USA e getta

La cosiddetta “ragion di stato” serve a tutto fuorché a proteggere davvero uno stato. Che si chiami Datagate o trattativa stato mafia non fa nessuna differenza. Nella storia, nella politica come nella vita quello che conta è come sempre la verità. Senza verità non può mai esserci nessun progresso civile, nessuna giustizia. Nessuna democrazia.

Datagate, la Merkel spiata dal 2002
P. Chigi, i privati controllano la rete


La ragion di stato non serve a proteggere lo stato ma unicamente chi fa il male di quello stato. Lo abbiamo visto qui in sessant’anni di presunta democrazia durante i quali sono stati coperti e protetti gli autori delle stragi dando di volta in volta una matrice opportuna all’attentato, alla bomba fatta esplodere in una banca e alla stazione, all’autostrada e al palazzo saltati in aria, perché nessuno doveva e deve sapere che pezzi consistenti dello stato agivano e si muovevano in contrasto con i loro doveri, e anche quando i nomi c’erano lo stato, le sue istituzioni alte e quelle altissime hanno agito in modo tale che “il buon nome” del paese non dovesse essere messo in discussione. 

Perché non è credibile un paese i cui governi e lo stato proteggono e riparano chi agisce contro lo stato così come non è credibile un paese le cui amministrazioni, che siano repubblicane o democratiche non fa differenza, pensano che sia utile esportare civiltà con le bombe, con la guerra, ma poi quello che succede durante una guerra non si deve sapere. 

In un mondo normale Manning, Assange e Snowden sarebbero considerati i Resistenti del nuovo millennio, i Partigiani della verità, in questo invece li considerano dei fuori legge da isolare e chiudere in una galera.

La verità è un lusso che i disonesti non possono permettersi.

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Ultimi della classe: stampa e corruzione. Non ci resta che piangere [G.Gramaglia]

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PESSIMA QUALITÀ DELLA VITA E ANALFABETI: SIAMO ULTIMI, O AL PARI CON PAESI DEL TERZO MONDO

La politica è da buttare, l’economia va male, il lavoro non c’è, la fiducia neppure. Che brutta Italia, proprio “un paese dei cachi”. Vabbeh!, ma vuoi mettere la qualità della vita? Attenzione a non farci illusioni: manco quella abbiamo, se diamo credito a statistiche e classifiche, che saranno pure stilate da qualche noioso e pignolo burocrate nordico o asiatico delle organizzazioni internazionali, ma spesso ci azzeccano. Non ci resta che consolarci con le giornate di sole che – complice la geografia – sono più numerose che altrove. Ma poi scopriamo che la grigia Germania ha molto più fotovoltaico di noi e ci viene la depressione. Se già vi sentite un po’ giù, non inoltratevi in questo viaggio nelle magagne italiche. Se, invece, amate cullarvi nelle vostre malinconie, questa lettura v’è consigliata: preparatevi a indossare la Maglia Nera, percorrendo un’antologia di dati tutti recenti – e tutti, ahimè, negativi -, senza andare a scartabellare troppo indietro negli archivi.

Trasparenza e Corruzione 
L’indice della corruzione di Transparency International ci vede circa a metà del gruppo di 174 Paesi censiti, al 72° posto, sempre in fondo al plotone dell’Ue con Grecia e Bulgaria e con un voto ben lontano dalla sufficienza e lontanissimo dai Paesi leader, Danimarca, Finlandia e una sorprendente, ma costante, Nuova Zelanda. Forse le cose stanno per migliorare, perché, sempre secondo Transparency International, l’Italia è fra i Paesi che meglio applicano la Convenzione dell’Ocse contro la corruzione – ma i risultati, finora, non si vedono.

Fondi e infrazioni 
Nell’Unione europea, siamo, con Bulgaria e Romania, Paesi, però, da poco arrivati, quelli con minore capacità di spesa dei fondi a noi destinati: del pacchetto per la coesione, settennale, abbiamo utilizzato, adesso che s’avvicina la fine del periodo, il 31 dicembre, solo il 40% del totale. Ci lamentiamo che dall’Ue arrivano pochi soldi, ma riusciamo a spendere solo due euro su cinque.

