del Fatto messi alla berlina come “balle” dalla sua Top Eleven contengono altrettante verità indiscutibili e note a tutti: come spieghiamo in dettaglio a pag. 2, è purtroppo vero che molti insegnanti han dovuto emigrare lontano da casa per uno straccio di lavoro malpagato, che il Jobs Act non ha prodotto le centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro annunciati, che da mesi i sondaggi sui 5Stelle inquietano il Pd.
Ed è indiscutibile che il governo Renzi è stato puntellato infinite volte dal soccorso azzurro di B. (per non parlare di Verdini), che l’articolo 18 è stato smantellato malgrado l’impegno contrario del premier, che Landini è diventato la bestia nera di Renzi e così via. E il fatto che il premier contesti proprio i titoli più veritieri, senza smentirvi eventuali falsità o inesattezze, la dice lunga sulla sua attitudine congenita alla bugia e sulla sua allergia patologica alle critiche argomentate e documentate. Si replica il triste copione del regime berlusconiano, quando i pochi giornali e giornalisti liberi venivano messi alla gogna con editti più o meno bulgari e liste di proscrizione. B. comandava sugli editori, nominandoli o ricattandoli: infatti riuscì a far cacciare Biagi, Luttazzi, Santoro, Freccero, Massimo Fini e tanti altri dalla Rai, poi De Bortoli dal Corriere, poi Fazio e Lerner da La7, infine Colombo e Padellaro dall’Unità con la gentile collaborazione dei Ds. Lo stesso fa o tenta di fare oggi Renzi, con una piccola differenza: che da sei anni esiste un quotidiano – il nostro – che non risponde a nessun padrone fuorché ai suoi lettori e non prende soldi dallo Stato né da banche né grandi imprese, ma solo da chi lo acquista in edicola o vi si abbona. Per questo Renzi ci mette nel mirino: perché non riesce a metterci in riga. Il suo modello di giornalismo sono le penne alla bava che alle conferenze stampa, anziché fare domande, lo applaudono. I vecchi trombettieri craxiani, dalemiani e berlusconiani riciclati dal renzismo all’insegna della rottamazione. Il Johnny Riotta che a Cernobbio fa il capoclaque invocando “un bell’applauso per il presidente Renzi, lo racconterete ai vostri nipoti!” e subito ottiene un bel programma in Rai (peraltro clandestino). Il Vespa che paragona la Boschi a Santa Teresa d’Avila (quella del Bernini) e poi presenta il suo ultimo capolavoro prima con Renzi poi con la Boschi.
Ma il suo modello supremo è la “nuova” Unità, riesumata (che Dio lo perdoni) per rendere meno dolorosa l’assenza della Pravda, ma soprattutto della stampa satirica e umoristica, con titoli di prima pagina – quelli sì – da affissione: “Roma Caput Mundi”, “Dio benedica Francesco”, “Ci vediamo in piazza”, “Il clima è già bollente”, “L’Italia è già in prima linea”, “Italia Coraggio”, “Come vincere la guerra”, “Allons enfants”, “Mai più precari”, “Siamo stati promossi”, “Forza Sud”, “Bentornata fiducia”, “Migranti, l’Europa parla italiano”, “Expo, ha vinto l’Italia”, “È scattata l’ora legale”, “E le tasse vanno giù”, “Fuori dal tunnel”. Solo per limitarci all’ultimo bimestre. Roba che non solo Antonio Gramsci, ma anche Emilio Fede e perfino Alessandro Pavolini sarebbero arrossiti un po’. Però a Renzi proponiamo un patto. Noi, appena ci regge lo stomaco, siamo pronti a titolare a caratteri cubitali un impetuoso “Va tutto bene”. Lui però, in cambio, si decide a pubblicare le note spese delle sue cene “istituzionali” (come no) da sindaco di Firenze a carico dei contribuenti. Così potremo finalmente lanciare il grande concorso “Vota anche tu lo scontrino dell’anno”. Ci fa sapere?

Lo zero virgola

Sottotitolo: da “ce lo chiede l’Europa” a “ce lo ha chiesto l’isis” è un attimo. 

Bisogna cominciare a decidere se la lotta al terrorismo passa per qualche rinuncia dei vivi o se è meglio sacrificare altri morti alla causa.
Ovvero se si può cominciare a pensare di smetterla di giustificare per questioni economiche le alleanze coi paesi come l’Arabia e le strette di mano dei governanti europei ai re sauditi che applicano la stessa sharia violenta e criminale dei terroristi, che hanno molte responsabilità nell’espansione del fondamentalismo che uccide solo però, siccome loro hanno soldi e petrolio ci si va col sorriso sulle labbra.
Bisognerebbe essere persone serie, ecco.

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ATTENTATI PARIGI, TRAVAGLIO: “ARMIAMO PAESI CHE PRIMA O POI CI SPARERANNO CONTRO”

Parigi e le (orribili) verità che ci vengono nascoste

Terrorismo, sicurezza e libertà personali: perché occorre vigilare di fronte alle leggi speciali invocate dai politici

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Chissà chi ha deciso che lo zero virgola niente è niente se investito nella lotta al terrorismo mentre lo stesso zero diventa una cifra spropositata se si tratta di prevenire altre stragi e tragedie.
Chi ha deciso che i morti di terrorismo sono più morti di chi viene inghiottito nel fango di un nubifragio e del ragazzino ammazzato dal soffitto della scuola. Se sono più morti dei suicidati di equitalia.
O se sono più morti di chi non viene curato in tempo, soccorso in tempo perché mancano i servizi essenziali che proprio non si possono far uscire dallo stesso zero virgola su cui si può sorvolare per motivi di sicurezza. 

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•ATTENTATI PARIGI, RENZI: “NO LEGGI SPECIALI E MODIFICHE A CARTA. NIENTE REAZIONI DI PANCIA. MA PIÙ SOLDI A SICUREZZA”

“Figurarsi se uno sta attento allo ‘zero virgola’ sulla sicurezza. Quello che vale per la Francia varrà anche per l’Italia”.

