Quando la realtà supera lo storytelling la politica perde e muore

 

orfini consideraAl posto di chi ironizza sul dopo quando ancora non si è arrivati nemmeno al dunque io guarderei con più rispetto i risultati ottenuti dai 5stelle nelle persone delle signore Appendino e Raggi che hanno sbaragliato un sistema politico lungo decenni praticamente a mani nude, senza la stessa propaganda asfissiante sulla quale ha potuto contare il partito democratico.
Da sole si sono dovute impegnare a sfondare il muro dei giudizi e dei pregiudizi, della propaganda contro, dei colpi bassi di quella che molti considerano “buona politica” e di un sistema mediatico rivoltante e odioso che ha fatto di tutto affinché non potessero raggiungere il loro obiettivo. Se proprio non si vuol dare alla sconfitta del pd un significato “antirenziano” si puó almeno dire che i due schiaffoni presi a Roma e Torino sono la risposta all’insopportabile arroganza del pd e di tutto l’entourage che ruota attorno al giglio ormai tragico di Renzi, il quale, se questo fosse un paese normale si dovrebbe dimettere eccome. Invece la morale della favola renziana e renzista è che il voto alle amministrative è locale e dunque la disfatta del pd non è un motivo per far dimettere Renzi né da segretario del partito né da presidente del consiglio di un governo che non ha mai avuto la maggioranza nel paese, mentre il voto alle europee che non c’entrava nulla con la politica locale né con quella nazionale ma molto con i famosi ottanta euro tirati con l’elastico  è potuto diventare il viatico per sfasciare la Costituzione senza il permesso di nessuno [oltre a quello di Napolitano].
Per riconoscere questo non bisogna nemmeno essere elettrici ed elettori del movimento cinque stelle.

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“Io capisco l’esigenza di ogni premier di esibire ottimismo e di inoculare fiducia, ma quando il distacco tra gli illusionismi e la realtà diventa troppo ampio, l’effetto è quello opposto. Si insinua cioè il forte dubbio, in molti, di essere presi per i fondelli.

E’ finita l’aria serena dell’Ovest

[Alessandro Gilioli – L’Espresso]

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Quando per una semplice colica renale che sarà anche fastidiosa e dolorosa ma non è un’ustione di terzo grado, dunque non mette in pericolo la vita, si sposta l’elisoccorso solo perché il costipato si chiama vittorio sgarbi non ci si può lamentare se poi la gente schifa la politica che ha costruito un paese dove i vittorio sgarbi possono usufruire dell’elisoccorso per un semplice malessere temporaneo.

Perché bisognerebbe stupirsi del voltafaccia degli elettori che votano in un paese dove un elicottero si può alzare per soccorrere vittorio sgarbi mentre milioni di italiani non possono nemmeno accedere alle cure di base per malattie serie e gravi?
Chi è il responsabile di questo degrado incivile e immorale: la politica di destra, quella di sinistra o quella che ha fatto sempre semplicemente schifo perché responsabile delle condizioni di un paese che si sta avviando verso il feudalesimo, di questa sottospecie di stato dove solo ai pochi è concesso tutto mentre i molti possono crepare di malattie e di inedia nell’indifferenza della politica?

Non è stato molto utile aver fatto ruotare la campagna elettorale di Roma  intorno all’occasione “storica” delle Olimpiadi a Roma e, in generale nel resto d’Italia usando l’arma della denigrazione dell’avversario,  guardando continuamente a quel che facevano e dicevano i dirimpettai, aver organizzato un’enorme macchina da guerra mediatica che ha colpito alla do’ cojo cojo solo per destabilizzare e disorientare gli elettori che ad un certo punto non hanno ben compreso perché i loro problemi quotidiani dovessero avere una qualsiasi attinenza con le Olimpiadi, coi battibecchi al talk show, la battaglia nei social a contrastare l’orda dei troll sguinzagliati ovunque ma che hanno ritrovato prontamente la lucidità quando si sono trovati a dover scegliere fra chi aveva già dimostrato tutto quello che NON ha saputo, voluto e potuto fare e chi almeno non ha nessuna responsabilità di quei problemi.
Cose che la “sinistra”, avvolta nella sua arroganza e ormai più che presunta superiorità morale e politica, annichilita da vent’anni di berlusconismo durante i quali le campagne elettorali sono state sempre di questo tenore e spessore: non dire quello che si poteva fare ma accusare l’avversario di non essere all’altezza di poter fare meglio e di più,  senza dimostrare coi fatti concreti di essere migliore,  non capirà mai.

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BYE BYE STORYTELLING. IN ITALIA È TORNATA LA REALTÀ – Flavia Perina – stradeonline.it

Oltre il dato numerico e politico, frana in queste elezioni amministrative l’idea che si possa costruire consenso con il famoso storytelling, una delle ossessioni ventennali della sinistra e della destra. “Non è la storia, ma è come la racconti” ci dicono da due generazioni: la storia dei ristoranti pieni di Silvio, dei boy scout di Matteo che prendono il potere cantando, di Torino “amministrata benissimo”, di Roma “che si salverà con le Olimpiadi”. Un immenso castello di carta costruito dai giornali, dalle tv, dagli opinionisti, mentre il reale andava da un’altra parte: e il reale erano le periferie, i troppi poveri, le élite immobili rinnovate solo per cooptazione, il circo culturale sempre in mano ai soliti, la finzione di destra/sinistra ormai perse dentro un generico governismo.

Lo storytelling ai piani bassi della contesa elettorale diventa la Panda Rossa e gli scontrini di Marino, la villa con piscina di Giachetti, la dichiarazione dei redditi della Raggi, insomma: il racconto di un avversario ladro, incapace, bugiardo, infido, con le modalità denigratorie del ciclo berlusconiano (“Comunisti!”; “Puttaniere!”) riciclate all’infinito e adattate via via ai personaggi che si affacciano. Quel ciclo è finito. La Raggi, come ha scritto qualcuno, a Roma avrebbe potuto pure menare vecchiette con l’ombrello e avrebbe vinto uguale. La Appendino, idem. E lo stesso, a Napoli, De Magistris, un Masaniello che però sa intercettare il mood della città, farsi napoletano tra i napoletani, e hai voglia a dirgli “incapace”, “populista”: lo votano a valanga.

L’altra grande lezione di questo voto – una lezione un po’ nascosta, meno evidente delle altre – è la fine dell’idea che restringere la base elettorale, tifare sotto-sotto per l’astensionismo, sia vantaggioso per le classi dirigenti che possono giocarsela non sull’ampia e incontrollabile base del corpo elettorale ma sul suo segmento più “interessato”, sulle filiere che vanno al voto perché direttamente coinvolte negli esiti delle urne. Le élite di tutta Europa hanno contato su questo meccanismo, giudicandolo una garanzia contro improvvisi cambiamenti, e si sono dette: meno gente vota meglio è. E anche da noi, quante parole sull’irrilevanza dell’astensionismo, sul fatto che sia un trend di tutte le “democrazie mature” – Come in America! Come in Inghilterra! – e quanta sottovalutazione dei suoi esiti finali: basta un modesto spostamento di voti, un’emozione nuova, un fremito dell’opinione pubblica, per rovesciare il tavolo. Partita chiusa.

Immaginare che destra e sinistra capiscano queste cose, e cambino modalità, è secondo me quasi impossibile. Ci sono troppo dentro, è la loro intera cultura politica che si fonda su questi due pilastri, e nessuno (tra l’altro) saprebbe più che cosa dire al “popolo”: non a caso, chi al popolo parla è stato derubricato a “populista”, una definizione che tiene banco da dieci anni come un esorcismo di massa. Ma altra strada non c’è. O si ricomincia a fare politica puntando gli occhi sul reale, abbandonando lo storytelling in favore di una corretta lettura della storia “vera”, abbandonando la tattica della Panda Rossa, del nemico alle porte, e guardando in faccia questa Italia stremata dalla crisi, oppure giochi chiusi. La sinistra perde e lo sappiamo, ma anche la destra esce dopo un ventennio dal governo delle sue roccaforti – Latina e Varese tra tutte – ammazzata da esperienze civiche che non hanno l’imprinting Cinque Stelle ma si muovono fuori dai simboli tradizionali e dalle alleanze consuete.