Procedure di infrazione
In compenso, ne sprechiamo un sacco a pagare multe per il mancato recepimento delle direttive o per le infrazioni alle stesse: siamo i campioni incontrastati su questo fronte. Eravamo appena scesi sotto quota cento infrazioni, a 99, a fine 2012, ma siamo rapidamente tornati sopra collezionando più nuove procedure di quante non riusciamo a chiuderne di vecchie. Ambiente e rifiuti sono le voci dove siamo messi peggio.

Leggere e fare i conti
Per l’Ocse, gli italiani, con gli spagnoli, sono i cittadini che meno sanno leggere e far di conto – lo studio è stato condotto in 24 Paesi: giapponesi e finlandesi guidano l’elenco (e i cechi sono bravi in aritmetica). Per la serie mal comune mezzo danno, gli americani non ne escono molto meglio di noi.

Abbandono della scuola
Vanno a braccetto con le cifre dell’Ocse quelle di Eurostat: l’Italia non tiene il passo dell’Unione nella battaglia contro l’abbandono scolastico: 17,6% contro una media Ue del 12,8% – l’obiettivo è il 10%. Mentre i giovani in possesso di qualifiche di istruzione superiore sono il 21,7% – media Ue 35,8%, obiettivo 40%.

I ritardi di Internet
Anche per l’accesso a internet, l’Italia è lontana dalla media Ue: il 43% delle famiglie non ha una connessione, contro una media del 32%. Peggio di noi Bulgaria, Romania e Grecia, mentre in Svezia solo il 7% delle famiglie non ha Internet. Gli italiani, complice la carenza, rispetto alla media Ue, della banda larga, sono anche fra i più reticenti a fare acquisti online e ad utilizzare i servizi di e-government: appena il 22% vi ricorre (in Danimarca, l’80%), in parte perché il loro funzionamento è il peggiore nell’Unione – Romania a parte.

Qualità della vita
Un recente rapporto della Commissione europea indica che le città italiane non reggono il confronto con le migliori europee: fra i 79 centri urbani del campione prescelto, ci sono Bologna, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Verona, la migliore, che si piazza 18a, mentre in cima alla classifica stanno Aalborg, in Danimarca, Amburgo, Zurigo e Oslo. Settore per settore, Roma, Napoli e Palermo sono le ultime della classe per i trasporti pubblici e l’efficienza amministrativa, Roma è la peggiore per i servizi scolastici, Palermo la più sporca. L’unica altra metropoli europea che fa loro persistente compagnia sul fondo classifica è Atene.

Libertà di Stampa
Freedom House la misura ogni anno, con un doppio indicatore, numerico da 1 a 100, e qualitativo, stampa libera, semi-libera, non libera: l’Italia con 33 punti, è 73a su 187 Paesi al Mondo, ma è soprattutto l’unico Paese senza libera stampa dell’Europa cosiddetta occidentale, con la Turchia. I criteri della classifica sono discutibili, ma trovarci in testa Finlandia, Svezia e Norvegia non sorprende, così come trovarci in fondo la Corea del Nord, l’Eritrea e vari Paesi dell’ex Urss.

Sfrizzola il vilipendulo

 1000 euro di multa a un pensionato di 71 anni perché ha detto davanti a dei pubblici ufficiali che l’Italia è un paese di merda.

Giustissimo: vilipendio è  infatti considerare ancora l’Italia una repubblica democratica la cui sovranità è affidata al popolo come da Costituzione.

Dovrebbe essere questo, il reato.

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Nel giorno che la Bonino nega asilo politico ad una persona minacciata dai potenti della terra per non infastidire la sua adorata America, Laura Boldrini che non va a visitare lo sfruttatore Marchionne [Monti c’era andato] fa la figura della gigantessa.

