“Rai, di tutto, di Renzi” non era una battuta di Crozza ma una facile previsione

Su twitter leggevo che qualcuno si lamentava tanto per cambiare di Virginia Raggi che avrebbe copiato parte del programma da testi esistenti scritti da altri, come se prima di lei non lo avesse fatto nessuno.
Se un’idea e una proposta sono buone e realizzabili non si capisce dove stia il problema.
Volevo solo ricordare agli storditi dall’afa che Matteo Renzi sta ‘governando’ l’Italia a colpi di piano di rinascita del fu venerabile Licio Gelli, ma quelli sempre molto attenti alla pagliuzza dei 5stelle e ai quali piace sorvolare, invece, sulle travi del pd non lo scrivono su twitter.

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L’accusa che si sente spesso ripetere ai 5stelle è di essere un movimento padronale che deve rispondere ai vertici di qualsiasi decisione, mentre il pd è un partito dove la democrazia interna mette tutti allo stesso livello: quella esterna un po’ meno e al quale basta un congresso per stabilire che il comandante in carica non va più bene e sceglierne un altro. Pare vero, eh?
Non serve nemmeno tornare al metodo con cui il pd sceglie i suoi dirigenti, quelle primarie che ci hanno raccontato di tutto e di più sul sistema che fa vincere o perdere, vorrei solo ricordare che le uniche elezioni vinte da Renzi finora sono state quella da sindaco di Firenze e poi, appunto, le primarie del suo partito che, parrà strano, ma non sono il viatico per andare al governo del paese.
Se il partito è “scalabile” da chiunque riscuota il gradimento e il consenso degli elettori questo non significa che tutti i chiunque che di volta in volta vincono le primarie abbiano poi l’autorizzazione di scalare il paese.
Per fare questo bisogna andare bene alla maggioranza del paese tenendo conto che ci sarà sempre una minoranza contraria: in democrazia funziona così, non ai pochi intimi che pagano due euro per dire che gli piace più Renzi di Bersani o Cuperlo.
Aver dato a Renzi la possibilità di stare al comando del partito e del governo nei modi che sappiamo si è trasformato nella morsa che giorno dopo giorno ha stritolato la politica, il dissenso vero ma più che altro presunto della cosiddetta minoranza del partito aumentando già così in maniera esponenziale, esagerata per una democrazia il potere di Renzi che ormai può fare quello che vuole con la certezza che nessuno si metterà di traverso al suo progetto, che significa un paese rifatto nelle istituzioni, aziende pubbliche, scuole, ospedali, nella Rai, nella Costituzione a immagine e somiglianza di Renzi, non di chi già c’è che vorrebbe contare qualcosa, dire la sua e di chi verrà dopo di lui.
Ai più ingenui, speranzosi e fiduciosi sembrerà strano, ma i regimi nascono proprio così.
Ecco perché tutte le discussioni sul pericolo dei 5stelle manipolati e manovrati dai capi, la polemica sulla “mondezza” di Roma hanno davvero poco senso, sono solo l’ennesima arma distrazione di massa.
Più che sui sacchetti di Roma bisognerebbe concentrarsi su chi nel suo sacco vuole metterci tutta l’Italia, ovvero Matteo Renzi.