Frana, qui e oggi, anche l’idea “europea” della Grossekoalition, o più modestamente del Modello Nazareno. La destra non vota la sinistra, mai. E viceversa. Non in Italia. Prenderne atto. Non illudersi di cambiare le cose con l’ennesimo ritocco alla legge elettorale. Capire che il problema è più largo del doppio turno o del premio di coalizione. Licenziare gli spin doctor. Smettere di dire sciocchezze come «Li vedremo alla prova», «Vincono le facce giovani», e tutta la caterva di banalità retoriche che ascoltiamo in queste ore. Stare sui social per capire che succede e non per postare propaganda vuota. Scoraggiare il naturale conformismo dell’informazione, cercare ragionamenti taglienti invece che consolatori. E limitare lo psicodramma delle analisi del voto, perché il voto è chiarissimo per tutti: l’Italia sta licenziando dopo vent’anni élite che percepisce come imbroglione e bugiarde, caccia il populismo di potere degli ottimati in nome di un altro populismo, che magari si rivelerà salto dalla padella alla brace, ma tant’è: la realtà è questa.

 

 

Traditori

Il pd in tutte le sue versioni del prima, mentre e durante che per vent’anni ha parato il culo ad un delinquente abituale oggi manda a casa Marino violando tutte le regole della democrazia per un avviso di garanzia e due scontrini che, al confronto di quanto ci è costato e purtroppo ci continuerà a costare il faraone di Rignano sono il nulla.
Naturalmente Vincenzo De Luca, che non è indagato ma proprio condannato, secondo le nuove regole della democrazia p2.0 di Renzi può restare.

Nel pd uno non vale uno ma 25+1 [che ne accontentano uno].
26 persone che pensano tutte la stessa cosa e la fanno.
Più che un partito una religione, una setta, una congrega, un’esseppia, un’associazione.
Renzi lo fa per noi, per farci disabituare al significato delle elezioni, basta col luogo comune sulla democrazia, sul popolo sovrano che vota e sceglie: da oggi in poi il presidente del consiglio può proporre il candidato, spostarlo come ha fatto con la Barracciu che si è presentata già col suo bel vestitino da indagata ma poi, siccome pareva brutto, meglio il parlamento che la presidenza della sua regione: lì so’ tanti e si confondono, nessuno ci fa caso, al limite ci si può sempre dimettere dalla carica e comunque ci sono sempre Verdini e Azzollini che in parlamento fanno la loro porca figura e, soprattutto, la fanno fare alla politica.
E se proprio il candidato, seppur votato, sebbene eletto non piace al capo basta che la setta decida e si manda via, senza nemmeno gli otto giorni di preavviso.
Quindi, a che servono le elezioni?
A niente, ha ragione Renzi.

La prossima volta che in casa 5stelle qualcuno verrà espulso in base alle regole che il movimento stesso si è dato, i cari democratici, i paladini del rispetto delle regole de’ ‘sta minchia sono pregati di tenere la bocca chiusa e le mani a posto, lontane dalla tastiera. 

Perché se il movimento espelle dal movimento in base ad una regola condivisa, Renzi e il pd hanno espulso Marino‬ non grazie ad una regola interna al partito ma obbligando i 25 a tradire il mandato ricevuto dagli elettori in virtù della legge della democrazia: quella vera, non quella riveduta, corretta e stravolta dal pd di Renzi a misura di Renzi.

I cittadini hanno molto più da rimetterci in termini di considerazione e rispetto per le loro scelte elettorali in un paese dove il presidente del consiglio può ordinare le dimissioni di qualcuno, che sia il sindaco, il funzionario statale o l’amministratore del suo condominio.
La democrazia ha le sue regole, a chi non vanno più bene quelle regole voti un partito che nel programma inserisce anche i capricci  reazionari di un narciso impostore, miracolato dalle “contingenze” che lo hanno portato a palazzo Chigi, le famose contingenze napolitane, che vuole fare tutto lui senza rispettare i dovuti passaggi che la democrazia impone affinché si cambino quelle regole.

Oggi Renzi e il pd hanno tagliato un’altra consistente fetta alla democrazia, ma per i servitori abituali, quelli del talk show, dei giornali e telegiornali non c’è nessun pericolo. La deriva autoritaria dello sceicco del consiglio autorizzato dall’emerito novantenne invadente e  impiccione era solo una chiacchiera, un pettegolezzo, una malignità.

Chi gioisce dei 25, i traditori, né più né meno di quelli che “Ruby è la nipote di Mubarak” che sono andati a consegnare le loro dimissioni –  spontaneamente – ci mancherebbe altro per mandare a casa Marino‬, sappia che in vaticano stanno facendo lo stesso.
Chiaro?

Quindi, mai

Fra una certa incapacità a sapersi destreggiare nella politica, in special modo la politica nemica delle giuste cause qual è quella del pd di Renzi e la disonestà, non solo del pensiero ma anche nelle azioni un po’ di differenza c’è. Ed è quella che dovrebbe distinguere anche la motivazione della battaglia politica.
Quando quella differenza si annulla e la battaglia diventa l’occasione per il tutti contro uno, per quel tutti intendo anche chi, a parole, dice di pensare a delle politiche diverse, di avere idee diverse ma poi era al Campidoglio insieme a chi faceva i saluti romani e sventolava le bandiere di forza nuova e casa pound, ha festeggiato intorno alla carcassa del sindaco di Roma partecipando al regolamento di conti tutto interno al partito di Renzi e di Marino quella non è più politica ma, come nella migliore tradizione italiana è preparare il terreno alla spartizione di un potere che fa gola.
Chi si proclama diverso e migliore deve poi esserlo nei fatti e non a parole, ad esempio evitando di condividere la piazza coi fascisti: per non dare adito, mica per niente.
Il trattamento diffamante e violento riservato a Marino, non solo quello della piazza ma soprattutto di quei media che ora fanno finta di analizzare il risultato della massiccia campagna denigratoria contro il sindaco di Roma fatta da loro: Il Fatto Quotidiano come Repubblica, Formigli come Paragone è stato unico nella storia della politica di questi ultimi vent’anni, una cosa mai vista nemmeno nei riguardi dei delinquenti veri, certificati da sentenze e condanne.

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Il vicario del papa: “a Roma serve una nuova classe dirigente”.Ma come si permette?
I cittadini romani, italiani, hanno forse voce in capitolo nell’elezione del papa e nella scelta delle alte gerarchie vaticane?
Seriamente: qualcuno dica a ‘sta gente di tacere, ché di danni ne ha fatti abbastanza. Non serve riconoscere altra autorevolezza al vaticano, ne ha giá troppa che nemmeno gli spetta.
Il papa fa il papa e la chiesa, la chiesa: da duemila e più anni.
E, se piacciono tanto alla cosiddetta “sinistra” e agli insospettabili laici, quelli che “io non sono cattolico, ma questo papa…”  c’è qualcosa che non quadra. Qualcosa di anormale e di malato che bisognerebbe curare.
I punti di riferimento della politica progressista dovrebbero stare altrove da san Pietro.

In quale altra democrazia sana, compiuta ed evoluta è possibile che il vicario del papa possa imporre precise indicazioni su quello che deve fare la politica e la conferenza episcopale metta sistematicamente bocca circa il progetto di leggi che hanno a che fare con la vita civile dei cittadini fino ad arrivare all’annullamento di un referendum?
Naturalmente solo in questa che non è sana né compiuta né evoluta,  dove la politica non riesce proprio a fare a meno dell’assistenza del vaticano che, invece di essere grato della considerazione parossistica delle istituzioni della repubblica avanza pretese in continuazione, viene ospitato sul suolo italiano praticamente a costo zero perché al mantenimento dello stato nello stato contribuiscono anche i cittadini che vivono benissimo senza i riferimenti mistici, che sanno attraversare la strada della vita senza l’aiutino degli amici immaginari.
Questo sarà un paese appena un po’ civile il giorno in cui un politico qualsiasi di fronte all’ennesima esternazione degli uomini di chiesa, papa compreso sui temi che non riguardano la chiesa ma lo stato, risponderà semplicemente “grazie, eminenza, ma possiamo farcela da soli”.
Quindi mai.