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Della Valle: “Elkann chiama il Colle? Sembra una scena da Istituto Luce”

L’imprenditore commenta la telefonata con cui il presidente di Fiat annunciava a Napolitano di essere pronto a scalare il Corriere della Sera con i soldi del Lingotto: “Mi è sembrato di tornare bambino, quando i comunicati dell’Istituto Luce mostravano il duce che mieteva il grano”. [Il Fatto Quotidiano]

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Elkann vuole la maggioranza di RCS per poter esercitare da imprenditore il controllo sul Corriere della Sera, il quotidiano dell’alta borghesia e degli imprenditori “coi soldi del Lingotto”, ovvero i nostri, Napolitano lo sta pure a sentire e Della Valle, parte in causa, giustamente s’incazza.

Penso che Della Valle sia un imprenditore perbene che ancora conosce il valore e l’importanza dell’etica applicata anche alla professione, il suo marchio in giro per il mondo è uno di quelli che ancora è motivo di orgoglio, la stessa cosa non si può dire della Fiat, però continuo ad essere convinta che in un paese normale i quotidiani non devono essere sottoposti al controllo degli imprenditori e che in questo paese l’unica legge necessaria, ed è per questo che nessuno la vuole fare, è quella per regolare i conflitti di interesse.

Non sarà mai libero un giornale che deve rendere conto ad un editore [o a molti] che ha i suoi interessi da tutelare.

E figuriamoci se il presidente della repubblica può permettersi di intercedere a favore di qualcuno in particolare.
E’ stato perfino troppo gentile della Valle a ricordare a Napolitano che i doveri di un presidente della repubblica sarebbero altri, specialmente in un periodo disastroso come questo.
Napolitano dovrebbe stare meno al telefono e, in generale, occuparsi meno di affari che non lo riguardano.

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Ritenta, sarai più fortunato
Marco Travaglio, 5 luglio

Spiace per i tromboni che da mesi si prodigano contro il processo sulla trattativa Stato-mafia, ma quella di ieri è stata un’altra bella giornata per la Giustizia italiana. La Corte d’assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto ha fatto a pezzi le eccezioni dei difensori (ufficiali, ma soprattutto ufficiosi) degli imputati di Stato per trasferire la competenza a Roma. È il destino di un processo che, fuori dalle aule di giustizia, cioè nei palazzi della politica, nelle tv e sui giornaloni, vede gli imputati sempre innocenti, immacolati e candidi come gigli di campo. Ma, appena approda davanti a un giudice terzo, vince sempre la Procura. Era accaduto all’udienza preliminare, col rinvio a giudizio di tutti gli imputati. È riaccaduto ieri nel-l’aula bunker dell’Ucciardone. E dire che l’altroieri l’Università di Palermo, con uno zelo e un tempismo degni di miglior causa, aveva radunato i migliori difensori d’ufficio di Mancino, Mannino, Conso, Dell’Utri, Mori e De Donno per una gran soirée simposio contro il processo, alla presenza di Macaluso, storici, giuristi e persino magistrati in servizio o in pensione (c’era pure Di Lello), tutti stretti attorno al nuovo idolo del partito anti-pm: l’esimio professor Giovanni Fiandaca, già candidato trombato alle primarie del centrosinistra per il Comune di Palermo e autore di uno squisito “saggio” pubblicato sul Foglio col raffinato titolo “Il processo sulla trattativa è una boiata pazzesca”. Talmente pazzesca che tutti gli imputati, a suo dire innocenti, sono a giudizio; e il processo, a suo dire inevitabilmente destinato a Roma, rimane a Palermo. Un figurone. Cose che càpitano quando si scrivono saggi o articoli prêt-à-porter, con procedura d’urgenza, senz’avere il tempo o la voglia di leggersi gli atti del processo. Anche Macaluso, che almeno non insegna, dunque fa meno danni, si prodiga da mesi contro quel processo: specie da quando l’amico Napolitano fece di tutto per soffocarlo nella culla a gentile richiesta di Mancino. Ultimamente si è esposto a epiche figuracce scopiazzando la memoria difensiva di Mori, con errori di date e di fatto da matita rossa e blu. Chi volesse farsi quattro risate può ascoltare su Radio Radicale la sua scombiccherata prolusione palermitana (lui, per dire, il 41-bis lo chiama “441”). In stereo con Mori, che attribuisce i suoi guai giudiziari a una congiura di giornalisti capitanata dal sottoscritto, il Macaluso deplora “gli attacchi rozzi e strumentali alla magistratura, dovuti alle vicende personali (sic, ndr) di Berlusconi”, sferrati da chi? “Da Travaglio, quando questi organi prendevano decisioni sgradite all’una o all’altra (sic, ndr)”. Invece Fiandaca, “per la sua autorevolezza e il suo argomentare, ci dà il senso che una critica alle sentenze e alle procure può e deve essere fatta”. Ecco, Fiandaca con quella bocca può dire ciò che vuole, perché, diversamente da altri, autorevolmente argomenta. Un po’ come il ragionier Ugo Fantozzi, a cui il titolo del saggio autorevole e argomentato è dedicato. E qui Macaluso estrae l’asso dalla manica: “Io contesto la formula ‘trattativa’”. Pazienza se alcune sentenze di Cassazione, un’ordinanza di rinvio a giudizio e financo le testimonianze di Mori e De Donno, usano la formula “trattativa”. Lui ne sa una più del diavolo, infatti parte con un pippone su Colajanni, Salvemini, Giolitti, Stalin, Andreotti, Rizzotto e il bandito Giuliano per dimostrare che “in Sicilia abbiamo avuto un lungo periodo di convivenza” fra Stato e mafia. E, siccome lo Stato ha sempre trattato con la mafia, non si parla di trattativa e, soprattutto, non si processa chi la fece. Tesi davvero avvincente e foriera di ulteriori sviluppi: siccome gli omicidi e le rapine ci sono sempre stati, perché processare gli assassini e i rapinatori? Se la scoprono Ghedini e Longo, hanno già pronto l’appello alla sentenza Ruby: siccome l’uomo è cacciatore e la prostituzione è il mestiere più antico del mondo, Berlusconi è innocente.

