Leopolda: il nulla elevato a “convenscion”

matteo-renzi-festa-unità1       Preambolo:  Renzi, nell’interminabile monologo in chiusura della Leopolda ha detto, in riferimento al signore che si è suicidato perché aveva perso tutti i risparmi grazie al suo decreto salvabanche, che  “personalmente gli fa schifo chi strumentalizza i morti”.
In questa foto alle spalle di Renzi che ha fatto da scenografia al suo intervento durante l’ultima festa dell’Unità campeggia la foto di Aylan, il bambino siriano morto sulla costa turca che ha fatto il giro del mondo.
Renzi l’ha voluta alla sua festa dell’Unità, scegliendo di mostrare la foto del bambino vivo anziché morto come lo abbiamo visto dappertutto, probabilmente per non farsi troppo schifo di persona personalmente. 

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Tre giorni di rottura di coglioni diffusa per cielo terra e mare per dire che “loro” sono l’ammmòre e chi non è con loro è odio e disfattismo.

Cambiano le facce ma gli slogan no, difficile vedere la differenza fra la‪ #‎Leopolda6‬, un congresso di forza Italia e una riunione di scientology.
Matte’, cala che vendi. Forse.

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Quando berlusconi promulgò l’editto di Sofia per cacciare Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Michele Santoro dalla Rai non disse esplicitamente che andavano cacciati, si limitò ad affermare che i tre facevano “un uso criminoso del servizio pubblico della Rai”, all’epurazione ci pensarono i funzionari addetti ai lavori sporchi dei regimi. berlusconi era già a metà della sua opera ma iniziava a sentire aria di disfatta e le certezze che la magistratura non sarebbe arrivata a depotenziare la sua attività “politica” si facevano sempre più flebili: Renzi in meno di due anni di presidenza del consiglio [abusiva] in fatto di stampa e informazione ha già criticato pesantemente tutto il criticabile. I talk show sono “inutili” solo quando non invitano lui ad esaltare le sue magnifiche riforme e i giornali, nella fattispecie uno, sono cattivi quando non si trasformano in velina del partito unico.
Il segno che il globetrotter delle balle “ripetute finché non diventano la verità” non si sente poi così sicuro.
Dalla classifica “ironica” dei quotidiani chiesta da Renzi in persona alla sua leopolda mancano l’Unità con annesso rondolino e Repubblica: in un paese normale questo sarebbe il sintomo che sia l’Unità sia Repubblica non fanno il loro dovere di controllori del potere, in questo invece diventano il pulpito della verità. Cambiano i nomi ma non il metodo, cambia – forse – lo stile ma non le intenzioni, si ammanta di falsa giovinezza, di rottamazione inesistente l’interesse primario della politica, ovvero tentare di silenziare il dissenso in qualsiasi modo, anche con la seduzione di un “giochino innocente” come quello di fare la classifica dei quotidiani meno servili durante la kermesse privata del partito del presidente del consiglio.  Non è vero che il dissenso non può a sua volta essere criticato per forma, sostanza, toni e linguaggio solo però nel paese normale non è compito dei presidenti della repubblica, di quelli del consiglio, dei capi dei partiti né dei movimenti di popolo: non devono essere loro a decidere chi può stare e chi invece sarebbe meglio che andasse perché non risponde alle esigenze del governo, del partito e del movimento.
Gli unici a decretare il successo, l’insuccesso e la credibilità del quotidiano come del talk show sono i lettori e gli spettatori, non quelli che per ruolo dovrebbero essere i controllati dall’informazione mentre qui diventano i serviti e riveriti da chi dovrebbe far loro le pulci ogni momento. Dover parlare ancora di questo argomento è nauseante ma temo che visti i tempi sarà ancora necessario farlo.

Il giornalismo serio che ha a cuore la sua mission che non è fare favori al potere si sarebbe dissociato dal giochino di Renzi, avrebbe detto: signori miei, ma anche signore mie, qui abbiamo un capo del governo che, forte del suo strapotere che [rispetto a berlusconi] nessuno gli contesta, così come non si contesta la sua azione politica [così come si faceva con berlusconi], ha deciso che un giornale non può più criticarlo, anche se nei fatti Il Fatto è l’unico che lo fa.
Poi va bene, del Fatto Quotidiano si possono criticare i toni, spesso anche certi termini, si può dire anche che sia un giornale fazioso, esattamente come lo sono tutti gli altri perché questo fa parte dello stile e della linea editoriale che ogni giornale e giornalista danno al loro lavoro.
Quello che non fa parte di nessun paese mediamente sano, discretamente civile sono i presidenti del consiglio, capi non solo del governo ma nel caso di Renzi anche del partito che si è dichiarato unico portatore della migliore politica, l’unica alternativa, che aizzano la folla contro giornali e giornalisti.
Immaginatevi se lo facessero la Merkel, Cameron, Hollande, se Obama, come spesso ha fatto Napolitano proprio rivolgendosi al Fatto Quotidiano si mettesse a dare giudizi su giornali e giornalisti.
In nessuna democrazia sarebbe possibile una cosa del genere, in Italia invece non è solo l’eccezione ma proprio la regola.

