Questione morale? Ma de che?

lodi4magChissà come si traduce “ma de che” in tutte le lingue del mondo.
Se Cameron, quando è andato in televisione a scusarsi con gli inglesi per la faccenda del Panama Papers, oppure Hollande quando  in conferenza stampa davanti a 500 giornalisti dopo la vicenda dello scoop che svelò il suo tradimento alla moglie e disse che, essendo coperto dall’immunità, non poteva denunciare il giornale che aveva scoperto l’avventura extraconiugale, se  entrambi invece di usare toni sobri, educati al limite dell’ossequioso rispetto come dovrebbero essere sempre quelli delle istituzioni quando si rivolgono ai cittadini avessero esordito come fa Renzi ogni volta che lo interpellano quindi sempre.
Non si capisce cosa ci sia di simpatico nell’atteggiamento, nel linguaggio di Renzi che vuole essere l’amico di tutti ma poi vediamo che succede ogni volta che mette un piede fuori dalla porta.
Se Renzi è davvero convinto che la questione morale non riguardi principalmente il suo partito, che è quello che esprime la maggioranza di governo, cominci a riconsiderare almeno una parvenza di educazione applicata al dire e al fare, visto che c’è un sacco di gente che non solo non vuole essergli amica ma con lui non prenderebbe nemmeno un caffè.

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I magistrati possono andare a sentenza in base alle leggi che fa il parlamento.
Se non ci vanno nei tempi brevi che chiede Renzi provi, Renzi, a farsi due domande, invece di negare ancora che la questione che riguarda la criminalità nella politica sia altrove dai tribunali, proprio in quella questione morale che il pd non si pone.
La magistratura avrebbe potuto evitarsi tante noie, il superlavoro ma principalmente tutti gli insulti dei politici se la politica fosse intervenuta prima dei tribunali che poi non possono dare le giuste risposte a quel popolo per il quale si esprimono in virtù delle leggi che fa la politica.
E’ un enorme gatto che si morde la coda e che, muovendosi di continuo, ha stritolato tutta l’Italia.
L’affidamento ai servizi sociali per i reati economici e fiscali che prevedono pene fino a quattro anni voluto dal governo di Renzi non è un modo per sveltire la giustizia, è il sistema che garantisce al politico di non subire nessun provvedimento restrittivo e punitivo, mentre il cittadino continua a rischiare anche per reati più lievi e meno dannosi per la collettività.
E finché la gente non capirà che Davigo ha ragione quando dice che i politici ladri sono più dannosi dei delinquenti di strada, proprio perché i loro reati incidono su tutto il paese e non sul singolo individuo sarà impossibile avere una classe dirigente che tenga conto di questo.
Fra cinquant’anni ci sarà ancora una Picierno che può andare in televisione a parlare di “giustizia ad orologia” come una Santanché e una Carfagna qualsiasi che diversamente da lei lo sapevano dire pure meglio.

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Prima di me schifo e deserto. Il senso di Matteo per il passato

Alessandro Robecchi – Piovono pietre – Il Fatto Quotidiano, 4 maggio

Una strana ossessione si aggira nei quartieri generali del renzismo. E’ l’ossessione del passato. Uno sarebbe portato a pensare che un grande (sedicente) innovatore e rottamatore, ascendente Verdini con la luna in Leopolda, guardi al futuro (sedicente) luminoso che sta costruendo. Invece, opplà, si casca sempre con un piede indietro. Con l’affermazione che “dopo 63 governi” l’Italia finalmente viene considerata in Europa, Matteo Renzi compie un’operazione abbastanza semplice. Non essendo sufficientemente luminoso il futuro che sta per venderci, non così gradito a tutti, non così chiaro, deve dimostrare per prima cosa che sarà sempre meglio del passato. E ora che è arrivato lui, quei 63 governi impallidiscono e svaporano nell’inconsistenza. E’ una variante di “dopo di me il diluvio” che suona così: “Prima di me il deserto”. Qualcosa di simile a: ehi, amici, vi ricordate che fatica quando non esisteva la ruota? Beh, meno male che ora l’ha inventata Matteo.

In un’altra occasione, ancora più illuminante (era il settembre del 2015) disse che il Paese aspetta la sua riforma, sua e della fatina delle riforme Boschi, da settant’anni. Cioè: Togliatti e De Gasperi, per dire, ancora stavano studiando la Costituzione (quella vera, nata dalla Resistenza), che già aspettavano con ansia le modifiche di Matteo. Una specie di macchina del tempo, insomma, usata sempre nello stesso modo: il passato fa tutto schifo, prima di me non c’è stato niente e l’intero dopoguerra italiano è stato solo un confuso periodaccio d’attesa dell’uomo del destino.

Che sia un po’ un’ossessione, questa del passato, sta cominciando a diventare evidente. Uno potrebbe anche tirare in ballo lo slogan del Partito (della Nazione?) che si inventò George Orwell in 1984: “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”, che non era niente male. Ma forse sarebbe troppo, scomodare Orwell, e allora accontentiamoci di letterature più recenti, come per esempio lo slogan coniato per il lancio de l’Unità (estate 2015): “Il passato sta cambiando”. Ecco, mai slogan aveva somigliato tanto a un’aspirazione: cambiare il passato significa anche sbeffeggiare come irrilevanti 63 governi precedenti, o immaginare che le tue riforme le aspettavamo come la manna anche prima che ci fosse qualcosa da riformare. In attesa di essere il futuro, come spera lui, e seduti su un presente che traballa un po’, Renzi e i suoi autori decidono che intanto è meglio sputare su tutto quello che c’era prima, e molti smemorati (per insipienza o convenienza) potrebbero cascarci.

Dopodiché si potrà notare che alcune delle riforme più importanti per la vita del Paese si fecero proprio in passato, alcune quando Renzi ancora non era nato. Lo Statuto dei lavoratori (1970), o il Servizio Sanitario Nazionale (1974) , per dirne solo due, si fecero addirittura con il bicameralismo perfetto, oggi indicato come causa di lentezza, e addirittura con leggi elettorali proporzionali (altro che il chi-vince-piglia-tutto dell’Italicum).

E, sempre per restare ai due esempi appena citati, è un po’ vero, sì, “il passato sta cambiando”, come diceva lo slogan de l’Unità, ma in peggio, perché le picconate allo Statuto dei lavoratori sono lì da vedere (Jobs Act), e quanto al Servizio Sanitario Nazionale, beh, lo sanno tutti quelli che ora pagano analisi che pochi mesi fa erano gratuite. Voilà. In più, l’ossessione del passato che guiderà la campagna referendaria (basta! Via! Tutto nuovo!) contiene una sua contraddizione interna: si grida che serve una nuova Costituzione per fare le riforme, che questa che c’è ci rende immobili, ma nel contempo si celebrano come epocali e strabilianti le riforme in corso. Un po’ come dire: guarda! Ho una gamba sola!, e intanto vantarsi di vincere i cento metri.

Il partito di Io [feat Alessandro Robecchi]

Preambolo extra-post a proposito dei “disagi” Wind di ieri: non è solo una questione di disagi e guasti temporanei che possono succedere. Tutto ciò che è fatto dall’uomo è fallibile e “rompibile”.
Il dramma è  che tutto il servizio di telefonia e relative connessioni ad internet in Italia fa pietà. Perché lo stato preferisce investire su altro, ad esempio ancora sulla televisione per poi utilizzarla per la sua propaganda, quando la politica si occupa di internet non lo fa per esaltarne le potenzialità e le risorse ma unicamente per tentare di mettere bavagli e mordacchie alla libera circolazione dei pensieri e delle notizie. E’ tutto qui il rapporto internet/politica.
Io pago alla TIM i due euro e cinquanta a settimana della connessione al mio cellulare ma se non c’è un servizio wi fi nel posto in cui mi trovo è come se non ce l’avessi. 
Però la pago. E allora bisognerebbe che questi signori e padroni dell’etere in tutte le sue forme facessero pagare solo quello che realmente possono garantire, altrimenti si chiama TRUFFA.

 

Sottotitolo: Dell’Utri potrà soggiornare in una cella singola, mica come i poveracci costretti a dividersi tre metri in sei, otto persone nel paese dove il carcere dovrebbe avere una funzione riabilitativa e rieducativa per Costituzione. Il privilegio anche nella delinquenza, laddove non c’è più niente da riabilitare ormai lo stato offre un trattamento particolare tenendo conto dello stato di salute del pregiudicato.
Gli altri possono anche morire di depressione, malattie, sempreché non abbiano la fortuna di essere amici di famiglia di qualche eccellenza come Giulia Ligresti, attenzionata personalmente dall’ex ministra Cancellieri e che, perché gravemente malata, passò da una cella allo shopping in via Montenapoleone evidentemente su prescrizione medica. 

Il presidente del senato Grasso, stop vitalizi a senatori condannati: “Ho chiesto ai Questori di istituire pratiche per questo risultato”.

In un paese normale sarebbe altrettanto normale che un politico che abbia dei conti da regolare con lo stato e la giustizia perda i diritti che aveva da politico, ci sono provvedimenti che dovrebbero scattare di default, il fatto che cuffaro,  dell’utri e altri ancora possano continuare a percepire dei soldi dalla politica come se stessero ancora lavorando per la politica, soldi che non paghiamo con le nostre tasse per mantenere eccellenti avanzi di galera mafiosi e corrotti non fa sentire bene, ecco.
Anzi fa piuttosto incazzare.
Ma siccome nel paese alla rovescia non è così, vediamo se i questori avranno la stessa solerzia d’intervento che hanno avuto per concedere il diritto divino del parrucchiere alle signore onorevolissime deputatissime.