Italia: un paese a servitù illimitata

Oggi l’America festeggia la sua giornata dell’indipendenza,  noi siamo più fortunati perché possiamo festeggiare e celebrare tutti i giorni dell’anno quella del servilismo tout court.

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Sottotitolo: Giorgio Napolitano, Enrico Letta, Emma Bonino, Angelino Alfano, Fabrizio Saccomanni, Mario Mauro e Flavio Zanonato, più l’ammiraglio Nato Luigi Binelli Mantelli.

No, siccome in queste ore tutti stanno parlando del mitico ‘Consiglio Supremo di difesa’, diamo almeno un nome e un cognome ai signori che attorno a un tavolo del Quirinale hanno proibito al Parlamento di decidere sugli F35.  [Alessandro Gilioli]

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Quando Grillo disse che il parlamento non serve a niente, che “è stato spossessato del suo ruolo di voce dei cittadini” si beccò i soliti strali degli abituée compresa una scandalizzatissima Laura Boldrini che lo accusò di mancare di rispetto alle istituzioni.

Qualche giorno fa l’ha detto anche Gino Strada, ha parlato di un parlamento inutile perché “pieno di papponi, pedofili e condannati” e ha ricevuto l’applauso anche di quelli che Grillo lo contestano ormai per inerzia.

Oggi che Napolitano conferma che è vero, il parlamento non conta niente e potrebbe chiudere anche non domani ma adesso spero che siano tutti d’accordo: quelli che che non erano d’accordo con Grillo ma con Strada sì e anche viceversa.

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Se l’esercito, le forze armate prendono il potere siamo sicuri che la vittoria sia del popolo? io no. 

Leggo tanto entusiasmo nei confronti degli egiziani che si sono liberati del tiranno, tante persone che scrivono “perché noi no”, a loro dico: perché no. 

Perché quando il potere veste una divisa non è mai cosa buona e giusta.

Quando i Partigiani hanno organizzato la Resistenza si sono affidati solo a loro stessi, non avevano i carri armati.