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renzieraiDispiace e un po’ stupisce dover leggere che, in fin dei conti Renzi sta facendo quello che hanno fatto tutti fino ad ora e quindi che male c’è se lo fa pure lui.
Perché è stato Renzi a dire in tutti i modi e a proposito di tutto che non avrebbe mai fatto tutto quello che hanno fatto gli altri.
E lo ha detto l’altroieri, non cinque, dieci, vent’anni fa, chi non tiene conto di questo non ha dimenticato, o non lo sa perché non è informato o non gliene frega niente.
Renzi non solo fa tutto quello che hanno fatto gli altri molto di più di quanto abbiano fatto gli altri, non solo mettere in pratica quei sistemi da prima repubblica che diceva di detestare gli piace tanto, ma lo fa peggio e non prova nemmeno a nascondere di essere come – peggio – di chi lo ha preceduto.
Lo dicevo e lo scrivevo già in altri periodi: Renzi non è come berlusconi che aveva degli interessi preminenti negli affari di stato, uno su tutti quello di non finire in galera, obiettivo perfettamente centrato, Renzi è peggio di berlusconi proprio perché non avendo interessi di quel tipo di carattere privato e personale sta dimostrando che quello che vuole è il potere.
Il potere solo nelle sue mani.
La lottizzazione delle reti Rai, che la politica ha sempre attuato quando gli amichetti di merende si dividevano prima due, poi tre reti e oltre non ha niente a che fare con un presidente del consiglio che, non dimentichiamo, sta lì per grazia napolitana ricevuta che fa completamente suo il servizio pubblico radiotelevisivo con l’intenzione di trasformarlo nello strumento di propaganda del governo.
Renzi ha trovato un modo truffaldino di far pagare il canone a tutti con l’obiettivo preciso di fare della Rai la dependance di palazzo Chigi, molto di più di quanto lo sia stata fino ad ora e con finalità ben più gravi, ecco perché io trovo di una superficialità e menefreghismo imbarazzanti che la faccenda venga liquidata con il solito “così hanno fatto tutti” o col giudizio su Bianca Berlinguer perché la faccenda stavolta è enormemente più grave, più seria e più pericolosa.
Difendere la Rai non significa fare lo stesso col giornalismo asservito a tutti i poteri purché gli vengano garantite le poltrone, assicurati il posto fisso e lo stipendio milionario.
Il servizio pubblico radiotelevisivo va difeso tanto quanto la scuola pubblica e la sanità pubblica.

Nota a margine: al referendum sulle riforme costituzionali si vota NO anche per mandare a casa un governo che porta l’Italia in guerra, esponendola al rischio di attacchi terroristici dai quali è scampata finora in virtù di qualche fortunata congiunzione astrale in spregio alla vera Costituzione, la stessa che ieri Renzi spiegava a Erdogan per vantarsi del nostro stato di diritto, quello dei servi del vaticano e dell’America, ostaggio delle mafie che tutto il mondo c’invidia e senza chiedere il permesso agli italiani.

Il fu venerabile eversore

Sottotitolo “extrapost”: se si mette uno come Tronca, anzi proprio Tronca a fare le veci del sindaco non ci si può stupire se festeggiare il capodanno non rientri nelle sue priorità. Non ha le physique du rôle, ecco.
Leopoldo VI vuole le Olimpiadi a Roma, Montezemolo che le deve organizzare già si fa le pippe e Tronca dice che non ci sono i soldi per il capodanno a Roma?  Tutta questa propaganda al “non abbiamo paura” e poi a capodanno si spengono le luci a Roma?
Un anno di giubileo sì e il capodanno no?
Cialtroni, sono solo dei cialtroni.

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“Con la Loggia P2 avevamo l’Italia in mano”, è morto l’ex “venerabile” :

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venerabile

“Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo.
Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore.
La giustizia, la tv, l’ordine pubblico.
Ho scritto tutto trent’anni fa”. [Licio Gelli, 28 settembre 2003]

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Morto Licio Gelli, capo della loggia massonica P2
Dal fascismo alle stragi, vita di scandali e misteri

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•IL “PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA” DELLA P2 CON I COMMENTI DI MARCO TRAVAGLIO

•DALLA STRAGE DI BOLOGNA AL CRAC DEL BANCO AMBROSIANO: LE INCHIESTE CHE HANNO COINVOLTO IL VENERABILE DELLA P2

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Se Licio Gelli da vivo voleva i diritti d’autore  per l’Italia di berlusconi dopo le “riforme” di Renzi e della Boschi fra le quali l’abolizione del senato: lo stesso obiettivo che fu prima di mussolini poi proprio di Gelli nel piano di rinascita adesso che è morto toccherà fargli il monumento, a imperitura memoria di chi ha fatto l’Italia. Garibaldi je spiccia casa.  Gelli ormai era considerato uno statista, un autorevole opinionista da intervistare, già il nomignolo di venerabile, ovvero uno che dovrebbe incutere rispetto addirittura in odor di santità dovrebbe significare qualcosa. I golpisti di ieri iscritti alla loggia sono diventati “faccendieri” e sono ovunque, un aggettivo neutro che non tutti capiscono e che non  significa niente.

Perfino la morte schifa l’infamità e vuole averci a che fare il più tardi possibile, ecco perché l’erba cattiva “non muore mai”. Oggi gli eredi della politica di ieri ma anche di questa più recente sono in lutto. E’ morto il loro principale ispiratore.