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Il keynesismo del terrore – Massimo Rocca – Il Contropelo di Radio Capital

Ma a quanto sta il cambio tra i morti di terrorismo e i disoccupati? Capisco che la domanda sembri blasfema. Però la risposta mica tanto. Come sapete la Francia ha annunciato che sforerà i limiti di Maastricht e del Fiscal Compact, ancor più di quanto abbia fatto finora, perchè deve assumere forze dell’ordine e potenziare la sicurezza. Juncker, senza consultare nessuno, ha detto di sì, anzi ha esteso lo sforamento a chiunque voglia fare altrettanto. E’ insomma la realizzazione del paradosso di Krugman, per uscire dalla recessione mondiale ci vorrebbe la guerra coi marziani. E ovviamente bene fa la Francia e bene fanno tutti a difendersi. Ma chi ha stabilito che 130 morti, strazianti e straziati, in un attentato valgono come emergenza più di tre milioni di disoccupati da cinque anni? Perché per evitare quello, giustamente, si può spendere, ma non si può evitare di scacciare di casa i greci che non hanno più i soldi del mutuo? Perché lo stato è la soluzione e non il problema per le pallottole e i Rafale e non per i morti da frane o da incidenti all’Ilva? Perché si possono assumere diecimila poliziotti e non o anche diecimila ricercatori?

 

 

Una brutta storia e un pessimo precedente

Per correttezza aggiungo il link dove si può leggere la replica dell’avvocato di uno dei sei, anzi in origine erano sette, prima condannati poi assolti perché pare che le cose siano un po’ diverse da come ce le hanno raccontate certa cronaca e certe blogger. 

Stupro Firenze, legale del ragazzo assolto: “Sedicente vittima non attendibile”

Sottotitolo: non apprezzo sempre Eretica, la blogger del Fatto Quotidiano e di Abbatto i muri perché spesso è esageratamente estremista e nel dibattito ottiene il risultato opposto da quello che credo si augura quando scrive attirandosi una serie infinita di commenti negativi, ma chi ne ha voglia può dare un’occhiata alle repliche di questi due suoi post per capire l’aria che tira, specialmente nel solito Fatto Quotidiano dove c’è gente alla quale andrebbe interdetto l’uso di un computer collegato alla Rete.

Inutile denunciare uno stupro 

Stupro, quella perversa abitudine di processare la vittima

Chi beve due birre e viene fermato ai controlli rischia il ritiro della patente per aver superato il tasso alcolemico consentito per guidare, ma per i giudici di un tribunale una donna può essere abbastanza ubriaca ma non tanto da non poter rifiutare un rapporto sessuale, sei rapporti sessuali, con sei uomini diversi che hanno approfittato di lei PROPRIO perché era in quella condizione. 

Per me invece, nel paese normale e civile una donna si può rifiutare sempre, anche se prima dice sì e nel frattempo cambia idea, anche se invece del rapporto occasionale è quello col partner fisso: il compagno, il marito.
Anche se quella donna è di facili costumi, si butta via col primo o la prima che capita ha il diritto di scegliere lei: da senziente e sobria. 

Sono fatti miei se la mia è una vita “non lineare”, finché i miei comportamenti non danneggiano, non costituiscono un pericolo sociale o un reato.


E non c’è nulla con cui si può giustificare la “presenza a se stessa” che possa obbligare una donna a dover accettare quel rapporto come consenziente, far decidere a dei giudici che l’uomo o gli uomini che hanno approfittato di lei sono da assolvere con una sentenza dalla motivazione morale che punisce lei anziché con un giudizio penale.

Noi donne non siamo innocenti per genere, assolutamente.  E’ capitato che delle donne accusassero uomini per vendicarsi di qualcosa e prima di condannare un uomo per stupro bisogna che ci sia la certezza che violenza c’è stata. Ma di questa sentenza mi ha dato oltremodo fastidio il giudizio morale, dire che la ragazza ha acconsentito per una sua momentanea debolezza, fragilità ma non si può parlare di violenza vera e propria.

Se quella debolezza anziché dall’alcool fosse derivata da dei medicinali che riducono la soglia di attenzione come si sarebbero comportati quei giudici?

Il problema è il solito ed è tutto e solo italiano:  nei confronti delle donne c’è sempre quella irresistibile tendenza a giudicarle per come si vestono, si truccano, si muovono, se escono di sera, se dicono le parolacce oppure no, se vanno solo con un uomo o con tanti anche contemporaneamente o, come in questo caso  una donna non ha potuto provare di essere abbastanza reattiva di fronte ai sei che hanno approfittato di lei. Non aveva un graffio, non c’erano evidenti segni di una qualche reazione e quindi per la giustizia e per lo stato è tutto a posto.

Un po’ come quando la Cassazione stabilì che coi jeans è impossibile la violenza.

Una  donna può anche decidere di volersi concedere a dieci uomini per volta, ma  lo deve fare consapevolmente, e di fronte ad una denuncia per stupro un giudice non può accampare come motivazione per una sentenza quella che se detta in altra sede verrebbe considerata una semplice opinione.

Dal blog Al di là del Buco

Le motivazioni della sentenza di assoluzione ai sei accusati (dapprincipio) dello stupro di gruppo alla Fortezza da Basso di Firenze hanno fatto molto discutere. Per il moralismo evidente e perché il giudizio sulla vita privata e sessuale della ragazza sembrerebbe la motivazione principale che ha indotto i giudici a non crederle. Di fatto i sei, condannati in primo grado, sono stati assolti in secondo grado. Sulla sentenza vi rimando al pezzo su Il Fatto Quotidiano che descrive alcuni dei motivi per cui i giudici hanno assolto i sei. Nel frattempo, mentre il web si divide in innocentisti e colpevolisti, è arrivata la mail della ragazza che ha denunciato lo stupro. La pubblico, così com’è.

Firenze: Fortezza significa forza. Adesso non più!