 I militari sono da sempre il braccio armato del potere, di qualsiasi potere. Il fatto che Obama non abbia nemmeno pronunciato la parola ‘golpe’ in riferimento agli eventi egiziani la dice lunga. Nessuno in occidente ha interesse alla liberazione dei paesi orientali, altrimenti da quel dì che avrebbero lavorato per farlo.

L’oriente serve così com’è, pozzo infinito di risorse da svuotare per arricchire i capitalisti d’occidente.

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La nomina di De Gennaro a capo di Finmeccanica spiega benissimo, semmai ce ne sia davvero la necessità, che la competenza è l’ultimo pensiero per questo governo e in generale di tutti.

Ogni persona che viene messa nei posti strategici ci va per altre ragioni che la non condanna di De Gennaro per le sue responsabilità nei massacri di Genova, per aver  «gettato discredito sull’Italia agli occhi del mondo intero» come recita la sentenza della Cassazione, quel  «puro esercizio di violenza da parte della polizia» da lui voluto e ordinato, la sua successiva nomina a sottosegretario per la sicurezza nazionale voluta da Monti, dovrebbero essere chiare anche agli occhi di chi non vede.

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Salvate i soldati della libertà

di Barbara Spinelli
[…] È utile conoscere il tragitto dei moderni whistleblower. Il soldato Manning a un certo punto non ce la fece più, e passò al fondatore di Wikileaks Assange documenti e video su occultati crimini americani: l’attacco aereo del 4 maggio 2009 a Granai in Afghanistan (fra 86 e 147 civili uccisi); il bombardamento del 12 luglio 2007 a Baghdad (11 civili uccisi, tra cui 3 inviati della Reuters. Il video s’intitola Collateral Murder, assassinio collaterale).Accusato di alto tradimento è l’informatore, non i piloti che ridacchiando freddavano iracheni inermi. Arrestato e incarcerato nel maggio 2010, Manning è sotto processo dal 3 giugno scorso. Un “processo-linciaggio”, nota lo scrittore Chris Hedges, visto che l’imputato non può fornire le prove decisive. I documenti che incolpano l’esercito Usa restano confidenziali; e gli è vietato invocare leggi internazionali superiori alla ragione di Stato (princìpi di Norimberga sul diritto a non rispettare gli ordini in presenza di crimini di guerra, Convenzione di Ginevra che proibisce attacchi ai civili).Gli stessi rischi, se catturato, li corre Snowden, ex tecnico del NSA: ne è consapevole, come appunto i rivoluzionari. A differenza delle vecchie gole profonde, i whistleblower militano per un mondo migliore. Sono molto giovani: Snowden ha 30 anni, Manning ne aveva 22 quando mostrò il video a Wikileaks. Sono indifferenti a chi bisbiglia smagato: «Spie ce ne sono state sempre». Non fanno soldi. Alcuni agiscono all’aperto: Snowden ha contattato Greenwald, che da anni scrive sul malefico dualismo libertà-sicurezza. Altri rimangono anonimi finché possono, come Manning. Daniel Ellsberg, il rivelatore dei Pentagon Papers che nel ’71 accelerò la fine dell’aggressione al Vietnam, può essere considerato il capostipite dei whistleblower. Per lui Snowden è un eroe. Quel che ci ha dato è la conoscenza: esiste un’Agenzia, che nel buio sorveglia milioni di cellulari e indirizzi mail in America e nel mondo.[…]

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Vassallate – Massimo Rocca – Il Contropelo, Radio Capital

Oggi servirebbero quattro poltrone. La sentenza della consulta che distrugge la politica anti sindacale di Marchionne. Le due napolitanate di giornata, la marcia indietro sul incredibile rifiuto di ricevere Beppe Grillo, la sconvolgente pretesa del consiglio nazionale di difesa da lui presieduto di esautorare il Parlamento sulla questione degli F35. L’Egitto dove come dicono i statirici statunitensi un esercito equipaggiato dagli americani fa un golpe contro un governo appoggiato dagli americani. Però il fatto del giorno è l’interdizione dello spazio aereo europeo all’aereo di Evo Morales, decisa dai cosiddetti governi democratici occidentali. La perquisizione dell’aereo come fosse quello di un trafficante di coca, alla ricerca di Snowden. Eccoli qui i feudatari, i vassalli che solo il giorno prima facevano finta di indignarsi per le cimici nelle ambasciate, violare tutte le prerogative di un capo di stato, pur di ingraziarsi l’imperatore, benchè scuro di pelle. Schiene di gomma e lingue biforcute.