Solo in un paese misero e senza memoria come questo si poteva ridurre un’organizzazione eversiva alla stessa stregua del circolo della bocciofila, ritrovarsi i suoi iscritti ovunque in politica, nei media, in tutti i gangli dello stato, gente ridotta al rango di “faccendieri” invece di renderla riconoscibile con quello di “golpisti”.
La ‪#‎P2‬ non era, non è un ritrovo della borghesia ma un’associazione che voleva sovvertire l’ordine dello stato in maniera un po’ soft, senza che la gente se ne accorgesse, senza la violenza del colpo di stato effettivo e dei carri armati in piazza.
Il nome di Licio Gelli ritorna in tutte le vicende peggiori di questo paese: dalle stragi fasciste a quelle mafiose, dal rapimento di Moro a mani pulite fino ad arrivare ad oggi, a certe cosiddette riforme della politica che erano le stesse che aveva pensato Gelli nel suo piano di rinascita.
Tutta la storia più nera e fascista del dopoguerra porta il marchio della P2 e la firma di Gelli.

 

Tutt’al più un open space

Se Renzi è convinto che il senato‬ non serve a niente, cosa che pensava anche mussolini fra l’altro, abbia il coraggio di chiuderlo davvero e del tutto, non lo trasformi nella camera iperbarica di fancazzisti che dovremo continuare a strapagare.
Mandi a casa i fancazzisti, o, finalmente, a trovarsi un lavoro vero esente da benefit e privilegi fra i quali quell’immunità tanto cara a tutti.

Renzi non ha mai detto di voler fare del parlamento un’aula sorda e grig…ah no, era quell’altro.
Renzi non ha mai detto di voler fare del senato un museo: al massimo ci fa un open space.

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“Dal punto di vista politico abbiamo nel nostro programma delle riforme: il Senato deve essere abolito.”
[Benito Mussolini, 23 marzo 1919: dal discorso sulla fondazione dei Fasci di Combattimento]

Quando berlusconi minacciava, ricattava, si comprava i senatori un tanto al chilo lo faceva per i suoi interessi [lo diceva anche Zucconi] perché la permanenza in parlamento gli consentiva di curare quelli economici ma, soprattutto, di ordine giudiziario: il parlamento usato come refugium peccatorum e ultimo approdo per evitare la giustizia “uguale” per tutti fa comodo non a tutti ma a molti, guardate Azzollini quant’è carino che in parlamento ci dorme pure.
Ora che Renzi fa le stesse cose, ci sono tanti modi per comprare il sostegno dei parlamentari che servono ad approvare leggi e “riforme”, ora che anche Renzi minaccia, sfida il presidente del senato, si permette di dire che “o si vota o tutti a casa” in nome di quali interessi lo fa, degli italiani?
Il tre per cento scarso dei cittadini sa in che consiste la cosiddetta riforma del senato, lo sa perché fa parte di quello zero virgola di gente che pensa sia un dovere dare un’occhiata a quello che fa la politica perché ai cittadini comuni, quelli che hanno come unico interesse quello di vivere fra una sopravvivenza e un’altra non sarà la riforma del senato a migliorare la vita, quindi è facile intuire che la percentuale di chi la considera davvero necessaria sarà ancora più scarsa.
Il restante novantasette per cento non ritiene evidentemente così necessario nemmeno addentrarsi in questioni meramente politiche che riguardano la logistica interna e non la messa in opera.
E allora [signori miei… ], a quali italiani risponde l’esigenza di Renzi, forse solo quelli che poi potranno usufruire del senato riformato_rio per continuare ad approfittare di laute prebende e privilegi fra i quali quello di evitare la legge “uguale” per tutti? Se Licio Gelli voleva i diritti d’autore per l’Italia di berlusconi, dopo le “riforme” di Renzi e della Boschi toccherà fargli il monumento, a imperitura memoria di chi ha fatto l’Italia.
Garibaldi je spiccia casa.

Fermiamo i ladri della democrazia

E’ vero che Renzi non viene disturbato dall’informazione mainstream abituata alla posizione a 90 di fronte a qualsiasi potere tenga aperti i rubinetti dei vari finanziamenti, ma è anche vero che nemmeno la societá civile riunita sotto gli ombrelli delle associazioni fa un plissè. Il popolo viola come le “senonoraquandiste” evidentemente soddisfatte di avere la loro bandiera seduta alla Camera e la giusta percentuale di quote rosa al governo. 
Quindi non serve più chiamare la piazza per difendere il paese dall’immoralitá criminale di berlusconi. Non fa paura nello stesso modo Renzi che sta cazzeggiando con la democrazia con l’intenzione di violare la Costituzione insieme ad un pregiudicato e ad un imputato molto più di quanto sia riuscito a fare berlusconi stesso.