Ormai non c’è storia, notizia, situazione riportata dai media in cui il commentatore, conduttore, giornalista non faccia la precisazione: “l’ha detto anche il papa”. Come se tutto quello che dice il papa si debba necessariamente vestire di giustezza inconfutabile.
Ci sarebbe da chiedere, da chiedersi dove fosse questo papa mentre intorno a lui accadevano le stesse cose che oggi lui commenta “da papa” con toni accorati, dispiaciuti, talvolta arrabbiati, dov’erano nascoste le sue velleità “rivoluzionarie” mentre si facevano le guerre, la chiesa si macchiava di scandali inenarrabili e appoggiava le peggiori politiche non solo in Italia ma in tutto il pianeta.
Ma capisco che sarebbe troppo pretendere che i giornalisti facciano domande giuste al papa, visto che come ci insegna Fabio Fazio non le fanno nemmeno a Renzi.
Dunque, stabilito che il papa, “questo papa”, parla di tutto, anche di quello che non dovrebbe si potrebbe così, giusto per cortesia, evitare di ammantare il tutto e l’oltre col riferimento agli interessi e alle opinioni del papa, che non sono di rilevanza nazionale, mondiale e non risolvono nessuno dei problemi e dei drammi reali che gran parte dell’umanità è costretta a subire e sopportare anche in virtù della millenaria complicità omertosa della chiesa con chi li costruiva.

Di proteste e proposte

 

In questo mare è annegata anche l’ultima speranza di un cambiamento moderno, riformista, liberale, democratico davvero. Questa Europa, per come l’hanno costruita e in funzione di cosa è un tragico bluff, un circolo vizioso, una dannazione. E non ce ne potremo liberare.

Il  risultato francese è la risposta, forte e chiara, a tutti quelli che “destra e sinistra non contano”. 
Quelli che vanno “oltre le ideologie”.
Quelli che “non contano i partiti, contano le persone”, le idee. E che idee.
A Strasburgo andrà un eurodeputato nazista tedesco: in momenti e periodi di crisi i popoli si spostano sempre verso la politica più dura, fascista, anche oltre il fascismo pensando che sia quella che poi restituirà una serenità sociale.
“Oltre” è una parola molto bella, sa di eternità, di panorami sconfinati, di libertà senza limiti.
Ma non tutti gli oltre sono uguali, perché ci sono ambiti in cui il confine deve essere netto e ben marcato, quello che chiude a tutte le forme autoritarie già conosciute e sperimentate qual è, appunto, la politica fascista, anche oltre il fascismo, come quella di Marina Le Pen, che non ha mai risolto un solo problema sociale ma ha creato solo disordine, repressione, violenza, assenza di libertà e di qualsiasi forma di serenità.

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Se il pd ha stravinto sui 5stelle nonostante l’alleanza con berlusconi, la vigliaccata di Renzi fatta subire a Letta, la profonda sintonia col criminale, le balle di Renzi e Renzi è perché o la gente ha scelto  di nuovo quello che pensava fosse il male minore o  perché si è spaventata pensando che il nuovo non fosse poi così affidabile.

Nel paese normale la lega di salvini che in Europa viene trattata – giustamente – a calci nel culo veri e non metaforici non prenderebbe più voti della lista di Tsipras. La Grecia si è ripresa la sua polis, gli altri paesi, compresa l’Italia, fanno schifo al cazzo. E meritano di sprofondare.

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Spero vivamente che la batosta inflitta al movimento sia utile a far capire quello che in questi mesi, modestamente, cercavo di spiegare anch’io. 
E l’ho continuato a fare anche mentre la mia lista facebook si assottigliava, mentre leggevo le bacheche dei cosiddetti amici che lanciavano anatemi offensivi, accuse miserabili verso tutti quelli che cercavano di dire ai movimentisti vinciamonoisti che la filosofia della volgarità, dell’insulto, della minaccia, dell’io sono meglio di te senza dimostrarlo nei fatti alla conta che conta non paga. Stamattina di sfuggita ho letto in una bacheca fb  cinquestellata che Rodotà e Zagrebelsky sono dei coglioni perché hanno votato la lista di Tsipras.  A tutto c’è un limite.
E  non basta essere onesti, che la svolta culturale di cui ha parlato Di Battista non passa per una campagna elettorale modulata sul tono di voce più alto, sull’eccesso, sull’iperbole esagerata e violenta; in questo modo non passa nessun messaggio positivo e convincente.
Un movimento di gente fatto dalla gente non potrà mai sfondare se quella gente continua a difendere il modus operandi di chi lo rappresenta anche quando è oggettivamente ed evidentemente indifendibile.
Se non si mette in testa che la politica è anche, e come no, una questione di linguaggio, che i cori da stadio vanno bene allo stadio.
Un movimento di gente fatto dalla gente avrebbe dovuto essere più intransigente con chi andava in piazza a urlare epiteti, trivialità che soddisfano forse le pance ma non saziano le menti, soprattutto quelle di chi forse ci avrebbe voluto provare a dare fiducia alla politica fatta dalla gente per la gente.
E questa sconfitta dispiace soprattutto a chi crede nella democrazia fatta di alternanze, di voci diverse, di persone che si attivano per dare un contributo utile alla causa di tutti.
Perché io ho gioito quando i 5stelle alle passate elezioni hanno raggiunto un risultato inimmaginabile per dei non professionisti della politica, mi dicevo che la politica, quella tradizionale, napolitana, da quel momento in poi avrebbe sentito il fiato sul collo di chi controllava il suo operato, e che forse per la prima volta nella storia di questo paese maggioranza e opposizione avrebbero potuto rendersi un favore reciproco: la maggioranza lavorando meglio perché sotto controllo e l’opposizione crescendo in base a quello che la gente le avrebbe chiesto di fare: alle esigenze e alle necessità vere di un paese allo stremo psicologico, prim’ancora che economico e sociale.
Invece è stata una delusione continua, un’innalzare sguaiatamente e inutilmente i toni, senza fare nulla di veramente politico per dare un senso al consenso, allontanando quella gente che non per dispetto ma per una voglia sincera di trasformazione e cambiamento nella politica avrebbe fatto un passo verso la novità.
Invece così non succederà niente e le voci che in molti abbiamo cercato di contrastare, quelle della propaganda spicciola, della stampa serva e inchinata alla politica che si dimentica della gente ma si ricorda molto bene di se stessa da ora in poi avranno altri argomenti e li useranno, anzi, già lo stanno facendo, e quando ri_parleranno i vecchi tromboni che in tutti questi mesi ci hanno allietato da quotidiani, talk show, dalla solita radio non potremo andare a nasconderci da nessuna parte.
Tutto questo perché non è stato usato l’unico ingrediente necessario a condire la battaglia politica che è l’intelligenza, quella – appunto – che non basta dire: noi siamo meglio di loro senza dimostrarlo poi nei fatti e nelle azioni.

Chi ha fatto della comunicazione diretta il suo cavallo di battaglia ha dimostrato di non capire nulla di come poi va usata. E se i 5stelle hanno perso tre milioni di voti invece di guadagnarne ancora malgrado i fatti che nel frattempo erano e sono  accaduti, arresti, vicende di corruzione, l’Expo, significa che l’idea di una democrazia liquida, orizzontale, che parte da quel basso che dovrebbe pretendere il meglio ma poi si accontenta dei vaffanculo in piazza, non affascina. Grillo quel patrimonio ottenuto alle elezioni passate non l’ha fatto fruttare, in tutto questo tempo ci ha giocato al più bello del reame, la gente se n’è accorta e l’ha punito.
E sarebbe bello sapere con chi avrebbero lavorato i 5stelle in Europa, loro che hanno sempre rifiutato anche il minimo contatto, quegli accordi che in politica sono necessari per produrre qualche risultato utile. Se la proposta è solo protesta non si vince.
Alla protesta vanno aggiunte azioni propositive, produttive, insomma, essere pro è molto più utile che essere contro a prescindere.
Non si vincono le elezioni ipotizzando tabule rase, processi e tribunali di piazza.