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L’aula sorda e grigia
Marco Travaglio, 4 luglio

Com’è noto i cacciabombardieri F-35 sono inutili, ma sarebbero uno spreco anche se fossero utili. Pare infatti che queste carcasse volanti cappòttino da ferme. Tant’è che Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Australia e Turchia hanno già rimesso in discussione il progetto. Noi no, anzi. L’8 aprile 2009, due giorni dopo il terremoto in Abruzzo, mentre si raccoglievano 300 vittime, si soccorrevano migliaia di feriti e il governo Berlusconi faceva passerella sulle macerie senza trovare un euro per ricostruire L’Aquila, le commissioni Difesa di Camera e Senato votavano il via libera per l’acquisto di 131 F-35 (poi ridotti a 90) al modico costo di 15 miliardi. Nessun voto contrario: l’impavido Pd, anziché opporsi, uscì dalla stanza e non partecipò al voto, in linea con il suo programma scritto direttamente da Ponzio Pilato (a parte la senatrice Negri che, in un soprassalto di coraggio, restò dentro e si astenne). Ora però il Parlamento è infestato di marziani, i famigerati grillini, che con Sel fanno quel che il centrosinistra non ha mai fatto: opposizione. E il Pd, non abituato, si barcamena. Memorabile la mozione bipartisan dell’altro giorno per il solito rinvio, che impegna il governo “relativamente al programma F-35, a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi della legge 244/2012”. Una supercazzola che non vuol dire nulla, vista la maggioranza bulgara del governo che procede per decreti e fiducie. Ma la sola idea che il Parlamento torni a esistere e a dire qualcosa “nel merito”, ha fatto saltare la mosca al naso di Sua Altezza Reale Giorgio Napolitano, descritto dai giornali come “molto irritato” per la lesa maestà commessa dalle Camere nei confronti suoi e della nostra sovranità limitata dagli Usa. 

Così il Re Bizzoso ha riunito il Consiglio Supremo di Difesa, di cui s’erano perse le tracce da tempo, solitamente dedito a tornei di burraco e canasta fra generali in pensione e signore, con i camerieri in uniforme e mostrine che servono il vermut con l’olivetta, e ha diramato un supermònito categorico e impegnativo per tutti: “la facoltà del Parlamento” riconosciuta dalla legge 244/2012 “non può tradursi in un diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici che, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”. Cioè: nel 2012 il Parlamento fa una legge, la 244, promulgata da Napolitano, per raccomandare un risparmio sulle spese militari e stabilire che quelle “straordinarie” devono passare dal Parlamento, così come le ordinarie che completino “programmi pluriennali finanziati nei precedenti esercizi con leggi speciali”. Non solo: spetta alle Camere l’ultima parola sulle spese militari in base alla situazione internazionale e alle disponibilità finanziarie dello Stato, per evitare “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Proprio il caso degli F-35. Ma Napolitano, che si crede il capo del governo, dei giudici e ora pure del Parlamento, fa dire alla legge il contrario di quel che dice e la usa per esautorare le Camere, già peraltro ridotte a fotocopiatrici dei diktat di Palazzo Chigi, cioè del Colle. Ce ne sarebbe abbastanza per un conflitto di attribuzioni fra le Camere e il Quirinale contro questo golpetto senza carri armati. Ma i due camerieri del Colle che le presiedono non alzano neppure un sopracciglio. E Fantozzi-Franceschini ringrazia il Presidente per il “giusto richiamo alla separazione dei poteri”: solennissima vaccata, visto che il Consiglio Supremo di Difesa non è un potere dello Stato, ma un organo consultivo-esecutivo di norme decise da altri (in teoria, dal legislativo). 
Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: visto che ormai il Presidente decide pure il nostro menu al ristorante e il colore dei nostri calzini, per raggiungere l’agognato presidenzialismo che bisogno c’è di riformare la Costituzione? 
Ma soprattutto: quale Costituzione?