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Le controriforme dell’Italicum e del Senato, concordate dal governo con il pregiudicato Berlusconi e il plurimputato Verdini consentono a un pugno di capi-partito di continuare a nominarsi i deputati, aboliscono l’elezione dei senatori ed espropriano i cittadini della democrazia diretta: i referendum (non più 500mila, ma 800mila firme) e le leggi di iniziativa popolare (non più 50mila, ma 250mila firme). Chiediamo ai presidenti Napolitano, Grasso, Boldrini e Renzi di sostenere solo riforme che rispettino lo spirito dei Costituenti, per una vera democrazia partecipata
Antonio Padellaro, Marco Travaglio, Peter Gomez e la redazione del Fatto Quotidiano

NO AI LADRI DI DEMOCRAZIA – FIRMA
In un’ora già oltre cinquemila adesioni

Patto del Nazareno e Senato dei nominati: piduisti a loro insaputa – Marco Travaglio

 

Contro i nominati in Parlamento e referendum limitati: petizione per riforme dalla parte dei cittadini
10 IDEE PER ISTITUZIONI DAVVERO PARTECIPATE – DI’ LA TUA SULLE PROPOSTE DEL FATTO

“Nei confronti del mondo politico occorre… usare gli strumenti finanziari… per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno sulla sinistra… e l’altro sulla destra… fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile. Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un’azione politica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche”. Così scriveva Licio Gelli nel Piano di Rinascita Democratica, elaborato intorno al 1976 con l’aiuto di alcuni “saggi” e sequestrato nell’82 a Fiumicino nel doppiofondo della valigia della figlia Maria Grazia.

Quanto al Parlamento, il capo della P2 sfoderava una gamma di proposte davvero profetiche. “Ripartizione di competenze fra le due Camere” con due “nuove leggi elettorali diverse: per la Camera di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco)”; e – udite udite – “per il Senato di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali”. Uno spettacolare caso di telepatia vuole che proprio questo sia il “Senato delle Autonomie” inventato da Renzi & B: Camera elettiva, ma fino a un certo punto (l’Italicum, con le liste bloccate dei deputati nominati, rende il Piano di Gelli un tantino troppo democratico); e Senato con elezione di “secondo grado”, cioè con i consigli regionali che nominano senatori 95 fra consiglieri e sindaci. Il Maestro Venerabile meriterebbe almeno il copyright. Anche per l’idea di espropriare il Senato del voto di fiducia: “Modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera” e “per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) e al Senato preponderanza economica (esame del bilancio)”. Qui però i venerabili allievi Matteo e Silvio vanno addirittura oltre: la Camera vota in esclusiva la fiducia al governo del premier-padrone della maggioranza, e il Senato non vota più neppure il bilancio.

Poi accolgono in toto un’altra geniale intuizione gelliana: “Stabilire che i decreti-legge sono inemendabili”. Fatto: inserendo in Costituzione la ghigliottina, sperimentata da Laura Boldrini contro l’ostruzionismo 5Stelle sul decreto Bankitalia che regalava 4,5 miliardi alle banche, i decreti del governo andranno obbligatoriamente approvati entro 60 giorni, con tanti saluti agli emendamenti e all’ostruzionismo dell’opposizione, relegata a un ruolo di pura testimonianza. Il tutto – come auspicava il profeta Licio – con l’apposita “modifica (già in corso) dei Regolamenti per ridare forza al principio del rapporto maggioranza-Governo, da un lato, e opposizione, dall’altro, in luogo dell’attuale tendenza assemblearistica”.

Nel lontano 1976, prima del boom delle tv locali, Gelli anticipava di un paio d’anni la nascita della tv via cavo Telemilano, poi ribattezzata Canale5 e seguita da Italia1 e Rete4 (“impiantare tv via cavo a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese”). E proponeva di “acquisire alcuni settimanali di battaglia”: cosa che il confratello B., tessera P2 n. 1816, fece nel ’90 comprandosi la sentenza che ribaltava il lodo Mondadori e gli regalava Epoca e Panorama. Quanto all’idea di “dissolvere la Rai-tv in nome della libertà di antenna”, è solo questione di tempo: dopo la rapina renziana di 150 milioni, la crisi di Viale Mazzini non può che peggiorare. 
Per mettere in riga le toghe, Gelli auspicava “la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati”: che arrivò con la legge Vassalli del 1988, dopo il referendum craxiano; ma ora si prepara un nuovo giro di vite.