Disastro Leopolda e attacchi al Fatto: Renzi non ne indovina una

Fuori dalla ‎Leopolda‬ molti hanno rifiutato le copie del ‪Fatto Quotidiano‬ distribuite gratuitamente.
I piddini, specialmente renziani quindi leopoldi non sanno fare niente gratis.

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Il comunicato di direzione e redazione

Saviano, la Boschi e il tradimento dei chierici servi

Il peggiore resta comunque Bersani che pur riconoscendo valide le argomentazioni di Saviano [non fanno una piega: testuali parole] ha detto che la Boschi non si tocca, che chiedere le dimissioni è “esagerato”.
Esagerato rispetto a cosa, se si può dire?

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Vota lo scontrino dell’anno – Marco Travaglio, 13 dicembre – Il Fatto Quotidiano

Che un bimbominkia si diverta a far votare dai compagnucci della parrocchietta Leopolda il peggior titolo di giornale fra una gamma di 16 (di cui 11 del Fatto), ci può stare: ciascuno si diverte come può, specie se è affetto dalla sindrome di Peter Pan e a 40 anni suonati indossa ancora il chiodo di Fonzie e, abbandonati la playstation e il calciobalilla dopo la scomparsa di Orfini, si riduce a giocare ai trenini immaginari in una vecchia stazione in disuso. Il problema, semmai, è che il bimbominkia fa pure il segretario del primo partito italiano e, incredibile ma vero, il presidente del Consiglio. E dovrebbe occuparsi, anziché dei titoli di giornale, dei titoli tossici spacciati dalle banche amiche di suo padre e di papà Boschi a migliaia di risparmiatori finiti sul lastrico o indotti al suicidio. Ma il premierminkia va ringraziato per il giochino di società ideato dal suo trust di cervelli nel tentativo disperato di resuscitare una Leopolda morta e sepolta, dove nessuno dei Vip millantati alla vigilia ha voluto farsi un selfie con lui e la sua presunta nuova classe dirigente ggiovane e fichissima consiste in qualche vecchia cariatide quattrostagioni e in parecchie sciure in botox, pelliccia e menopausa.
Davvero non c’era miglior modo per illustrare a chi non l’avesse ancora capito il suo concetto di libera informazione. Si dirà: anche Grillo, due anni fa, inaugurò sul blog il terrificante concorso “Il giornalista del giorno”, facendo di tutt’erba un fascio fra chi doverosamente lo critica (noi compresi) e chi meno legittimamente lo diffama con accuse calunniose e notizie inventate. Vero. La differenza è che Grillo è all’opposizione, per sua fortuna sprovvisto di giornali, tg e reti televisive. Renzi è il capo del governo, dispone di un giornale di partito ufficiale e molti altri ufficiosi, nonché di tre quarti di Rai e mezza Mediaset al suo servizio. Sopravvivono purtroppo in tv un paio di talk show liberi, subito da lui additati e dai suoi giannizzeri manganellati, e in edicola una manciata di testate che non gli leccano il culetto. Il che per lui è francamente insopportabile. Tant’è che gli 11 titoli del Fatto messi alla berlina come “balle” dalla sua Top Eleven contengono altrettante verità indiscutibili e note a tutti: come spieghiamo in dettaglio a pag. 2, è purtroppo vero che molti insegnanti han dovuto emigrare lontano da casa per uno straccio di lavoro malpagato, che il Jobs Act non ha prodotto le centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro annunciati, che da mesi i sondaggi sui 5Stelle inquietano il Pd.
Ed è indiscutibile che il governo Renzi è stato puntellato infinite volte dal soccorso azzurro di B. (per non parlare di Verdini), che l’articolo 18 è stato smantellato malgrado l’impegno contrario del premier, che Landini è diventato la bestia nera di Renzi e così via. E il fatto che il premier contesti proprio i titoli più veritieri, senza smentirvi eventuali falsità o inesattezze, la dice lunga sulla sua attitudine congenita alla bugia e sulla sua allergia patologica alle critiche argomentate e documentate. Si replica il triste copione del regime berlusconiano, quando i pochi giornali e giornalisti liberi venivano messi alla gogna con editti più o meno bulgari e liste di proscrizione. B. comandava sugli editori, nominandoli o ricattandoli: infatti riuscì a far cacciare Biagi, Luttazzi, Santoro, Freccero, Massimo Fini e tanti altri dalla Rai, poi De Bortoli dal Corriere, poi Fazio e Lerner da La7, infine Colombo e Padellaro dall’Unità con la gentile collaborazione dei Ds. Lo stesso fa o tenta di fare oggi Renzi, con una piccola differenza: che da sei anni esiste un quotidiano – il nostro – che non risponde a nessun padrone fuorché ai suoi lettori e non prende soldi dallo Stato né da banche né grandi imprese, ma solo da chi lo acquista in edicola o vi si abbona. Per questo Renzi ci mette nel mirino: perché non riesce a metterci in riga. Il suo modello di giornalismo sono le penne alla bava che alle conferenze stampa, anziché fare domande, lo applaudono. I vecchi trombettieri craxiani, dalemiani e berlusconiani riciclati dal renzismo all’insegna della rottamazione. Il Johnny Riotta che a Cernobbio fa il capoclaque invocando “un bell’applauso per il presidente Renzi, lo racconterete ai vostri nipoti!” e subito ottiene un bel programma in Rai (peraltro clandestino). Il Vespa che paragona la Boschi a Santa Teresa d’Avila (quella del Bernini) e poi presenta il suo ultimo capolavoro prima con Renzi poi con la Boschi.
Ma il suo modello supremo è la “nuova” Unità, riesumata (che Dio lo perdoni) per rendere meno dolorosa l’assenza della Pravda, ma soprattutto della stampa satirica e umoristica, con titoli di prima pagina – quelli sì – da affissione: “Roma Caput Mundi”, “Dio benedica Francesco”, “Ci vediamo in piazza”, “Il clima è già bollente”, “L’Italia è già in prima linea”, “Italia Coraggio”, “Come vincere la guerra”, “Allons enfants”, “Mai più precari”, “Siamo stati promossi”, “Forza Sud”, “Bentornata fiducia”, “Migranti, l’Europa parla italiano”, “Expo, ha vinto l’Italia”, “È scattata l’ora legale”, “E le tasse vanno giù”, “Fuori dal tunnel”. Solo per limitarci all’ultimo bimestre. Roba che non solo Antonio Gramsci, ma anche Emilio Fede e perfino Alessandro Pavolini sarebbero arrossiti un po’. Però a Renzi proponiamo un patto. Noi, appena ci regge lo stomaco, siamo pronti a titolare a caratteri cubitali un impetuoso “Va tutto bene”. Lui però, in cambio, si decide a pubblicare le note spese delle sue cene “istituzionali” (come no) da sindaco di Firenze a carico dei contribuenti. Così potremo finalmente lanciare il grande concorso “Vota anche tu lo scontrino dell’anno”. Ci fa sapere?

