Fermiamo i ladri della democrazia

E’ vero che Renzi non viene disturbato dall’informazione mainstream abituata alla posizione a 90 di fronte a qualsiasi potere tenga aperti i rubinetti dei vari finanziamenti, ma è anche vero che nemmeno la societá civile riunita sotto gli ombrelli delle associazioni fa un plissè. Il popolo viola come le “senonoraquandiste” evidentemente soddisfatte di avere la loro bandiera seduta alla Camera e la giusta percentuale di quote rosa al governo. 
Quindi non serve più chiamare la piazza per difendere il paese dall’immoralitá criminale di berlusconi. Non fa paura nello stesso modo Renzi che sta cazzeggiando con la democrazia con l’intenzione di violare la Costituzione insieme ad un pregiudicato e ad un imputato molto più di quanto sia riuscito a fare berlusconi stesso.

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Le controriforme dell’Italicum e del Senato, concordate dal governo con il pregiudicato Berlusconi e il plurimputato Verdini consentono a un pugno di capi-partito di continuare a nominarsi i deputati, aboliscono l’elezione dei senatori ed espropriano i cittadini della democrazia diretta: i referendum (non più 500mila, ma 800mila firme) e le leggi di iniziativa popolare (non più 50mila, ma 250mila firme). Chiediamo ai presidenti Napolitano, Grasso, Boldrini e Renzi di sostenere solo riforme che rispettino lo spirito dei Costituenti, per una vera democrazia partecipata
Antonio Padellaro, Marco Travaglio, Peter Gomez e la redazione del Fatto Quotidiano

NO AI LADRI DI DEMOCRAZIA – FIRMA
In un’ora già oltre cinquemila adesioni

Patto del Nazareno e Senato dei nominati: piduisti a loro insaputa – Marco Travaglio

 

Contro i nominati in Parlamento e referendum limitati: petizione per riforme dalla parte dei cittadini
10 IDEE PER ISTITUZIONI DAVVERO PARTECIPATE – DI’ LA TUA SULLE PROPOSTE DEL FATTO

“Nei confronti del mondo politico occorre… usare gli strumenti finanziari… per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno sulla sinistra… e l’altro sulla destra… fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile. Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un’azione politica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche”. Così scriveva Licio Gelli nel Piano di Rinascita Democratica, elaborato intorno al 1976 con l’aiuto di alcuni “saggi” e sequestrato nell’82 a Fiumicino nel doppiofondo della valigia della figlia Maria Grazia.

Quanto al Parlamento, il capo della P2 sfoderava una gamma di proposte davvero profetiche. “Ripartizione di competenze fra le due Camere” con due “nuove leggi elettorali diverse: per la Camera di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco)”; e – udite udite – “per il Senato di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali”. Uno spettacolare caso di telepatia vuole che proprio questo sia il “Senato delle Autonomie” inventato da Renzi & B: Camera elettiva, ma fino a un certo punto (l’Italicum, con le liste bloccate dei deputati nominati, rende il Piano di Gelli un tantino troppo democratico); e Senato con elezione di “secondo grado”, cioè con i consigli regionali che nominano senatori 95 fra consiglieri e sindaci. Il Maestro Venerabile meriterebbe almeno il copyright. Anche per l’idea di espropriare il Senato del voto di fiducia: “Modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera” e “per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) e al Senato preponderanza economica (esame del bilancio)”. Qui però i venerabili allievi Matteo e Silvio vanno addirittura oltre: la Camera vota in esclusiva la fiducia al governo del premier-padrone della maggioranza, e il Senato non vota più neppure il bilancio.

Poi accolgono in toto un’altra geniale intuizione gelliana: “Stabilire che i decreti-legge sono inemendabili”. Fatto: inserendo in Costituzione la ghigliottina, sperimentata da Laura Boldrini contro l’ostruzionismo 5Stelle sul decreto Bankitalia che regalava 4,5 miliardi alle banche, i decreti del governo andranno obbligatoriamente approvati entro 60 giorni, con tanti saluti agli emendamenti e all’ostruzionismo dell’opposizione, relegata a un ruolo di pura testimonianza. Il tutto – come auspicava il profeta Licio – con l’apposita “modifica (già in corso) dei Regolamenti per ridare forza al principio del rapporto maggioranza-Governo, da un lato, e opposizione, dall’altro, in luogo dell’attuale tendenza assemblearistica”.

Nel lontano 1976, prima del boom delle tv locali, Gelli anticipava di un paio d’anni la nascita della tv via cavo Telemilano, poi ribattezzata Canale5 e seguita da Italia1 e Rete4 (“impiantare tv via cavo a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese”). E proponeva di “acquisire alcuni settimanali di battaglia”: cosa che il confratello B., tessera P2 n. 1816, fece nel ’90 comprandosi la sentenza che ribaltava il lodo Mondadori e gli regalava Epoca e Panorama. Quanto all’idea di “dissolvere la Rai-tv in nome della libertà di antenna”, è solo questione di tempo: dopo la rapina renziana di 150 milioni, la crisi di Viale Mazzini non può che peggiorare. 
Per mettere in riga le toghe, Gelli auspicava “la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati”: che arrivò con la legge Vassalli del 1988, dopo il referendum craxiano; ma ora si prepara un nuovo giro di vite.

Meno male che il berlusconismo era finito nel 2011. Dopo vent’anni di piduisti doc, ora abbiamo i piduisti a loro insaputa.

Non è una guerra fra guardie e ladri

Notizia tamarra del giorno: berlusconi è ancora cavaliere perché il Napo Capo troppo preso a monitare, sgridare, cazziare, decidere che deve fare Renzi e adesso pure a occuparsi dei mondiali di calcio,  non ha trovato un attimo di tempo per avviare l’iter di indegnità necessario per rimuovere l’onorificenza dal curriculum del delinquente matricolato, lo stesso che Renzi incontrerà ancora e di nuovo  tra breve  per decidere le strategie politiche e di governo. Appena avrà finito di spiegare ai cinesi che per i reati che danneggiano la collettività prevedono pene durissime e anche la condanna a morte,  la sua lotta di contrasto alla corruzione.

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MONTECITORIO PUNISCE I GIUDICI
E ora al Senato si rischia il voto segreto
 

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Punire le guardie al posto dei ladri, l’anti-corruzione in Parlamento – Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano

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LA CANTONATA E I SUPER POTERI ATTENDONO ANCORA (Gianni Barbacetto) Il Fatto Quotidiano

 

 

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Polizia e carabinieri violenti, guardia di finanza corrotta, politici, costruttori, capi di impresa corrotti e corruttori in una simpatica alternanza… ma quante sono queste “poche mele marce”?
E in un paese così disastrato il problema sono i giudici che sbagliano. 
Se non fosse vero ci si potrebbe ridere da qui all’eternità.

Siccome non bastavano i tre gradi di giudizio, i lodi, i legittimi impedimenti, la prescrizione, gli indulti approvati dai governi di centrosinistra per favorire i delinquenti di destra,  il fumus persecutionis, la presunzione d’innocenza che per qualcuno vale anche dopo una condanna definitiva, tutto quello che in questo paese rende impossibile arrivare ad una sentenza in tempi ragionevolmente umani, quando proprio non ci si arriva per le avvenute contingenze di cui sopra ci mancava la responsabilità civile per i giudici da affidare ad altri giudici.
La politica sta sempre sul pezzo e sull’urgenza; la crisi, la disoccupazione, le inchieste sulle tangenti, niente di tutto questo è importante come bloccare il parlamento per decidere qualcosa che era già possibile fare senza un disegno di legge apposito.
In questo paese esisteva già la possibilità per i cittadini di potersi rivalere sul giudice che sbaglia.
Chissà perché c’è bisogno di ribadirla con una legge ad hoc.
Spero che il senato rispedisca questa porcheria che sa tanto di ritorsione della politica contro i giudici ai vari mittenti, alla lega che l’ha pensata e al piddì che l’ha prontamente votata; quando il voto è segreto si vede la vera faccia del partito democratico.
Mettiamo il caso che un potente con un sacco di soldi, tanti avvocati costosi in grado di cercare anche l’ultimo cavillo per evitare responsabilità al cliente venga messo sotto inchiesta, con quale spirito lavoreranno i magistrati che lo devono giudicare se sanno che poi potrebbero pagare per un danno magari costruito ad arte proprio dagli avvocati? Ma chiaramente anche questa è una legge d’urgenza, pensata per il nostro bene.

Se l’indipendenza dei giudici non è “mero privilegio” come monita il grande capo allora facciamo che nemmeno il garantismo deve essere il viatico per l’impunità come piacerebbe ai lor signori “dè sinistra” che ieri hanno votato, ma in segreto, lo scempio voluto dalla destra: il sogno erotico più ricorrente di berlusconi, altroché i bunga bunga perché – hanno detto – in questo paese c’è bisogno di un “garantismo imprescindibile” che poi non si capisce che c’azzecchi con la responsabilità dei giudici. 