 

Se Orsoni che patteggia per un reato, ovvero lo ammette ma sceglie la via breve con la giustizia non può – giustamente – governare una città, perché allora berlusconi che è stato condannato per reati contro lo stato può partecipare alle decisioni politiche per tutto un paese, incontrare e frequentare le alte cariche dello stato?
Per quale motivo gli italiani dovrebbero fidarsi di uno che pensa di riformare le leggi e perfino la Costituzione con la collaborazione di un delinquente amico dei mafiosi? Come ha ben scritto il professor Rodotà “Renzi non vuol negoziare con i membri del suo partito ma continua a farlo con berlusconi”.
Se questa, come sembra, come ci hanno fatto credere, è una scelta obbligata non significa che debba poi essere anche condivisibile.
Non significa poi che tutti dobbiamo fidarci di Matteo Renzi.
Io ad esempio no, non mi fido.

 

“DA ORSONI FRASI ASSURDE SU DI ME. CHI PATTEGGIA NON PUO’ GOVERNARE CITTA'”

 

Il concetto di “41%” di Renzi è lo stesso che ha permesso a berlusconi di poter ottenere un trattamento a dir poco inusuale per un condannato in via definitiva. 
Il suo giochino è stato sempre quello di ribadire di avere un consenso popolare. 
Il mantra dei milioni di elettori che lui e chi per lui hanno ripetuto ossessivamente e che anche in forza dei ripetuti inviti alla sobrietà di Napolitano verso la magistratura ha fatto tirare indietro la manina al giudice che poteva, eccome e a sua discrezione, decidere che silvio berlusconi anziché andare per 178 ore a farsi subire da incolpevoli vittime doveva invece soggiornare in una galera non 178 ore ma per tutto il periodo previsto dalla sua condanna.
Il consenso non è il viatico per fare come si vuole, non è un’autorizzazione a delinquere protetti dalle varie immunità che questo stato offre ai politici, non è affatto l’assicurazione di cui si fa forte Renzi per poter fare quello che gli pare.
Non funziona così, non può funzionare.

Il Partito di Io – Alessandro Robecchi per “pagina99”

È presto per dire come finiranno le nuove mirabolanti avventure del Pd, se i senatori dissidenti rientreranno nei ranghi, con quale sopraffino barbatrucco semantico pronunceranno la loro abiura davanti al papa re che governa il partito e il paese. Quel che è certa, invece, è l’apoteosi dell’ego renziano. I miei voti, le mie riforme, eccetera eccetera. Io, io, io. Usare il consenso ottenuto come un lasciapassare totale è un vecchio vezzo. Berlusconi, per dire, si serviva dei suoi “dieci milioni di voti” per autoassolversi in sede penale. Più modestamente, Renzi, usa il “suo” 41 per cento per rimuovere qualche senatore da una commissione parlamentare. Apprendiamo dunque che il 25 maggio abbiamo votato per le elezioni europee e per far fuori un manipolo di dissidenti. Questa sì che è democrazia diretta. Diretta da Matteo.

Renzi, il bulletto che fa il premier
Alessandro Robecchi, Il Fatto Quotidiano

Chissà cos’hanno pensato i dirigenti del più grande Partito Comunista del mondo quando hanno visto Matteo Renzi occuparsi di Corradino Mineo. Abituati a leader occidentali che vanno lì a parlare dei dissidenti loro, vederne uno che da Pechino si occupa dei dissidenti suoi li avrà divertiti un bel po’. Poi, appena tornato in patria, il premier ha fatto tutta la classifica delle sue proprietà. Mio il 41 %, miei i voti delle europee, mio il partito, e mio anche il paese, che “non si può lasciare in mano a Corradino Mineo” (che è un po ’ come sparare alle zanzare con un lanciamissili, diciamo). Tipica sindrome del possesso: è tutto suo, ce ne sarebbe abbastanza per uno studio sul bullismo. Studio già fatto, peraltro, perché pare che il paese proceda di bulletto in bulletto. Prima quello là, il Bettino degli “intellettuali dei miei stivali”, che Renzi ha voluto rivisitare con i “professoroni”, con contorno di gufi e rosiconi (al cicca-cicca manca pochissimo, prepariamoci). Poi quell’altro, Silvio nostro, parlandone da vivo, che rombava smarmittato dicendo che “dieci milioni di voti” lo mettevano al riparo dalla giustizia. Non diversissimo dal nuovo venuto, secondo cui “dodici milioni di voti” (suoi, ça va sans dire) sono un’investitura per fare quello che vuole senza se e senza ma. Insomma, che le elezioni europee fossero un voto per la riforma del Senato era meglio dirlo prima, non dopo. Ora, si trema all’idea di cosa, ex-post, tutti quei voti possano giustificare, dallo scudetto alla Fiorentina alla riforma della giustizia, dalla rimozione dei senatori scomodi alla renzizzazione selvaggia del partito. Come sempre quando si va di fretta, non mancano i testacoda. IL “LO CAMBIEREMO al Senato” (il voto della Camera sulla responsabilità dei giudici), detto da uno che il Senato lo vuole abolire. Oppure il famoso lodo “Daspo e calci nel sedere” ai politici corrotti, che si è tramutato in silenzio di tomba quando il sindaco di Venezia è tornato, dopo un patteggiamento, al suo posto. Se n’è andato lui, Orsoni, e sbattendo la porta, senza nessun Daspo e nessun calcio nel sedere (pare che intenda tirarne lui qualcuno al Pd, piuttosto). Ora, forgiata una falange di fedelissimi (persino i giornali amici e compiacenti ormai li chiamano “i colonnelli”) è bene dire che nessuno si sente al sicuro. Ne sa qualcosa Luca Lotti che per zelo ebbe a dire che Or-soni non era del Pd: Renzi lo sbugiardò a stretto giro, come dire, va bene essere più realisti del re, ragazzi, ma ricordiamoci chi è il re. Tanto, che uno sia del Pd oppure no è irrilevante: quel che conta è si è di Renzi oppure no. Perché Giggi er bullo vince sempre. Se il Pd va bene è il suo Pd. Se va male è quello vecchio e mogio di Bersani. Un po ’ come il Berlusconi padrone del Milan, che si intestava le vittorie e scaricava le sconfitte sugli allenatori. Lo stile è quello. L’avesse fatto Bersani, di levare da una commissione un senatore sgradito (magari renziano, toh) avremmo sentito gemiti e lezioncine di democrazia fino al cielo, perché anche nel “chiagni e fotti” le similitudini non mancano. E qui c’è un po ’ di nemesi, a volerla dire tutta. Perché se fino a qualche tempo fa si poteva sghignazzare sulla gesta di Renzi, “Ah, l’avesse fatto Silvio”, ora siamo arrivati al punto di dire: “Ah, l’avesse fatto Pierluigi!”. Che è poi la storia di come procede a passi rapidi l’uomo solo al comando: si teorizzava qualche mese fa da parte renziana che come alleato Berlusconi fosse meglio di Grillo. Oggi si teorizza (anche coi fatti) che come socio per le riforme Berlusconi è meglio di alcuni senatori Pd, eletti per il Pd da elettori del Pd. Quanto ai soldatini, ai pasdaran e ai guardiani della rivoluzione renziana, che sgomitano per farsi notare dal capo, devono per ora limitarsi all’arte sublime del benaltrismo. Ad ogni nota stonata del loro conducator sono costretti ad argomentare: e allora Grillo? Come se davanti a una bronchite un medico intervenisse dicendo: e la polmonite, allora? Nel merito, niente. Poveretti, come s’offrono.

Purghe si ma democratiche  –  Marco Travaglio,  14 Giugno 2014

Ma che soave delicatezza, cari colleghi giornalisti! E quali flautati vocaboli state escogitando per non chiamare con il suo nome la brutale eliminazione dei dissidenti ordinata da Renzi e dai suoi giannizzeri, anche in gonnella, dalla commissione che deve (imperativo categorico) approvare la cosiddetta riforma del Senato, cioè l’abolizione dei suoi poteri e delle relative elezioni! Eppure le parole giuste le conoscete bene, perchè le avete usate per mesi e mesi, ogni qual volta Grillo e Casaleggio chiamavano gli iscritti a votare sull’espulsione di questo o quel dissenziente: purghe, ostracismi, stalinismo, fascismo, nazismo, metodi antidemocratici, autoritari, populisti. Ora che toccherebbe a Renzi (caso molto più grave perchè riguarda un partito strutturato che per giunta si chiama Democratico, e coinvolge il premier), invece, siete tutti velluto e vaselina: “tensioni nel Pd”, “stretta di Renzi”(Corriere),“Renzi attacca i ribelli Pd”, “lite sulle riforme”, “pasticciaccio brutto”, “rimozione” (Repubblica), “scontro nel Pd”, “sostituzione”,“Renzi: no veti” (l’Unità). Solo Pigi Battista – una volta tanto onore al merito – mette il dito nella piaga del doppiopesismo italiota. Intendiamoci. L’abbiamo scritto per alcuni sabotatori a 5 Stelle, che all’evidenza avevano sbagliato partito e che il Movimento aveva tutto il diritto di espellere (anche se poi lo fece con forme antidemocratiche e inaccettabili, senza dar loro la possibilità di difendersi e chiamando gli iscritti a un unico voto su quattro senatori con storie diverse, un po’ come sulla scelta di Farage che scelta non era perchè mancavano alternative all’altezza e adeguatamente supportate): i partiti e i movimenti non sono hotel con porte girevoli dove uno entra e fa il suo comodo. La disciplina di partito non è antidemocratica: è una delle basi della democrazia. Esistono regole d’accesso e di permanenza, e chi le viola può essere espulso, purchè con procedure trasparenti e garantiste. Ora, non pare proprio che Corradino Mineo abbia violato alcunchè: se la degradazione del Senato da Camera Alta del Parlamento a inutile dopolavoro di sindaci e consiglieri regionali nominati dalla Casta fosse stata prevista dal programma del Pd alle elezioni 2013, è ovvio che il dissenso di Mineo&C. sarebbe inaccettabile fino a giustificare l’esclusione dalla commissione e anche l’espulsione dal Pd. La controriforma del Senato però l’han partorita Renzi&B. a gennaio nel famigerato Patto del Nazareno che nessuno – tranne i due contraenti, leader di partiti che agli elettori si presentano come avversari irriducibili – ha il privilegio di conoscere nei dettagli. Quindi rispetto a cosa Mineo, Chiti & C. sarebbero traditori da punire?