Di influenze, propaganda e libertà di espressione

Sottotitolo: potenzialmente tutti possono diventare un punto di riferimento per il proprio settore, potenzialmente tutti possono crearsi uno spazio in cui sparare cazzate. [Veronica Gentili]

Preambolo: anch’io, in misura piccolissima, minima rispetto ai grandi opinion makers del web ho una piccola cerchia di persone che mi legge, mi segue e che sulle cose importanti è d’accordo con me, perché se è vero che il contraddittorio non prevede l’assenso sempre e comunque è  normale ed inevitabile che relazionarsi ogni giorno con continuità da una pagina web permette che si crei un’affinità, che le persone poi si ritrovino in quei concetti che dovrebbero essere universalmente riconosciuti come l’antifascismo, l’antirazzismo, il contrasto ad ogni forma di discriminazioni e violenze anche verbali. Ecco perché so di avere una responsabilità circa le cose che scrivo, che non posso mettermi davanti al mio computer e impiastrare questo blog e la mia pagina facebook di sciocchezze,  non posso istigare le persone che mi leggono con la persuasione malsana finalizzata a dirottare il  pensiero e incentivare reazioni violente e volgari. So che è mio dovere mettermi sempre di traverso davanti a chi nascost* dietro un nick ma anche disinvoltamente con nome e cognome usa la Rete per esprimere violenza e volgarità gratuite. Non sono mai stata d’accordo sulla teoria che in Rete è come fuori. Nella vita di tutti i giorni non ci si pone verso gli altri con la disinvoltura con cui molti lo fanno qui potendo contare sull’immunità. Prima di dire “puttanella succhiacazzi” in faccia a una ragazzina che per età potrebbe essere una figlia ci penserebbero. Non sarebbe possibile rovesciare le proprie frustrazioni sui colleghi di lavoro, in famiglia e con gli amici senza pagarne le conseguenze. E quello che manca qui è proprio la conseguenza,  l’assunzione di responsabilità, tutto diventa permesso in virtù della libera espressione del pensiero anche quando diventa oltraggio e  violenza. Una violenza da cui non sempre è possibile difendersi, non tutti abbiamo gli strumenti che può avere ad esempio il personaggio politico e quello pubblico, non per evitare di subire l’aggressione virtuale ma per obbligare all’assunzione di responsabilità quelli che pensano di avere un diritto all’offesa e all’oltraggio.

