Chissà come si traduce “ma de che” in tutte le lingue del mondo.
Se Cameron, quando è andato in televisione a scusarsi con gli inglesi per la faccenda del Panama Papers, oppure Hollande quando in conferenza stampa davanti a 500 giornalisti dopo la vicenda dello scoop che svelò il suo tradimento alla moglie e disse che, essendo coperto dall’immunità, non poteva denunciare il giornale che aveva scoperto l’avventura extraconiugale, se entrambi invece di usare toni sobri, educati al limite dell’ossequioso rispetto come dovrebbero essere sempre quelli delle istituzioni quando si rivolgono ai cittadini avessero esordito come fa Renzi ogni volta che lo interpellano quindi sempre.
Non si capisce cosa ci sia di simpatico nell’atteggiamento, nel linguaggio di Renzi che vuole essere l’amico di tutti ma poi vediamo che succede ogni volta che mette un piede fuori dalla porta.
Se Renzi è davvero convinto che la questione morale non riguardi principalmente il suo partito, che è quello che esprime la maggioranza di governo, cominci a riconsiderare almeno una parvenza di educazione applicata al dire e al fare, visto che c’è un sacco di gente che non solo non vuole essergli amica ma con lui non prenderebbe nemmeno un caffè.
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I magistrati possono andare a sentenza in base alle leggi che fa il parlamento.
Se non ci vanno nei tempi brevi che chiede Renzi provi, Renzi, a farsi due domande, invece di negare ancora che la questione che riguarda la criminalità nella politica sia altrove dai tribunali, proprio in quella questione morale che il pd non si pone.
La magistratura avrebbe potuto evitarsi tante noie, il superlavoro ma principalmente tutti gli insulti dei politici se la politica fosse intervenuta prima dei tribunali che poi non possono dare le giuste risposte a quel popolo per il quale si esprimono in virtù delle leggi che fa la politica.
E’ un enorme gatto che si morde la coda e che, muovendosi di continuo, ha stritolato tutta l’Italia.
L’affidamento ai servizi sociali per i reati economici e fiscali che prevedono pene fino a quattro anni voluto dal governo di Renzi non è un modo per sveltire la giustizia, è il sistema che garantisce al politico di non subire nessun provvedimento restrittivo e punitivo, mentre il cittadino continua a rischiare anche per reati più lievi e meno dannosi per la collettività.
E finché la gente non capirà che Davigo ha ragione quando dice che i politici ladri sono più dannosi dei delinquenti di strada, proprio perché i loro reati incidono su tutto il paese e non sul singolo individuo sarà impossibile avere una classe dirigente che tenga conto di questo.
Fra cinquant’anni ci sarà ancora una Picierno che può andare in televisione a parlare di “giustizia ad orologia” come una Santanché e una Carfagna qualsiasi che diversamente da lei lo sapevano dire pure meglio.
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Prima di me schifo e deserto. Il senso di Matteo per il passato
Alessandro Robecchi – Piovono pietre – Il Fatto Quotidiano, 4 maggio
Una strana ossessione si aggira nei quartieri generali del renzismo. E’ l’ossessione del passato. Uno sarebbe portato a pensare che un grande (sedicente) innovatore e rottamatore, ascendente Verdini con la luna in Leopolda, guardi al futuro (sedicente) luminoso che sta costruendo. Invece, opplà, si casca sempre con un piede indietro. Con l’affermazione che “dopo 63 governi” l’Italia finalmente viene considerata in Europa, Matteo Renzi compie un’operazione abbastanza semplice. Non essendo sufficientemente luminoso il futuro che sta per venderci, non così gradito a tutti, non così chiaro, deve dimostrare per prima cosa che sarà sempre meglio del passato. E ora che è arrivato lui, quei 63 governi impallidiscono e svaporano nell’inconsistenza. E’ una variante di “dopo di me il diluvio” che suona così: “Prima di me il deserto”. Qualcosa di simile a: ehi, amici, vi ricordate che fatica quando non esisteva la ruota? Beh, meno male che ora l’ha inventata Matteo.
In un’altra occasione, ancora più illuminante (era il settembre del 2015) disse che il Paese aspetta la sua riforma, sua e della fatina delle riforme Boschi, da settant’anni. Cioè: Togliatti e De Gasperi, per dire, ancora stavano studiando la Costituzione (quella vera, nata dalla Resistenza), che già aspettavano con ansia le modifiche di Matteo. Una specie di macchina del tempo, insomma, usata sempre nello stesso modo: il passato fa tutto schifo, prima di me non c’è stato niente e l’intero dopoguerra italiano è stato solo un confuso periodaccio d’attesa dell’uomo del destino.
Che sia un po’ un’ossessione, questa del passato, sta cominciando a diventare evidente. Uno potrebbe anche tirare in ballo lo slogan del Partito (della Nazione?) che si inventò George Orwell in 1984: “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”, che non era niente male. Ma forse sarebbe troppo, scomodare Orwell, e allora accontentiamoci di letterature più recenti, come per esempio lo slogan coniato per il lancio de l’Unità (estate 2015): “Il passato sta cambiando”. Ecco, mai slogan aveva somigliato tanto a un’aspirazione: cambiare il passato significa anche sbeffeggiare come irrilevanti 63 governi precedenti, o immaginare che le tue riforme le aspettavamo come la manna anche prima che ci fosse qualcosa da riformare. In attesa di essere il futuro, come spera lui, e seduti su un presente che traballa un po’, Renzi e i suoi autori decidono che intanto è meglio sputare su tutto quello che c’era prima, e molti smemorati (per insipienza o convenienza) potrebbero cascarci.
Dopodiché si potrà notare che alcune delle riforme più importanti per la vita del Paese si fecero proprio in passato, alcune quando Renzi ancora non era nato. Lo Statuto dei lavoratori (1970), o il Servizio Sanitario Nazionale (1974) , per dirne solo due, si fecero addirittura con il bicameralismo perfetto, oggi indicato come causa di lentezza, e addirittura con leggi elettorali proporzionali (altro che il chi-vince-piglia-tutto dell’Italicum).
E, sempre per restare ai due esempi appena citati, è un po’ vero, sì, “il passato sta cambiando”, come diceva lo slogan de l’Unità, ma in peggio, perché le picconate allo Statuto dei lavoratori sono lì da vedere (Jobs Act), e quanto al Servizio Sanitario Nazionale, beh, lo sanno tutti quelli che ora pagano analisi che pochi mesi fa erano gratuite. Voilà. In più, l’ossessione del passato che guiderà la campagna referendaria (basta! Via! Tutto nuovo!) contiene una sua contraddizione interna: si grida che serve una nuova Costituzione per fare le riforme, che questa che c’è ci rende immobili, ma nel contempo si celebrano come epocali e strabilianti le riforme in corso. Un po’ come dire: guarda! Ho una gamba sola!, e intanto vantarsi di vincere i cento metri.