Di influencers, propaganda, par condicio e del Fatto Quotidiano

Sottotitolo: chi critica Renzi è un odiatore di professione, disfattista, gufo, un portajella sicuramente plagiato dal guru di sant’Ilario che si ostina a non capire quanto stia facendo bene il suo governo, altrimenti non si spiegherebbe come mai non è riuscito a farsi sedurre dall’aitante quarantenne.
Un po’ come succedeva prima con berlusconi: chiunque lo criticava era un comunista, cosa che ha ripetuto talmente tante volte che i comunisti alla fine si sono stufati e sono spariti dalla circolazione per non farsi importunare più.
Mentre nella questione delle pensioni criticare la toppa peggiore del buco spacciata per manna del cielo elargita dal Salvatore di Rignano, un provvedimento che, vale la pena di ricordare, Renzi è stato costretto a prendere per correggere l’errore della Fornero che poi ha incolpato Monti sanzionato dalla Consulta significa gioire per chi gode del privilegio di una pensione milionaria.
Questo è il livello del dibattito da social media, un livello, penoso, pietoso rivoltante, privo del benché minimo senso di rispetto per chi aveva ed ha delle idee indipendenti da chi si è seduto e siede in parlamento.

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Ai Renzimaniaci non sta più bene la legge sulla par condicio.

Ora che a beneficiare della violazione della regola è il loro idolo, difendono a spada tratta il presunto diritto di Renzi di invadere tutti i programmi televisivi in cui non dovrebbe andare, ad esempio quelli di intrattenimento come L’Arena di Giletti.
Eppure la legge è chiara: durante la campagna elettorale è fatto espressamente divieto ai politici di partecipare alle trasmissioni di intrattenimento.
Il siparietto di Giletti è inserito in un programma definito “contenitore”, un programma per le famiglie che non è un approfondimento politico.
Ma agli squadristi diffamatori a libro paga che commentano nel Fatto Quotidiano, evidentemente nostalgici dei bei tempi in cui Bongiorno, Vianello e la Mondaini – pace alle anime loro – potevano invitare a votare per silvio durante il varietà senza nascondersi nemmeno dietro alla metafora questo non sta bene, e allora i tapini si chiedono “perché Di Battista da Floris sì ma Renzi a Domenica in, a farsi intervistare dal fidanzato della Moretti, onorevole piddina candidata in Veneto, no”.

L’assurdità è che quelli che vanno in giro per la Rete appositamente per confondere, insultare chiunque si dissoci dal pensiero unico del partito unico della nazione di Renzi alla fine risultano più credibili di chi scrive a ragion veduta.

Questa forma di squadrismo moderno è pericolosa e violenta. Bastano una manciata di persone che si organizzano per annullare anche la pura verità. Non è possibile che si permetta a questa gentaglia di divulgare menzogne su tutti i muri della Rete in virtù del presunto diritto ad esprimere un’opinione. Le balle, le bugie, le menzogne, la diffamazione e le calunnie rivolte agli interlocutori non sono opinioni. E la moderazione del Fatto Quotidiano si rende protagonista dello squadrismo non censurando le menzogne, gli insulti ma le repliche alle une e agli altri.

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Vero che l’Italia è notoriamente un paese fatto di una grande maggioranza di persone con la memoria corta che in una settantina d’anni ha consegnato il paese a mussolini prima e a berlusconi dopo, Renzi che una maggioranza non l’ha però la doveva avere a tutti i costi si è piazzato a palazzo Chigi grazie ad una volgare manovra di palazzo [ché a chiamarla golpe, il terzo in meno di tre anni c’è il rischio che qualcuno cada dalla sedia] ma è inconcepibile, scandaloso, vergognoso che la questione della par condicio puntualmente tirata dentro il dibattito nei lunghi anni in cui a palazzo Chigi c’era berlusconi oggi venga praticamente ignorata anche da quelli che ieri strepitavano, squittivano e strillavano contro berlusconi che, chiamalo scemo, ha approfittato di quello che la politica gli ha messo a disposizione.
Gli stessi che oggi stanno collaborando attivamente alle continue violazioni di una regola importante e che ristabilisce un po’ di giustizia e uguaglianza commesse da Renzi &Co., di una legge voluta dalla politica, fatta dalla politica per arginare l’abominevole conflitto di interessi di berlusconi, al quale però nessuno ha pensato di mettere un tetto: con una legge contro i conflitti di interessi non sarebbe servita nemmeno la par condicio.
Qualche anno fa il concertone del 1 maggio fu trasmesso in differita e non in diretta proprio per evitare il rischio che, in concomitanza delle elezioni, dal palco qualcuno potesse dire cose che le avrebbero disturbate, oggi abbiamo un presidente del consiglio eletto da un parlamento di nominati grazie ad una legge illegale, anticostituzionale, che può farsi beffe di leggi e regole e nessuno, a parte i pochi soliti noti eversivi e sovversivi amanti della verità fa un fiato.

Di influenze, propaganda e libertà di espressione

Sottotitolo: potenzialmente tutti possono diventare un punto di riferimento per il proprio settore, potenzialmente tutti possono crearsi uno spazio in cui sparare cazzate. [Veronica Gentili]