Gli sputi non vanno mai bene, sia reali che virtuali.
E se Grillo fosse onesto fino in fondo oggi il processo dovrebbe farlo solo a se stesso.

 

 

 

 

 

 

Rinnovo l’invito: qualcuno ci invada

Sottotitolo: un ringraziamento speciale a Marco Travaglio e Andrea Scanzi che continuano praticamente ogni giorno a spiegarci la chiave di lettura delle dinamiche dei talk show nonostante e malgrado sia una fatica ed un dispendio di energie abbastanza inutile nel paese dove tutti sapevano e sanno tutto e non c’è bisogno di nessuno che lo spieghi. Forse è per questo che l’Italia è ridotta ai minimi termini: perché tutti sapevano e hanno agito di conseguenza, politica e istituzioni comprese.

Questo è il paese dove  si fanno le pulci a chi almeno ha il coraggio di dire le cose come sono. Troppo facile così. E troppo facile anche accusare di filogrillismo chi condivide l’ovvio e il pertinente. Persona più libera di me politicamente non c’è, dicevo e scrivevo in tempi molto meno sospetti di questo che non bisogna innamorarsi della politica, bisogna vigilarla a vista, non prendere le difese di gente che ha la possibilità di mandare la digos a casa di chiunque, anche dei cittadini onesti, quando vuole.

Quando ho iniziato ad interessarmi della politica l’ho fatto per difendermi, non per diventare come quelli che la fanno e quelli che sostengono chi l’ha ridotta così male.

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LA PUTTANATA  – Marco Travaglio, 11 settembre 

IMPERVERSA IL FUNARISMO 2.0 E I TALK POLITICI DIVENTANO POLLAI  – Andrea Scanzi, 11 settembre

AGLI ORDINI DEL COLLE  Antonio Padellaro, 11 settembre

NAPOLITANO CHIEDE UNITÀ, IL PD SI ADEGUA E SALVA B. Fabrizio d’Esposito, 11 settembre

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Per tutti quelli che “se i 5 stelle avessero fatto altre scelte”, tipo l’accordo con chi non ha trovato disdicevole l’alleanza col partito del delinquente dopo averlo sostenuto in modo più o meno occulto per una ventina d’anni.
I 5 stelle sono stati gli unici a mantenere una certa coerenza, tutti gli altri l’hanno svenduta per il bene della pacificazione nazionale dunque di berlusconi, e non bisogna aver votato il MoVimento per ammetterlo. Ora che ve/ce lo hanno detto in tutte lingue del mondo, potreste per favore smetterla di ravanare sempre in un torbido che non c’è?

Producono il caos, poi lo usano. Alessandro Gilioli, 11 settembre

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Tutto sommato gli eventi “politici” di queste ore aiutano ad inquadrare meglio la situazione nel suo complesso.

Aiutano a difendersi da quelli che vogliono fare la morale a chi incrocia il suo pensiero, e le sue opinioni, talvolta o più spesso condividendo entrambi con quello che esprimono i deputati 5 stelle di fronte alla presidente della camera che trova ingiurioso chiamare i ladri, ladri, ripetendo l’invito a “non offendere”per ben tre volte, forse per convincersene lei per prima. 

A questi, quelli che “con Di Pietro mai”, e “con Grillo mai” andrebbe risposto, come dice il mio amico Andrea, che sono alleati stretti stretti con la destra più fascista e negazionista che abbia mai occupato il parlamento dopo il ventennio di mussolini il quale, secondo il noto pregiudicato, non ammazzava nessuno, mandava la gente in vacanza e qualcosa di buono l’ha fatto anche lui.
E dovrebbe forse bastare per zittirli e farli vergognare, magari in segreto.

Aiutano a non sentirsi troppo colpevoli per tutte le volte in cui per sfinimento un po’ tutti abbiamo detto o pensato che, alla fine, “sono tutti uguali” perché nei fatti lo sono, perché se non lo fossero stati non saremmo mai arrivati fino a qui, a dover assistere allibiti, attoniti, nauseati ad uno spettacolo indegno: quello di una politica e di un presidente della repubblica che stanno facendo l’impossibile e l’inenarrabile per annullare la sentenza che ha condannato berlusconi, non saremmo qui a discutere di un parlamento che, esclusi i nuovi inquilini, quei maleducati che chiamano ladri i ladri non può, non sa, non vuole liberarsi dell’intruso delinquente. Perché se non lo sono nelle azioni lo sono eccome nei principi, se non fosse così berlusconi stamattina sarebbe fuori dal parlamento, se invece questo fosse stato un paese normale non ci sarebbe mai nemmeno entrato. 

E quello che non si può sopportare è il tentativo di  mettere il sigillo dello stato, della democrazia su questa operazione disgustosa, eversiva che è quella di sottrarre un delinquente dalle sue responsabilità penali, cosa che non si potrebbe fare perché non è giusto né legittimo fare nei confronti di nessun altro cittadino, qualcosa che in nessun paese definito normale, civile e democratico davvero sarebbe mai potuta accadere.

Ipocriti del cazzo [eddue]

Mauro Biani

In un paese civile, normale e dove i diritti dei cittadini fossero tutelati e rispettati in primis da quella politica che li rende operativi per legge gente come giovanardi e la binetti sarebbe in galera per le sue dichiarazioni omofobe e razziste. E invece entrambi continuano ad essere inseguiti da sedicenti giornalisti ansiosi di ascoltare [e purtroppo farle sapere anche a noi] le autorevoli opinioni di questi due, per citare i peggiori, che da sempre esprimono la stessa: l’omosessualità è contro natura, è una malattia. Mentre non è l’una né l’altra cosa, e il dramma è che questo lo sanno anche giovanardi e la binetti che fra l’altro è un medico psichiatra che un ordine dei medici serio avrebbe già cacciato a pedale nel culo.

Chi può dimenticarsi della perla giovanardesca  quando disse che per lui due lesbiche che si baciano sono come chi fa la pipì in strada? eppure sono sempre lì, nessuno se ne preoccupa più di tanto. Fanno folklore, si vede.

La politica continua a  nascondersi dietro l’ignobile alibi del c’è altro a cui pensare, del paese che non è pronto e della gente che non capirebbe, mentre la gente ha capito benissimo che la politica italiana ha legiferato, si fa per dire, e continuerà a farlo in materia di diritti civili col preciso obiettivo di non inimicarsi il prezioso bacino di voti dei cattolici e dunque il vaticano;  la responsabilità  della mancanza di leggi a tutela di diritti e uguaglianza  in questo paese ce l’ha SOLO la politica che, a destra come a sinistra, si è sempre inchinata ai desiderata di papi, vescovi e cardinali al solo scopo di raccattare qualche voto in più,  ce l’ha la gente di questo paese, perché non è mica colpa della chiesa se gli italiani non hanno mai maturato un pensiero forte per contrastare ad esempio l’omofobia, il razzismo. In un paese a maggioranza di imbecilli non spaventa un pregiudicato che ricatta le istituzioni e quel ricatto poi viene fatto subire a noi cittadini per mezzo di un presidente del consiglio che minaccia tasse più alte se cade il governo; non mette paura un condannato alla galera per il reato più odioso di tutti perché ricade su tutti qual è l’evasione fiscale e  che  viene trattato e considerato  ancora come l’interlocutore con cui dialogare, non hanno spaventato sessanta anni di finta democrazia, finta repubblica, finti governi al soldo di altri poteri estranei all’Italia proprio come quello delle larghe e bellissime intese napoletane, no: meglio prendersela con gli omosessuali, i neri, gli zingari, sono loro il vero pericolo.

Non so se una legge contro l’omofobia avrebbe salvato il ragazzino che si è buttato dal balcone a quattordici anni perché stufo di essere la vittima di un paese che sta alla cultura, al rispetto come berlusconi all’onestà:  non è nemmeno il primo né sarà l’ultimo in questo paese di ignoranti mascalzoni.

 Probabilmente no, perché esistono leggi che ordinano di non rubare ma i ladri continuano ad esistere, così come gli assassini, gli stupratori, i pedofili, i corruttori e via a seguire per tutte le azioni oltre la legge che la legge però non potrà mai controllare né risolvere alla radice perché quell’agire fa parte dell’umanità da che esiste l’umanità.