Mercoledì il renziano Giachetti ha votato con FI, Lega e 70 franchi tiratori Pd la boiata sulla responsabilità diretta dei magistrati, contro il programma del Pd e il parere del governo Renzi: niente da dire? Intanto è stato appena eletto sindaco di Susa Sandro Plano, Pd e No-Tav: e ha preso i voti non perchè è Pd, ma perchè è No-Tav. Ora i vertici del Pd piemontese, infischiandosene degli elettori, minacciano di espellerlo perchè osa bestemmiare il dogma dell’Immacolata Grande Opera tanto caro a Chiamparino, Fassino e amici di Greganti assortiti, che però non compare nello statuto del Pd. Quale regole avrebbe violato Plano? Grillo e Casaleggio – secondo noi sbagliando – contestano la norma costituzionale degli eletti “senza vincolo di mandato”. Ma con che faccia chi – secondo noi giustamente – la rivendica spegne il dissenso di chi vorrebbe votare secondo coscienza contro il Patto del Nazareno, mai discusso da nessuno prima che fosse siglato aumma aumma?

Renzi dice: “Ho preso il 41% e si vota a maggioranza”. Giusto, anche se il 41% l’ha preso alle Europee (dove non era neanche candidato). Ma votare a maggioranza non significa eliminare la minoranza, altrimenti il voto è bulgaro. L’anno scorso, quando il Pd di Bersani decise a maggioranza – secondo noi sbagliando – di mandare al Quirinale Franco Marini, i renziani rifiutarono – secondo noi giustamente – di votarlo. Ora vogliono negare ad altri il diritto di fare altrettanto: le purghe renziane profumano di Chanel numero 5.

 

Par_buckling, invece è solo l’Italia

Enzo Biagi – Berlusconi Se non entro in politica mi arrestano

Giusto per ricordare che qualcuno lo aveva detto.
E sarebbe bastato aprire qualche libro delle tonnellate che sono stati scritti in questi ultimi quindici anni per capire che con un ricattato dalla mafia, un corruttore, un evasore  che non denuncia la mafia ma la paga, con un disonesto per natura un governo non si fa, né tanto meno se ne può fare uno di responsabilità.

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LA “ROTAZIONE” DI LETTA SUPERSTAR DEL SUCCESSO ALTRUI  – Antonello Caporale, Il Fatto Quotidiano

Basta un poco di Concordia e la pillola italiana va giù – Alessandro Robecchi, Il Fatto Quotidiano

LATO B.  Marco Travaglio

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Mi piacerebbe sapere di quale orgoglio italiano parla il nipote dello zio quando arruffa il pelo e si eccita a proposito della gigantesca operazione di ingegneria che ha rimesso in piedi la Concordia. Perché, come giustamente faceva notare Crozza ieri sera a Ballarò gli autori, loro sì meritevoli, l’italiano nemmeno lo parlano. E un signore che si chiama Nick Sloane non rappresenta certamente il popolo italiano. Italiano è chi ha provocato una strage in cui sono morte 32 persone e italiano è chi avrebbe l’autorità per impedire questa sceneggiata denominata “inchino” di navi gigantesche che mettono a rischio la vita della gente e l’ambiente delle città di mare ma non lo fa.

Lo spazio mediatico dato alla Concordia in sostituzione dei più miserabili fatti che riguardano l’Italia non toglie nulla all’abilità e al prestigio di quello che ha fatto il team di eccellenze che ha rimesso la nave in piedi.

 Prendersi il merito, parlare di orgoglio italiano è intellettualmente disonesto e fuorviante, come se la finale dei mondiali di calcio si giocasse in Italia fra Brasile e Francia ad esempio e poi, alla fine della partita il sindaco della città che ha ospitato il match si prendesse il merito della vittoria, a nome di tutta la città.

Ma nel paese dove per vent’anni un malfattore ha potuto fare il bello ma soprattutto il cattivo tempo, nel paese dove a quel malfattore si concede ancora spazio da uomo libero, onesto e innocente in violazione non solo della legge e della Costituzione ma anche del benché minimo senso del pudore, nel paese dove tutto si riduce a derby calcistico e a spettacolo mediatico, perfino le tragedie, serve e basta davvero poco evidentemente per parlare di orgoglio, che è una parola enorme quando quell’orgoglio ha un fine positivo, una parola importante e per questo da usare con moderazione.
Specialmente se si fa il presidente del consiglio di un paese sciagurato come questo.

Più digiuno per tetti [o era per tutti? che confusione…]

 

Sottotitolo: i papi comandano da molto prima della politica.
Se avessero voluto impegnarsi davvero nel corso dei millenni per contrastare le guerre avrebbero potuto farlo e con ottimi risultati, ma il “dividi et impera” ha sempre fatto molto comodo anche, soprattutto anzi, alle religioni create apposta per separare e non certo per unire.

In tutti i conflitti si nomina il nome di Dio invano, da hitler a bush passando per i folli dittatori islamici tutti si sono sempre dichiarati autorizzati dalla chiamata del loro Dio quando hanno compiuto stragi per la conquista del potere.

E in vaticano hanno trovato ospitalità i tiranni di tutti i tempi, anche un boss della malavita sepolto in una chiesa come i santi.

Chi oggi pensa di lavarsi la coscienza digiunando, quella di chi alla guerra non ha mai detto un no deciso ma al contrario ha accusato una persona come Gino Strada di essere un fiancheggiatore del terrorismo [vero, Emma?] approfittando di un papa che dice cose diverse perché è arrivato, anzi è stato messo lì apposta per rialzare le quotazioni di una chiesa cattolica in caduta libera e per questo non lancia anatemi ad ogni stormir di fronda ma usa un linguaggio diverso, perfino simpatico, commette la cosa più disgustosamente falsa che si possa fare.

Digiunare insieme a chi come il ministro della difesa pensa che per amare la pace bisogna armare la pace, oppure col rappresentante di una comunità religiosa i cui vertici alti e altissimi hanno sempre accolto con tutti gli onori dittatori sanguinari, ci hanno fatto affari e accettato i loro soldi sporchi di sangue è solo l’ennesima dimostrazione di quell’ipocrisia che purtroppo fa viaggiare il mondo.

***

Se degli operai vanno per protesta sui tetti delle fabbriche per difendere il posto di lavoro, se lo fanno dei ricercatori su quelli delle università per dire no ad un disegno di legge scellerato vengono elevati ad eroi e certi politici per farsi un po’ di pubblicità si fanno fotografare mentre li vanno a trovare. 

Se invece dei parlamentari per difendere la Costituzione salgono sul tetto di palazzo Madama sono degli sciagurati che “si esibiscono in inutili e alquanto folcloristiche proteste” secondo Roberto Speranza mentre per la solita Boldrini sono persone che stanno commettendo “un atto grave” i cui costi [assistenza in caso di emergenze] ricadranno sui contribuenti.

E meno male che c’è sempre Laura Boldrini a ricordarci quali sono le vere violazioni delle istituzioni, altrimenti qualcuno potrebbe pensare che quelli che le offendono davvero siano altrove, ad esempio al Quirinale dove il presidente della repubblica riceve un privato cittadino senza dar conto al popolo italiano del perché ha concesso udienza a Fedele Confalonieri: cosa c’entra con le istituzioni un signore estraneo alla politica e alle istituzioni che può avere libero accesso e ottenere ascolto da Napolitano circa questioni che presumibilmente nulla c’entrano con la politica e con le istituzioni ma molto con silvio berlusconi.

Oppure si potrebbe pensare che la vera violazione sia un pregiudicato, delinquente, condannato, uno che per proteggere se stesso, i suoi figli e la sua roba non chiede aiuto allo stato che ha allegramente depredato evadendo le tasse ma alla mafia, che dello stato è nemica giurata, a cui si permette di ricattare, minacciare, tenere sotto scacco il parlamento e in ostaggio tutta l’Italia.