Meno male che il berlusconismo era finito nel 2011. Dopo vent’anni di piduisti doc, ora abbiamo i piduisti a loro insaputa.

Work in regress

Sottotitolo: “Dal punto di vista politico abbiamo nel nostro programma delle riforme: il Senato deve essere abolito.”
[Benito Mussolini, 23 marzo 1919: dal discorso sulla fondazione dei Fasci di Combattimento] 

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 Non serviva il vaccino per berlusconi come pensava Montanelli. Serve l’antidoto per il testadicazzismo italico, piuttosto diffuso e ormai incancrenito che si fa affascinare dall’uomo della provvidenza, quali che siano la faccia e il nome. Uno vale l’altro. 

Dal bicameraLismo al bicameraTismo il passo è breve. 
Ma la storia, è evidente, non ha insegnato nulla.
Chi non rispetta le minoranze, gli intellettuali, non rispetta la democrazia.
I regimi totalitari nascono così, col disprezzo del pensiero diverso, tacitando il dissenso, togliendo di mezzo tutto quello che può ostacolare gli obiettivi di chi pensa di essere nel giusto e di agire per il bene di tutti. 
Ma al bene di tutti in politica ci deve pensare una rappresentanza dei tutti, non due o tre persone. O una sola.

Quando berlusconi chiedeva la fiducia era un antidemocratico fascista che annullava il parlamento, se la stessa cosa la fanno le larghe intese di Napolitano e del pd è per il bene  del paese, della stabilità e perché, ça va sans dire, ce lo chiede l’Europa, se berlusconi proponeva la nomina di ministri indagati, un paio perfino già condannati prontamente eseguita da Napolitano era uno scandalo: la feccia mafiosa in parlamento, ora che lo fa il pd di Renzi va bene perché non sia mai che non si debba essere garantisti fino al trecentesimo grado di giudizio. Quando berlusconi chiedeva più potere decisionale per il presidente del consiglio, quando diceva che i troppi passaggi delle leggi in parlamento erano una perdita di tempo di cui si poteva fare a meno era un reazionario, un fascista.

Ora che lo fa Renzi, fa bene, ha ragione, bisogna lasciarlo lavorare, Rodotà, Zagrebelsky, la Costituzione si devono rassegnare. 

 

Negli stracitati USA quale esempio di democrazia praticamente perfetta esistono ancora due forme di controllo che passano per il Congresso e per il Senato. I checks and balances, ovvero, controllo e  contrappeso. L’abolizione del Senato voluta da Renzi, concordata con un pregiudicato, discussa da un parlamento di nominati grazie ad una legge giudicata illegittima dalla Consulta  non ha affatto l’obiettivo di alleggerire il costo della democrazia, il fine è esattamente quello di eliminare il secondo filtro che molte volte è servito a modificare o eliminare del tutto dei disegni di legge sbagliati. L’abolizione del Senato l’aveva pensata mussolini nel 1919 ed è nel programma di Licio Gelli, il piano di rinascita democratica, la p2: non sembra quindi un’innovazione così moderna, pare piuttosto il completamento di un progetto che vuole riportare l’Italia ad un regime autoritario dove i manovratori possono essere liberi di decidere e legiferare secondo gli interessi di pochi: soprattutto dei loro,  e non dei tutti. Il tutto mascherato, così come avviene ormai da una ventina d’anni a questa parte, ovvero dal giorno in cui un abusivo, un impostore, un delinquente ha avuto libero accesso alla politica dalla politica, da decisioni perfettamente democratiche che però non risulta abbia chiesto nessuno.

Nessuno infatti aveva chiesto l’abolizione del Senato, si parlava di una riduzione dei parlamentari e dei loro stipendi, non della cancellazione di uno dei pilastri di una repubblica democratica quale dovrebbe essere l’Italia.