Se il provvedimento disciplinare da applicare ai giudici è una cosa riservata allo stato e non ad altri intermediari è proprio per garantire l’imparzialità del giudizio, della valutazione dell’errore. In questo paese la magistratura non gode di nessun “strapotere” altrimenti avrebbe ottenuto ben altri risultati nel paese con le classi dirigenti più corrotte al mondo, al contrario è l’istituzione più osteggiata nel paese dove si fa credere che ci sia una guerra fra guardie e ladri mentre le cosiddette guardie fanno semplicemente quel che attiene al loro ruolo, ovvero indagare e processare quei ladri che troppo spesso sono gli stessi che fanno le leggi per contrastare l’operato dei giudici.

Se il magistrato sbaglia lo stato si può rivalere su di lui: c’è già una legge che lo consente. 
Quando non succede è perché lo stato non interviene, non perché il giudice sia oltre che incapace anche un disonesto paraculo come molti politici. 
Chi gioisce per questa porcata della responsabilità civile dei giudici che dovrebbe essere schifata solo perché proposta dalla lega, forse ignora che è solo l’ennesimo regolamento di conti della politica contro la magistratura.
Nulla di ciò che viene pensato dalle menti bacate dei cialtroni in camicia verde può essere considerato giusto; e anche se per un evento eccezionale lo fosse si può almeno sospettare del tempismo?  L’unica emergenza vera di questo paese è liberarlo una volta e per sempre dalla delinquenza di ogni ordine e grado che la politica di destra, di centro e di centrosinistra si è sempre messa disinvoltamente in casa, altroché garantismo e presunzioni del cazzo.
Se Raffaele Cantone, il giudice incaricato di monitorare sugli appalti di stato disintegrati dal malaffare e dalla criminalità,  voleva una risposta a dargliela è stata quella settantina di pavidi che sono andati contro il loro partito e il loro governo, non certo chi ha smascherato, astenendosi, la faccia vera del partito democratico, lo stesso che ieri cacciando, anzi spostando, anzi “armonizzando”  Chiti e Mineo, che lo ha saputo tramite agenzie mentre partecipava ad una trasmissione televisiva, ha dato una grande prova di qual è il livello della sua democrazia: quella interna al partito ma che poi per forza di cose, essendo il pd forza di governo viene estesa anche nell’azione dell’esecutivo. Ma loro sono i democratici, i riformatori senz’accento sulla “o”.

Quelli che poi distribuiscono patenti di fascismo a chi almeno chiede il parere dei suoi iscritti, prima di prendere un’iniziativa.

Il partito democratico nel trentennale della morte di Enrico Berlinguer ha spiegato molto bene qual è la sua idea di questione morale.

 

 

Una risata li seppellirà [speriamo]

 Credo che la politica italiana sia ormai talmente incistata in tutto ciò che è potere dei soldi da non potersi più salvare senza un radicale colpo di spugna. Qui c’è gente che da dieci, venti, trent’anni e più ha a che fare con tutti. E sempre c’è una scusa, una volta l’amicizia privata come quella di Cancellieri coi Ligresti, un’altra l’esigenza di doversi relazionare con tutti come ha fatto Vendola con l’obiettivo di salvare un “bene” dello stato quale viene ritenuta l’Ilva. Ma insomma voglio dire: ci sarà un limite sano a tutto questo, quello che fa chiudere ogni tanto la porta in faccia, abbassare la cornetta di un telefono, quando NON E’ IL CASO?

La vicenda di Vendola mi ha irritata molto di più di quelle degli altri. E se la gente di sinistra non fosse accecata dal pregiudizio dovrebbe provare la stessa sensazione, invece di prendersela col giornale che fa le inchieste e informa la gente. Invece no, la reazione per molti è stata identica a quella della destra berlusconiana, ho letto cose incredibili a proposito di linciaggio, metodo Boffo: con certa gente bisogna ricominciare dalle asticelle come alle elementari di una volta.
Spiegare che metodo Boffo [inventato da berlusconi] è infamare qualcuno con delle falsità, oppure facendo passare per chissà quali peccati imperdonabili dall’opinione pubblica cose normalissime come un paio calzini turchesi – che saranno pure orribili ma ad indossarli non si commette nessun reato – allo scopo di deturparne l’immagine e la reputazione. 
Quella del Fatto su Vendola è, piaccia o meno, una NOTIZIA.

Ho sempre diffidato della gente che di politica si droga e trasforma i suoi referenti in una sorta di dei del suo culto fino a pensare di doverli difendere ad ogni costo così come si fa con un figlio, una persona cara, un soggetto debole.
La categoria degli intoccabili non dovrebbe far parte di nessun ambito o contesto.
Soprattutto nella politica, che non è mai il soggetto debole.

 

“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l’unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri.”

“Un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del governo; una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello.”

[Joseph Pulitzer]

 Il giornalismo non guarda in faccia nessuno, e non porta acqua al mulino di nessuno. Se e quando lo fa, è un’altra cosa. Una brutta cosa. Tutto il resto, le accuse a giornalisti e giornali colpevoli di non inchinarsi al regimetto e al prepotente di turno sono aria fritta, fumo negli occhi. Che a molti piace tanto digerire perché è molto più facile prendersela col giornale e col giornalista che coi veri responsabili di un fatto. 
Questo paese non crescerà mai anche per questo: perché c’è gente che si culla e si bea nel limbo del non detto, di quelle cose che è meglio non far sapere in giro ché il paese è piccolo e la gente poi mormora. E s’incazza. Mi piacerebbe chiedere a quelli che stanno piagnucolando da ieri ma generalmente lo fanno spesso e volentieri su quant’è brutto e cattivo il Fatto se anche il fondo di Travaglio di oggi su Vendola fa parte del giornalismo “embedded”, che poi, embedded de che, se al Fatto non hanno mai risparmiato niente a nessuno? quello che scrive Travaglio corrisponde al vero o sono pure invenzioni della sua faziosa creatività? perché insomma, bisognerebbe anche crescere, smetterla di prendersela col termometro che misura la febbre e pensare che forse è il caso di curare l’infezione che è la causa della febbre.

Ilva, un provocatore chi fa domande sul cancro
Audio – ascolta le risate choc di Nichi Vendola

Buonanotte Nichi – Alessandro Gilioli, Piovono rane

Ci risiamo con quell’affettuosa complicità fra potenti, con quell’intimità compiaciuta tra il potere politico e la peggiore imprenditoria.

Ed è questo che non si tollera più.

È questo che non si tollera nel caso Cancellieri, è questo che non si può accettare nei toni di Vendola, nel suo declamato «quarto d’ora di risate» verso il giornalista che faceva il suo mestiere di cane da guardia.

È questo che non si può più subire, per Vendola come per qualunque altro: la sensazione di un potere che ride, si «dà garanzie» e si scambia pacche sulle spalle mentre il Paese si arrabatta, soffre, si incazza, muore.

Se l’Italia è destinata a non dover avere un partito di sinistra, un
leader vero di sinistra, qualcuno che esprima politicamente un’idea di
sinistra – non necessariamente staliniana s’intende: i bambini non li mangiamo più da un pezzo da queste parti – che la traduca
in un’azione politica che rispecchi chi si sente di sinistra e vorrebbe
trovare sulla scheda elettorale il simbolo di un partito di sinistra
noi, orfani del partito che non c’è possiamo solo tristemente prenderne atto. Rassegnarci al fatto che quella parte di elettori che non si ritrova in questa politica oscena, odiosa, disonesta, quella degli affari in combutta con quell’alta finanza a cui giorno dopo giorno si sta sacrificando lo stato sociale, con l’imprenditoria sporca, corrotta e criminale che paga tutti perché le servono i favori di tutti, non ha il diritto di essere rappresentata in parlamento. Però poi per favore, non rompeteci i coglioni quando nell’impeto dello sfogo ci viene da dire che alla fine, sono tutti uguali. Perché è difficile non fare di tutta l’erba un fascio, se il fascio è quello che abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni. Forse, se al posto di papi e cardinali questi bei politici de’ sinistra che ci ritroviamo si tenessero nel taschino non dico la foto di Che Guevara che sarebbe l’apoteosi, basterebbero quelle di Berlinguer o di Pertini, anche di entrambi e non sarebbe male, qualche ispirazione alle cose di sinistra gli verrebbe più facile.

Perché Vendola querela Il Fatto Quotidiano? Il diritto all’informazione non fa più parte dei valori e dei principi di sinistra? Anche Vendola usa il linguaggio insopportabile, arrogante della minaccia legale? Che deve fare un giornalista quando si trova davanti ad una notizia, ad un fatto, se ritiene che siano di interesse generale e nazionale, fare finta di niente per il solito quieto vivere che piace alla politica, quello dell’omissione?  Il Fatto Quotidiano sta sul cazzo alla destra, alla sinistra, anche a Napolitano, e a me basta questo per rendermelo non solo simpatico ma anche credibile. La verità è che il narratore cortese di sinistra che si tiene il cardinale sul comodino aveva incantato un sacco di gente, e pure me che Sel l’ho votata quale ultima spiaggia. Ma la politica non sa prendere le distanze da questi imprenditori criminali a cui serve, e purtroppo lo trova sempre, il sostegno di tutta la politica: di destra, di  sinistra e anche del pd. Che ne è di quei soldi che ha preso Bersani dai Riva, li ha più restituiti? Se Vendola pensa di stare nel giusto perché è andato a dire a Repubblica che avrebbe querelato Il Fatto Quotidiano?  Se la prende col Fatto e gli risponde da Repubblica, come un berlusconi qualsiasi? E’ sempre complotto? Ogni volta che qualcuno viene sorpreso a fare cose che un politico serio non dovrebbe fare c’è il complotto?