In un paese come il nostro poi dove è la politica stessa a fare in modo che le leggi siano invalidate così come certi processi e alcune sentenze si guarda ormai a quello che accade giornalmente in materia di discriminazioni, ingiustizie, illegalità con un sentimento di dolorosa rassegnazione.

Quello che la politica può fare, ma deve essere una buona politica dunque non la nostra, è fare in modo che si riduca l’asticella delle disuguaglianze fino ad annullarle così come vuole la nostra Costituzione, perché non esiste legge che possa sanzionare l’imbecillità, l’ignoranza e continuare a premere sul tasto dell’esigenza di leggi speciali poi porta ad una legge inutile, malfatta e assurda come quella sul “femminicidio”.

In questo paese non serve una legge contro l’omofobia, altrimenti bisognerebbe farne una verso tutte le caratteristiche umane e personali che smuovono il giudizio becero fino alla discriminazione: ne servirà una che punisca chi prende in giro e discrimina gli obesi, quelli con gli occhiali o il naso storto, una contro chi è contro i facili costumi, nel paese dove ragazze e donne vengono etichettate come troie e discriminate di conseguenza solo perché si vestono in un certo modo e hanno un atteggiamento disinvolto con gli uomini.

In questo paese è necessaria, urgente una legge che metta gli omosessuali, le lesbiche e i trans allo stesso livello di chi non lo è.

 Si parla di diritti, di una Costituzione che comanda che la legge è uguale per tutti ma nei fatti non lo è, e di cittadini uguali sempre, e nei fatti non lo sono.

E i primi a fottersene allegramente sono proprio quelli che dovrebbero difendere tutto quello che è scritto in quella Carta ma nei fatti non succede.

Diritti uguali per tutt* e leggi uguali per tutt*: così si combattono le discriminazioni, non strumentalizzando politicamente le condizioni e  i drammi della gente per magari guadagnarci perfino dei soldi sopra con strutture apposite alla tutela di questo e quello.
E allo stesso modo è necessario, urgente che la politica di tutti i colori smetta di usare le minoranze quale strumento elettorale, trasformarle in argomenti buoni in campagna elettorale, non fare nulla quando dovrebbe e ricordarsene solo in presenza di una tragedia.

Capito, Lauretta?

Ha vinto la sinistra senza sinistra

Sottotitolo: qualcuno dica a Ezio Mauro, Massimo Giannini e al fondatore anziano che il risultato di ieri  non significa affatto “vittoria della sinistra” come trionfalmente ha titolato oggi Repubblica. Se Atene piange Sparta non ride, a Roma ha vinto Ignazio Marino che è lontano, lontanissimo, e per fortuna, dall’idea di sinistra che hanno alla redazione di Repubblica e anche nel pd che quell’idea nemmeno ce l’ha, visto che sta governando – si fa per dire – col perdente berlusconi.

E adesso quelli faranno finta che vada tutto benissimo. 

Faranno finta che non ci sia stato l’astensionismo più alto della storia repubblicana. Faranno finta che nell’elezione più significativa (Roma) non abbia vinto un outsider eretico, più ‘nonostante’ il Pd che ‘grazie’ al Pd. Faranno finta che non siano amministrative, dove da sempre si va molto meglio. Faranno finta di non accorgersi che Berlusconi a questo giro se n’è fottuto, lasciando Alemanno e gli altri al loro destino, ma quando il tycoon si butta pancia  a terra in campagna elettorale è un’altra storia.

E cosí via. Faranno finta per non mettersi in discussione, come sempre. E continueranno cosí, mentre la loro campana è già molto suonata da tempo, e non saranno né la pochezza di Alemanno né le isterie di Grillo a resuscitarli.

 

Preambolo: nessuno, spero,  dimentica che al governo nazionale pd e pdl sono insieme in virtù di un’emergenza nazionale di cui però ancora nessuno si sta occupando.

Gli impegni del governo attualmente sono altri: il presidenzialismo, l’assalto alla Costituzione,  i tentativi di censurare la Rete, come rifilare alla gente l’ennesima truffa sui finanziamenti ai partiti; cose così e tutte importantissime, ci mancherebbe.

Ma a me oggi, quello che interessa più di tutto è che Roma sia tornata al ruolo che le compete di città Antifascista.

Le polemiche le lascio volentieri a quegl’irriducibili che non vedono la differenza fra Ignazio Marino e gianni alemanno e che quindi si presume non vedano nemmeno quella fra il razzista gentilini e il nuovo sindaco di Treviso.

A guardare bene, invece, la differenza c’è.

Marino non ha vinto grazie al pd, ha vinto nonostante il pd.

 Epifani, segretario del suo partito, non era al suo fianco mentre cercava di sottrarre Roma ad alemanno.

Quando i talk show smetteranno di fare i processi a Grillo forse Grillo smetterà di avercela coi giornalisti.

E dire che di argomenti ce ne sarebbero come si dice, “a iosa”.

Si potrebbe parlare di un governo di emergenza che non fa fronte alle emergenze ma poi per bocca del presidente del consiglio si vanta dei risultati elettorali che sarebbero una prova di fiducia dei cittadini verso le larghe intese: e ci vuole o una grande fantasia o una enorme scorrettezza per leggere questo nei risultati di ieri.

A Roma vota un quinto degli elettori e la prima cosa che fa Letta è tributare l’onore alle larghe intese? la politica, quella bella che piace a Napolitano che ha sempre ottime parole di elogio per il suo bel governo del largo inciucio non imparerà mai la lezione.

 Su una popolazione di cinque milioni di persone sono andati a votare in 630.000. Per fortuna sono bastati a cacciare il fascista.

Oppure  della disfatta della lega;  gentilini ha perso a Treviso, lo sceriffo, l’immondo razzista leghista che voleva travestire gli immigrati da leprotti “per fargli pum pum”.

[Il virgolettato è suo, originale, una persona normale si vergognerebbe perfino di pensarla una cosa del genere].
O ancora, analizzare il fenomeno di un astensionismo preoccupante; in questo paese la maggioranza dei cittadini a votare non ci vuole andare più perché ha perso la fiducia nella politica non per colpa di Grillo ma proprio e solo della politica.  

Marino ha vinto a Roma soprattutto perché si è distaccato dal pd che di sinistra non ha nemmeno un’idea.


CASSE VUOTE URNE VUOTE [Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano]

Le larghe intese non c’entrano nulla, la catastrofe Pdl è la fotografia di un partito padronale che quando il padrone non scende in campo è costretto a schierare vecchi catorci o giovani nullità e i risultati si vedono. La destra perde a Brescia a furor di popolo, tracolla a Imperia dove l’ex potente Scajola è finito in un buco nero e crolla a Treviso dove quel Gentilini che voleva sparare agli immigrati è finito impallinato lui. Poi c’è Alemanno, il peggior sindaco che si ricordi, con la Capitale ridotta a una discarica attraversata da bande di raccomandati e grassatori. Le larghe intese non c’entrano nulla, il 16 a 0 del centrosinistra è frutto di candidature mediamente decenti che al confronto con gli impresentabili dell’altra sponda fanno per forza un figurone. Poi c’è Ignazio Marino, marziano a Roma, come Pisapia a Milano o De Magistris a Napoli o Zedda a Cagliari solo che questa volta il Pd ci ha messo il timbro. Chirurgo di fama, dovrà amministrare una città con immensi problemi dove per la prima volta nella storia repubblicana ha votato meno della metà degli elettori. Ma questo è anche il ritratto di un Paese, massacrato dalla crisi e imbrogliato dalle false promesse, che fugge velocemente dalla politica. C’è un nesso strettissimo tra le casse vuote e le urne vuote. L’Italia amava votare ed era in materia la prima della classe in Europa. Adesso non è più così, ma i politologi del reparto frenatori dicono: niente paura e parlano di fenomeno fisiologico, come se fosse una botta di cattivo umore collettivo e non il segno di un disgusto sempre più profondo. E perché mai non dovrebbe essere così? Mentre il progressivo calo del Pil è il segnale di un declino industriale forse irreversibile, il governo galleggia nell’incertezza, convalidata dai segnali del Quirinale che un giorno sì e l’altro pure fissano un termine all’esperienza del giovane Letta. Una politica degli annunci che si sposa a quella del rinvio, mentre lo Stato ha già speso i soldi destinati a tutto il 2013. In queste condizioni, votare non è dunque un atto eroico?