In un mondo sempre più dipendente dalla Rete è molto più facile orientare le opinioni di quanto lo sia stato quando le informazioni circolavano solo attraverso la carta stampata; l’opinionista, il giornalista oggi hanno meno potere di quanto ne abbia chi ogni giorno si esprime nei social e riesce ad acquistare una considerevole quota di consensi. 

Mille, duemila, cinquemila persone che fanno parte di liste di chi apre un account nei social e che ogni giorno si connettono a facebook, a twitter non solo per seguire quei siti che divulgano l’informazione ufficiale, quella che poi leggiamo anche nelle versioni cartacee dei quotidiani ma anche per andare a vedere cosa ha scritto quell’utente che, perché ha un sacco di gente che lo o la segue deve essere sicuramente affidabile.
Tutto questo fa sì che quell’utente diventi nel tempo un riferimento, le sue parole vengono condivise, fatte proprie, acquistano un’autorevolezza.
Molto spesso poi l’utente famoso, quello delle bacheche dei 5000 è la stessa persona che leggiamo in blog seguitissimi o in rubriche radiofoniche e televisive che trattano l’informazione riuscendo così ad ampliare il suo raggio di “influenza”.
Nella maggior parte dei casi queste persone agiscono in buona fede, ovvero fanno quello che fa qualche miliardo di persone ogni giorno in Rete: esprime i suoi punti di vista che si possono condividere o meno, confutare o prendere per buoni così come sono, ma c’è un sottobosco di “influencers” che non opera affatto in questo senso.
C’è una consistente presenza fissa nei siti online dei quotidiani e nei social, persone che scrivono sulla pagina pubblica del politico e del giornalista e che lo fanno su commissione, scendono ogni giorno nell’arena del web con lo scopo preciso di orientare le opinioni, fanno propaganda.
E questo costituisce un pericolo sì ma fino a un certo punto, chi conosce un po’ le dinamiche web sa benissimo dove andare ad attingere per informarsi e quali utenze meritano considerazione e attenzione. Impara a leggere e a selezionare. Io ho un contenzioso aperto da anni con la moderazione del Fatto Quotidiano on line dove si lasciano passare commenti violenti, offensivi e si censurano quelli che provano a restituire un livello civile alla discussione. L’influencer lo fa lo stesso media che poi ricava dei guadagni. Più gente entra in un sito e più il sito guadagna. Una discussione civile in Rete non “acchiappa”, è noiosa, mentre lo scontro, il botta e risposta attirano e invogliano a partecipare.
Ma che succede quando l’influencer è il segretario di un partito politico?
Prendiamo ad esempio il caso della liberazione di Greta e Vanessa ma anche la strage di Parigi: senza l’ossessionante martellamento di salvini circa le paure per “i milioni di tagliagole pronti ad ammazzarci tutti” e “lo schifo per il pagamento del riscatto” ci sarebbe stata lo stesso l’escalation di commenti violenti e incivili verso i musulmani che non sono terroristi e le ragazze colpevoli al massimo di ingenuità?
Io dico di no, perché il pericolo non è costituito soltanto dalle parole irresponsabili di salvini che mirano a fare cassa nel suo elettorato, sono parole che poi anche a fin di bene e col solo scopo di contrastarle e dissociarsene vengono condivise, riprese, fatte circolare in ogni dove.
Ed è lì che scatta l’influenza in grado di orientare, quando certe parole vengono lette da chi non ha un’opinione precisa su un fatto e leggendo che salvini alla cazzata razzista quotidiana prende due o tremila likes, colleziona migliaia di condivisioni potrebbe avere ragione quando dice e scrive che ai confini dell’Italia sono pronte orde di terroristi che verranno ad ammazzarci tutti, quando apparentemente in buona fede chiede se la gente “ha paura” oppure quando dice, da tutte le ribalte che i media e il mainstream gli mettono ogni giorno a disposizione, scrive nella sua pagina facebook che gli fa schifo che gli italiani abbiano contribuito con una cifra irrisoria a salvare la vita di due ragazze di poco più di vent’anni.
Quindi attenzione a vantarsi di “essere Charlie” e libertari tout court pensando che sia giusto e doveroso lasciare la libertà anche al segretario di partito che diventa un troll per opportunismi suoi di poter istigare alla violenza e procurare allarmi in un paese intero.
Io, rispetto a salvini e quelli come lui non sarò mai Charlie, non per censura ma per autodifesa.