Fra tutte le separazioni dei poteri da fare, quelle di cui si parla
sempre molto e a vanvera la più urgente è quella fra il potere
economico marcio, corrotto e criminale con la politica.
E nemmeno si prendono soldi, da quel potere corrotto e criminale.
La trasparenza e l’onestà non si dicono: si fanno.
Specialmente in politica. 

Come per la Cancellieri non c’è nulla di penalmente rilevante nella conversazione di Vendola con Archinà, ma vogliamo parlare dell’atteggiamento? Come si permette Vendola di dare del provocatore a chi gli sta facendo delle domande? e questa corrispondenza di amorosi e cordiali sensi col dominus dell’Ilva agli arresti domiciliari non significa niente politicamente? Per me sì, significa. Vuol dire che di fronte al potere economico anche Vendola si toglie il cappello, e allora per me può andare a fare un’altra cosa ma non il leader di sinistra.

Nota a margine: ma quanto ridono questi politici nel loro privato? Cos’avranno mai da ridere?

QUANDO UNA RISATA CANCELLA ECOLOGIA E LIBERTA’

 

Svendola – Marco Travaglio, 16 novembre

Ci sono tanti modi per finire una carriera politica. Quello che la sorte ha riservato a Nichi Vendola è uno dei peggiori, proprio perché Nichi Vendola non era tra i politici peggiori. Aveva iniziato bene, con un impegno sincero contro le mafie e l’illegalità. Aveva pagato dei prezzi, ancor più cari di quelli che si pagano di solito mettendosi contro certi poteri, perché faceva politica da gay dichiarato in un paese sostanzialmente omofobo e da uomo di estrema sinistra in una regione sostanzialmente di destra. Ancora nel 2005, quando vinse per la prima volta le primarie del centrosinistra e poi le elezioni regionali in Puglia, attirava vastissimi consensi e altrettanti entusiasmi e speranze. E forse li meritava davvero. Poi però è accaduto qualcosa: forse il potere gli ha dato alla testa, forse la coda di paglia dell’ex giovane comunista ha avuto il sopravvento, o forse quel delirio di onnipotenza che talvolta obnubila le menti degli onesti l’ha portato a pensare che ogni compromesso al ribasso gli fosse lecito, perché lui era Nichi Vendola. S’è messo al fianco, come assessore alla Sanità (il più importante di ogni giunta regionale) un personaggio in palese e quasi dichiarato conflitto d’interessi, come Alberto Tedesco. S’è lasciato imporre come vicepresidente un dalemiano come Alberto Frisullo, poi finito nella Bicamerale del sesso di Gianpi Tarantini, a mezzadria con Berlusconi. Ha appaltato al gruppo Marcegaglia l’intero ciclo dei rifiuti, gratificato da imbarazzanti elogi del Sole 24 Ore quando la signora Emma ne era l’editore. Ha attaccato, con una lettera di chiaro stampo berlusconiano, il pm Desirée Di Geronimo che indagava su di lui. Ha incassato un’archiviazione da un gip risultata poi in rapporti amichevoli con lui e la sua famiglia. Ha stretto un patto col diavolo del San Raffaele, il famigerato e non compianto don Luigi Verzé, consegnandogli le chiavi di un nuovo ospedale a Taranto da centinaia di milioni. E si è genuflesso dinanzi al potere sconfinato della famiglia Riva, chiudendo un occhio o forse tutti e due sulle stragi dell’Ilva. Il fatto che, come ripete con troppa enfasi, non abbia mai preso un soldo dai Riva (diversamente da Berlusconi e Bersani), non è un’attenuante, anzi un’aggravante. Non c’è una sola ragione plausibile che giustifichi il rapporto di complicità “pappa e ciccia” che emerge dalla telefonata pubblicata sul sito del Fatto fra lui e lo spicciafaccende-tuttofare dei Riva: quell’Archinà che tutti sapevano essere un grande corruttore di politici, giornalisti, funzionari, persino prelati. Un signore che non si faceva scrupoli di mettere le mani addosso ai pochi giornalisti non asserviti. In quella telefonata gratuitamente volgare, fatta dal governatore per complimentarsi ridacchiando con il faccendiere della bravata contro il cronista importuno, non c’è nulla di istituzionale: nemmeno nel senso più deteriore del termine, nel più vieto luogo comune del politico scafato che deve tener conto dei poteri forti e delle esigenze occupazionali. C’è solo un rapporto ancillare e servile fra l’ex rivoluzionario che si è finalmente seduto a tavola e il potente che a tavola ha sempre seduto e spadroneggia nel vuoto della politica e dei controlli indipendenti, addomesticati a suon di mazzette. Il darsi di gomito fra gli eterni marchesi del Grillo, “io so’ io e voi nun siete un cazzo”. Questo ovviamente in privato, mentre in pubblico proseguivano le “narrazioni” e le “fabbriche di Nichi”. La poesia sulla scena, la prosa dietro le quinte. La telefonata con Archinà è peggio di qualunque avviso di garanzia, persino di un’eventuale condanna. Perché offende centinaia di migliaia di elettori che ci avevano creduto, migliaia di vittime dell’Ilva e i pochi politici che hanno pagato prezzi altissimi per combattere quel potere malavitoso. Perché cancella quello che di buono (capirai, in otto anni) è stato fatto in Puglia. Perché diffonde il qualunquismo del “sono tutti uguali”. Perché smaschera la doppia faccia di Nichi. Perché chi ha due facce non ce l’ha più, una faccia.

 

L’eversore [re_reloaded]: ovvero, l’orrido déjà vu

Anche  il Milan di berlusconi ha rotto definitivamente gli argini del benché minimo senso di decenza, del tanto abusato esempio per i giovani mettendosi al fianco di un presidente corruttore e condannato per frode fiscale.
Ognuno ha la squadra che si merita.

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IL PRESIDENTE DELLA FIERA DI MILANO PERINI: “SEGNIAMO LE CASE DEI GIUDICI”. POI LE SCUSE

C’è stata gente che per molto meno, una battuta scritta in bacheca contro il capoufficio o la professoressa è stata licenziata, sospesa da scuola.
Questi che facciamo, li teniamo al loro posto vero? perché naturalmente si sono scusati dopo l’offesa e la minaccia quindi è tutto a posto. 
Da un certo livello in poi tutto si può dire ché poi tanto bastano le scuse e che problema c’è.

Queste sono minacce fatte in pubblico da gente che ha dei ruoli pubblici. Proprio come calderoli quando insulta la Kyenge istigando al razzismo qua si istiga al gesto violento, di stampo nazista addirittura, ci si augura che un giudice debba vivere soffrendo perché ha fatto il suo dovere.

E gli autori pensano di potersela cavare con delle semplici scuse perché sanno che non gli succederà nulla.

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La nebbia all’erto Colle caliginando sale – Massimo Rocca

Ovviamente, in un paese serio, il capo dello stato sarebbe già andato in televisione a reti unificate per denunciare il tentativo di sovvertimento dell’ordine democratico. Un delinquente condannato in via definitiva che ricatta i poteri politici legittimi del paese, né più né meno quello che facevano le brigate rosse con Moro prigioniero o Totò o curtu con le stragi dei magistrati, inviando i suoi messaggi dal covo di Palazzo Grazioli affidandoli a personaggi che vogliono salire le scale del Quirinale per depositare l’ultimatum sulla scrivania del garante del patto di pacificazione che ha, evidentemente, mancato alla sua parola. Ci sarebbero le sezioni del partito di governo allertate e il presidente del consiglio chiuso in riunione permanente con l’ambasciatore kazako o col ministro degli interni, che tanto è uguale. Invece non potendo chiedere, questa volta, alla rai di bruciare le bobine del suo discorso di insediamento, temo che riceverà i messaggeri, cui del resto ha già promesso la riforma della giustizia, proprio il giorno dopo in cui ha dimostrato di funzionare.

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Berlusconi, il Pdl ricatta sulla grazia
E la Questura gli revoca il passaporto

Il pregiudicato: “Riforma della giustizia o voto”. Il partito a Napolitano: “Clemenza o ci dimettiamo
tutti”. Letta: “Il governo deve continuare”. Notificato dai carabinieri il decreto di esecuzione pena
EPIFANI: “PRESSIONE INDEBITA SUL COLLE. E NO A RIFORMA GIUSTIZIA CHE VUOLE IL PDL”

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Berlusconi condannato? “Riformate la giustizia!”

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Se non fosse vero ci sarebbe da ridere da qui all’eternità: Napolitano che riesce ad anticipare pure berlusconi riguardo una riforma della giustizia che, se abbiamo imparato un po’ a conoscere i nostri polli sappiamo benissimo dove vuole andare a parare e a riparare soprattutto.

Però mi raccomando, non nominiamolo, non tiriamolo in ballo sennò Lauretta e l’ex superprocuratore s’incazzano.