E non si capisce perché lo stato, nella persona del suo più alto funzionario che rappresentando lo stato agisce in nome e per conto di tutti i cittadini  a cui viene impedito così di potersi opporre all’idea che a un delinquente debbano essere garantite l’impunità, la possibilità di continuare a vivere da cittadino libero e di potersi fare beffe delle istituzioni come ha sempre fatto anche quando era presidente del consiglio, uno che ha usato lo stato per i suoi sporchi affari e interessi e nessuno ha mosso un dito per impedirlo, possa scegliere a suo nome e non in quello del popolo italiano di dare ascolto e udienza agli intermediari del fuorilegge che dello stato, delle sue leggi, delle regole e di quella Costituzione su cui molti, compreso lui, vorrebbero mettere le loro mani sporche, se avesse potuto ne avrebbe fatto volentieri a meno.

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SILENZIO, PARLANO GLI AMBIENTI DEL COLLE (Alessandro Robecchi)

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Quirimediaset
 Marco Travaglio, 7 settembre

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La domanda è molto semplice e, nonostante
la comicità della situazione generale, molto
seria. 

Se è vera la notizia — pubblicata da alcuni
quotidiani e non smentita per tutta la giornata
di ieri — del “colloquio riservato” di Fedele Confalonieri
con Giorgio Napolitano per impetrare
la grazia o altri salvacondotti sfusi per l’amico
Silvio, a che titolo il presidente della Repubblica
ha ricevuto il presidente di Mediaset? Il 2 luglio
scorso, quando Beppe Grillo, leader del M5S
che aveva appena raccolto il 25% alle elezioni,
chiese sul suo blog di incontrare il capo dello
Stato, questi rispose piccato di non aver “ricevuto
alcuna richiesta di incontro nei modi necessari per poterla prendere in considerazione”.

Resta ora da capire se, quando e come il
signor Confalonieri, privato cittadino sprovvisto
di qualsivoglia carica o politica — anzi da
vent’anni dichiarato dal Parlamento ineleggibile
ai sensi della legge 361/1954 per assicurare
l’eleggibilità abusiva a B. — abbia formulato una
richiesta di incontro col Presidente, e nei modi
necessari per essere presa in considerazione dal
destinatario. Ma purtroppo non se ne sa nulla,
come non è dato sapere a che titolo Gianni Letta,
altro privato cittadino sprovvisto di qualunque
carica elettiva o politica a parte la parentela
diretta con il Premier Nipote, entri ed esca dal
Quirinale, come riferiscono i giornali vicini a B.
e N., anch’essi mai smentiti.
In qualunque democrazia, anche la più scalcinata,
quando un’alta carica dello Stato riceve
Tizio o Caio, lo comunica ufficialmente ai cittadini,
spiegandone il perché. 

In Italia invece la
clandestinità del potere è diventata normale anche
sul Colle più alto, come insegnano le trame
per assecondare le pretese del signor Mancino,
indagato per falsa testimonianza sulla trattativa
Stato-mafia. E come dimostra l’incredibile nota
diffusa l’altroieri, poco dopo l’incontro aumma
aumma Napolitano-Confalonieri, non direttamente
dal capo dello Stato, ma da non meglio
precisati “ambienti del Quirinale” che nessuno
ha mai capito in che cosa consistano, a chi rispondano,
che valore abbiano, perché parlino.
Un modo come un altro per dire e non dire,
lanciare il sasso e ritrarre la mano, una via di
mezzo fra ufficialità e ufficiosità (l’ufficialosità)
per poi, a seconda delle convenienze, poter dire
“io l’avevo detto” o “io non l’avevo detto”. Nella
nota ufficialosa, si comunicava che il Presidente
“non sta studiando o meditando il da farsi in
casi di crisi” perché “conserva fiducia nelle ripetute
dichiarazioni dell’on. Berlusconi sul sostegno
al governo”. A parte l’involontaria assonanza
con il “nutro fiducia” di Luigi Facta,
ultimo premier democratico d’Italia prima del
fascismo, nei giorni della marcia su Roma, quelle
parole sanno di presa in giro degli italiani,
visto che la visita di Confalonieri le smentisce
platealmente: il Presidente sta studiando e meditando
eccome, infatti prosegue la trattativa
(ancora!) con gli emissari privati del noto ricattatore
pregiudicato perché tenga in piedi il
governo Letta.

É la trattativa Stato-Mediaset.
Non è la prima volta che Confalonieri scende a
Roma e consulta politici di destra, centro e sinistra:
lo fa ogni qualvolta l’amico Silvio, e dunque
la ditta, è in difficoltà. Lo fece nel 2006
quando tentò di mandare l’amico D’Alema al
Quirinale. Lo rifece nel novembre 2011 quando
le azioni Mediaset precipitavano nel gorgo della
tempesta finanziaria e si trattava di pilotare la
ritirata di B. in cambio del suo salvataggio politico
e aziendale col governo Monti e le mancate
elezioni anticipate. E ora rieccolo — scrive il
Corriere — “parlare di politica con i politici” in un
“giro romano delle sette chiese” e “consultare
amici e avversari, prima e dopo la sua salita al
Colle”, convinto che “è necessario muoversi
senza fare casino”. Per parlare di cosa? Dei nuovi
palinsesti di Canale 5? Delle azioni Mediaset?
Delle polizze Mediolanum? Della campagna acquisti
del Milan?

No, secondo il Corriere ha parlato di “garantire l’agibilità
personale per Berlusconi con un gesto di
clemenza”. Sarà un caso, ma appena il presidente di
Mediaset è sceso dal Colle, i proclami guerreschi del Pdl
si sono interrotti. È l’apoteosi del conflitto d’interessi
che, dopo avere privatizzato governi, parlamenti, codici,
leggi e Costituzione, s’impossessa dell’ultimo arbitro,
cancellandone definitivamente la terzietà e l’imparzialità.
Dopo Confalonieri e Letta, si attende con
ansia il pellegrinaggio al Colle di Doris, Galliani, Marina
e Pier Silvio, Allegri, Balotelli, Kaká e Gabibbo (ma
perché non Dell’Utri?). Poi sul campanile del Quirinale,
al posto del Tricolore, garrirà giuliva la bandiera del
Biscione.

Legalità cazzona

Sottotitolo:  “Gli italiani devono sapere che si mette in carcere un uomo come silvio ‪berlusconi‬”, dice la garnero ex ‪‎santanchè‬.

Prima di tutto non è vero che andrà in prigione, e lo sa pure lei, eppoi qual è il problema? c’è gente che aspetta da vent’anni, ci faremo trovare pronti, stia pure tranquilla.

Quando mussolini mandava i dissidenti “in vacanza al confino” [cit. il noto delinquente], spesso con un biglietto di sola andata forte del fatto che si sarebbero trovati proprio bene in quegli ameni luoghi di soggiorno, gli italiani non lo venivano nemmeno a sapere. 
Nessuno si preoccupava di informarli.
Chissà se la sovversiva eversiva che si dichiara fiera di essere fascista se le ricorda queste cose.

Non si capisce perché si dovrebbe garantire la presenza di un pregiudicato delinquente in parlamento nel paese che non garantisce la presenza nel posto di lavoro, e il lavoro, ai cittadini onesti. 

Chi e cosa dovrebbe garantire un condannato in primo grado per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile e in ultimo e definitivo per frode fiscale. 
Chi e cosa dovrebbe rappresentare uno così e che contributo può dare uno così. 

Fermo restando che un indagato per mafia non dovrebbe avere nemmeno la possibilità di conferire col capo dello stato per chiedergli di fare una cosa che non si può fare. 

Il voto non garantisce immunità né impunità, ho fatto ieri l’esempio di Chirac condannato, e in tutti i paesi dove i politici hanno contenziosi con la legge nessuno pretende l’esenzione dalle colpe e dalle pene.

silvio berlusconi oltre alle varie condanne ha ancora dei procedimenti penali in corso, altri potrebbero veder inclusa la sua persona. 

Quindi non ha proprio i requisiti minimi per poter chiedere provvedimenti caritatevoli.
E per ottenere una grazia bisogna aver scontato almeno una parte della pena. 

Lui, non noi, ecco.

silvio berlusconi non ha fatto nulla di storicamente significativo in questo paese, non è uno statista, non è un politico di livello, non è quell’imprenditore capace che è stato descritto quasi a giustificarne la presenza in politica: come se la gestione di un paese e dello stato fosse in qualche modo paragonabile o associabile a quella di un’azienda.

silvio berlusconi è un bluff e rappresenta solo se stesso, i suoi interessi, la sua volgarità, il suo essere naturalmente predisposto alla delinquenza, al non rispetto di leggi e regole, e solo questo paese poteva offrirgli tante opportunità.

***

Cetto Berlusconi – Andrea Viola, Il Fatto Quotidiano

Vedere tutto questo senza che ci sia una ferma e decisa condanna sia da parte del Partito democratico (che doveva già uscire dal Governo) e soprattutto del Presidente della Repubblica rende la situazione ancora più drammatica.

***

Denunciati gli organizzatori del sit-in con B.

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E così, dopo aver riposizionato in fretta, furia e in modo irregolare – ché si sa, la gatta frettolosa partorisce i figli ciechi – i pali divelti per far spazio all’oscena manifestazione pro delinquente è partita una denuncia regolare del comune di Roma nei confronti degli organizzatori dell’abuso su Roma di domenica scorsa.

Complimenti per il tempismo.

Peccato però che tutti, anche ai piani alti delle istituzioni sapessero con un certo e largo anticipo dell'”evento”, quindi ci sarebbe stato tutto il tempo per impedirlo, per impedirne la realizzazione, per vietare che un manipolo di svergognati residenti di questo paese mettesse in scena, previo pagamento, l’orrido teatrino indegno perfino del peggior avanspettacolo, quando gli spettatori per dimostrare il loro sgradimento tiravano frutta marcia e gatti morti sul palco dove si esibivano gli attori.