 

Dis’affezione

 

Un abbraccio affettuoso a Dario Fo e un arrivederci chissà dove a Franca Rame.

FRANCA RAME MORTA A MILANO

L’attrice, moglie di Dario Fo, impegnata per i diritti delle donne, aveva 84 anni. Era malata da tempo.

Letta: “la gente ha capito la scelta delle larghe intese“.

Infatti: ecco perché  Marino aveva votato Rodotà e aveva votato contro la fiducia al governo Letta.

Sottotitolo: non si recupera un paese ostaggio della disinformazione, vittima di chi vuol far credere sistematicamente e puntualmente che Cristo morì di freddo e dove quelle poche voci che cercano di farsi spazio nella melma vengono considerate eversive, anti stato, nemiche della democrazia.
In un paese amico della verità non esisterebbero, ad esempio, crimini impuniti da quarant’anni e nemmeno quella che è molto più di un’ipotesi: lo stato che preferì trovare un accordo con la mafia anziché contrastarla con tutte le sue forze.
La verità, quando viene negata va anche pretesa, ma, evidentemente, non è un interesse comune, c’è ancora troppa gente a cui la verità non interessa, può farne a meno o forse la teme.

Se l’informazione, quella ufficiale, che paghiamo attraverso una tassa alla tv cosiddetta di stato e finanziando la carta stampata con tanti, troppi soldi, fosse stata così precisa e puntuale a rilevare gli errori delle varie maggioranze e opposizioni, della politica tutta, quella bella, quella tradizionale dei partiti – diciamo negli ultimi vent’anni –  così come lo è non facendo passare nulla ai 5stelle, oggi probabilmente parleremmo di un maggio che sembra novembre.

Una corretta informazione è la struttura portante di ogni democrazia. E noi non l’abbiamo mai avuta.



Chi non va a votare non è disaffezionato né alla politica né al voto ma solo e unicamente a chi rappresenta in quel momento la politica.

Sono le facce ad aver stancato, non la politica.

Il pd non paga solo l’alleanza italicida con Monti ma soprattutto il suo essersi allontanato da un’idea di sinistra vera. 
Di non aver proposto un programma di sinistra.
Paga il non aver tentato un’altra soluzione invece di adeguarsi ai desiderata di Napolitano che ha tirato dentro Monti come se quella fosse l’unica soluzione possibile.
Quindi è perfettamente inutile il giochino di cercare il colpevole adesso.
Rilanciare ogni giorno la questione del di chi è la colpa è un affare buono dal punto di vista mediatico, per farci stare qui tutti i giorni a dire le stesse cose.
E gli italiani questo lo hanno capito benissimo, altrimenti non avrebbero disertato in massa queste elezioni; il fatto che a Roma, dopo i disastri prodotti dall’ex picchiatore sia andata a votare la metà degli aventi diritto dovrebbe suscitare tutt’altro tipo di riflessioni, a differenza di quello che pensano dicono e scrivono i soliti soloni che cercano di far credere che queste elezioni siano state un tributo al governo delle larghe intese.
Mi dispiace per il fan club di Bersani che ieri sera si è commosso rivedendo l’ex segretario in tv ma Bersani è lo stesso che abbracciò Alfano, lo stesso che si commosse quando l’inciucio venne trasformato in solida realtà. 

Il problema in Italia non è solo la mancanza di rappresentazione politica di sinistra, è stato soprattutto il non aver avuto una vera opposizione.

 Con una opposizione convintamente oppositiva e non facilmente seducibile dall'”antagonista” berlusconi sarebbe stato sconfitto come piacerebbe a tanti, anche a sinistra, e cioè politicamente, semmai sia giusto che ad un delinquente vengano date ancora e ancora opportunità come quelle regalate a berlusconi dalla politica e dalle istituzioni.
Chi è vittima dei suoi errori non può prendersela con nessun altro oltre a se stesso.

Veni, vidi, inciuci
Marco Travaglio, 29 maggio

Chi ha visto i tg e i talk di lunedì e ha letto i giornali di ieri s’è fatto l’idea che gli italiani, improvvisamente impazziti tre mesi fa quando andarono in massa a votare Grillo, siano prontamente rinsaviti precipitandosi a premiare il Pd e le sue larghe intese col Pdl. A parte una quota crescente di elettori che, in preda a una non meglio precisata “disaffezione” o “distacco” dalla politica, è rimasta a casa. Corriere : “Vince l’astensione, perde Grillo, sale il Pd”. Repubblica : “La rivincita del Pd, crolla Grillo”. La Stampa: “Fuga dal voto, flop dei grillini, il Pd risale”. L’Unità: “Avanti centrosinistra”, “La spinta per ripartire”. Libero : “La tenuta del Pd allunga la vita al governo Letta”. Poi uno legge i numeri e scopre che non ha perso solo Grillo. Han perso tutti. Chi molto, chi moltissimo. Prendiamo Roma. Alle ultime comunali del 2008, quando Alemanno batté Rutelli al ballottaggio, il Pd prese 520.723 voti (34,04%) e il Pdl 559.559 (36,57%). L’altroieri il Pd s’è fermato a 267.605 (26,26%) e il Pdl a 195.749 (19.21%). Cioè: il Pd ha perso 295.160 voti (-43%) e il Pdl 457.935 (-65%). Ma, si dirà, era un altro mondo: i neonati 5Stelle si fermarono al 2%. Bene. Allora vediamo le politiche di febbraio 2013. A Roma il Pd raccolse 458.637 voti (28,66%) e il Pdl 299.568 (18,72%). Cioè: in tre mesi il Pd ha perso per strada 191.032 voti (-41%) e il Pdl 103.819 (-34%). Che senso ha dire che il Pd “sale”, o”avanza”, o “tiene”, o “risale” o addirittura ottiene la “rivincita”, quando nei comuni capoluogo perde il 38% dei voti in tre mesi? Sappiamo bene che, nelle comunali, conta arrivare primi. Ma questo varrebbe anche se la prossima volta i votanti fossero tre, e due scegliessero il Pd e uno il Pdl: sarebbe questa una vittoria, una salita, una risalita, una rivincita, una tenuta, un’avanzata, una spinta? Ma ecco l’angolo del buonumore, cioè il Giornale. Titolo: “Il voto non preoccupa il Cav: il governo rimane al sicuro”. Svolgimento: “Che avrebbe dovuto pagare un piccolo pedaggio alle larghe intese, il Cavaliere l’aveva messo in conto”. Piccolo pedaggio? Perdere due terzi dei voti a Roma in cinque anni e un terzo in tre mesi è un “piccolo pedaggio”? E l’estinzione allora che cos’è, un medio pedaggio? Sallusti News parla anche di “flop dell’antipolitica”: il 50% fra astenuti e grilli non gli basta, comincerà ad accorgersene dal 90% in su. Il meglio però lo danno gli aruspici delle larghe intese, intenti a leggere i fondi di caffè per saggiare la magnifiche sorti e progressive dell’inciucio. Enrico Letta non ha dubbi: “Ha vinto il governo delle larghe intese, nessun premio alle forze di opposizione. Dicevano che il cosiddetto inciucio doveva portare Grillo all’80%: si sbagliavano, al ballottaggio vanno solo candidati del Pd e del Pdl”. Il Genio Nipote non s’è neppure accorto che i protagonisti delle larghe intese, Pd e Pdl, han perso almeno un milione di voti su sette in tre mesi (di Monti è inutile dire: non pervenuto). E non lo sfiora neppure l’idea che Pd e Pdl vadano al ballottaggio proprio perché si presentano l’un contro l’altro armati, non affratellati in un’unica lista, secondo uno schema che è l’esatto opposto delle larghe intese. Ma sentite l’acuto Epifani: “La gente ha capito che questo governo non è un inciucio, ma un servizio al Paese”. Forse non sa che Marino è uno dei pochi pidini che han votato contro il governo Letta. O forse pensa davvero che a Isola Capo Rizzuto i pochi elettori superstiti, mentre si trascinavano ai seggi, si interrogassero pensosi sui destini delle larghe intese. Ma sì, dai, non è successo niente, anzi è tornato tutto come prima. A parte un filo di “disaffezione”, ecco. Questi, quando vedranno i primi i forconi, esulteranno fischiettando: “Visto? Stiamo rilanciando l’agricoltura”.