La parola vigliacca – Massimo Gramellini

Quando i messaggi in Rete divennero di uso comune, noi fanatici della scrittura vivemmo un momento di rivalsa. L’oralità trionfante cedeva sorprendentemente il passo a una comunicazione meno spudorata, che avrebbe consentito anche ai timidi e ai riflessivi di fare sentire la propria voce nella piazza dell’umanità. Mai previsione è stata più stropicciata dalla realtà. Che si parli della malattia di Emma Bonino o della liberazione delle ragazze rapite in Siria – per limitarsi agli ultimi giorni – sul web si concentra un tasso insostenibile di volgarità e di grettezza. Una grettezza cupa, oltretutto, raramente attraversata da un refolo di ironia. 

Non mi riferisco al merito dei commenti. Nell’Occidente di Charlie ciascuno è libero di esprimere le opinioni più urticanti, purché rispettose della legge. No, è la forma dei messaggi che corrompe qualsiasi contenuto. Una radiografia di budella, una macedonia di miasmi, una collezione di frasi impronunciabili persino con se stessi. Nessuna di queste oscenità pigiate sui tasti troverebbe la strada per le corde vocali. Nessuno di quelli che per iscritto augurano dolori atroci alla Bonino e rimpiangono il mancato stupro delle cooperanti liberate avrebbe la forza di ripetere le sue bestialità davanti a un microfono o anche solo a uno specchio. La solitudine anonima della tastiera produce il microclima ideale per estrarre dalle viscere un orrore che forse neppure esiste. Non in una dimensione così allucinata, almeno. Per noi innamorati della parola scritta è una sconfitta sanguinosa che mette in crisi antiche certezze. Per la prima volta guardo il tasto «invio» del mio computer come un nemico.  

 

Meno male che Marco c’è/ 2

Preambolo: RSF, una delle organizzazioni  che si occupa di monitorare il livello di libertà di stampa e di informazione in ambito internazionale piazza l’Italia al 57° posto, l’anno scorso eravamo al 61°, sotto a stati che almeno non hanno l’ardire di definirsi democrazie,  tipo il Niger. Frank La Rue, responsabile della libertà di informazione per le Nazioni Unite ha dichiarato lo scorso dicembre che con Monti l’informazione e la libertà di stampa  in questo paese sono  agli stessi infami livelli di quando c’era berlusconi, segno evidente che ai servi e servetti di regime, di qualsiasi regime va benissimo che l’andazzo sia sempre il solito, il consueto, va benissimo che in questo paese si neghi il diritto dei cittadini di essere informati.E c’è qualcuno, anche fra il giornalismo cosiddetto autorevole che su questi dati ci fa su dell’ironia, invece di vergognarsi per aver contribuito a questa porcheria. 

Se facessi la giornalista non mi verrebbe mai in mente di fare dell’ironia su questi dati.
Piuttosto, mi chiederei cosa potevo fare, cosa non ho fatto per mia volontà o per conto terzi affinché un paese cosiddetto democratico sia potuto scendere ai livelli di di paesi in cui almeno la parola democrazia non viene nemmeno pronunciata.

Sottotitolo:”Se in America il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia è il cane da compagnia. O da riporto”. [Marco Travaglio]