Preambolo: anch’io, in misura piccolissima, minima rispetto ai grandi opinion makers del web ho una piccola cerchia di persone che mi legge, mi segue e che sulle cose importanti è d’accordo con me, perché se è vero che il contraddittorio non prevede l’assenso sempre e comunque è  normale ed inevitabile che relazionarsi ogni giorno con continuità da una pagina web permette che si crei un’affinità, che le persone poi si ritrovino in quei concetti che dovrebbero essere universalmente riconosciuti come l’antifascismo, l’antirazzismo, il contrasto ad ogni forma di discriminazioni e violenze anche verbali. Ecco perché so di avere una responsabilità circa le cose che scrivo, che non posso mettermi davanti al mio computer e impiastrare questo blog e la mia pagina facebook di sciocchezze,  non posso istigare le persone che mi leggono con la persuasione malsana finalizzata a dirottare il  pensiero e incentivare reazioni violente e volgari. So che è mio dovere mettermi sempre di traverso davanti a chi nascost* dietro un nick ma anche disinvoltamente con nome e cognome usa la Rete per esprimere violenza e volgarità gratuite. Non sono mai stata d’accordo sulla teoria che in Rete è come fuori. Nella vita di tutti i giorni non ci si pone verso gli altri con la disinvoltura con cui molti lo fanno qui potendo contare sull’immunità. Prima di dire “puttanella succhiacazzi” in faccia a una ragazzina che per età potrebbe essere una figlia ci penserebbero. Non sarebbe possibile rovesciare le proprie frustrazioni sui colleghi di lavoro, in famiglia e con gli amici senza pagarne le conseguenze. E quello che manca qui è proprio la conseguenza,  l’assunzione di responsabilità, tutto diventa permesso in virtù della libera espressione del pensiero anche quando diventa oltraggio e  violenza. Una violenza da cui non sempre è possibile difendersi, non tutti abbiamo gli strumenti che può avere ad esempio il personaggio politico e quello pubblico, non per evitare di subire l’aggressione virtuale ma per obbligare all’assunzione di responsabilità quelli che pensano di avere un diritto all’offesa e all’oltraggio.

In un mondo sempre più dipendente dalla Rete è molto più facile orientare le opinioni di quanto lo sia stato quando le informazioni circolavano solo attraverso la carta stampata; l’opinionista, il giornalista oggi hanno meno potere di quanto ne abbia chi ogni giorno si esprime nei social e riesce ad acquistare una considerevole quota di consensi. 

Mille, duemila, cinquemila persone che fanno parte di liste di chi apre un account nei social e che ogni giorno si connettono a facebook, a twitter non solo per seguire quei siti che divulgano l’informazione ufficiale, quella che poi leggiamo anche nelle versioni cartacee dei quotidiani ma anche per andare a vedere cosa ha scritto quell’utente che, perché ha un sacco di gente che lo o la segue deve essere sicuramente affidabile.
Tutto questo fa sì che quell’utente diventi nel tempo un riferimento, le sue parole vengono condivise, fatte proprie, acquistano un’autorevolezza.
Molto spesso poi l’utente famoso, quello delle bacheche dei 5000 è la stessa persona che leggiamo in blog seguitissimi o in rubriche radiofoniche e televisive che trattano l’informazione riuscendo così ad ampliare il suo raggio di “influenza”.
Nella maggior parte dei casi queste persone agiscono in buona fede, ovvero fanno quello che fa qualche miliardo di persone ogni giorno in Rete: esprime i suoi punti di vista che si possono condividere o meno, confutare o prendere per buoni così come sono, ma c’è un sottobosco di “influencers” che non opera affatto in questo senso.
C’è una consistente presenza fissa nei siti online dei quotidiani e nei social, persone che scrivono sulla pagina pubblica del politico e del giornalista e che lo fanno su commissione, scendono ogni giorno nell’arena del web con lo scopo preciso di orientare le opinioni, fanno propaganda.
E questo costituisce un pericolo sì ma fino a un certo punto, chi conosce un po’ le dinamiche web sa benissimo dove andare ad attingere per informarsi e quali utenze meritano considerazione e attenzione. Impara a leggere e a selezionare. Io ho un contenzioso aperto da anni con la moderazione del Fatto Quotidiano on line dove si lasciano passare commenti violenti, offensivi e si censurano quelli che provano a restituire un livello civile alla discussione. L’influencer lo fa lo stesso media che poi ricava dei guadagni. Più gente entra in un sito e più il sito guadagna. Una discussione civile in Rete non “acchiappa”, è noiosa, mentre lo scontro, il botta e risposta attirano e invogliano a partecipare.
Ma che succede quando l’influencer è il segretario di un partito politico?
Prendiamo ad esempio il caso della liberazione di Greta e Vanessa ma anche la strage di Parigi: senza l’ossessionante martellamento di salvini circa le paure per “i milioni di tagliagole pronti ad ammazzarci tutti” e “lo schifo per il pagamento del riscatto” ci sarebbe stata lo stesso l’escalation di commenti violenti e incivili verso i musulmani che non sono terroristi e le ragazze colpevoli al massimo di ingenuità?
Io dico di no, perché il pericolo non è costituito soltanto dalle parole irresponsabili di salvini che mirano a fare cassa nel suo elettorato, sono parole che poi anche a fin di bene e col solo scopo di contrastarle e dissociarsene vengono condivise, riprese, fatte circolare in ogni dove.
Ed è lì che scatta l’influenza in grado di orientare, quando certe parole vengono lette da chi non ha un’opinione precisa su un fatto e leggendo che salvini alla cazzata razzista quotidiana prende due o tremila likes, colleziona migliaia di condivisioni potrebbe avere ragione quando dice e scrive che ai confini dell’Italia sono pronte orde di terroristi che verranno ad ammazzarci tutti, quando apparentemente in buona fede chiede se la gente “ha paura” oppure quando dice, da tutte le ribalte che i media e il mainstream gli mettono ogni giorno a disposizione, scrive nella sua pagina facebook che gli fa schifo che gli italiani abbiano contribuito con una cifra irrisoria a salvare la vita di due ragazze di poco più di vent’anni.
Quindi attenzione a vantarsi di “essere Charlie” e libertari tout court pensando che sia giusto e doveroso lasciare la libertà anche al segretario di partito che diventa un troll per opportunismi suoi di poter istigare alla violenza e procurare allarmi in un paese intero.
Io, rispetto a salvini e quelli come lui non sarò mai Charlie, non per censura ma per autodifesa.