La manifestazione di domenica ci racconta ma soprattutto conferma la teoria del “forti coi deboli [e viceversa]” perché mentre a Roma si commettevano reati a ripetizione per accontentare il satrapo tecnicamente e praticamente delinquente, la versione al maschile di Gloria Swanson sul viale del tramonto politico, le forze dell’ordine erano impegnate a controllare pericolosi criminali sparsi nelle località vacanziere di questa torrida estate.

Mentre in una via centralissima di Roma, a duecento metri da quel Campidoglio che deve vigilare su Roma si sfasciava il manto stradale, si dava ospitalità ad una manifestazione abusiva a favore di un abusivo, del pregiudicato più amato degli ultimi diciotto anni, poliziotti, carabinieri e finanzieri stavano terrorizzando il titolare del bar, del ristorante, del locale notturno in quel di Portofino e Porto Cervo, il che intendiamoci, in presenza di irregolarità da sanare andrebbe benissimo se poi con la stessa solerzia qualcuno avesse fatto lo stesso nei riguardi di quello che stava per succedere ed è successo a Roma.

***

Il marcio su Roma
Marco Travaglio, 6 agosto

Si racconta che il leader della sinistra storica Agostino Depretis, inventore del trasformismo, noto per la diabolica arte del rimpasto, del galleggiamento e dell’equilibrismo, quando tirava aria di crisi di governo si presentasse in Parlamento pallido ed emaciato, intabarrato in abiti trasandati e lisi, la barba lunga e bianca, l’andatura claudicante per l’eterna gotta, quasi avesse un piede nella fossa. Si rivolgeva all’assemblea con voce malferma e tossicchiante, con intercalari del tipo: “Sono mezzo malato, e pure di malumore, abbiate un po’ di pazienza”. Dinanzi a quel cadavere ambulante, anche i più strenui oppositori si muovevano a compassione e lasciavano passare la fiducia. 

Tanto, pensavano tra sé e sé, dura poco. E invece durò parecchio, fino alla morte vera. La tecnica del “chiagni e fotti” fu poi perfezionata e sublimata dal cavalier Banana, che da vent’anni alterna ostentazioni di virilismo e giovanilismo a sceneggiate che lasciano presagire l’imminente dipartita, perlomeno politica. Alla prima difficoltà, accenna al “passo indietro” a favore di qualcun altro, poi regolarmente eliminato a maggior gloria di Lui. 

Nel ’96 Gad Lerner chiese per lui la grazia in cambio del ritiro a vita privata (i successori designati allora erano Antonio Fazio e Monti). 

E un anno fa annunciò ufficialmente che passava la mano ad Alfano o al vincitore delle mitiche primarie Pdl, salvo poi rimangiarsi tutto e ricicciare più ribaldo che pria. Ora ci risiamo, con un’aggiunta. Se prima il “chiagni e fotti” si manifestava simbolicamente col vittimismo delle parole, ora è validato da lacrime vere sul volto imbalsamato dal fard marron a presa rapida resistente alla canicola (ma non sarà un tatuaggio?). Vere, poi, si fa per dire. Il 30 marzo ’97 – governo Prodi – B. lacrimò al porto di Brindisi dove la Marina Militare italiana aveva speronato una nave di profughi albanesi provocando decine di vittime, e promise ai superstiti di alloggiarli nella villa di Arcore. “Anche quando finge una commozione che non sente — scrisse Indro Montanelli – quella commozione a un certo punto diventa vera perché finisce per commuoversi di sé stessa. Le lacrime di Berlusconi possono essere un inganno per chiunque, meno che per Berlusconi. A quello che dice e fa, anche se lo dice e lo fa per calcolo, Berlusconi ci crede.

La scena sa tenerla da grande attore: se gli dessero da recitare l’Otello, sarebbe capace, per dare più verisimiglianza al cruento finale, di sbudellarsi veramente, e non per finta, sul corpo esanime di Desdemona… Nella parte della vittima, quella che i napoletani chiamano del ‘chiagne e fotte’, è imbattibile. Forse qualcuno capace di ‘fottere’ come lui ci sarà. Ma nel ‘chiagnere’ non c’è chi lo valga”. Dunque domenica il frodatore pregiudicato ha pianto: per la condanna dell’Innocente, che poi sarebbe Lui.

E la sceneggiata ha funzionato un’altra volta. 

Quella lacrima sul fard è bastata a far dimenticare l’ennesimo attacco eversivo ai magistrati (hanno “vinto un concorso”, mentre a suo avviso dovevano perderlo), sferrato dal palco abusivo dietro cui campeggiava la scritta simbolica “Via del Plebiscito” e sotto cui una piccola folla di comparse a pagamento, perlopiù sue coetanee, scandivano “duce duce”. 

Intanto l’Agenzia delle Entrate, alle dipendenze del governo da lui sostenuto, perlustrava le località balneari a caccia di evasori suoi discepoli, per quanto dilettanti (roba di scontrini non battuti, non certo di 64 società offshore e fondi neri per decine di milioni). 

Seguiva il vivo compiacimento del premier Nipote per il discorso moderato e soprattutto perché il delinquente resta al governo. E il premio speciale del Quirinale, ormai ridotto a ufficio reclami per Vip imputati o condannati (da Mancino a B.), con l’udienza pellegrinaggio del duo Schifani-Brunetta (il primo indagato per mafia) per impetrare la Grazia Regia. Denominata pudicamente “agibilità di B.”. Manco fosse un fabbricato.

Abusivo, ci mancherebbe.

***

Sopra e sotto quel balcone la corte che non vuole crepare
Alessandro Robecchi – Il Fatto Quotidiano, 6 agosto

Il balcone ha il suo fascino, si sa. E di norma, visto che abitiamo qui, dove certe cose sono già successe, se uno sta sul balcone e la folla sta sotto a dire evviva, ecco, ci sarebbe da preoccuparsi. E invece stavolta tutto è ribaltato, le gerarchie sono state infilate in un frullatore, e beato chi ci capisce. Riassumiamo: sul balcone e sotto il balcone. Sopra la panca e sotto la panca. Sopra, in questa foto della manifestazione dell’altroieri, ideologi e organizzatori, categoria “falchi”.

Sotto, il capo in persona, più ceronato che mai, con l’optional delle lacrime, la fidanzata in gramaglie, le seconde file di quelli che non sono riusciti a salire sul balcone, e la folla immensa dei cinquecento pullman annunciati, che a far bene i conti significa tre o quattro passeggeri per torpedone, più l’autista . Viaggiare larghi, insomma.

Sul balcone, con rispetto parlando, ognuno si fa un po’ i cazzi suoi. Cicchitto telefona. La Santanché telefona, ma alla moda dei calciatori quando si dicono la tattica in campo, con la mano davanti perché nessuno le legga il labiale e si accorga, nel caso, che sta parlando con l’estetista. Altra categoria: Capezzone e Brunetta, che salutano la folla come se le star della festa fossero loro, e Denis Verdini che indica lontano, all’angolo della via. Chissà, forse fa il palo e avvisa che arriva qualcuno. Nitto Palma si fuma una sigaretta in santa pace, proprio come fareste voi se foste un presidente della Commissione Giustizia alla celebrazione di un delinquente. Poi c’è uno mai visto, che non è della serie A1, un tale che batte le mani, che si chiama Ignazio Abrignani, è, o è stato, uno scajoliano (tu guarda che parole mi tocca scrivere), e forse applaude perché si è imbucato con successo.

Sotto il balcone, dicono sempre le cronache (cronache comuniste!), Mara Carfagna gira intorno senza accalcarsi, e la povera Ravetto è respinta dai buttafuori di Palazzo Grazioli, tipo discoteca, dove al privé non entri manco se ti spari. Giù, mischiati al lumpenproletariat della libertà cammellato in pullman con l’acqua minerale, i panini e la bandiera nuova di pacca, c’è Minzolini, ovvio, ma anche Giggino a’ Purpetta. I ministri sono a casa con la giustificazione scritta che si spiega così: i principali esponenti del partito sostengono il condannato, ma il governo ci serve vivo, e quindi loro sono esentati.

Ma il fatto è che anche fare il pretoriano è un lavoro duro, senza orari, sai quando l’imperatore ti convoca e non sai quando puoi andare a casa. Così, nei ritagli di tempo, o nelle pause dello spettacolo, i pretoriani si godono il tempo libero, chiamano la fidanzata , salutano gli amici. O curano le pubbliche relazioni, come la stilista Alessandra Mussolini che ormai ha capito: la fotografano solo se esibisce una maglietta spiritosa, meglio se volgarotta nello stile degli arditi del nonno.

Qualcuno suggerisce di leggere attraverso la dinamica “sul balcone/sotto il balcone” le nuove gerarchie della Silvio Jugeland, ma chissà se è possibile. Perché qui è anche questione di ingegneria genetica, e nessuno sa spiegarci come fa una colomba a diventare falco, e poi a tornare colomba, e poi falco, a seconda degli ordini del capo. O magari è tutto più semplice di come la stiamo facendo, e tutti quanti, sul balcone e sotto il balcone, stanno solo cercando una posizione sicura per quando crollerà la statua del capo supremo. Che non gli finisca in testa, cerone, lacrime e tutto. Ecco, forse gli basta questo.