Il plebiscito è la forma più violenta del populismo: è fascismo nella sua essenza più pericolosa. In questo paese dovremmo aver imparato alla perfezione che la maggioranza non è sempre quella che ha ragione, anzi, le maggioranze in Italia hanno espresso sempre la peggior politica: il fascismo prima e berlusconi poi.
Figuriamoci che maggioranza può rappresentare, quale autorità può esercitare chi una maggioranza nel paese non ce l’ha perché nessuno gliel’ha accordata, al suo partito forse sì, ma non a lui come persona: il pd non è Matteo Renzi e il suo decidere in libertà, la sua e di chi suggerisce dietro le quinte né i due milioni e qualcosa di persone che hanno individuato in lui il segretario migliore. 

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Riforme, il ‘lasciatemi lavorare’ di Matteo Renzi – Marco Travaglio, 1 aprile

 

Dice Matteo Renzi ad Aldo Cazzullo del Corriere: “Io ho giurato sulla Costituzione, non su Rodotà o su Zagrebelsky”. Dirà il lettore del Corriere: perché, che c’entrano Rodotà e Zagrebelsky? IlCorriere infatti, come tutti i giornaloni, si è dimenticato di informare i cittadini che da una settimana Rodotà, Zagrebelsky e altri intellettuali hanno firmato un appello di ‘Libertà e Giustizia’ contro la “svolta autoritaria” delle riforme costituzionali targate Renzusconi. Stampa e tv ne hanno parlato solo ieri, e solo perché Grillo e Casaleggio (molto opportunamente) hanno aderito all’appello. In ogni caso Renzi, che è pure laureato in Legge, dovrebbe sapere che la Costituzione su cui ha giurato non prevede la dittatura del premier: cioè il modello mostruoso che esce dal combinato disposto dell’Italicum, della controriforma del Senato e del premierato forte chiesto a gran voce dal suo partner ricostituente privilegiato (Forza Italia). All’autorevole parere dei “professoroni o presunti tali”, Renzi oppone “il Paese” che “ha voglia di cambiare”, dunque è con lui. Quindi, per favore, lasciamolo lavorare.

Grasso dissente dalla riforma del Senato? “Si ricordi che è stato eletto dal Pd”, rammenta la Serracchiani con un messaggio mafiosetto che presuppone un inesistente vincolo di mandato (o il Pd lo contesta solo se lo invoca Grillo?). Grasso tradisce la sua “terzietà”, rincara Renzi, confondendo terzietà con ignavia: come se il presidente del Senato non avesse il diritto di commentare la riforma del Senato. E aggiunge: “Se Pera o Schifani avessero fatto così, avremmo i girotondi della sinistra contro il ruolo non più imparziale del presidente del Senato”. Ora, i girotondi nacquero per difendere la Costituzione dagli assalti berlusconiani: dunque è più probabile che oggi sarebbero in piazza se B. facesse da solo quel che fa Renzi con lui.

Ma, visto che c’è di mezzo il Pd, anche i giornali di sinistra tacciono e acconsentono. E gli elettori restano ignari di tutto. Quanto poi al “Paese”: Renzi dimentica che nessuno l’ha mai eletto (se non a presidente di provincia e a sindaco) e il suo governo si regge su un Parlamento delegittimato dalla sentenza della Consulta e su una maggioranza finta, drogata dal premio incostituzionale delPorcellum. Altrimenti non avrebbe la fiducia né alla Camera né al Senato. Eppure pretende di arrivare a fine legislatura e financo di cambiare la Costituzione: ma con quale mandato popolare, visto che nel 2013 nessun partito della maggioranza aveva nel programma elettorale queste “riforme”?

Su un punto il premier ha ragione: la gente vuole cambiare. Ma cosa? E per fare cosa? Davvero Renzi incontra per strada milioni di persone ansiose di trasformare il Senato nell’ennesimo ente inutile, undopolavoro per consiglieri regionali e sindaci (perlopiù inquisiti)? Davvero la “gente” gli chiede a gran voce di sostituire il Porcellum con l’Italicum, che consentirà ai partiti di continuare a nominarsi i parlamentari come prima? Se la “gente” sapesse cosa c’è nelle “riforme”, le passerebbe la voglia di cambiare.

Prendiamo l’Italicum, approvato a Montecitorio e già rinnegato dai partiti che l’hanno votato (peraltro solo per la Camera). Pare scritto da uno squilibrato. A parte le liste bloccate, le variopinte soglie di accesso (4,5, 8 e 12%), e i candidati presentabili in 8 collegi, c’è il delirio del premio di maggioranza: chi vince al primo turno col 37% dei voti prende 340 deputati; chi vince al ballottaggio col 51% o più, ne prende solo 327 e governa con uno scarto di 6 voti. Cioè non governa. Ma levàtegli il vino. 