Ma ‘ndo vai, se la condanna non ce l’hai?

Per conferire col colle ci vogliono i giusti requisiti, sette anni di galera, ad esempio.

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Non sono in casa, richiamate più tardi

Massimo Rocca – Il Contropelo – Radio Capital

“Il presidente non ha ricevuto nessuna richiesta di incontro nei modi necessari perché potesse prenderla in considerazione”.

L’ufficio del Quirinale dev’essere in diretto contatto con la Farnesina che più o meno ha risposto negli stessi termini alla richiesta di asilo di Snowden. Ci spiace ce l’ha mandata per fax, altrimenti l’avremmo accolto a braccia aperte. Risate generali. Invece il colle non riceverà quello sgrammaticato istrione di Grillo, colpevole di essersi rivolto al Presidente via Blog. Invece se la telefonata arriva tramite zio Letta, Berlusconi al colle sale quando vuole. Dopo aver mandato i suoi ad occupare il tribunale di Milano, dopo essere stato condannato per prostituzione minorile, dopo aver rimediato una condanna, nel merito definitiva, per avere creato fondi neri, dopo che la Corte costituzionale ha stabilito che violò la leale collaborazione tra i poteri dello stato, dopo che un senatore della repubblica ha ammesso di essere stato da lui comprato per alterare il risultato politico delle elezioni. Ma mi “facci” il piacere!

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Egitto sull’orlo del colpo di Stato. Morsi resiste: “eletto da popolo”.
Dove l’ho già sentita questa?

Ma che vuol dire “eletto dal popolo?”

Significa forse che chi viene scelto per mezzo di “democratiche elezioni” [magari violando qualche legge en passant nel silenzio di chi avrebbe dovuto farle invece rispettare] deve restare al suo posto anche quando non si dimostra all’altezza del compito per il quale la gente l’ha votato?  

Anche hitler fu eletto dal popolo, per dire. 

Le dittature più feroci non sono iniziate sempre con un colpo di stato in piena regola. Spesso e volentieri sono stati usati sistemi molto più subdoli che la gente non percepiva come pericoli.

Oppure significa che deve restare anche se nel frattempo [ma anche un po’ prima] si è reso responsabile di azioni illegali, criminali? 

In che modo un popolo può dire che non vuole più farsi governare e non gradisce la presenza fra le istituzioni di una persona non più degna del ruolo che gli è stato assegnato: solo con altrettante “democratiche elezioni?”

Non so, qualcosa non mi torna, in una democrazia sana nessuno che non abbia i requisiti ottimali potrebbe e dovrebbe far parte di un governo né del parlamento.

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La richiesta di conferire con Napolitano di Grillo è “irrituale”e provoca il “gelo” del Quirinale.

Quella di asilo politico di Snowden è “anomala” e spiega perfettamente quanto è incivile un paese che nega accoglienza ad una persona in pericolo. 
Snowden, colpevole di aver scoperto l’ennesima violazione del diritto internazionale operata dagli Usa e giustificata dal pericolo del terrorismo col quale tengono sottomesso il mondo.

Verrebbe da chiedersi come sarà stata quella di berlusconi al quale Napolitano, dunque l’Italia, ha concesso invece un’udienza privatissima, senza testimoni, il giorno dopo la sua condanna.
Non c’è niente da fare, quell’uomo trova sempre gli argomenti giusti: è uno a cui nessuno può dire di no.

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Caimano sì, pitonessa no
Marco Travaglio, 3 luglio

Mauro Biani

Quello che pensiamo di Daniela Garnero in Santanchè i lettori possono facilmente immaginarlo. Al netto degli scandali Bpm e Bisignani, appena cinque anni fa la signora, candidata con La Destra di Storace, fece impallidire i più accaniti antiberlusconiani descrivendo Berlusconi come uno che “le donne le vede solo in orizzontale”, ragion per cui “non gliela darò mai”. 