A proposito: la presidentessa candida non si è espressa ancora sulla condanna? c’è da difendere la sacralità del parlamento che ospita un fuorilegge e la sua teppa, da offrire solidarietà spicciola all’insultato di turno o cosa? e per noi, quando arrivano le scuse?

L’unica riforma della giustizia da fare è quella per vietare una volta e per tutte ai criminali di poter mettere bocca negli affari di stato.

Di ricattare le istituzioni.
berlusconi non è più nella condizione di poter pretendere nulla, quindi tutto quello che riuscirà ad ottenere significa che è stato concordato, che fa parte del pacchetto larghe intese napoletane.

Mi chiedevo quanto si può sacrificare di se stessi per difendere, rendere accettabile, meno grave quello che non lo è.
In special modo chi proprio per ruolo e per mestiere è chiamato a raccontare, spiegare all’opinione pubblica quello che succede.
Com’è possibile dimenticarsi di essere una persona per mettersi spudoratamente al servizio di un delinquente, scrivere su un quotidiano che l’attacco allo stato è aver condannato quel delinquente e non invece avergli permesso di demolirlo con la compiacenza e benevolenza, vive e vibranti, di chi avrebbe dovuto impedirlo.

Le sentenze di berlusconi non devono interferire con la vita politica, col cammino del bel governo dei grandi imbroglioni, dicono quelle e quelli bravi, nella politica come nel giornalismo: quanto ancora dovranno prenderci in giro con questa menzogna? le sentenze di berlusconi, i comportamenti di berlusconi, i reati di berlusconi, l’immoralità amorale e indecente di berlusconi diventano politica nel momento in cui si permette a berlusconi di far diventare tutto questo arma di ricatto politico. 

Di essere se stesso quel ricatto avendo consentito, prolungando oltremodo e contro il benché minimo senso dello stato la presenza dell’abusivo impostore fuorilegge in parlamento.

Un ricatto al quale lo stato si è piegato e si piega concedendo a berlusconi quello che sarebbe impossibile chiedere e pretendere ma anche e solo immaginare di farlo, per qualsiasi altro cittadino.

In nessun paese un appena condannato in primo grado per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile viene ricevuto, e  su invito di entrambi,  dal capo del governo e da quello dello  stato, e in nessun paese un condannato in ultimo grado, quello definitivo, può andare in tv a reti unificate a dichiararsi un innocente perseguitato dai giudici comunisti.

 E la tragedia nella tragedia è che ci sia ancora  gente che non si accorge nemmeno che da vent’anni usa lo stesso linguaggio, le stesse parole, fa le stesse accuse e si difende dalle stesse accuse.
Un déjà vu vivente che non si può più sopportare, non se ne sopporta il nome, la faccia, la voce ma che può continuare a invaderci la vita perché nessuno ha il coraggio di fermarlo, di dirgli che è scaduto il tempo: il suo. 

La litania del berlusconi che andava – va – andrebbe sconfitto politicamente la ripetono da anni tutti e solo quelli che non ne hanno mai avuto la benché minima intenzione.
Una politica gobba e sottoposta ai voleri del papi padrone quanto un’informazione serva: quella alla polito ad esempio, che intravvede il colpo per lo stato nell’applicazione della legge e non nel suo contrario. Ovvero aver fatto il tutto e l’oltre per non averla applicata prima e non aver fatto nulla prima per il conflitto d’interessi in cui finalmente è caduto anche il suo proprietario, e per evitare la mole gigantesca di leggi ad personam di cui si è potuto avvalere berlusconi dopo essersele fatte fare e aver trovato un parlamento che le ha rese operative.

Diverso è invece trasformare in una questione politica i reati di berlusconi, ma se un politico commettesse un omicidio chi se ne deve occupare: la legge, gli elettori che hanno votato quello che poi è diventato un assassino o la politica? perché è la stessa cosa.

Un reato è un reato, poche storie, e quelli di berlusconi sono reati pesantissimi, non consistono nel furto del portafoglio sul metrò o del pezzo di formaggio al supermercato compiuti da chi non sa come arrivare al giorno dopo, e lo stato non può continuare a tutelare chi come berlusconi ha scelto di vivere e agire oltre la legge pensando che questo gli sia dovuto.

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Giusto ieri mi stavo chiedendo come si sentissero i Pigì Battista, i Polito,  il senatore Scalfari e tutto il corazzierume scelto che ha sostenuto con la forza della nuda lingua il bel governo dei larghi imbrogli, qui di seguito Travaglio mi rassicura sullo stato di salute del solito giornalismo embedded, stazionario come al solito: un sussulto manco a parlarne.

La dignità è una cosa seria che possono avere a cuore solo le persone serie.

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Poveretti, come s’offrono
Marco Travaglio, 3 agosto

Dopo la lunga veglia funebre nella Camera ardente e nel Senato al dente, dopo la processione a Palazzo Grazioli dei vedovi e delle vedove inconsolabili immortalati in una foto tipo Quarto Stato anzi Quinto Braccio, dopo il monitino sfuso di Sua Maestà re Giorgio I opportunamente villeggiante in Val Fiscalina (si trattava pur sempre di frode fiscale), dopo il coro di prefiche e il torneo di rosari allestiti nella cripta di Porta a Porta da un Bruno Vespa in gramaglie prossimo all’accascio, dopo la faticosa ricomposizione della salma imbalsamata in una colata di fard e cerone modello Raccordo Anulare per il videomessaggio serotino a reti unificate con smorfiette di finta commozione, sono finalmente usciti i giornali del mattino. Da leggersi rigorosamente con i guanti, per non macchiarsi le mani di un ributtante impasto di lacrime, salive e altri liquidi organici. 

Il Polito nella piaga. Estratto a sorte da un bussolotto che comprendeva anche i nomi di Ostellino, Galli della Loggia, Panebianco e Pigi Battista (quest’ultimo ammutolito dal giorno della condanna di Del Turco), Antonio Polito ha vinto l’editoriale sul Pompiere della Sera. 

Avrebbe potuto cavarsela con una sola riga: “Ragazzi, non ci ho mai capito un cazzo. Scusatemi, ora mi ritiro in convento a leggermi i pezzi di Ferrarella, che almeno sa le cose”. Invece, impermeabile ai fatti e perfino al ridicolo, ha partorito tre colonne di piombo all’interno per ricicciare la solita lagna sulle “due troppo forti minoranze che si sono aspramente fronteggiate in questo ventennio”, cioè i berlusconiani e gli antiberlusconiani, che secondo lui sarebbero uguali e avrebbero addirittura impedito all’Italia di “riformarsi”: e pazienza se i berlusconiani han sempre difeso un delinquente e gli antiberlusconiani han sempre detto ciò che l’altroieri la Cassazione ha confermato. El Drito dimentica i berlusconiani mascherati e nascosti nella cosiddetta sinistra “riformista” che han sempre fatto finta di nulla e sponsorizzato ogni inciucio, e ora si meravigliano se la condanna del delinquente (naturalmente frutto dell'”accanimento degli inquirenti”) ha un'”influenza sul governo”. 

Poi dipinge un paese immaginario, dove la maggioranza degli italiani tifa per il governo Letta che ci sta facendo “tornare con la testa fuori dall’acqua” ed è terrorizzata dal “nuovo attacco del partito giustizialista”. Il finale è una lezione di “separazione dei poteri”: che a suo avviso non significa difendere l’indipendenza della magistratura dagli assalti della politica, ma prendere la sentenza che dichiara B. frodatore fiscale e metterla in un cassetto, onde evitare il terribile rischio di “una crisi di governo”. Lui dice “tracciare una linea nella sabbia”, ma vuol dire mettere la testa sotto la sabbia. Che del resto è lo sport preferito di tutti i Politi d’Italia. Tipo il pompierino in seconda Massimo Franco, che ci spiega come “la sentenza della Cassazione regali a Berlusconi un ultimo, involontario aiuto”. Ma certo, come no: gli han fatto un favore da niente. Se lo gusterà tutto dagli arresti domiciliari. 

Ah, dimenticavo: il pezzo di Polito s’intitola “Siate seri, tutti”. Lo dice lui, a noi.
Fiat voluntas Napo. Anche sulla Stampa impazzano i manutentori del governo Napoletta. Mario Calabresi teme che “a pagare il conto della condanna di Berlusconi” sia “il Paese”: forse dimentica che il conto delle frodi fiscali di Berlusconi l’han già saldato con gli interessi quei fessi di italiani che pagano le tasse. Ma per Calabresi il problema non è un governo sostenuto da un pregiudicato, bensì che Letta possa arrivare incolume “al semestre di presidenza italiana della Ue che inizierà il 1° luglio dell’anno prossimo”: quella sarà la nostra “unica salvezza”, e anche un discreto figurone, visto che potremo finalmente esibire in tutto il mondo un governo appoggiato da un monumentale evasore fiscale.

Ladro a casa sua

Napolitano è sempre in sintonia con la legge e la giustizia.
E coi Magistrati, soprattutto.

Condannano sallusti e lui lo grazia in spregio della Costituzione che vuole che il condannato abbia scontato almeno una parte di pena: la grazia si concede eventualmente sul residuo, non sull’evanescente di una detenzione mai iniziata.