Capisco che è seccante che Marco Travaglio ci sia, che c’è, in particolar modo per molti dei suoi colleghi – per qualifica e non certo perché si meritino fino in fondo l’appellativo di “giornalista” – se così fosse l’Italia non sarebbe al 57° posto NEL MONDO [l’anno scorso era al 61°: stiamo crescendo, fra un po’ mettiamo pure i denti e iniziamo a camminare] in fatto di libertà di informazione secondo il rapporto annuale di Reporter sans frontier, altri due schiaffoni educativi ma purtroppo inutili perché come sempre non sortiranno nessun effetto positivo li riceverà come ogni anno anche da quei comunistacci della Freedom House voluta e creata da quella sovversiva di Eleanor Roosevelt, un’altra che soffriva di una strana perversione, pensava infatti che in un paese civile  l’informazione DEVE fare informazione e non un tutt’altro che non c’entra, specie se quel tutt’altro diventa un lavoro certosino al quale poi i popoli si abituano e si assuefano fino a non accorgersi più di chi sono le persone che lavorano per loro e non, invece, in funzione del mantenimento di poteri che non dovrebbero proprio “poter” niente, perché quando possono, nuocciono e fanno tutto meno che gli interessi di quei cittadini sui quali quel potere viene poi esercitato.
Anche l’Europa si è espressa più e più volte circa il fatto che l’informazione italiana non faccia il suo dovere perché legata a doppio e triplo filo ai desiderata del potere, politico, economico e persino religioso, era così con b a palazzo Chigi ed è rimasto tutto uguale quando alla presidenza del consiglio è salito il sobrio professore, quello che doveva essere solo prestato alla politica ma poi, visto che a quel ristorante si mangia troppo bene ha deciso da se medesimo che valeva la pena non lasciare una tavola ben imbandita; ma siccome risolvere i conflitti di interesse – che sono la prima causa di un’informazione che non informa perché non può dovendo fare quel tutt’altro che tradotto in parole povere si chiama essere servi di un padrone non serve e non è utile a spillare soldi ai cittadini, a ridurli alla povertà accusandoli poi perfino di essere la causa del loro male, allora in quel caso le richieste dell’Europa si possono benissimo, tranquillamente e pacificamente ignorare.
Ma meno male che brunetta ieri sera ci ha chiarito le idee: tutti i problemi in Italia si possono risolvere tagliando gli stipendi a Milena Gabanelli, a Michele Santoro, a Fabio Fazio e a Luciana Littizzetto.

 

Falconi e avvoltoi/2
Marco Travaglio, 1 febbraio

Due giorni dopo il battibecco Boccassini-Ingroia sulla memoria di Falcone, tutti hanno già dimenticato chi ha cominciato: la Boccassini, col suo “vergognati” a Ingroia per un paragone mai fatto fra se stesso a Falcone. Non è la prima volta che la valorosa pm perde la trebisonda appena sente nominare l’amico ucciso. Il 25 maggio ’92, commemorandolo al Palagiustizia di Milano subito dopo Capaci, puntò il dito su un esterrefatto Gherardo Colombo: “Anche tu diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale?”. E ricordò che, a lei, Falcone telefonava ogni giorno e le aveva confidato “l’ultima ingiustizia subita proprio dai pm milanesi, che gli avevano mandato una rogatoria senza allegati. Giovanni mi telefonò: ‘Che amarezza, non si fidano del direttore degli Affari penali'”. In realtà il pool Mani Pulite di Falcone si fidava: non si fidava di altri dirigenti del ministero, tipo Filippo Verde, poi coinvolto nell’inchiesta Toghe Sporche della stessa Boccassini per rapporti finanziari con Previti & C. Oggi tutti criticano Ingroia per avere ricordato ciò che pensava Borsellino di lui e della Boccassini, perché il giudice non può smentire né confermare. Ma nel ’92 la Boccassini fece la stessa cosa, svelando confidenze di Falcone senz’altro vere, che però Falcone non poteva smentire né confermare. Ma in fondo è una fortuna che quel “vergognati” sia toccato a Ingroia. Immaginiamo se un qualunque pm, a tre settimane dalle elezioni, avesse urlato “vergognati” a Berlusconi, Bersani, o Monti. Sarebbe finito sotto ispezione e processo disciplinare, tv e giornali sarebbero pieni di politici, editorialisti, Csm e Anm strepitanti contro i pm che fanno politica e interferiscono nel voto. Invece niente, silenzio di tomba. Anzi, la prova della politicizzazione dei pm è proprio Ingroia, pm in aspettativa, e non il pm che l’ha insultato con la toga addosso. La macchina del fango è, come sempre, trasversale. Severgnini Casco d’Argento va dalla Bignardi e di chi parla? Di Ingroia, che “chiama la sua lista Rivoluzione civile come se le altre fossero incivili” (potrebbe aggiungere che il Pd si chiama Democratico come se gli altri fossero tirannici, ma non l’aggiunge: “Renzi e Letta mi han chiesto di candidarmi”, ( povera stella). Panorama accusa Ingroia di avere “sprecato milioni di risorse dello Stato” per indagare sulla trattativa Stato-mafia (avrebbe dovuto pagare di tasca sua). 