I saggi e i riformatori

Si attende la sentenza per Stefano Cucchi

Un’altra giornata di attesa.
E un altro test per rendersi conto di quanto è civile questo paese.
Stefano non è morto di fame per caso e di botte per sbaglio.

Stefano Cucchi è morto mentre era sotto la tutela dello stato.

Sottotitolo: 35 saggi  “bipartisan” nominati da Letta per sabotare la Costituzione: fra i presenti Violante a Frattini.

E già il discorso si potrebbe chiudere qui.
Per decenza, mica per altro.
Avevamo tutti ‘sti saggi chiusi da qualche parte e non ce ne siamo mai accorti, nessuno prima di Napolitano e Letta uniti come un sol uomo aveva mai pensato di sfruttare questo enorme patrimonio.

 

Fra i 35 “big” scelti da Letta per conto terzi e forse anche quarti c’è anche Panebianco, l’eccellente politologo del Corriere della sera.
Se si lavora per un giornale prestigioso è tutta un’altra cosa, mica hanno chiamato i politologi del Manifesto o del Fatto Quotidiano, per dire.

E c’è anche il costituzionalista Onida che ha fatto parte anche dell’altra commissione, quella dei dieci senza una donna voluta da Napolitano per arrivare al coronamento di questo magnifico governo delle larghe intese.

Onida, lo stesso che disse che il conflitto di attribuzioni aperto da Napolitano contro la procura di Palermo era giusto.
Zagrebelsky non c’è, forse perché diceva il contrario.
Violante, anche lui inserito in entrambe come Onida poi deve essere proprio saggio saggio. Chissà perché nessuno ci aveva mai fatto caso prima.

Adesso per i colpi di stato non servono più i manganelli e nemmeno i carri armati, basta farli passare per azioni necessarie, legittimate non dal popolo ma da un parlamento di NON ELETTI dal popolo. 

Il popolo, sovrano per Costituzione, non ha chiesto a questi signori di fare nessuna riforma, oltre a quella, urgentissima, sulla legge elettorale.

Riuscire a fare questa sarebbe già molto, anzi tutto.

Se dovessi applicare i vostri criteri, quelli che avete applicato voi nella scorsa legislatura contro di noi, che non avevamo fatto una legge sul conflitto di interessi, non avevamo tolto le televisioni all’onorevole Berlusconi, onorevole Anedda, la invito a consultare l’onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli è stata data la garanzia piena, non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di Governo, che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta [lo zio del nipote, nota di R_L]. A parte questo, la questione è un’altra. Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni… durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte.

[Luciano Violante: intervento nella seduta n. 106 della XIV legislatura del 28 febbraio 2002 alla Camera dei Deputati]

Sbirulino e Paperoga costituenti, il capolavoro delle larghe intese

Una convenzione di 40 membri. Più una commissione di 35, tra cui qualcuno dei 10 saggi che Napolitano nominò per allungare il brodo in attesa delle larghe intese. Più un partito che aspetta una sentenza della Cassazione per sapere se il suo leader potrà mai rientrare in un ufficio pubblico, se non come cliente alle Poste. Più un partito diviso su tutto che si accapiglia tra presidenzialisti, semipresidenzialisti, favorevoli, contrari e dubbiosi. Più un governo che sta in piedi per miracolo in attesa di un qualche scossone. Più una legge elettorale che fa schifo e compassione, che tutti, a parole, vogliono cambiare ma molti, a fatti, no. Anzi. C’è chi dice che bastano lievi modifiche, chi che bisogna tornare a quella di prima, chi che se non si sistema la Costituzione è inutile toccare il Porcellum, e chi teorizza un “Porcellinum” (giuro!).

La questione dell’olio di ricino, fonte e commento

Così ognuno può trarre la conclusione che vuole. La mia è che – primo – i leghisti usano un linguaggio fascista che non bisognerebbe mai lasciargli passare: e chissà se in assenza della replica di Castelli qualcuno ne avrebbe parlato; secondo, che Castelli avrebbe fatto molto meglio a denunciare le parole da manganellatore di Allasia anziché farle proprie con altri obiettivi, dato che in un Paese civile l’olio di ricino non bisogna darlo a nessuno – a parte le signore che desiderano capelli più luminosi, naturalmente: ma in questo caso si tratta di uso esterno, ecco.

Premesso che il “tiro a Grillo” [cit. Marco Travaglio] è un’evidenza di cui se ne sono accorti anche quelli che lo praticano, penso che ci siano termini che in un parlamento, alla camera e al senato non si dovrebbero proprio pronunciare.

Tutto quello che non si deve fare quando si sta nell’occhio del ciclone è dare altre possibilità, quelle che poi fanno dire ai tiratori scelti “visto? abbiamo ragione noi”.

Nota a margine: 35 persone stanno per mettere le mani sulla Costituzione in nome e per conto di un governo non scelto ma imposto. Un governo palesemente in ostaggio di un malfattore. Tutta gente nemmeno lontanamente paragonabile al valore che avevano le persone che l’hanno ideata e scritta; per questo penso che bisognerebbe cercare di alzare un po’ il livello del dibattito.

Se la priorità del governo di necessità è il paese con tutte le sue emergenze che c’entrano adesso le riforme costituzionali?
Qualcuno ha chiesto a questi “signori” di farlo?
Qualcuno ha detto che la Costituzione così com’è non va più bene?
Chi ha chiesto al Re Magnanimo di formare una commissione per rivedere le norme costituzionali: il popolo?
Siccome la risposta è no, ci vorrebbe qualche giornalista bravo che glielo chiedesse, che se lo facesse spiegare e anche molto bene.
In un paese normale anche il capo dello stato risponde all’opinione pubblica.

È ufficiale: Grillo ruba
Marco Travaglio, 5 giugno

Ora basta. Non se ne può più di questi attacchi di Grillo ai giornalisti che raccontano balle. Se però i giornalisti la piantassero di raccontare balle, farebbero cosa gradita, oltre a riscoprire il loro mestiere. Prendiamo il programma forse più pluralista della Rai: Linea notte su Rai3. È diretto da Bianca Berlinguer e condotto da Maurizio Mannoni: due persone serie, due ottimi professionisti. Eppure lunedì han dato vita a una puntata a dir poco imbarazzante, che la dice lunga sul sistema dell’informazione da quando, sulla scena, s’è affacciato il terzo incomodo: M5S. L’equilibrio in studio era la perfetta sintesi di un mondo che non c’è più: quello della cosiddetta destra e della cosiddetta sinistra.
Da una parte il giornalista del Foglio Antonio Amorosi. Dall’altra, per il Pd che è sempre spaccato in mille fazioni, erano in due: il direttore dell’Unità Claudio Sardo e Arturo Parisi. Liquidati l’Eternit, la Turchia e il presidenzialismo, si passa allo sport preferito da politici e giornalisti al seguito, che mette tutti d’accordo: il tiro al Grillo. Amorosi spiega, con l’aria di chi la sa lunga, che Grillo e Casaleggio “mandano nella stanza dei bottoni dei signori nessuno incompetenti”, ben diversi dai competentissimi politici che han così ben governato in questi anni. Parte il sondaggio: il M5S perde, il Pd arretra, il Pdl avanza, ma il dibattito che segue riguarda solo il M5S che perde. Non sia mai che si metta in dubbio l’inciucio. L’Amorosi piazza il colpaccio: “Impazza sul web un’altra inchiesta di un’associazione genovese che si batte per la trasparenza nella politica”. Cosa ha scoperto quest'”altra inchiesta” (altra rispetto a quali altre, non è dato sapere)? Roba grossa: “I 5 Stelle hanno un solo tesoriere, Grillo, e incassano importi ingenti senza dichiararli, al di fuori di qualsiasi legalità”. Cioè prendono tangenti. La prova?
A Savona avrebbero incassato ben “10 mila euro” e “moltiplicando la cifra per tutte le grandi città si arriva a somme molto ingenti”. Tutto in nero. Il che, chiosa il “collega” del Foglio , non è mica bello per “un movimento cresciuto dando lezioni di trasparenza agli avversari e ai giornalisti che dicono la verità sul Movimento”. Qualcuno chiede di quale “inchiesta” si tratta? Dove sono le carte? Se ne sta occupando qualche Procura, visto che sarebbe un reato? Qualcuno, puta caso, ricorda che i 5Stelle sono l’unico gruppo parlamentare ad aver rinunciato ai rimborsi elettorali per la bellezza di 42 milioni di euro? O rammenta che l’altro giorno, sul blog di Grillo, è stata pubblicata la lista delle donazioni ricevute per finanziare la campagna elettorale? No, anzi: Sardo fa notare che “Grillo ha sempre giocato per Berlusconi” (infatti è all’opposizione, mentre il Pd governa col Pdl). Ma soprattutto “Berlusconi ha portato la sua ricchezza in politica” (poveretto: sono vent’anni che ci rimette un sacco di soldi), mentre “Grillo è il primo politico che guadagna soldi con la politica tramite il suo blog”. “Bravo!”, lo applaude Amorosi. Forse Sardo parla della pubblicità sul blog di Grillo, i cui importi saranno noti fra due settimane quando l’assemblea soci della Casaleggio & Associati approverà il bilancio 2012 (quello del 2011 si chiuse in perdita per 57.800 euro su un fatturato di 1,4 milioni). Ma non lo spiega, come non spiega cosa c’è di male nell’avere un blog e nel finanziarlo con pubblicità, e che c’entri tutto ciò col “guadagnare con la politica”. Nessuno naturalmente domanda a Sardo quanti soldi incassino l’Unità e il suo sito dalla pubblicità e dallo Stato (che ne garantirà i debiti), e quanti milioni (45) sta per incamerare il Pd per “rimborsare” spese elettorali in parte mai sostenute, e se ciò per caso significhi che il Pd e i suoi portaborse “guadagnano con la politica”. Ora Grillo ha tre alternative: querelare e attendere dieci anni per la sentenza; insultare; rispondere nel merito. La prima è inutile, la seconda è indecente, la terza sarebbe l’ideale se i giornalisti facessero i giornalisti. Invece pare già di sentirli: “Ma basta, questi grillini parlano sempre di soldi e scontrini, e che palle!”.