Arriva l’ultimo grado, la sentenza definitiva di un processo durato dieci anni e che ha visto berlusconi imputato e poi condannato in via definitiva e lui che fa? si preoccupa della riforma della giustizia.

Un tempismo eccellente, non c’è che dire.

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Sottotitolo: I turisti che  nel pomeriggio passeggiavano vicino alla Cassazione chiedevano ai passanti cosa stesse succedendo di così importante. Il perché di tutta quella confusione.
E avevano ragione a stupirsi, nei paesi normali, quelli dove vivono loro, non si blocca un paese ogni settimana per aspettare le sentenze di un delinquente recidivo.
Per non occuparsene più ne basta una, la prima, che generalmente se si conclude con una condanna resta anche l’unica. Non c’è il diritto a giocarsi il jolly dell’impunità, nei paesi normali.
E nemmeno quello di presentarsi in televisione in videoconferenza, senza nessun contraddittorio a poche ore da una condanna definitiva per frode fiscale. Cosa siamo, l’Italia o la Libia di Gheddafi?
Il tempo è galantuomo. Anche se ce ne sarebbe da recriminare, e i cosiddetti italioti, gli italiani beoti che hanno sostenuto berlusconi col voto, quelli che hanno creduto alle promesse – molti lo fanno ancora ma sono sempre meno – del millantatore delinquente,  non sono certamente quelli che vengono prima in un’ipotetica lista dei colpevoli.
Ho sempre pensato che non bisognava prendersela con loro, solo con loro ma principalmente con chi ha consentito che un impostore, un abusivo, un delinquente, e lo era già allora: quando si è presentato davanti agli italiani era un impresario fallito con un piede a san Vittore, ma soprattutto  il mantenimento in essere del berlusconi “politico”,  sono anni che l’evidenza dei fatti ci dice che c’è stata una finta opposizione che si è immolata volontariamente nel progetto di farlo restare dov’è. Ad ogni costo.
E chissà perché.
Farà in tempo Napolitano  a revocare l’onorificenza al delinquente o bisognerà attendere 32 anni come con Gelli? 
 
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Berlusconi, in un giorno è crollato tutto

Condannato in via definitiva a quattro anni perché ha frodato il fisco per decine di milioni. Sbugiardato sul conflitto d’interesse: la Cassazione ha stabilito che non ha mai smesso di comandare a Mediaset anche da premier. Smentito nella grande balla sulla “persecuzione delle toghe rosse milanesi”: il verdetto più pesante è stato emesso da cinque moderatissimi magistrati a Roma. Per ora il Cavaliere resta senatore e non va in carcere, ma in autunno può succedere di tutto.

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SILVIO BERLUSCONI CONDANNATO
Cassazione conferma i 4 anni di carcere

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Mediaset è stata derubata da berlusconi.

Questo ha detto la sentenza.

Il processo non è stato contro l’azienda ma contro la persona come ha spiegato Travaglio da Mentana.
La legge Severino prevede l’incandidabilità dei condannati oltre i due anni: una legge che ha fatto anche berlusconi che è stato condannato a quattro anni.

Ecco perché non si possono separare le vicende giudiziarie di un frodatore condannato IN VIA DEFINITIVA con quelle politiche e di un governo di cui il condannato fa parte.

Il pd, ricordava Barbacetto oggi in collegamento da Milano per la diretta streaming del Fatto Quotidiano, conosceva benissimo il calendario dei processi di berlusconi, nessuno può dire che non sapeva, non immaginava né tanto meno provare imbarazzo perché si ritrova un delinquente – ora con sentenza definitiva passata in giudicato  ma non è che fino a qualche ora fa  fosse uno stinco di santo –   per alleato di governo.

La vergogna però sì, quella è necessaria.

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Per non perdere l’allenamento! Massimo Rocca

Adesso possiamo dire quello che abbiamo sempre detto. Che l’intera avventura di Berlusconi in politica è stata una gigantesca battaglia, alla fine perduta, per evitare la galera che gli spettava per i suoi comportamenti criminali. Che per vent’anni una metà degli italiani gli è stata complice e l’altra metà è stata rappresentata da gente che ha, purtroppo, moralmente concorso ad alimentare la colossale maskirovka del suo essere politico e non criminale. Dopodiché, come è ovvio quando si prende in ostaggio un intero paese per un quinto di secolo, l’avventura è stato anche altro. Come ogni regime il potente ha diffuso attorno a se ricchezze e corruzione, materiale e morale. Ha saputo identificarsi e farsi identità del paese delle scorciatoie, rappresentare finché è loro convenuto gli interessi globali, il se vince lui vinciamo tutti di Gianni Agnelli. Oggi possiamo accontentarci di questo, di avere avuto ragione. Oppure no. Di pretendere che la sentenza illumini retroattivamente la nostra storia e chiedere di cambiarla. Senza Piazzali Loreto e muri di Dongo. Ma non tollerando più, costi quel che costi, la coabitazione con un delinquente abituale.

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Sentenza Mediaset: le prime tre conseguenze della condanna 

Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano

La condanna di Silvio Berlusconi per il reato gravissimo di frode fiscale ha tre immediate conseguenze.

Primo: dopo vent’anni di scorciatoie, minacce, forzature e vergognose leggi ad personam l’uomo di Arcore è incappato in una sentenza definitiva: da questa sera è tecnicamente un pregiudicato che entro sei mesi o giù di lì dovrà scontare una pena detentiva, arresti domiciliari o servizi sociali. Per la prima volta l’articolo 3 della Costituzione viene attuato completamente: la legge è uguale per tutti compreso il miliardario di Arcore.

Secondo: le conseguenze politiche di questa sentenza storica sembrano inevitabili: le grandi intese vanno in pezzi e il governo potrà anche sopravvivere per un po’ ma sarà come un morto che cammina.

Terzo: ora per lorsignori diventa più difficile stracciare la Costituzione. Un partito guidato da un pregiudicato non può accostarsi per stravolgerla alla Carta fondamentale della Repubblica. E se quelli del Pd che in queste ore si nascondono dietro i berluscones non vorranno capirlo saranno travolti da una valanga di firme. Sotto l’appello del Fatto stasera sono già 200mila ma possiamo rapidamente arrivare a 500mila.

Forza, dimostriamo che la democrazia dei cittadini è più forte del regime dei pregiudicati.  

Firma l’appello

Il governo dei larghi sottintesi

Mucchetti [pd], che insieme al suo collega Zanda ha proposto una legge per dilatare i tempi di sopravvivenza di berlusconi in parlamento a discapito di quella del paese, non voterà la mozione di sfiducia all’inutile ministro dell’interno alfano, quello che non sapeva, non c’era e nessuno gli dice niente se un mezzo esercito di polizia va a rapire e sequestrare persone colpevoli di niente perché la vicenda di Alma e Alua si deve inserire semplicemente in un contesto di realpolitik; cose che succedono “ma che speriamo non accadano più” che non devono e non possono determinare la caduta del governissimo del largo inciucio.

Ecco: io auguro a Mucchetti e a tutti quelli come lui, quindi quasi tutti,  che qualcuno li faccia uscire dal parlamento, quando questo incubo sarà finito, con le stesse dinamiche da realpolitik utilizzate per due persone innocenti, una delle quali è una bambina.

Il fatto che alfano non si dimetta, calderoli non si dimetta, Napolitano che non fiata sulla vicenda kazaka, la difesa disperata e ridicola di letta che “non vede nubi” mentre invece dovrebbe sentire il peso di una meteorite che gli è cascata addosso è un’offesa per tutta l’Italia onesta e perbene. 

 In un paese normale TUTTO il governo avrebbe fatto le valigie, e invece sono ancora tutti lì a dire di non aver capito, di non sapere e che insomma, madre e figlia se la caveranno.  La politica dello ‘sticazzismo sfrenato a vantaggio e beneficio delle proprie poltrone rese intoccabili dal presidente della repubblica anche a sprezzo del ridicolo.

Per tacere di tutti quelli che si staranno fregando le mani per l’assoluzione del generale Mori che di fatto vanifica ogni speranza di fare chiarezza sulla trattativa tutt’altro che presunta fra lo stato e la mafia.

Nota a margine: quei quasi 92 milioni, tutti per medicine, fino all’ultimo centesimo.

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Alfano e Calderoli, si salvi chi può? [Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano]

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Renzi: ‘Perdiamo voti per le poltrone’

Democratici divisi sul ministro dell’Interno. I renziani chiedono le dimissioni. Anche Finocchiaro per
il passo indietro. La segreteria si schiera: “Esecutivo deve andare avanti”. E Letta dice: “Non vedo nubi”.

Camera boccia stop finanziamento partiti
Flash mob M5S: “Si tengono il malloppo”

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Al di sotto di ogni sospetto
Marco Travaglio, 18 luglio

Non c’è analisi politica o sentenza giudiziaria che descriva la nostra classe dirigente meglio di un detto napoletano: “Fa il fesso per non andare in guerra”. Si riferisce all’usanza di fingersi scemi alla visita di leva per essere riformati. Poi, naturalmente, capitava che qualcuno venisse riformato perché era scemo davvero. Ecco, noi non sappiamo quanti politici o imprenditori o manager o funzionari o alti ufficiali siano scemi e quanti fingano di esserlo.