La parola vigliacca – Massimo Gramellini

Quando i messaggi in Rete divennero di uso comune, noi fanatici della scrittura vivemmo un momento di rivalsa. L’oralità trionfante cedeva sorprendentemente il passo a una comunicazione meno spudorata, che avrebbe consentito anche ai timidi e ai riflessivi di fare sentire la propria voce nella piazza dell’umanità. Mai previsione è stata più stropicciata dalla realtà. Che si parli della malattia di Emma Bonino o della liberazione delle ragazze rapite in Siria – per limitarsi agli ultimi giorni – sul web si concentra un tasso insostenibile di volgarità e di grettezza. Una grettezza cupa, oltretutto, raramente attraversata da un refolo di ironia. 

Non mi riferisco al merito dei commenti. Nell’Occidente di Charlie ciascuno è libero di esprimere le opinioni più urticanti, purché rispettose della legge. No, è la forma dei messaggi che corrompe qualsiasi contenuto. Una radiografia di budella, una macedonia di miasmi, una collezione di frasi impronunciabili persino con se stessi. Nessuna di queste oscenità pigiate sui tasti troverebbe la strada per le corde vocali. Nessuno di quelli che per iscritto augurano dolori atroci alla Bonino e rimpiangono il mancato stupro delle cooperanti liberate avrebbe la forza di ripetere le sue bestialità davanti a un microfono o anche solo a uno specchio. La solitudine anonima della tastiera produce il microclima ideale per estrarre dalle viscere un orrore che forse neppure esiste. Non in una dimensione così allucinata, almeno. Per noi innamorati della parola scritta è una sconfitta sanguinosa che mette in crisi antiche certezze. Per la prima volta guardo il tasto «invio» del mio computer come un nemico.  

 

Liberté, égalité, fraternité e laïcité

 

Mercoledì 14 gennaio il nuovo numero di Charlie Hebdo sarà in tutte le edicole italiane in allegato a il Fatto Quotidiano. È il nostro modo di essere vicini e di esprimere solidarietà alla redazione del settimanale francese sanguinosamente colpito dalla strage di Parigi e di testimoniare tutto il nostro amore per la libertà di espressione e dunque di satira. Ringraziamo gli amici di Charlie Hebdo, e quelli di Libération che li ospitano nella loro sede, per avere subito accolto con gioia la nostra proposta, così come quelle del New York Times per gli Stati Uniti e di alcuni altri quotidiani europei. Dal ricavato dell’iniziativa “il Fatto quotidiano – Charlie Hebdo” (in edicola al prezzo di 2 euro) trarremo una donazione per le famiglie dei colleghi giornalisti e vignettisti uccisi.

Mi fanno molto ridere quelli che condannano la violenza ma non la libertà di potersene fregare allegramente del rispetto per la religione imposto con la legge, o sotto la minaccia del terrore e iniziano e finiscono i loro bei discorsetti con la frasetta di circostanza: “lo dico da ateo, o atea”.
Provate a sostituire l’aggettivo “ateo” con “laico”, perché la libertà che si difende non è atea e non è religiosa ma è laica, ovvero di tutti: degli atei e dei religiosi.
La laicità è una cosa meravigliosa proprio perché garantisce la libertà di tutti, non solo di qualcuno o di nessuno. La laicità è quella cosa che ci permette di prendere le distanze dal fanatismo, dal simbolo sotto il quale si sono sempre riparati tutti quelli che credendo nel loro Dio pensano di avere dei diritti in più di chi non crede – perfino delle leggi speciali a tutela della creduloneria popolare – ma è comunque costretto a sottostare, subire non solo la visione di quei simboli in luoghi dove non devono stare ma anche la negazione dei diritti civili in virtù dell’ingerenza religiosa nella politica che per non offendere i cattolici più integralisti,  ma soprattutto per non perdere i loro voti,  non permette che i cittadini possano avere a disposizione la possibilità di vivere una vita più libera e più garantita nel rispetto di quelle che sono scelte personali che uno stato civile ha il dovere di riconoscere rispettandole. La laicità serve ad abbattere il falso mito di una spiritualità malata, viziata dalla suggestione e dalla soggezione, dall’ipocrisia di morali doppie e triple: basta vedere l’atteggiamento della chiesa verso i potenti anche quando sono delinquenti, tiranni, dittatori sanguinari. Serve a smontare la grande menzogna della vita bella nell’altro mondo che nessuno ci ha mai potuto raccontare  su cui si fondano le religioni: quel regno dei cieli per i cattolici,  le 72 vergini che spetterebbero di diritto al “martire” disposto a morire per difendere il Profeta. In un mondo a misura di lacità nessuno penserebbe di ammazzare gente per affermare la superiorità della sua religione sulle altre perché, come dice Gérard Biard, caporedattore di Charlie Hebdo  scampato alla strage, “sono tutte cretine allo stesso modo”.  E nel mondo normale si deve poter dire anche che le religioni, basate su delle idee e non sulle persone sono cretine senza rischiare la vita.

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Dio è incompatibile
con la democrazia
 – Angelo Cannatà per Micromega

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Quello che molti non hanno capito è che Charlie Hebdo sfotte e irride le idee, non le persone.
Che non è colpa di Charlie, di nessuna satira, letteratura né di qualsiasi arte sia stata prodotta nei secoli per far aprire la mente alla gente se a certe idee si è voluta dare la forma, la figura di divinità che non ci hanno mai fatto la cortesia di mostrarsi ma sono state create – al solo scopo di sedurre – ad immagine, somiglianza e fantasia di chi ha realizzato le religioni: la forma più violenta di controllo e sottomissione dei popoli. Ed è lì che la satira agisce, su quella forma di controllo e oppressione rappresentata non dalle figure delle varie rappresentazioni di Dio ma sulle idee, quella parola di Dio per mezzo della quale quell’oppressione e quel controllo hanno avuto, hanno ancora una ricaduta nella sfera civile, privata dei cittadini e politica delle società.
La laicità, tanto invisa a chi soprattutto in politica che nella religione trova un grande alleato e ha tutto l’interesse che si mantengano vive ed attive tutte le forme di controllo sui popoli, ha proprio la funzione di smontare la veridicità di teorie che non hanno nessun fondamento né riscontro nella vita reale, di conseguenza non permettere che abbiano la possibilità di essere usate per controllare ed opprimere, ordinare, modificare, obbligare, imporre uno stile di vita basato su un senso etico e moralisteggiante tipico delle religioni che vorrebbero imporre un senso uguale per tutt*. Teorie che non hanno, invece, nessun diritto di invadere la vita reale fatta di persone diverse che il senso alla loro vita lo danno nel modo che vogliono: ognun* il suo.
Il laico non dice di non credere in Dio, dice: credi pure nel tuo Dio ma fai in modo che resti una cosa tua, un sentimento di fede privato che non deve interferire nella vita di tutti del mondo reale condizionandola.
Cosa che invece le religioni fanno in assoluta libertà sostenute proprio dalle politiche che dovrebbero mettere una diga fra le faccende di stato e quelle inerenti la religione. La responsabilità dei cosiddetti scontri di civiltà che non si limitano alla messa in discussione delle idee ma provocano violenza e morte è quindi soprattutto politica, di gente irresponsabile che per opportunismi e interessi politici, economici invece di chiudere la diga l’ha spalancata senza curarsi delle conseguenze.