Il mèchato di Libero lo accusa di “minacciare la Boccassini” e svela — intimo com’era di Borsellino — che l’amico Paolo lo chiamava “gobbetto comunista”. Repubblica intervista Grasso che, essendo candidato del Pd, gli insegna a “non usare il ruolo di pm a fini politici”. Poi fa attaccare Ingroia da un noto eroe dell’antimafia: Micciché, quello che voleva togliere i nomi di Falcone e Borsellino dall’aeroporto Punta Raisi perché allontanano i turisti. Il Corriere ricorda che “Falcone non partecipava a convegni di folle osannanti” (è una balla, Falcone andava persino alle Feste dell’Unità e al Costanzo Show, ma fa lo stesso). La Pravdina del Pd, la fu Unità, con tutto quel che succede nel mondo e a Siena, apre la prima pagina col titolo “Ingroia, scontro su Falcone”, lo accusa di “antimafia elettorale” e di essere “un magistrato in prima linea” (si ri-vergogni). Staino fa dire a Berlusconi: “Ma cosa vuole questo Ingroia da noi? Tratta la Boccassini peggio di come la tratto io… si candida in Lombardia per aiutarci a vincere… che si è messo in testa?”. Ma sì, dai, Ingroia è pagato da B. (e pazienza se in Lombardia Ingroia appoggia Ambrosoli mentre l’alleato Monti candida Albertini). Poi finalmente, a pag. 11, un luminoso esempio da seguire: Ottaviano Del Turco. Per chi non l’avesse ancora capito: nel paese governato da ladri, affaristi e mignotte, il problema è Ingroia. Invece di nominare Falcone invano, vada a rubare come tutti gli altri.

Giornata mondiale della lotta all’aids

https://i0.wp.com/www.notiziedizona.it/wp-content/uploads/2012/11/Giornata-mondiale-lotta-aids.jpgPreservativo non è una parolaccia
Omosessualità non è una malattia né una devianza.
L’Aids non guarda in faccia nessuno, etero, lesbiche, omosessuali.
Indossare un preservativo come sistema di prevenzione alle malattie e alle gravidanze indesiderate non è una bestemmia come ci ha appena detto il gran visir della menzogna.
La vera bestemmia è consigliare, suggerire, imporre l’astinenza sessuale come metodo, la vera bestemmia è definire contronatura tutto ciò che non fa parte della nostra natura ma di quella degli altri sì, finché non nuoce alla libertà di nessuno.
La vera bestemmia, di fronte alla quale qualsiasi dio inorridirebbe, è che si possa morire di aids a 15 anni.

Oggi è la giornata mondiale della lotta all’aids, ma non bisogna ricordarselo solo un giorno all’anno che l’aids non è stata mai sconfitta, di aids si muore ancora ma se ne parla sempre meno grazie agl’irresponsabili in gonnella, quelli che s’impicciano di tutto meno che dei fatti loro e sono tanti,  quelli che fanno propagande  assurde, irreali e impraticabili  circa la prevenzione ad una malattia seria, che uccide in tutte le parti del mondo  vaneggiando di astinenza sessuale come unico sistema di contrasto al contagio,  alle gravidanze indesiderate  e ai governi di questo paese che si piegano alle censure imposte anche – soprattutto anzi –  dalla volontà degl’invasori d’oltretevere anche in presenza di fatti gravi e di cui bisognerebbe parlare tutti i giorni e non solo nei giorni dedicati.

In questo paese si pubblicizza tutto, veleni, inutilità consumistiche   fuorché – appunto – sistemi e medicinali contraccettivi e l’uso del profilattico.

Frank La Rue, responsabile della libertà di informazione per le Nazioni Unite ha dichiarato che con Monti l’informazione e la libertà di stampa  in questo paese sono  agli stessi infami livelli di quando c’era berlusconi, segno evidente che ai servi e servetti di regime, di qualsiasi regime va benissimo che l’andazzo sia sempre il solito, il consueto, va benissimo che in questo paese si neghi il diritto dei cittadini di essere informati.

Non lasciamoci quindi sedurre e abbindolare da questi professionisti delle menzogne spacciate per fatti reali, da questi maestri nel celare e occultare le cose importanti, quelle che i cittadini devono sapere per potersi formare delle opinioni sane e non indotte dalla propaganda a beneficio delle cose che non esistono, di balle gonfiate a dismisura per far credere che i colpevoli di quello che succede in questo paese siano sempre quelli di prima: i colpevoli, invece, sono anche quelli di adesso.

E lo sono ancora di più visto che qualcuno, con viva e vibrante soddisfazione ce li ha imposti affinché aggiustassero le cose, non certo per finire di sfasciarle.

Altrimenti, che tecnici sarebbero?

Aids, 34 milioni di contagiati nel mondo
Il 10% è under 15. Vaccino? Una chimera

L’immunologo Aiuti: ‘Impossibile fissare una data’. Il microbiologo Silvestri: ‘Ci vorranno 15-20 anni’
    VIDEO – VIAGGIO NELL’HIV: LA PAROLA PRESERVATIVO E’ ANCORA TABU’ (di F. Martelli)

Libertà di stampa, relatore Onu ignorato
“Il governo dei tecnici come quello di B.”
 