Ma prendiamo atto che molti, moltissimi, fanno di tutto per sembrarlo. 

E, va detto a loro onore, ci riescono benissimo. L’altra sera Angelino Alfano, nientemeno che segretario del Pdl, vicepremier e ministro dell’Interno, doveva essere davvero orgoglioso della sua performance davanti al Senato e poi alla Camera, quando leggeva solenne e ieratico il rapporto Pansa che gli faceva fare la figura del fesso, tra un “aperte virgolette”, un “chiuse le virgolette” e un “aperte e chiuse le virgolette all’interno del virgolettato”. 

Manco si rendeva conto di essere la parodia di Alberto Sordi che, nel film Il vedovo , ripassa con i complici il piano per far precipitare la moglie nella tromba dell’ascensore, nella quale alla fine sprofonderà lui (“Volta foglio! Proseguiamo: paragrafo 21, volta pagina! Alt!”). Ora c’è pure il Procaccini espiatorio che racconta: fu il ministro a chiedermi di incontrare l’ambasciatore kazako e, dopo, gli riferii le sue richieste. Ma il premier Nipote non sente ragioni: “Alfano è totalmente estraneo”, dunque resta al suon posto. In fondo è per questo che andiamo a votare: perché venga fuori una maggioranza che esprima un governo che nomini dei ministri che non sappiano una mazza di quel che avviene nel loro ministero. 

Totalmente estranei. Sono lì apposta: per non sapere nulla. Dunque Jolie è assolto — si dice in linguaggio penalistico — per totale incapacità di intendere e volere. Di solito, il passo successivo è il ricovero in un’apposita comunità di recupero. Ma pure il governo può andar bene. Lo stesso dicasi per i politici Prima e Seconda Repubblica, destra e sinistra, che fino all’altroieri han fatto affari con Ligresti: chi l’avrebbe mai detto che era un poco di buono. In fondo don Salvatore già vent’anni fa entrava e usciva dalle patrie galere. In fondo le sue aziende colavano a picco da anni mentre i compensi della famiglia lievitavano (nel 2008-2010, 9 milioni a Jonella più laurea honoris causa all’Università di Torino in Economia aziendale, e in cosa se no?; 10 a Gioacchino Paolo; 3,4 a Giulia; 8 al manager Talarico; 15 al manager Marchionni). Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe tornato al gabbio. Pareva una così brava persona. E Tronchetti Provera? Sono sei anni che tutti sanno dello spionaggio ordito dalla Security Telecom del fedelissimo Tavaroli nell’ufficio accanto al suo, e tutti a domandarsi: chissà mai se Tronchetti lo sapeva. Qualcuno si sbilanciò a ribattezzarlo Tronchetti Dov’Era.

Poi ieri arriva una sentenza, di primo grado per carità: forse sapeva. In un paese decente si leverebbe un coro di giubilo (anche da lui): meno male, vuol dire che almeno era un buon capo. Invece no. La comunità finanziaria è sgomenta: ma come, un top manager che sa qualcosa di quanto accade nella sua azienda? Dove andremo a finire. Quel che è certo invece da ieri — in attesa delle motivazioni — è che il generale Mori era sì un grande detective antimafia. Però prima catturava un boss e non gli perquisiva il covo; poi l’altro boss non lo catturava proprio. Ma sempre in buona fede (il fatto non costituisce reato: cioè è vero, ma senza dolo). Mica voleva favorire la mafia: semmai lo Stato, ammesso e che ci sia qualche differenza. Anche lui agiva a sua insaputa, mirabile emblema di una classe dirigente al di sotto di ogni sospetto. Alla fine però chi fa il fesso è furbo. Il vero fesso — scriveva Giuseppe Prezzolini — “è stupido. 
Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo”.

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Il ministro ombra –  Massimo Gramellini, La Stampa, 18 luglio

È possibile che travestire una palestra da prima casa sia colpa infinitamente più grave che consegnare moglie e figlia di un dissidente al satrapo di un Paese fornitore di petrolio. Quindi non le dimissioni della perfida Idem si pretendono dal timido Alfano, ma semmai un’immissione sulla poltrona di ministro dell’Interno, che per sua stessa ammissione è attualmente disabitata. Alfano ha un vero talento nel non abitare le poltrone che occupa. Sarà per questo che gliene offrono in continuazione. Se fosse stato effettivamente il segretario del Pdl, quando il proprietario del partito gli fece ringoiare la promessa delle primarie avrebbe dovuto dimettersi. Ma lui non è il segretario del Pdl, lui non è il ministro dell’Interno, lui probabilmente non è neanche Alfano, ma un cortese indossatore di cariche per conto terzi. Tra le tante squisitezze che ha pronunciato l’altro giorno al Senato vi è l’affermazione perentoria che al cognato della signora kazaka (o kazakistana, per citare quell’acrobata del vocabolario di La Russa) i poliziotti non abbiano torto un capello. E pazienza se nell’intervista al nostro Molinari il cognato racconta di essere stato preso a pugni e ceffoni, come conferma il verbale del pronto soccorso pubblicato dall’«Espresso». Alfano era e rimane all’oscuro di tutto: pugni, ceffoni, cognati, forse anche che esista una polizia e che sia alle sue dipendenze. 
Rimane la speranza che certi giudizi come questo lo offendano a morte e che in un soprassalto di dignità il ministro ombra di se stesso si dimetta, preferendo passare per responsabile che per inutile. Ma la nostra è, appunto, solo una speranza.

Separazioni all’italiana [a grandi passi verso la deriva]

BLITZ ESTIVO SULLA COSTITUZIONE

Il governo ha fretta di approvare il ddl per abbattere i tempi di legge previsti dall’articolo 138. La deroga
spianerebbe la strada al lavoro del “Comitato dei 40 saggi”, compresa la riscrittura di parte della Carta.

Prove tecniche di colpo di mano sulla Costituzione. Da piazzare nel cuore dell’estate, quando le spiagge sono piene e l’attenzione sul Palazzo crolla. La strana maggioranza del governo Letta ha fretta di approvare il disegno di legge che prevede una deroga all’articolo 138 della Carta: la norma che pone precisi paletti temporali e di metodo alle leggi di revisione costituzionale. E allora l’obiettivo è quello di approvare entro la prima settimana di agosto.

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Non risulta che riformare la Costituzione fosse un’urgenza da governo di necessità.

Se Napolitano permette a questo caravanserraglio definito indegnamente governo di necessità, all’interno del quale alloggiano comodamente indagati, prescritti, condannati in primo e ultimo grado anche per reati gravissimi di mettere le mani sulla Costituzione si renderebbe complice di un colpo di stato; e non sarebbe nemmeno il primo, ovviamente mascherato e camuffato da decisione perfettamente legittima.
La Costituzione prima di essere riformata andrebbe applicata: non è la Carta a doversi adattare alle circostanze, esigenze e situazioni ma dovrebbe essere il contrario; è la politica che dovrebbe iniziare a prenderla in considerazione e a rispettarla.
Questo governo così com’è non può permettersi di riformare nulla di quanto fatto da eminenze illustri che in un momento storico difficilissimo hanno dimostrato di tenere davvero al bene del paese non certo al loro personale né politico.
La Costituzione è l’ultima garanzia che abbiamo: difendiamola. Tutti.

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Siamo ridotti così male che qualcuno si accontenta perfino del terzo posto alla confederation cup.
Per non parlare della celebrazione del “campione” Valentino Rossi, già noto come evasore fiscale: guai a ricordare queste brutte cose.
E pensare che in Uruguay le unioni civili sono legge così come le adozioni alle coppie dello stesso sesso.
Se si dovesse applicare lo stesso metro di giudizio alle attività sportive e agonistiche in relazione alla civiltà di un paese, l’Italia meriterebbe le stesse posizioni che ha per quanto riguarda la libertà di stampa e informazione. 
Quasi ultima nel mondo.

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Che poi è anche giusto che Valentino Rossi venga omaggiato in qualità di campione: com’era? “bisogna separare le questioni giudiziarie dal ruolo politico”; e se il principio della separazione vale per il vecchio puttaniere corruttore e concussore può valere per chiunque. 

Anche per un evasore fiscale.

Così avremo un nuovo trend, una nuova tendenza; il chirurgo è bravo ma nel suo privato ha comportamenti scorretti, eticamente immorali, illegali? non fa nulla, basta che in sala operatoria poi svolga bene la professione.

Stessa cosa vale per l’avvocato, l’insegnante, il giornalista, il medico di famiglia, e a cascata per tutti i professionisti che nel loro privato si sentiranno autorizzati a fare quello che vogliono, tanto male che vada c’è sempre qualcuno poi che pensa, e purtroppo dice e scrive – non in un blog o una bacheca facebook ma in parlamento e sui giornali – che si possono separare le questioni illegali e immorali da quelle professionali. 
Anche se riguardano un’unica persona.