“Avete salvato le banche e non gli ospedali” [M.Crozza]

Sottotitolo: allenatevi a operarvi da soli con l’allegro chirurgo. Il governo che “ha salvato l’Italia” non garantisce la sanità. #pezzidimerdatecnici
[Alessandro Robecchi da twitter]

Monti dichiara che è a rischio il Servizio Sanitario Nazionale. 

Il governo, questo, su commissione di altri che hanno preso l’impegno negli anni scorsi compra 90 F35, brucia, dilapida 23 miliardi di soldi PUBBLICI in spese militari, quest’anno il 5%  in più nonostante la crisi, ché giocare al risiko ha un costo [700 milioni l’anno solo per l’Afghanistan], in un paese che ripudia la guerra per Costituzione, taglia la spesa per l’istruzione pubblica per dare agli istituti privati, elargisce somme ingenti alla sanità privata, gonfia le tasche già piene di politici e banchieri, e poi? è di nuovo il momento di portare i libri in mansarda, in questo paese?

Preambolo:

[TENDENZA GROUCHO]. BOMBE DEFICIENTI

In Siria, ogni giorno, un bambino viene ucciso dalle armi del regime. Gli ultimi dieci sono stati colpiti dalle bombe mentre giocavano a calcio. Altri ne muoiono in Palestina, Afghanistan, nelle guerre in corso in 35 paesi.
E noi italiani che non possiamo più permetterci il Sistema Sanitario Nazionale, abbiamo appena acquistato tre cacciabombardieri, per 100 milioni di euro l’uno. Il Governo dice che ce ne servono altri 77. Dai, deve esserci un modo più intelligente per combattere l’invecchiamento della popolazione.

Chissà che “nuovi modelli” ha in mente il professore…  proviamo ad immaginarlo, a fare qualche previsione, visto che si continua a dire: “l’Italia non è la Grecia” [all’ospedale principale di Atene né colazione né pranzo, né cena per i ricoverati].

Quelli che dicono “per anni avete vissuto sopra le vostre possibilità” li strozzerei volentieri. 
Con queste mani; poi mi andrei a costituire, perché sono una persona perbene.
Perché mentono, offendono la dignità di tanta gente.

E trovo alquanto scorretto il pensiero di chi dice che non si sa dove prendere soldi, prima di tagliare sui diritti.

Perché non è vero.

Viviamo da anni nella precarietà, soffocati da manovre, finanziarie, tutte necessarie, soprattutto a mantenere il tenore di vita dei nostri rappresentanti in parlamento: il cosiddetto status quo, oppressi da miriadi di tasse, le più alte d’Europa che non tornano mai sottoforma di niente.
Basta guardare le scuole dei nostri figli per rendersene conto, e – appunto – gli ospedali.
E ancora non è la Grecia, ci dicono. Che culo, dico io.
Viviamo con e nel sacrificio. 
Tutta questa ricchezza di cui si è vaneggiato nel tentativo di giustificare la crisi io non ce l’ho mai avuta intorno, non l’ho vista né vissuta. 
Ho sempre visto gente, persone, me e la mia famiglia comprese, tirare il fiato augurandosi che fra uno stipendio e l’altro non si rompesse una caldaia, un paio di occhiali da vista dei figli, che non succedesse una qualsiasi cosa che non avrebbe permesso di far quadrare quei conti che già non sarebbero tornati anche senza l’extra. Allo stato non glieli faccio spendere i 1850 euro l’anno che mi toccherebbero in quanto contribuente, cittadina che paga le tasse e avrei  quindi il diritto di chiedere allo stato di non mettermi in condizione di dover scegliere il privato perché col pubblico si fa in tempo a morire prima di poter accedere ad una vista, una TAC, una mammografia. Dal medico di base ci vado tre volte l’anno a farmi fare qualche ricetta. E le visite, il dentista e le medicine me li pago coi miei soldi visto che le medicine il servizio nazionale non me le dá e dai medici vado poco, solo quando serve con una certa urgenza che lo stato non prevede. C’é gente invece che pur avendo un reddito piú alto, alto, approfitta di tutto e c’ha pure le esenzioni. Cominciamo a far pagare chi puó pagare.
A controllare chi ha diritto alle esenzioni e chi ne puó fare a meno senza soffrire. Alla solidarietà sociale non possiamo pensarci noi, i soldi per curare gli indigenti che non possono li devono andare a prendere dove ce ne sono troppi, non dove si fa già fatica a mettere insieme il pranzo e la cena, nella stessa giornata.
E bisogna smetterla di dire che non si sa dove prendere i soldi a fronte di spese che questo paese non si può permettere più.  Stiamo comprando 16 miliardi di aerei da guerra che non funzionano neanche tanto bene, pare, la cosiddetta missione di pace in Afghanistan ci costa più di 700 milioni di euro l’anno, e sono dieci anni che il nostro esercito è impegnato a fare la guerra,  altro che la pace. Tutto questo  mentre ci dicono che non ci sono più  i soldi per curarci? Mentre l’America di Obama esce da quel sistema orribile secondo il quale si cura solo chi ha i soldi qualcuno pensa di poter fare la stessa cosa qui?
Quello che si può dire, invece, che si deve dire, è che questo paese non poteva permettersi mafie, cricche, sperperi, privilegi, uno stato criminale all’interno, ma non nascosto, di quello cosiddetto legale più un altro da mantenere come fossimo noi il suo comodato d’uso e non il contrario.
Questo sì, l’ho visto e lo continuo a vedere.
Una lunga agonia – Rita Pani

Potremmo non riuscire più a garantirlo se non si trovano nuove forme di finanziamento” (Monti a proposito del servizio sanitario) e si levano gli scudi.

Proprio come se ora fosse garantito. E noi sappiamo che non lo è , diversamente i malati di SLA, per esempio, non avrebbero dovuto recarsi a Roma per minacciare il suicidio. È falsamente garantito persino l’accesso al servizio sanitario, dal momento che le liste d’attesa per gli esami diagnostici sono lunghe anche più di sei mesi. Al cittadino semplice non è garantito di salvarsi la vita, di guarire da una malattia, gratis et amore Dei. Già oggi per avere certezza di sapere di che morte si deve morire, il cittadino deve pagare o avere un gran culo, come ho avuto io quando casualmente mi imbattei nella mamma di una cara amica, che di professione fa la ginecologa. Se non fosse stato per il caso fortuito, oggi, chissà dove sarebbero le mie ossa.

 

Ma una frase come quella resta comunque una bella occasione, per incazzarsi ancora, per avere ancora qualcosa per cui mobilitarsi, per scrivere, discutere e soprattutto schierarsi dalla parte giusta, quella che poi ci fa stare bene.

 

Siamo il popolo che sopravvive nonostante i diritti negati, che quando può sfugge ai doveri. Un popolo che si accontenta, che sogna e che spera. Potrei lasciarmi andare in un bell’esercizio letterario, e portare ad esempio fatti e accadimenti, ma non mi va più. Il senato rimanda indietro oggi la delega fiscale, le province resteranno, i tagli ai costi della politica non si faranno, il privilegio di pochi non sarà abolito, e allora? Non mi accoderò a nessun lamento perché uscire da questa situazione, è assai più semplice di ciò che sembra, nonostante il trattato di Lisbona, nonostante la minaccia di presidiare l’Ilva con l’esercito, nonostante lo spauracchio della polizia europea, con mandato di uccidere. Si potrebbe uscirne.

 

Prima di tutto togliamo i soldi dalle banche – fossero anche gli ultimi 4 euro lasciati sul conto per la vergogna. Gli operai occupino le fabbriche e impediscano le produzioni. Si blocchi la circolazione delle merci. Chiudano le scuole materne, le scuole elementari e le medie. Si lascino a casa le colf. Non si facciano acquisti natalizi. Si lascino le merci deperibili a marcire sui banchi. Ci si limiti all’acquisto dei beni di prima necessità. Non si riempiano i serbatoi delle auto. Si faccia mancare la circolazione del danaro.

 

Difficile da fare, eh? Sì lo immagino. Come poter sopravvivere senza consumare? Poi proprio ora che arriva Natale. Lo so, sarebbe dura doversi recare a supportare gli operai nelle fabbriche, alimentare col nostro poco gli extracomunitari che sfruttiamo, senza farli lavorare davvero. Camminare a piedi poi sarebbe una tragedia. Non poter cedere alla tentazione di levarci uno sfizio, insopportabile.