Ps. A Sulmona va al ballottaggio, secondo classificato
col 21,8%, l’ingegner Fulvio Di Benedetto, della coalizione civica Sulmona Unita. Il quale, purtroppo, è morto 15 giorni fa. Un altro ottimo auspicio per le larghe intese.

Campagna acquisti

Preambolo:  la Memoria doveva servire a proteggere non tanto quel presente che l’umanità vive nel periodo in cui esiste quanto, invece, il futuro in un ciclo continuo di protezione e di difesa del diritto – appunto – di esistere nel miglior modo possibile.
In questo paese invece se ne è fatto un uso sbagliato, la Memoria, quella che avrebbe dovuto impedire il ripetersi di altre bestialità è stata distorta – scientemente – in modo abbietto, funzionale al potere, ecco perché quelli che sono arrivati dopo, cioè noi, siamo ancora qui a lottare, a dover contrastare un male che avrebbe dovuto essere riposto, e da tempo, nell’armadio della storia.
Lo spread fra l’Italia e quei paesi che hanno fatto tesoro degli orrori ed errori del passato non consiste solo nelle dichiarazioni della cancelliera Merkel quando parla di responsabilità “perenne” della Germania nel merito del nazismo e della Shoah ma anche nel fatto che nessuno che di cognome fa hitler sieda nel parlamento tedesco. In questo paese la Costituzione funziona a intermittenza, come le lucine di natale, mentre non si riconoscono i diritti di TUTTI i cittadini così come dovrebbe, deve essere, è stato possibile che una che di cognome fa mussolini – che mai si è dissociata dalle teorie e dalle ideologie criminali di suo nonno né ne ha mai condannato le azioni ma anzi, spesso ha fatto apologia di quel fascismo  che in questo paese sarebbe un reato ma lo è purtroppo solo sulla carta – potesse sedere nel parlamento di una repubblica nata da una Resistenza Antifascista.

Questo non è un dettaglio insignificante, proprio per niente.

 

Sottotitolo 1: un paese dove ad un candidato politico basta acquistare un calciatore [e già qui ci sarebbe molto da dire a proposito di conflitto di interessi] per aumentare il consenso fra gli elettori merita di essere inserito fra gli stati canaglia, di essere estromesso dal circuito dei paesi civili, quelli che poi hanno voce in capitolo nel merito di decisioni che riguardano quel paese, l’Europa e il mondo intero.

E a quei cittadini che votano il partito di quel politico solo perché gli compra il calciatore andrebbero revocati il diritto di voto e i diritti civili.
Pacificamente e moderatamente.

Ogni volta che il geneticamente disonesto  ha detto, a proposito dell’acquisto di un calciatore, che la cifra era immorale ed eccessiva, o come stavolta motivando il rifiuto con altre argomentazioni [«Mi spiace doverlo dire, ma nel Milan è molto importante l’aspetto umano,  ha spiegato, ospite di “Lunedì di rigore” su Antenna3 (7 gennaio 2013). Se metti una mela marcia nello spogliatoio può infettare tutti gli altri. Io ho avuto modo, per vicende della vita, di dare un giudizio sull’uomo Balotelli, non accetterai mai che facesse parte dello spogliatoio del Milan».], l’aveva già comprato.
 Basta ricordarsi del caso Lentini [quella vicenda fu l’inizio della fine della decenza e di una parvenza di onestà in ambito calcistico], e di quando acquistò Nesta. 
Meno male che internet c’è.

Balotelli è del Milan: 20 milioni al Manchester City, 400mila voti a Berlusconi.

Secondo i politologi vicini al Cavaliere, l’arrivo dell’attaccante bresciano ai rossoneri porterà al Pdl un bonus di un punto percentuale alle prossime elezioni. Se tale proiezione dovesse diventare realtà, ogni voto sarebbe costato 50 euro.

 

Sottotitolo 2: “è  successo anche ad altri più importanti e autorevoli magistrati, a cominciare da Giovanni Falcone”.


“Più importanti ed autorevoli” non significa uguali a me.

Penso che Ilda Boccassini si meriti tutte le cose più belle del mondo, stima, rispetto ma soprattutto la soddisfazione di poter inchiodare finalmente il delinquente impunito alle sue responsabilità nei confronti della giustizia e di quel popolo italiano che ha disonorato per il solo fatto di esistere.

Ma questo coup de théâtre su Ingroia se lo poteva e doveva risparmiare.
Il suo è un giudizio di merito sulla persona [“piccola figura, si vergogni”, ma che modo è?] che peraltro non corrisponde nemmeno alla verità visto che ad Ingroia non è passato nemmeno nell’anticamera del cervello di paragonarsi a Falcone, e se la Boccassini ha pensato comunque, forse avendole ascoltate distrattamente, che fossero parole irricevibili eventualmente la critica avrebbe dovuto esprimerla privatamente al diretto interessato senza farne l’ennesimo argomento da far scivolare in mille rivoli e da trasformare in mille polemiche, sul quale ognuno poi avrebbe dato l’interpretazione che più gli conviene come infatti sta succedendo. 
A venti giorni dalle elezioni.
Nelle cose che ha detto Ingroia non c’è proprio nessun tentativo di paragonarsi a Giovanni Falcone, e una professionista seria e preparata come lei non poteva non prevedere cos’avrebbero scatenato le sue dichiarazioni.

Ilda Boccassini contro Ingroia
“Lui come Falcone? Non si permetta”

Alta strategia
Marco Travaglio, 30 gennaio

La notizia sensazionale è che le partite, per vincerle, bisogna giocarle. Mai visto nessuno che tenti la fortuna al Totocalcio senza acquistare e compilare la schedina, o alla Lotteria senza comprare il biglietto. Invece il Pd s’era illuso di vincere le elezioni senza fare campagna elettorale. Un paio di colpi d’immagine –il ritiro di D’Alema e Veltroni (solo dal Parlamento, s’intende), le primarie, l’esclusione di tre o quattro inquisiti su una dozzina – e basta: poi si aspetta che arrivi il 25 febbraio senza far niente. Fermi e soprattutto zitti, al massimo qualche detto popolare emiliano biascicato masticando il sigaro. Chè, appena ti muovi o dici qualcosa, finisci sempre per scontentare qualcuno. La geniale strategia poteva funzionare nel novembre 2011, con lo spread a 600 e il Cainano in ritirata. Se si fosse votato subito, anche gli elettori più smemorati avrebbero asfaltato il centrodestra, avendo sotto gli occhi i disastri del governo B. Invece le volpi di Via del Nazareno decisero di dare ascolto a Napolitano, altro supergenio, e rinviarono le elezioni appoggiando il governo Monti con una maggioranza dominata dal solito B. Il quale ebbe 14 mesi per inabissarsi, far dimenticare le sue vergogne, dissociarsi dalla politica dei tecnici che puntualmente appoggiava ma senza farsene accorgere, anzi illudendo i presunti avversari che si sarebbe ritirato. Quando poi il Rieccolo è ricicciato fuori, rispedendo Angelino Jolie fra la servitù, cannoneggiando Monti e i comunisti, occupando le tv dalla Prova del Cuoco alle previsioni del tempo e riacciuffando qualche punto nei sondaggi, gli strateghi del Nazareno non ci volevano credere. Infatti pensarono bene di dar la colpa della presunta rimonta a Santoro, solo perchè che il Cainano aveva sfidato Servizio Pubblico, mentre Bersani nemmeno si avvicina. In realtà non c’è nessuna rimonta: B. è inchiodato al 18,5%, la metà dei voti del 2008, e non arriva al 30 nemmeno con tutta l’Armata Brancaleone di leghisti, fascisti, sudisti e fratelliditalia. Non è la destra che avanza. È il centrosinistra che arretra. Per il Pd è svanito l’effetto primarie, grazie al Monte dei Fiaschi così ben gestito dai magnager pidini (ma chi lo dice lo sbraniamo, paura eh?) e a una campagna elettorale rinunciataria, imbalsamata, tremebonda, priva di idee, sì alla patrimoniale ma anche no, sì a Monti anzi no, forse, vediamo. Sel si sta lentamente estinguendo, grazie alle figuracce di Vendola sull’Ilva e alla concorrenza di Rivoluzione Civile. Eccolo dunque il nuovo colpevole: il criptoberlusconiano Ingroia, che osa presentarsi senza chiedere il permesso, per giunta con Di Pietro che il Pd aveva astutamente scaricato per non offendere Casini. Il quale Casini è anche lui in via di estinzione, insieme alle poderose falangi del “voto moderato”. Ma, prima di defungere, ha trovato il modo di gabbare il Pd, come pure il suo alleato Monti, che aveva garantito al Pd di non candidarsi mai, infatti s’è candidato. 
Risultato: la “forbice” fra destra e sinistra si assottiglia in un mese da 12 a 7 punti. Non per gli exploit di B.&C., ma per la frana di Pd e Sel. Che ora guardano terrorizzati a un vecchietto un po’ rinco che va a farsi la pennica alla cerimonia della Shoah e quando si sveglia riabilita il Duce oscurando Mps, poi tenta l’estremo recupero ingaggiando non Cavour, ma Balotelli. Un vecchietto dato troppo presto per morto, che sarebbe capace di fregarli anche da morto. Non a caso, in vent’anni, ha seppellito una dozzina di leader del centrosinistra. Perchè lui almeno la campagna elettorale la fa: con le solite balle, ma la fa. Invece le volpi del Nazareno sono troppo impegnate a spartirsi i posti di governo e sottogoverno, i paracarri e le fontanelle: 
D’Alema agli Esteri, Gotor alla Cultura, Vendola al Welfare o forse alle Pari opportunità, Veltroni alla Rai… Quando si dice vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso. Anzi, prima di aver comprato il fucile.