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Pensavo a Margherita Hack e ai suoi genitori che 90 anni fa [novanta anni fa] non le facevano subire nessuna educazione “di genere”, non le dicevano di non fare cose perché era una bambina o di farne altre perché lo era. 
A quei tempi non esistevano il femminismo, la Costituzione e nemmeno un ministero delle pari opportunità, eppure quella generazione ha formato donne come lei e Rita Levi Montalcini che invece si oppose con tutte le sue forze ad un padre che non riteneva necessario che una figlia femmina dovesse studiare per affermarsi professionalmente.
Quindi significa che era possibile conquistare le proprie pari opportunità senza nessuno che lo garantisse e lo obbligasse per legge, senza l’obbrobrio delle quote rosa, senza un ministero – inutile ai giorni nostri ma sul quale si è aperto il consueto diBBattito – visto che oggi una Costituzione che garantisce l’uguaglianza e il diritto allo studio [anche per le donne!]  invece c’è.  Le vite ben spese di Rita e Margherita descrivono alla perfezione il fallimento di un una generazione di donne che scendeva in piazza per bruciare reggiseni – come se fosse un capo d’abbigliamento il responsabile della costrizione femminile e che ha prodotto quella generazione che non ha nemmeno bisogno di bruciarlo, se lo toglie e basta, davanti al miglior offerente. 
E se quei diritti conquistati faticosamente quarant’anni fa oggi sono ancora messi in discussione significa che non sono stati difesi con la stessa energia con cui erano stati ottenuti. La Storia siamo noi sempre, non solo qualche volta.Margherita Hack e Rita Levi Montalcini sono state eccezioni? può darsi, però sono esistite, e invece di pretendere rispetto, considerazione, farsi spazio nei diritti facendo la guerra agli uomini come va di moda fare in questa magnifica era “moderna”, hanno ritenuto più opportuno impegnarsi in proprio per dimostrare agli uomini di quei tempi e alla società tutta di meritarsi il loro posto coi fatti.

E comunque, poche chiacchiere: la vera parità fra i sessi sarà celebrata e onorata il giorno che nessun uomo dirà più che fare la lavatrice significa “spingere un bottone”.

Perché vorrà dire che tutti gli uomini avranno scoperto che succede dopo aver spinto quel bottone.

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– Riforme costituzionali: se a scriverle sono gli amici dei ladri –

Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano, 27 giugno

Visto che la storia spesso si ripete in farsa, l’ultimo capitolo della ridicola tragedia italiana ruota di nuovo intorno alle riforme e alla giustizia. Esattamente come era accaduto nel 1997, con la commissione Bicamerale di dalemiana memoria, tra i nuovi padri ricostituenti in quota Pdl prende corpo l’idea di riscrivere pure il titolo IV della Costituzione: quello che stabilisce poteri, diritti e doveri della magistratura.

Del resto si sa come vanno queste cose: nelle Camere si parla sempre di fondare una nuova Repubblica, ma tutti quelli che hanno indagini o processi in corso, pensano soprattutto alle Procure della Repubblica.

Sedici anni fa però Oscar Luigi Scalfaro – il Vecchio presidente – almeno ci aveva provato a dire di no. “La Bicamerale non perda tempo con la giustizia, ma si occupi delle riforme di sua competenza” aveva tuonato il Capo dello Stato restando, di lì a poco, assolutamente inascoltato. Oggi invece, nella maggioranza delle larghe intese a dire di no è solo, il Pd. Mentre Giorgio Napolitano, il nuovo Eterno Presidente, per il momento tace.

Male, perché gli avvenimenti di queste settimane non fanno presagire niente di buono. All’indomani dell’ultima condanna a sette anni, Silvio Berlusconi è stato ricevuto al Colle senza apparenti imbarazzi. La sua storia – tra bonifici a Craxi, mazzette versate dal suo avvocato ai giudici,tangenti allungate dai suoi collaboratori alla Guardia di Finanza, più il noto contorno di minorenni, presunte frodi fiscali e concussioni – fa di lui un personaggio in cui nei paesi normali non si discute nemmeno su come riscrivere il codice della strada. Qui, invece, il Cavaliere può parlare di governo, riforme e futuro del Paese. E lo fa dopo che in aprile i dieci supposti saggi scelti da Napolitano per redigere una sorta di programma condiviso tra Pd e Pdl, si sono a lungo occupati di giudici e leggi penali.

Allora il supposto saggio e futuro ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello, era apparso molto soddisfatto.“Il capitolo nel quale più significativa è risultata la piena legittimazione di importanti posizioni fin qui oggetto di pregiudizio è quello della giustizia”, aveva detto prima di elencare i provvedimenti, molti dei quali ideati di natura costituzionale, per depotenziare leintercettazioni telefoniche, abbreviare i tempi d’indagine, mettere una mordacchia alla stampa, intimorire i magistrati (c’era la creazione di una sorta di Csm di secondo grado i cui membri sono nominati un terzo dal parlamento e un terzo dal Capo dello Stato), abolire in caso di assoluzione l’appello.

Oggi invece Quagliariello getta acqua sul fuoco. Per lui dietro l’emendamento Pdl, firmato tra gli altri da un imputato per mafia, uno per peculato e uno per abuso d’ufficio, c’è una semplice iniziativa tecnica. “Vi è l’esigenza condivisa che eventuali correlazioni derivanti dalle riforme istituzionali che dovessero cadere al di fuori delle materie indicate nel disegno di legge attualmente in esame possano essere affrontate dal Parlamento”, dice senza specificare chi condivida l’esigenza. I cittadini? I ladri? Gli amici dei ladri? Il resto del governo?

Letta junior e Napolitano se ci siete (e non ci fate) per favore, battete un colpo.

Di censure, censurati, libertà di espressione, fatti, quotidiani, varie ed eventuali

In questo paese fare informazione è difficile, non solo per colpa del conflitto di interessi di berlusconi  che ha avuto solo “il merito” di peggiorare una situazione già complicata in precedenza ma  perché nonostante e malgrado quello che riguarda berlusconi sia il più gigantesco e insopportabile per una democrazia i conflitti di interessi sono molteplici, ed ecco spiegato il motivo per cui una legge per regolare controllati e controllori in questo paese non la pensano i governi di destra ma nemmeno quelli (cosiddetti) di sinistra.

Perché non è conveniente alla destra ma nemmeno alla (cosiddetta) sinistra.

Come ho scritto varie volte amo leggere i quotidiani in versione cartacea,  e – a malincuore – ho sempre detto che il finanziamento pubblico è una garanzia di libertà, perché finanziando anche cartaccia come Libero e Il Giornale ad esempio possiamo però avere la possibilità di leggere anche quei quotidiani che, sebbene con fatica (e infatti sono sempre meno) cercano di non perdere di vista che il dovere del giornalismo sarebbe, è, quello di informare, di raccontare le cose che accadono in modo corretto, preciso,  in maniera tale da poter consentire ai lettori (che poi saremmo noi cittadini che paghiamo) di formarsi delle opinioni il più possibile attinenti ai fatti, al modo in cui si fa politica, al pensiero dei politici circa tutto quello che la politica ha il dovere di regolare.

Scrivere, come hanno  fatto Il Giornale e Libero ieri che i PM e Il Fatto Quotidiano sono assassini in riferimento alla scomparsa del dottor D’Ambrosio non è solo una porcata ma un crimine, contro il quale tutta l’altra stampa, quella cosiddetta liberale (Repubblica, Unità, Stampa, Corriere) si sarebbe dovuta mettere di traverso anziché metterci il carico da undici. Il Giornale e Libero non sono nuovi a queste campagne denominate “macchina del fango”, si sono sempre distinti – nel senso peggiore – per aver diffamato chiunque fosse contrario e si sia opposto al progetto di distruzione etica, morale, democratica e civile voluta dal padrone di quello e molti (troppi) altri quotidiani, riviste, padrone di case editrici, tv private e, come se non bastasse avendo piazzato i suoi yesmen nella tv di stato (che nessuno ha rimosso, anzi il ministro Passera ha pensato di fargli un ulteriore regalo a proposito di frequenze televisive nel silenzio complice della presunta opposizione)  quando era presidente del consiglio ed è quindi in grado più di altri, più di tutti in questo paese, di orientare le opinioni comuni in tutti i modi che vuole. E nessuno, del Giornale né di Libero, ha mai pagato concretamente in sede civile e penale il modo mostruoso con cui credono di fare informazione.

Io difendo e difenderò sempre chi alle porcate e ai crimini, non solo intellettuali si oppone. L’ho sempre fatto anche in tempi meno sospetti di questo, quando ad esempio l’Unità metteva a disposizione dei suoi lettori un forum on line che un bel giorno venne chiuso dopo che i moderatori, sempre assenti quando c’era da dirimere risse che spesso oltrepassavano il limite della denuncia penale, operarono un “ban” collettivo che colpì, vado a memoria, una sessantina di utenti e ovviamente me compresa. Tutto questo perché sul forum di un giornale di sinistra qualcuno si era permesso di scrivere un post su papa Wojtyla considerato evidentemente irricevibile anche in un contesto come quello.

In quel periodo Marco Travaglio scriveva le sue dieci righe di “Bananas” proprio su l’Unità e spesso ci ritrovavamo a parlare di lui nel forum, anche allora, malgrado fosse meno presente di oggi era molto criticato, ed io mi ricordo che spesso scrivevo che sì, nessuno è incriticabile, cosa che penso anche oggi e anche a proposito di Travaglio ma che comunque andasse in qualche modo protetto e difeso perché era già allora una spanna sopra a molti suoi colleghi molto più famosi e conosciuti di lui.