 

Mettere il ginocchio il paese, sarebbe l’unico modo per far comprendere che noi siamo di più; levare l’ossigeno al potere potrebbe essere l’unico modo per tornare a respirare. Oh sì, c’è pure il rischio di morire, perché dopo il trattato di Lisbona questo potrebbe essere legale, ma tanto ci stanno già uccidendo. Siamo un popolo in agonia.

 

Tutti per uno

Sottotitolo: uno schifo simile era difficile anche immaginarlo. Massì, depenalizziamo i reati SOLO per i politici, SOLO per i giornalisti, SOLO per i magistrati, SOLO per i notai, SOLO per gli avvocati, SOLO per i consiglieri regionali, SOLO per i sindaci, SOLO per i vip, SOLO per berlusconi, SOLO per sallusti.
Poi qualcuno magari ci racconterà ancora la favoletta che le caste non esistono: sono SOLO un’illusione della mente.

Giornalisti, politici e sindacalisti. Intervengono tutti sulla sentenza definitiva con cui la Cassazione ha condannato per diffamazione il direttore de Il Giornale. Berlusconi: “Depenalizzare il reato”. Maroni: “Resistere, resistere, resistere”, Santanchè: “Il Paese fa schifo, gli italiani scendano in piazza”. Dal Quirinale: “Esamineremo sentenza”.

Sallusti, Cassazione conferma condanna
Ma la procura di Milano: “Pena sospesa”

Il direttore dovrebbe scontare 14 mesi. I giudici: “Non è reato di opinione ma pubblicazione 
consapevole di notizie palesemente false”. Bruti Liberati: “Manca recidiva, detenzione sospesa” 
Da Ezio Mauro a Enrico Mentana, rivolta contro la sentenza. Severino: “Norma va cambiata”

 

Due giorni fa mi sono associata all’appello di Travaglio per “salvare il soldato sallusti” perché sono ancora convinta che in una democrazia civile, compiuta, evoluta e moderna un giornalista non deve rischiare la galera: esistono forme alternative di punizione che  possono essere sostituite a quella che dovrebbe essere solo l’extrema ratio. Privare qualcuno della libertà è un fatto serio che va riservato a cose ancora più serie.

E comunque sallusti in galera NON ci sarebbe mai andato, nemmeno se non si fosse mobilitato a suo favore un esercito di salvatori con in testa, che lo dico a fare, il presidente Napolitano che ultimamente sembra aver preso molto  a cuore i casi personali di cittadini che non dovrebbero essere al di sopra di nessun altro, una volta è l’ex ministro bugiardo, un’altra un diffamatore per mestiere e insomma, il presidente da quando non ha niente da firmare ha molto tempo a disposizione, evidentemente. Proprio  mentre sto scrivendo questo post e mentre in molti discutiamo se sia giusto o meno che sallusti vada in galera, sebbene virtualmente,  apprendiamo dalla viva voce di feltri [altro pezzo da novanta in fatto di calunnie e diffamazioni]  dalla terza  camera del parlamento cioè porta a porta, che il Dreyfus in questione altri non è che l’ex giornalista ed ex un po’ di tutto Farina [l’agente Betulla], radiato dall’ordine dei giornalisti. Tutto normale, tutto lecito. Oltre il diritto alla diffamazione il diritto a fottersene delle regole in generale.

E il bello è che la galera per la diffamazione l’ha votata la casa della libertà [vigilata].  Quelli che invocano la galera per chi pubblica le intercettazioni.

berlusconi, il più interessato di tutti ad eliminare tutto quel che costituisce un reato pensa che debba essere depenalizzata anche la diffamazione, che non è un omicidio né una rapina a mano armata o uno stupro ma è comunque un atto di estrema gravità.  Specialmente se la diffamazione viene veicolata attraverso i mezzi di comunicazione.

Diffamare qualcuno significa raccontare menzogne, screditare, significa rovinare la vita a qualcuno, in molti casi ha significato la fine di una vita: tanta gente dopo essere stata diffamata si è suicidata perché non ce l’ha fatta a reggere il peso di una vergogna e di un’ingiustizia subita. La diffamazione non è un’opinione, un’idea, un punto di vista seppur becero, quando la diffamazione si fa per mezzo di media e giornali significa diffondere falsità sul conto di qualcuno: è un atto spregevole, miserabile.

E la misura di quanto sia grave la diffamazione per la quale è stato condannato il direttore di quel fogliaccio nel quale la diffamazione e le calunnie non sono una rara eccezione ma proprio il leit motiv la spiega benissimo Alessandro Robecchi, giornalista del Manifesto, in questo articolo: Due o tre cosucce sul caso del martire Sallusti. E perché non è il caso di piangere.

E allora mi chiedo se i noi, gl’invisibili, quelli a cui si può togliere tutto e perfino – oltre a molti altri  –  il diritto  di pensare e credere (ancora) soprattutto, di vivere in un paese dove la legge sia davvero uguale per tutti avremmo in situazioni analoghe le stesse attenzioni riservate a sallusti, se le istituzioni alte,  tutto l’arco costituzionale, quasi tutto il giornalismo unito e compatto come un sol uomo,  si preoccuperebbero di difenderci, di intervenire e di interferire.
Mi chiedo se Napolitano troverebbe il tempo per spendere una buona parola per tutti i bisognosi, per tutti gli accusati DAVVERO ingiustamente.
Per tutti quelli che la galera vale con effetto retroattivo come per i devastatori di Genova.

Perché mai e dico mai a nessuno è venuto in mente di aprire un dibattito così ampio  su casi e fatti che riguardano gente meno famosa, per niente famosa e per motivi assai meno gravi di un augurio di essere impiccati sulla pubblica piazza.

Non una parola per chi  di carcere e in carcere ci muore magari  per tre grammi di fumo.
E se a un ministro venisse in mente di cambiare una legge per uno qualsiasi di quegl’invisibili.

E chi adesso, come il presidente della federazione nazionale della stampa Franco Siddi  “si sente come sallusti” non è solidale, è complice.

In the name of God, go!

“In the name of God, go!”.
In nome di Dio, andatevene!
Così il 20 aprile del 1653 Oliver Cromwell, l’uomo che aveva imposto con la forza il regicidio di Carlo I pochi anni prima, nel discorso con cui sciolse il Parlamento.
Ed è questa la citazione che il Financial Times ha scelto per invitare Berlusconi a dimettersi per salvare l’Italia dalla crisi. “Non vi rimane nessuna virtù. – disse Cromwell – Non avete più senso etico del mio cavallo: l’oro è il vostro signore. Chi di voi non ha barattato la vostra coscienza in cambio di qualche tangente?
Siete diventati intollerabilmente odiosi davanti agli occhi di tutta la nazione. Dunque per l’amor di Dio, andatevene!”.

Le dimissioni? solo pettegolezzi. I parlamentari che abbandonano? traditori (che, secondo storace andrebbero fucilati alla schiena). Se però quei parlamentari si chiamano ad esempio scilipoti e si fanno comprare un tanto al chilo come i quarti di bue allora li chiamano responsabili, gente che fa scelte libere e consapevoli per il bene dell’Italia. Napolitano chiede la coesione. E con chi si dovrebbe attuare questa coesione, questo accordo, questo armistizio? 

Presidente Napolitano: ma lei non vede quello che vediamo noi?

Le ultime ore di Palazzo Grazioli

 

Ieri, nel corso di una frettolosa cerimonia, al cospetto degli ultimi fedelissimi rimasti nel bunker di palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi, ha sposato Eva Braun. Poi si è di nuovo piegato sulle carte, valutando la situazione, constatando lo sfarinamento delle sue divisioni, il tradimento di molti ufficiali e la capitolazione di alcuni avamposti considerati strategici per la difesa del quartier generale. Ha ordinato di promuovere e decorare gli ultimi gerarchi fedeli, ha mandato due panettoni e un orologio del Milan ad Alfano e Verdini e firmato i moduli per la fucilazione di una ventina di colonnelli  infedeli, che si sono consegnati al nemico. Chi si aggira per Berlino in queste ore disperate può osservare della situazione in tutta la sua gravità, anche se in un comunicato del governo si legge che “i ristoranti sono pieni”.  Intanto,  affluiscono al comando alleato decine di messaggi tutti da interpretare. “Berlusconi? Mai conosciuto”, ha scritto Valter Lavitola dal suo rifugio segreto. Gli ha fatto eco una nota del ministro Rotondi: “Berlusconi? Questo nome l’ho già sentito… gioca nel Napoli?…”. La notizia che il corpo motorizzato dei Responsabili, recentemente creato per rafforzare l’artiglieria, ha defezionato nottetempo fuggendo a piedi verso il Gruppo Misto, ha gettato nello sconforto il Führer, che ha subito convocato una riunione d’emergenza con i più stretti collaboratori. Gelmini e La Russa non si sono presentati perché erano dal dentista a farsi innestare una capsula di cianuro in un molare. Solo la lettura della Sallusti Zeitung ha un poco rincuorato gli animi nel bunker. Il titolo a tutta pagina diceva: “Abbiamo l’arma segreta, presto conquisteremo il mondo”, ma è stato un sollievo di breve durata, perché è subito giunta la notizia della cattura di Renato Brunetta, scovato dagli alleati sotto il tendone del circo Medrano, dove tentava di passare inosservato. A tarda sera, il comando alleato ha intercettato una lettera di Ghedini diretta a Norimberga e composta da una semplice telegrafica domanda: “Quando scatta la prescrizione?”.

6 novembre 2011

http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201111/voi-siete-qui-le-ultime-ore-di-palazzo-grazioli/