Prendiamo il nuovo “Senato delle autonomie”. Sarà composto da 148 membri non elettivi e non pagati: i presidenti di regione, i sindaci dei capoluoghi di regione, due consiglieri regionali e due sindaci per regione (senza distinzioni fra Val d’Aosta e Lombardia, Molise ed Emilia Romagna, regioni ordinarie e a statuto speciale), più 21 personaggi nominati dal Quirinale.

Con quali poteri? Niente più fiducia ai governi né seconda lettura sulle leggi: il Senato però voterà ancora sulle leggi costituzionali, sul capo dello Stato, sui membri del Csm e della Consulta (ma con quale legittimità democratica, visto che non sarà eletto?), ed esprimerà un parere non vincolante su ogni legge ordinaria votata dalla Camera. Ma come faranno i governatori, i sindaci e i consiglieri a fare il proprio lavoro nelle regioni e nelle città e contemporaneamente a esaminare a Roma ogni legge della Camera? Renzi racconta che la riforma farà risparmiare tempo e denaro. Mah. Sul tempo: le peggiori porcate, come il lodo Alfano, sono passate in meno di un mese. E chi l’ha detto che all’Italia servono più leggi? Ne abbiamo almeno 350 mila, spesso pessime o in contraddizione fra loro. Andrebbero ridotte e accorpate, non aumentate.

Quanto al denaro, lo strombazzato risparmio di 1 miliardo all’anno in realtà non arriva a 100 milioni: la struttura resterà in piedi, spariranno solo i 315 stipendi (ma bisognerà rimborsare le trasferte dei nuovi membri). Perché non dimezzare il numero e le indennità dei parlamentari, conservando due Camere elettive con compiti diversi (tipo Usa) e con 315 deputati e 117 senatori pagati la metà, risparmiando più di 1 miliardo (vero)? Da qualunque parte la si prenda, anche questa “riforma” non ha senso, se non quello di raccontare che “le cose cambiano”. Cavalcando il discredito delle istituzioni, Renzi ne approfitta per distruggerle definitivamente. Forse era meglio giurare su Zagrebelsky e Rodotà, anziché su Berlusconi e Verdini. 

PS. Napolitano fa sapere di essere “da tempo contrario al bicameralismo paritario”. E quando, di grazia? Quando presiedeva la Camera? Quando fu nominato da Ciampi senatore a vita? Quando fu eletto e rieletto al Colle da Camera e Senato? O quando nominò 5 senatori a vita? Ci dica, ci dica.

Informazione [si fa per dire]: scusate se insisto

Sottotitolo: “Fra trent’anni l’Italia non sarà come l’ha fatta la politica ma come l’hanno fatta le televisioni”. Questo l’ha detto Ennio Flaiano, che è morto nel 1973, quindi in tempi meno sospetti di questo. Per non parlare di quanto detto e scritto da Pasolini a proposito dell’effetto devastante dei mezzi di informazione quando sono usati e gestiti male, con l’obiettivo di favorire il potere e non quello di raccontare i fatti affinché la gente poi impari ad elaborare le giuste riflessioni su ciò che esiste davvero, dunque non per costruire modelli perlopiù negativi, contrari a qualsiasi forma di etica in cui la gente non si riconosce, che a leggerlo adesso sembra scritto e detto l’altra settimana.

Io, lo dico spesso a mò di implorazione, di preghiera, non pretendo da tutti una chissà quale cultura avanzata che non possiedo neanch’io, ma almeno la conoscenza di questi ultimi trent’anni di storia, per capire, per non farsi prendere per il culo, per sapere chi dice la verità e chi invece la nasconde dietro il chiacchiericcio delle finte risse in tv. Oggi molti parleranno della finta lite fra Cicchitto e sallusti e non della fiducia che probabilmente si darà ad un governo che agisce sotto l’egida dell’Europa peggiore, quella liberista che ammazza lo stato sociale e i diritti civili, del lavoro, in virtù di una crisi provocata ad arte di cui non sono responsabili quelli che la stanno pagando. E quelli che stanno per decidere la fiducia al governicchio liberticida di Napolitano sono gli stessi che avevano giurato che Ruby era la nipote di Mubarak. Gli stessi TRADITORI dello stato. #colLetta.