Ed io continuo a pensare che un giornalista che si pone con lealtà va rispettato, e criticato sì ma SEMPRE  nel merito di quello che dice o scrive, cioè del suo lavoro, invece, e questo capita SOLO con Travaglio,  le critiche e i giudizi cui viene fatto oggetto sono di tutt’altro genere: “è antipatico, è di destra”, e queste sono le cose più banali che mi vengono in mente – perché spesso è davvero difficile poter confutare quello che scrive –  come se il dovere di un giornalista fosse quello di essere simpatico a tutti e di nascondere il suo orientamento politico invece di dare notizie.

Ora, evidentemente qualcuno da qualche parte deve avermi ascoltata quando, in altri periodi dicevo che un giornalista come lui anziché essere osteggiato e criticato sul piano personale si meritava la direzione di un quotidiano prestigioso: oggi infatti Travaglio – dopo varie vicissitudini fra cui l’esclusione da l’Unità voluta per lui, Antonio Padellaro e Furio Colombo dal pd, prima di quella più recente che ha riguardato Concita De Gregorio colpevole di non essersi allineata ai desiderata del partito, un giornale, Il Fatto Quotidiano, lo dirige davvero. Un giornale che non riceve finanziamenti pubblici e quindi si presume che possa agire davvero in libertà a beneficio e vantaggio dei suoi lettori/acquirenti. Soprattutto perché quel giornale ha fatto della lotta alle censure e della libertà di espressione le sue bandiere.

Quando però si parla di libertà di espressione bisogna includerci non solo la propria ma anche quella degli altri, e se un giornale che dispone anche di un’edizione on line mette i suoi articoli a disposizione dei lettori per poterli commentare, questa possibilità deve essere estesa a tutti, cosa che purtroppo Il Fatto Quotidiano non fa. I gestori di siti, dei blog, i responsabili delle versioni on line dei quotidiani hanno tutto il diritto di prendere gli opportuni provvedimenti tesi a contrastare chi crede di poter imbrattare ogni sede virtuale coi suoi delirii, apologie, diffamazioni, ingiurie e offese ma non hanno lo stesso diritto  di togliere la parola a chi invece di quelle sedi virtuali ne ha sempre fatto e ne fa buon uso, né tantomeno hanno quello di poter decidere chi – per diritto divino? può scrivere senza passare per le forche caudine di una  moderazione che doveva essere provvisoria e dalla quale gli utenti registrati dovrebbero essere esenti come da avviso e chi no, perché come dico sempre la censura è una cosa molto stupida e danneggia molto di più chi la applica  rispetto a chi suo malgrado, non avendo la possibilità di potersi sottrarre ai censori né ricevendo spiegazione alcuna, la deve subire.  

 A domande, poste sempre con la massima educazione mettendoci una faccia e un nome, si risponde.

Fino a qualche mese fa lo facevano, scusandosi, anche, prendendo a pretesto le solite questione ‘tecniche’.

Ora loro sono liberissimi di non sentirsi obbligati a rispondere ma così facendo non rendono onore alla coerenza con cui dicono di portare avanti le loro battaglie a favore della conoscenza dei fatti. Io per le questioni di principio mi faccio ammazzare piuttosto,  figuriamoci cosa me ne può fregare di sconosciuti maleducati.

Non è affatto una cosa di poco rilievo  un giornale che fa della massima espressione della libertà di espressione la sua bandiera metta in pratica la censura lui per primo. E non si tratta di censure a caso ma di esclusioni circoscritte a determinati utenti, sono mesi che si leggono lamentele, ma nessuno fa niente e nessuno pensa che sia il caso di dare delle spiegazioni sul perché ci siano utenti che possono e altri che NON possono pur non avendo mai mancato di rispetto a nessuno. I principi o si rispettano sempre o mai: il qualche volta non è previsto.

Nasce a Cortina il partito dei ladri

Sottotitolo: L’ispezione a Cortina NON l’ha promossa la guardia di finanza, che come sappiamo si è dissociata, come il sindaco, il parroco, e il “compagno” cicchitto ma l’agenzia delle entrate. Quella che applica ai comuni cittadini i sistemi di riscossione crediti della mafia.

Chiaramente Befera anziché cercare di applicare equità nella riscossione cerca di recuperare immagine con un cinepanettone ad uso dei cittadini. Riuscendo soltanto a dimostrare che si sa dove sono, chi sono, e quanto rubano gli evasori. Le lettere interne a Equitalia che stabiliscono che nel caso dei soliti potenti si può soprassedere sono sul web, il video della puntata di Report con brunetta che è stato esentato dalla sanzione col ritiro della pratica effettuato PROPRIO da Equitalia per il mancato pagamento della tassa sui rifiuti, idem, ma non hanno suscitato alcuna reazione nella banda di grassatori, che si è preoccupata solo dopo le bombe, tentando il recupero con lo spettacolo. Della serie: non facciamoci fregare, perché chiunque abbia la possibilità di farlo usa i media e i mezzi di informazione come più gli conviene.

Il tema dell’evasione è complesso. Ci sono piccoli imprenditori e liberi professionisti che, tartassati come sono da balzelli e imposizioni di stampo medievale, se non evadessero qualcosa non riuscirebbero a mantenere la famiglia. Ma fatti i dovuti distinguo una cosa bisogna dirla chiara: c’è un pezzo importante della popolazione italiana che semplicemente non paga per egoismo, mancanza di senso civico o, addirittura, per spirito criminale. (leggi l’articolo di Peter Gomez sul Fatto Quotidiano)

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Spero che adesso la smetteranno di dirci che le manovre sono e sono state sempre e tutte necessarie, perché se controlli come quelli fatti a Cortina fossero stati la normalità e non un’una tantum dei giorni di festa (giusto per far dire l’ennesima cazzata al miserabile piduista) probabilmente questo paese non sarebbe ridotto così male. I soldi in Italia ci sono: basta andarli a prendere DOVE sono: non certo nelle tasche di pensionati e dei lavoratori a stipendio. Con buona pace dei finanzieri “discreti” di Cortina (il comandante della GDF di zona ha tenuto a precisare che loro non avrebbero mai e poi mai fatto un controllo fiscale durante le vacanze di Natale. Questo la dice lunga sulla connivenza che si crea fra le istituzioni e la gente ricca,  perché al poveraccio la cartella di Equitalia può arrivare anche il giorno del suo compleanno) e del parroco che lamenta “ristrettezze economiche”.

Compatisco quelli che parlano di invidia verso i ricchi, così come provavo pietà per quelli che parlavano di violazione della privacy quando iniziarono ad uscire fuori le storie delle festicciole eleganti del puttaniere brianzolo. Per capire che quelle non erano affatto questioni private ma l’indecenza elevata a sistema c’è voluto un po’: infatti molti non ci sono ancora arrivati e sono rimasti al “ognuno nel suo letto ci porta chi gli pare”. Questo significa non aver capito NULLA di quello che è successo in questo paese nella favolosa era di berlusconi.
E’ anche grazie a questo diffuso modo di pensare che le cose difficilmente possono cambiare in questo paese, perché si può anche capire (ma non giustificare) la quantità di gente che cerca in tutti i modi di difendersi la “robba”, anche quella ottenuta grazie all’illegalità e alla mancanza di seri controlli da parte del fisco (che, come abbiamo visto sa benissimo dove sono i soldi rubati alla collettività), ma resta difficile comprendere la difesa a oltranza di chi da questo sistema di sperpero (Rutelli, Casini & Co. che vanno in vacanza alle Maldive in resort da 2500 dollari AL GIORNO mappoi in televisione chiedono agli italiani comprensione e sacrifici) e furti (evasione fiscale) viene colpito nella stessa misura di chi almeno cerca di combatterlo.

IL FISCO IDEOLOGICO (Michele Serra)

I controlli fiscali a Cortina, a ridosso di Capodanno, saranno anche ispirati da “una concezione ideologica del controllo fiscale”, come dichiara il socialista (risate!) Cicchitto. Ma si dà il fatto che gli eventuali pregiudizi “ideologici” sono stati clamorosamente confermati dai risultati. Centinaia di auto di lusso erano intestate a persone che dichiarano 30.000 euro all’anno. A Cicchitto basterebbe fare due conticini elementari per capire che qualcosa non quadra. E, con ogni evidenza, se la Guardia di Finanza ha gettato le reti proprio a Cortina, e non a Igea Marina, è perchè ogni lavoro ben fatto porta ad ottimizzare i risultati. Nei Paesi civili, dove per evasione fiscale si finisce in prigione, a nessuno viene in mente di strillare contro il Fisco Ideologico e lo Stato di Polizia.

Quanto all’ideologia, se in questo Paese esiste una politica punitiva contro chi produce reddito e contro i benestanti, questa politica vede come protagonisti incontrastati gli evasori fiscali. Posso certificarlo proprio in quanto benestante: mi vedo circondato da persone che pur dichiarando un reddito dieci volte inferiore al mio, hanno un tenore di vita dieci volte superiore.

Li considero nemici dello Stato e miei personali.

L’ex ministro Brunetta non paga la tassa rifiuti: Equitalia sospende la pratica.