Nota a margine: dare ad una persona esistente le fattezze fisiche di una scimmia come ha fatto l’imbecille leghista con l’ex ministro Kyenge non è satira, è razzismo becero, perché nel momento in cui si paragona la persona alla scimmia non si sta contestando il suo pensiero ma si vuole offendere e denigrare proprio la persona mettendola ad un livello inferiore, quello di un animale.
E chiunque abbia bene chiaro in mente cosa significano la discussione, il dibattito, la critica sa benissimo che tutto questo non può e non deve mai riguardare la persona ma solo e soltanto il suo pensiero.
Non esiste il diritto al rispetto per le idee, un’idea diventa rispettabile quando trova appunto riscontro nel concreto, quando costruisce, quando è finalizzata al bene, esiste però quello per le persone ed è inalienabile, ecco perché viene garantito e tutelato dalla legge.

Napoli -1 – stato italiano 0

Sottotitolo: nella “policy” del sito del @fattoquotidiano non è specificato che replicare a qualcuno “stai zitta” [e magari fosse solo questo] è offensivo ma in compenso si può scrivere, in assoluta serenità accumulando anche un discreto numero di likes, che la morte di una persona è da derubricare alla “selezione naturale”, perché tanto se Davide non era ancora un delinquente lo sarebbe diventato di sicuro.
Il metodo Lombroso applicato alla conversazione via web e anche al pensiero della feccia immonda che straripa in quel sito e che viene lasciata libera di insultare i vivi e i morti.

Nella vita tutto può succedere, trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, fare la cazzata, incontrare il pazzoide che ti ammazza con un machete, che su questa terra siamo troppi ce lo ricordano tutti i giorni i fatti di cronaca. 

A stare stretti poi si deve sgomitare per farsi spazio, altroché le campagne per incentivare la natalità.
Quello che però mi colpisce sempre, mi rattrista e mi preoccupa sono le reazioni qui alle cose che succedono.
Più i fatti sono seri e andrebbero sollevati col dovuto rispetto specialmente quando si tratta di vita e di morte e più tanta gente si scatena sfoderando tutto il suo becerume, la vigliaccheria spicciola da web.
Per strada non c’è la violenza che si legge qui, io con la gente ci parlo.
Qui è tutto esasperato, elevato al massimo del peggio.
A me questo non piace, non mi adeguo e non mi abituo. Ho letto delle cose che non si dovrebbero far passare come semplici opinioni. Il pensiero violento non è mai opinione. E se non si combatte la violenza nel pensiero è inutile fare tutto il resto per cercare di trasformare questo in un paese un po’ meno malato, di cattiveria, ignoranza, egoismi e malvagità.

 

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 Massimo rispetto per chi nelle forze dell’ordine e i carabinieri si impegna tutti i giorni sul territorio per garantire la sicurezza, esercitare davvero la tutela dei cittadini, e lo fa in condizioni/situazioni impossibili grazie a questo stato che spreca soldi per comprare aeroplanini da guerra, per costruire inutili e devastanti opere, pubbliche solo per chi paga ma poi privatissime per chi ci guadagna e poi taglia sulle necessità primarie dei cittadini e di chi deve garantire i servizi. Ma questo è anche il paese dove le forze dell’ordine hanno abusato spesso del loro ruolo, basta pensare al G8 di Genova, a Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi e a tutti i morti di stato. Ecco perché parlare di rispetto delle regole diventa difficile se si pensa che gli autori, i responsabili e i mandanti di massacri e morte, in divisa e in giacca e cravatta non hanno mai ricevuto un’adeguata sanzione.

Mi chiedo, mentre in queste ore centinaia di persone in giro per la Rete si congratulano e si complimentano col carabiniere che ha ucciso, che razza di paese sia diventato questo, a quale livello di devastazione morale si può essere arrivati per applaudire un carabiniere che spara per ammazzare invece di pretendere, tutti insieme, di vivere in un paese dove nessuno muore per l’eccesso di zelo di un tutore dell’ordine.

E’ troppo pretendere di vivere in un paese dove non si rischia di essere ammazzati in modo accidentale?
E il pericolo sarebbero i migranti, la tbc e l’ebola?

Pietà.

Altroché la Grande Guerra, “prima me spari e poi dici chi va là”.

Qui per soddisfare la sete di giustizia, applicata solo al pianterreno perché per l’attico e il mezzanino si chiude un occhio e pure tutti e due, arriveremo agli squadroni della morte applauditi dalle folle festanti. 

La criminalità è insita nel fattore umano, appunto le società hanno previsto che la si dovesse contrastare usando l’arma del diritto, non ammazzando gente a casaccio sparando con un’arma vera.
Fra chi ha un’arma e chi non ce l’ha il torto e la ragione non sono mai divisi equamente. Mai.
Tutti bravi ad applaudire le forze dell’ordine quando ci liberano da pericolosissimi delinquenti in motorino che non si fermano all’alt, ad invocare ed esaltare il rispetto della legge, chissà poi se le stesse cose le pensano anche quando vanno a votare gente che non spara ma deruba diritti e soldi anche a chi si ferma agli stop.
Ammazzare ragazzini disarmati, per quanto possano essere indisciplinati e irrispettosi delle regole significa contrastare la delinquenza? 