Ritardati morali [cit. Beppe Grillo]

Preambolo: ‎“Eventuale sostegno aereo” dicono Di Paola e Terzi. Bene, mandiamo i nostri aerei in Mali. Un’altra guerra. Anche no. Anche basta. 

Anche leggete l’articolo 11 della Costituzione, prima di dire cazzate. [Maso Notarianni]

Sottotitolo: Il voto cosiddetto utile sarebbe come lasciare le chiavi di casa alla domestica che si è fregata l’argenteria dopo averla licenziata. 
Giusto per usare una metafora semplicissima.

Progressisti, europeisti, conservatori? No, due ipocriti [Pasquale Videtta]

L’infallibile professore ha confessato di aver votato b nel ’94, di averlo scelto perché si era fidato della sua promessa di una rivoluzione liberale. 
Quando b si presentò davanti agli italiani e in modalità urbi et orbi annunciò la famosa discesa in campo qualche fattarello del personaggio si conosceva già ed è impossibile che il professore ne fosse all’oscuro. E infatti ha candidamente ammesso che la questione del conflitto di interessi era ben chiara fin dall’inizio. Però lo ha votato lo stesso. Già questo dovrebbe come dire? inquadrare meglio la persona Monti, far comprendere quale idea di stato abbia in mente. Oggi questo nuovo statista, nominato perfino senatore a vita per aver illustrato così bene il nostro paese come recita la Costituzione, per averlo magnificato coi suoi meriti artistici, letterari, umanitari ci ha mostrato il suo vero volto: quello di uno dei tanti a cui non interessa affatto il bene dei cittadini di questo paese ma che invece, come prima istanza ha ritenuto opportuno precisare ai residenti di uno stato estero che non è nelle sue intenzioni rivoluzionare alcunché e, in concomitanza con la pubblicazione di un articolo su L’Espresso dove c’è scritto che “la chiesa non si fida più di Monti” lui ha pensato che fosse opportuno tranquillizzare non gli italiani che eventualmente sceglieranno di votare la sua lista ma direttamente lo stato maggiore del vaticano con le dichiarazioni rese ieri sera a Ilaria D’Amico. Dunque l’idea europeista di Mario Monti passa per l’ossequio al vaticano, ed è facilmente intuibile che la stessa idea si estenda poi a tutti coloro che sceglieranno di affiancarsi al professore, di permettergli di avere voce in capitolo in un’eventuale coalizione di governo targata centrosinistra. E’ facilmente immaginabile che nel dibattito politico argomenti inerenti ai diritti civili non troveranno – e non per questioni di tempi – il giusto spazio né la giusta considerazione che dovrebbero invece avere in una democrazia civile, liberale e moderna. Non dovrebbe essere difficile per nessuno comprendere che chi vota Monti sa che le decisioni di Monti saranno subordinate ai soliti desiderata della chiesa ma che lo saranno anche quelle di chi pensa che farsi in qualche modo aiutare dal professore faccia parte della strategia più utile da adottare.

 

Dell’idea centrista di Monti riderebbe anche un bugiardo come Aznar il cui governo approvò la legge sulle unioni omosessuali che fu solo perfezionata col matrimonio da Zapatero. Per non parlare di quell’estremista di Cameron, di quel comunistaccio di Hollande e, in generale, di tutti i governanti delle democrazie europee liberali e moderne che se ne sono sempre strafregati di ciò che poteva dare un dispiacere agli invasori in gonnella;  questi mantenuti ingrati a cui nessun politico italiano ha avuto mai il coraggio di ricordare quali e quanti privilegi abbiano avuto ed hanno dallo stato italiano e invece di incassare e zitti pretendono sempre di più perché sanno che ci sarà sempre chi si spertica per accontentarli prim’ancora che esca un filo di fiato dalle loro bocche. Un po’ come accadde con Matteotti che fu aggredito e ucciso non perché mussolini avesse chiesto esplicitamente la sua testa ma perché chi lo rapì per ammazzarlo aveva pensato che a mussolini avrebbe fatto piacere.

Se la famiglia è solo quella fra una donna e un uomo [ma non era il matrimonio, mò addirittura tutta la famiglia è un uomo e una donna? andiamo bene, a furia di ripetere la filastrocca non si accorgono nemmeno delle cazzate che dicono] bisognerebbe – per coerenza – riconoscere a lesbiche e omosessuali lo status di cittadini aventi diritti per metà e su quello regolare i loro doveri verso lo stato.   Come se sui diritti si potesse derogare, prendere tempo, ancora? e quanto tempo ci vuole? nel frattempo omosessuali e lesbiche devono continuare a pagare le tasse, a comportarsi dentro la legge, a non violare nessuna regola, vero? e sempre nel frattempo quello che non è concesso a noi comuni mortali i politici se lo sono già messo da parte dalla notte dei tempi, per loro vale tutto, convivenze riconosciute, diritti, eredità, assistenza in caso di malattia.

Per loro il tutto e subito è proprio la condizione, invece.

E Monti sarebbe lo stratega, il fine riformista a cui la politica di destra, di centro e di centrosinistra spalanca le braccia, le porte, questo signore attempato prim’ancora che per età di testa [Monti, sei vecchio pure tu e non sei affatto meglio di quell’altro, anzi] che si propone da se medesimo quale capo di una ipotetica coalizione riformista ma di centro ma anche di destra e come se fosse antani piegata ai voleri della chiesa per venirci a ribadire cose che saprebbe dire anche una nullità come casini.

Chi vuole votare il centrodestra vota direttamente il centrodestra, non un centrosinistra che promette sfaceli, financo di risolvere il conflitto di interessi dopo vent’anni ma poi pensa di allearsi con uno così per opportunismo, mettendo di nuovo la pietra tombale sui diritti civili. E il pericolo sarebbe berlusconi?  Il centrosinistra vincerà le elezioni se dirà chiaro e tondo che il professore è uno dei suoi avversari, proprio come berlusconi, invece di andare ad individuare i suoi nemici altrove.  E la tragedia è che l’unico che [cardinale di riferimento a parte] poteva dire davvero qualcosa di sinistra in una coalizione di centrosinistra si è svenduto questa possibilità sull’altare delle primarie.
Ciao belli, ma chi vi pensa? io, no di certo.