Poi rientrò prontamente all’ovile, diventando uno dei suoi 
più efficaci scudi umani, dunque sottosegretario. 
Ma in privato, non mancandole la materia cerebrale, continuò a dire la verità. 

Come quando, nell’aprile 2011, fu intercettata al telefono con l’amico e socio Flavio Briatore indagato per evasione fiscale, che la informava sul seguito del bungabunga:
“Lele Mora mi ha detto: ‘Tutto continua come se nulla fosse'”. 
Santanchè: “Roba da pazzi!”. 
B: “Non più lì (ad Arcore, ndr), ma nell’altra villa. Tutto come prima, non è cambiato un cazzo. Stessi attori, stesso film, proiettato in un cinema diverso. Come prima, più di prima. Stesso gruppo, qualche new entry, ma la base del film è uguale, il nocciolo duro, Centovetrine …”. 
S: “Ma ti rendi conto? E che cosa si può fare?” B: “Siamo nelle mani di Dio qui, eh? Perché l’altra sera ho saputo che c’era stata un’altra grande festa lì, eh?”. 

S: “Ma tu pensa! E che cazzo dobbiamo fare?”. 
B: “Questo qui è malato! Ha ragione Veronica, uno normale non fa ‘ste robe qui!”. 
S: “Sicuro che ha ripreso?”. B: “Al 100%”. 
S: “Va beh, ma allora qua crolla tutto”. 
B: “Dani, qui parliamo di problemi veramente seri di un Paese che deve essere riformato. Se io fossi al suo posto non dormirei di notte. Ma non per le troie. Non dormirei per la situazione che c’è in Italia”. 
S: “E con il clima che c’è, uno lo prende di qua, l’altro che scappa di lì”. 
B: “Brava, il problema è che poi la gente comincia veramente a tirar le monete”. 
S: “Stanno già tirando”. 

Oggi basta sentirla in un talk a caso per capire che non crede a una parola di ciò che dice. Eppure dice cose gravi, tipo Boccassini “metastasi della democrazia”. Dunque in un paese normale nessuno avrebbe dubbi sulla sua candidatura a vicepresidente della Camera. Eppure c’è qualcosa di stonato, stridente e ipocrita nel fuoco di sbarramento che s’è levato dal Pd sul suo nome per una carica che nessuno, prima d’ora, s’era mai sognato di calcolare. Le vicepresidenze delle due Camere (quattro per ciascuna) sono da sempre lottizzate fra i partiti, che ci mettono chi vogliono. 
Nella scorsa legislatura, per dire, fra i numeri 2 del Senato c’era persino Rosi Mauro. Una che avrebbe sfigurato dappertutto, se il presidente del Senato non fosse stato Schifani. 
Ora, che il limite estremo della presentabilità sia diventato la “pitonessa”, come lei stessa si definisce citando Il Foglio (che a sua volta cita l’insulto di “vecchia pitonessa” lanciato nell’ 800 dalla rivista fiorentina Novelle Letterarie contro Madame de Staël), fa un po’ ridere. 

Il Pd ha fatto scegliere a Berlusconi il presidente della Repubblica e quello del Consiglio dopo aver impallinato Prodi e ignorato Rodotà perché non piacevano a lui, poi ci è andato al governo e ha deciso di dichiararlo eleggibile contro la legge.
Governa con ministri come Lupi e Quagliariello, per non parlare dei sottosegretari. 
Ha varato il Comitato dei 40 per riscrivere la Costituzione con lui. Non dice una parola sulle condanne per frode fiscale, prostituzione minorile, concussione e rivelazione di segreto (contro Fassino), né sulla compravendita di senatori (contro Prodi). 
Ha votato presidenti di commissione Cicchitto e Formigoni e ha chiesto a Scelta civica di votare Nitto Palma alla Giustizia per potersi astenere e fingersi contrario. 
Non ha mosso un dito quando Grasso ha nominato il senatore D’Alì, imputato per mafia, rappresentante dell’Italia in Europa. 

E ora, dopo aver digerito senza un conato la Cloaca Massima, ha qualche problemino di stomaco per la Santanchè. Ma ci faccia il piacere.