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Rabbia a Napoli, un carabiniere ha ucciso un diciassettenne

E’ accaduto nella notte. Andavano in tre sul motorino, la gazzella li avrebbe speronati. Lo sparo, dice la prima versione, sarebbe partito accidentalmente. Le manette dopo lo sparo.

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Come fu per le notizie che riguardavano l’alleanza europea tra i 5stelle e Farage Il Fatto Quotidiano ha abilmente glissato sulla polemica circa l’allarme tbc lanciato dal blog di Grillo, nonostante nel frattempo siano arrivate diverse smentite da ambienti molto più autorevoli, ad esempio il sito di MSF Italia.
Non intendo riaprire il dibattito e la polemica sulle dichiarazioni fatte nel blog perché sono abbastanza nauseata da chi non si arrende nemmeno di fronte alle evidenze, da chi non sa e non vuole ammettere che una cazzata resta tale indipendentemente da chi la fa o la dice e che giustificare le cazzate o, peggio ancora volerle tradurre in qualcosa di buono non produce nulla di utile.
Sulla qualità dell’informazione cosiddetta indipendente del Fatto però sì: voglio polemizzare. Perché io Il Fatto lo compro, ho iniziato a comprarlo e leggerlo da quando è nato proprio perché mi aveva promesso di voler essere e restare indipendente: da tutti.
Ed essere indipendente da tutti non significa poi fare delle critiche all’acqua di rose, in salsa un calcio al cerchio e uno alla botte solo quando non se ne può fare a meno. I titoloni cubitali nel sito che poi raccolgono migliaia di commenti bisogna farli anche quando si deve andare un po’ contro le proprie simpatie.
Quindi, cari direttori #Gomez, #Padellaro e #Travaglio, siccome ci aspetta un periodo faticoso e un inverno più freddo del solito, capiamoci: un giornale indipendente è quello che dice, non quello che manda in seconda e in terza quello che dà fastidio ai supporters cinque stelle.

Non è una questione affatto marginale quella di Grillo e degli extracomunitari, migranti o chiunque arrivi qui da paesi in cui è impossibile vivere. Non è affatto una casualità che Grillo ogni tanto si lanci in voli pindarici pericolosi straparlando di immigrazione, sulla quale il movimento 5stelle non ha mai preso una posizione che sia davvero politica, che unisca la logistica al fattore umano, visto che si parla di persone e non di alberi di mele.
Perché lui lo sa bene che la questione immigrazione è uno dei tasti dolenti di questo paese, quello che riscuote sempre un certo successo, se se ne parla in forma negativa facendo credere che il pericolo, la malattia, la criminalità arrivano da lontano, da fuori.
Ammettendo anche che il problema sia quello che riporta Grillo, che ci sia davvero un pericolo di epidemia, una persona che fa politica anche se non è un politico di professione e che ha un seguito di gente che gli crede e che ha riposto fiducia in lui non ha forse il dovere di affrontare un problema in maniera diversa dalle annunciazioni urbi et orbi che poi scatenano l’inevitabile e infinito dibattito fra chi gli dà torto e chi si sente in dovere di giustificarlo perché, poverino, lui che di comunicazione non sa niente, sbaglia sempre la forma?
Non avrebbe dovuto consultare lui degli specialisti, esperti del settore dai quali farsi affiancare per poi informare la gente nel modo giusto?
Sarà mai possibile in questo paese uscire dalla logica del sensazionalismo da prima pagina e anche da quella patetica del “che faresti tu” e del “se capitasse a te”, visto che la maggior parte di noi fa un altro mestiere e non ha scelto di occuparsi della risoluzione dei problemi della politica, direttamente, da professionista?
Il razzismo è legato a doppio filo alla questione dei diritti: umani e civili, e il rispetto dei diritti [umani e civili] è più importante di qualsiasi altra questione, perfino dell’economia.
Chi non lo capisce, non capisce niente, ha qualcosa in meno, anzi molto meno rispetto a chi razzista non è, non solo sul piano intellettuale e culturale ma proprio umano.
Ognuno ha il diritto di avere le sue antipatie, di non sopportare qualcuno in particolare ma il razzismo è qualcosa di peggio, significa voler negare a quel qualcuno anche la possibilità di esistere. Significa individuare il pericolo solo nel “diverso” da sé, per orientamento sessuale, nazionalità, etnia eccetera, mentre nella maggior parte dei casi i pericoli li costruiscono proprio quelli uguali a noi.

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Dalla soave boccuccia di Marianna Madia, in riferimento al blocco degli stipendi degli statali, apprendiamo che chi guadagna 26.000 euro l’anno [lordi, in ogni senso] è da collocare nella categoria dei più fortunati. 26.000 diviso dodici fa poco più di 2.100 euro al mese che non è affatto lo stipendio base di uno statale.
Perché un dipendente statale da quadro ordinario a duemila euro non ci arriva nemmeno se rimane chiuso al ministero anche di notte.
Quindi sarebbe il caso che chi 26.000 euro li porta a casa immeritatamente in un mese evitasse di offendere chi paga a lei e agli incapaci come lei stipendi, che non vengono mai ridotti né bloccati, in cambio della fortuna e del privilegio di poter ancora mettere a tavola il pranzo e la cena nella stessa giornata.