Monti - Berlusconi

Frank La Rue, inviato delle Nazioni unite sui diritti dell’informazione ha chiesto a Monti di assistere alla nomina dei membri Agcom. Ma nessuno gli ha risposto. Ora dice: “Serve ispezione completa”.

Ecoballe
TeatroDeServidi Marco Travaglio, 1 dicembre

Fiato alle trombe e ai tromboni, arriva il decreto “salva-Ilva”. Breve riassunto delle puntate precedenti. I giudici di Taranto accertano che, producendo acciaio con gli attuali impianti “a caldo”, l’azienda inquina e uccide; quindi gl’impianti vengono sequestrati e possono restare accesi solo per essere risanati, ma non per produrre altro acciaio, altrimenti il delitto di disastro colposo e omicidio colposo plurimo continua e la magistratura ha il dovere di impedirlo; se e quando gli impianti fuorilegge — l’arma del delitto — saranno finalmente a norma, cioè smetteranno di avvelenare e ammazzare, potranno tornare a produrre. Il governo dice: l’Ilva s’è impegnata a investire subito 4 miliardi (a fronte di 3 miliardi di utili accumulati in 17 anni) per bonificare gli impianti, quindi può riprendere subito a produrre mentre li risana; se poi non mantiene i patti, il governo gliela fa vedere lui e magari sostituisce i Riva con qualcun altro. È un po’ come se ci fosse un maestro pedofilo che ogni giorno molesta i bambini in classe. I giudici lo arrestano per impedirgli di molestarne altri. Ma il governo fa un decreto per rimandarlo a scuola, a patto che nel frattempo si impegni a curarsi: se poi non si cura e continua a molestare bambini, verrà sostituito. Già: e ai genitori dei nuovi bimbi molestati chi glielo spiega? Il decreto salva-Ilva è ancora peggio. Perché nessuno dei contraenti dell’accordo è credibile. Non lo sono i Riva, che si sono impegnati infinite volte a mettere a norma i loro impianti e non l’hanno mai fatto. Non lo è il presidente Bruno Ferrante, prefetto: a luglio il giudice impose il blocco della produzione nelle aree “a caldo” e ora si scopre che quell’ordine fu violato dall’azienda presieduta da Ferrante, che continuò a produrre (dunque a inquinare), tant’è che il gip ha dovuto sequestrare tonnellate di acciaio che non dovrebbero esistere (corpo del reato). A Servizio Pubblico, l’incredibile Clini ha detto che “il presidente Ferrante s’è impegnato”. Me’ cojoni , dicono a Roma. E naturalmente il governo se l’è bevuta (tanto, quando si scoprirà che è l’ennesima truffa, il governo sarà un altro). Ecco, non è credibile neppure il governo. Uno dei registi del decreto è Passera, che ai tempi di Intesa prestava soldi a Riva e lo reclutava per la cordata Alitalia: un ministro super partes. C’è poi la palese incostituzionalità del decreto che dissequestra impianti sequestrati da un gip con un’ordinanza che, in uno Stato di diritto, può essere ribaltata solo al Riesame e in Cassazione. Non a Palazzo Chigi e al Quirinale. Se una porcata del genere l’avesse fatta B., che osò molto ma non al punto di cancellare sentenze per decreto (ci provò con Eluana, ma fu stoppato dal Colle), avremmo le piazze e i giornali pieni di costituzionalisti, giuristi, intellettuali e politici “democratici” sdegnati che sventolano la Costituzione. Invece la fanno Monti e Napolitano, quindi va tutto bene. Corriere : “Decreto del governo per riaprire l’I lva. Monti: coniugare lavoro e salute” ( impossibile: l’Ilva se produce uccide). Repubblica : “Ecco il decreto per l’Ilva. Monti: nessuna polemica coi pm” (infatti cancella l’ordinanza di un gip). Sole 24 Ore: “Ilva, dissequestro per decreto. Monti: nessun contrasto coi magistrati”. Avvenire : “Decreto per salvare l’Ilva ed evitare un flop da 8 miliardi l’anno”. Messaggero : “Monti sull’Ilva: a rischio 8 miliardi”. La Stampa: “Ilva, un garante per ripartire”. Il Foglio : “Il governo tecnico soccorre l’Ilva (e la siderurgia) per decreto”. Libero : “Decreto per riaccendere l’impianto tutelando la salute” (sì, dei Riva). La fu Unità: “Ilva, decreto per salvare 8 miliardi. Tutela della salute e controllo indipendente del risanamento ambientale”. Altro che corrompere i giornalisti: qui ormai c’è chi viene via gratis.Perepè perepè perepè.