Immagino che saranno molto soddisfatti i dipendenti della pubblica amministrazione che hanno votato Renzi perché gli ha messo la mancetta in busta paga e che adesso per bocca della Madia gli fa sapere che non ci sono i soldi per l’adeguamento dei loro stipendi che è fermo al 2010. Renzi poco più di due settimane fa, dopo averlo anticipato già lo scorso aprile, diceva che “il blocco salariale per i dipendenti pubblici è solo una chiacchiera estiva”.
Se Sciascia fosse ancora vivo probabilmente aumenterebbe di qualche unità le categorie in cui ha diviso l’umanità: ai mezz’uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà aggiungerebbe senz’altro i cazzari, i bugiardi per mestiere e tutti quelli che ancora oggi, in tempi ben lontani da quel giorno della civetta, si fanno fregare da persone come Renzi.
Quelli che dopo vent’anni di berlusconi non hanno saputo fiutare e intuire l’inganno e la truffa e prendere le opportune distanze dai bugiardi e cazzari per mestiere.

Fermiamo i ladri della democrazia

E’ vero che Renzi non viene disturbato dall’informazione mainstream abituata alla posizione a 90 di fronte a qualsiasi potere tenga aperti i rubinetti dei vari finanziamenti, ma è anche vero che nemmeno la societá civile riunita sotto gli ombrelli delle associazioni fa un plissè. Il popolo viola come le “senonoraquandiste” evidentemente soddisfatte di avere la loro bandiera seduta alla Camera e la giusta percentuale di quote rosa al governo. 
Quindi non serve più chiamare la piazza per difendere il paese dall’immoralitá criminale di berlusconi. Non fa paura nello stesso modo Renzi che sta cazzeggiando con la democrazia con l’intenzione di violare la Costituzione insieme ad un pregiudicato e ad un imputato molto più di quanto sia riuscito a fare berlusconi stesso.

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Le controriforme dell’Italicum e del Senato, concordate dal governo con il pregiudicato Berlusconi e il plurimputato Verdini consentono a un pugno di capi-partito di continuare a nominarsi i deputati, aboliscono l’elezione dei senatori ed espropriano i cittadini della democrazia diretta: i referendum (non più 500mila, ma 800mila firme) e le leggi di iniziativa popolare (non più 50mila, ma 250mila firme). Chiediamo ai presidenti Napolitano, Grasso, Boldrini e Renzi di sostenere solo riforme che rispettino lo spirito dei Costituenti, per una vera democrazia partecipata
Antonio Padellaro, Marco Travaglio, Peter Gomez e la redazione del Fatto Quotidiano

NO AI LADRI DI DEMOCRAZIA – FIRMA
In un’ora già oltre cinquemila adesioni

Patto del Nazareno e Senato dei nominati: piduisti a loro insaputa – Marco Travaglio

 

Contro i nominati in Parlamento e referendum limitati: petizione per riforme dalla parte dei cittadini
10 IDEE PER ISTITUZIONI DAVVERO PARTECIPATE – DI’ LA TUA SULLE PROPOSTE DEL FATTO

“Nei confronti del mondo politico occorre… usare gli strumenti finanziari… per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno sulla sinistra… e l’altro sulla destra… fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile. Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un’azione politica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche”. Così scriveva Licio Gelli nel Piano di Rinascita Democratica, elaborato intorno al 1976 con l’aiuto di alcuni “saggi” e sequestrato nell’82 a Fiumicino nel doppiofondo della valigia della figlia Maria Grazia.

Quanto al Parlamento, il capo della P2 sfoderava una gamma di proposte davvero profetiche. “Ripartizione di competenze fra le due Camere” con due “nuove leggi elettorali diverse: per la Camera di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco)”; e – udite udite – “per il Senato di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali”. Uno spettacolare caso di telepatia vuole che proprio questo sia il “Senato delle Autonomie” inventato da Renzi & B: Camera elettiva, ma fino a un certo punto (l’Italicum, con le liste bloccate dei deputati nominati, rende il Piano di Gelli un tantino troppo democratico); e Senato con elezione di “secondo grado”, cioè con i consigli regionali che nominano senatori 95 fra consiglieri e sindaci. Il Maestro Venerabile meriterebbe almeno il copyright. Anche per l’idea di espropriare il Senato del voto di fiducia: “Modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera” e “per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) e al Senato preponderanza economica (esame del bilancio)”. Qui però i venerabili allievi Matteo e Silvio vanno addirittura oltre: la Camera vota in esclusiva la fiducia al governo del premier-padrone della maggioranza, e il Senato non vota più neppure il bilancio.

Poi accolgono in toto un’altra geniale intuizione gelliana: “Stabilire che i decreti-legge sono inemendabili”. Fatto: inserendo in Costituzione la ghigliottina, sperimentata da Laura Boldrini contro l’ostruzionismo 5Stelle sul decreto Bankitalia che regalava 4,5 miliardi alle banche, i decreti del governo andranno obbligatoriamente approvati entro 60 giorni, con tanti saluti agli emendamenti e all’ostruzionismo dell’opposizione, relegata a un ruolo di pura testimonianza. Il tutto – come auspicava il profeta Licio – con l’apposita “modifica (già in corso) dei Regolamenti per ridare forza al principio del rapporto maggioranza-Governo, da un lato, e opposizione, dall’altro, in luogo dell’attuale tendenza assemblearistica”.

Nel lontano 1976, prima del boom delle tv locali, Gelli anticipava di un paio d’anni la nascita della tv via cavo Telemilano, poi ribattezzata Canale5 e seguita da Italia1 e Rete4 (“impiantare tv via cavo a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese”). E proponeva di “acquisire alcuni settimanali di battaglia”: cosa che il confratello B., tessera P2 n. 1816, fece nel ’90 comprandosi la sentenza che ribaltava il lodo Mondadori e gli regalava Epoca e Panorama. Quanto all’idea di “dissolvere la Rai-tv in nome della libertà di antenna”, è solo questione di tempo: dopo la rapina renziana di 150 milioni, la crisi di Viale Mazzini non può che peggiorare. 
Per mettere in riga le toghe, Gelli auspicava “la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati”: che arrivò con la legge Vassalli del 1988, dopo il referendum craxiano; ma ora si prepara un nuovo giro di vite.

Meno male che il berlusconismo era finito nel 2011. Dopo vent’anni di piduisti doc, ora abbiamo i piduisti a loro insaputa.