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Mauro Biani

Il punto più significativo, e più basso, di Ballarò di ieri sera secondo me non è stata la lite fra Cicchitto e sallusti ma il successivo commento di Paolo Mieli quando riferendosi a Cicchitto ha detto più o meno che lui ha avuto dei problemi, un passato complicato ma che non gli si può riconoscere il ruolo di traditore. 
Ovvero Paolo Mieli ha riconosciuto una dignità politica a Cicchitto evitando accuratamente di fare riferimento a quei problemi che hanno riguardato Cicchitto e che si chiamano P2.  Quando l’ho sentito ho fatto un salto sulla sedia, si spera sempre “ora lo dice, lo dirà” e invece no, nessuno dice  che se questo fosse un paese normale tutta la P2 e i suoi derivati sarebbero in una galera da vent’anni, lontani dalla società civile e dimenticati da tutti, purtroppo, e invece, in questo paese c’è un sacco di gente che non sa nemmeno cos’è la P2, trasformatasi nel tempo in 3, 4 eccetera. Ecco perché dare una forma di dignità politica a Cicchitto significa non aver capito un cazzo di quello che è successo in Italia in questi ultimi trent’anni, anche un po’ prima di silvio il pregiudicato, quindi.

La televisione imbambola la gente con la finta lite in studio, a meno che qualcuno creda davvero che quei due stessero facendo sul serio, così oggi tutti parleranno della lite e non dei contenuti di un programma che informa in modo parziale, pilotato dalla politica che se questo fosse un paese normale non avrebbe nessun diritto né il modo di influenzare l’informazione in modo così sfacciato. Margaret Thatcher usava dire: “la BBC non mi piace ma non posso farci nulla”.

Questo è il paese dove tutti sanno tutto, dove non c’è bisogno di nessuno che racconta le cose, dove si guarda a chi le racconta, e invece di andare a verificare se le cose che si riportano sono vere o false si preferisce prendersela con chi le dice e le scrive. Solo in un paese a maggioranza di deficienti e ignoranti dal punto di vista della conoscenza si può criticare un giornalista perché è lui come succede sistematicamente a Marco Travaglio perché non si possono confutare né smentire le cose che scrive e che dice. Ecco perché poi i Paolo Mieli diventano le eccellenze e gli altri, quelli che non hanno piegato la schiena al conflitto di interessi di berlusconi né al suo libro paga, gli scemi del villaggio.  

Qui in rete, lo vedo anche dalla mia pagina di facebook si rischia ogni giorno l’accusa di presuntuosità, molti ti leggono e rispondono alle varie cose che si pubblicano con l’aria da “ma questa che dice, che vuole?” solo perché scrivi di cose che non conoscono. E invece di andare a vedere se sono vere preferiscono prendersela con chi gliele racconta.

Riconoscere una storia politica a chi ha fatto parte di una loggia segreta eversiva il cui obiettivo era il rovesciamento dello stato significa dare dignità ed un significato POLITICO, e ancorché storico a tutto quello che è successo in questi ultimi vent’anni, ovvero la messa in pratica di quel progetto criminale che è il piano di rinascita di Licio Gelli che nel 2003 in un’intervista a Repubblica  si vantava che tutto [giustizia, ordine pubblico, televisione] stava andando come da lui voluto trent’anni prima e che forse avrebbe dovuto pretendere i diritti d’autore.

E se il bravo presentatore avesse fatto ascoltare tutta l’intervista a Grillo, del quale tutto si può dire meno che non abbia la giusta competenza e conoscenza delle dinamiche dell’informazione italiana, invece dei venti secondi stralciati da un quarto d’ora di dichiarazioni interessanti e vere sullo stato pietoso dell’informazione del servizio pubblico forse la gente capirebbe che se l’Italia è al livello più infimo in materia di libertà di stampa e informazione, nelle classifiche internazionali si trova sotto o al pari di paesi che almeno non si vantano di essere democrazie, lo si deve anche, soprattutto, a gente come Paolo Mieli considerato un’autorevole eccellenza giornalistica ma nei fatti solo uno dei tanti funzionari del sistema “status quo” italiano e alle trasmissioni come Ballarò, grazie alla quale, val la pena di ricordarlo, un’anonima dirigente di un sindacato inutile come Renata Polverini  è stata aiutata a diventare niente meno che governatrice del Lazio.

La disinformazione crea mostri che nessuno poi può più distruggere, e la conferma l’abbiamo proprio nella figura di berlusconi che grazie alle sue tv e al controllo che ha potuto esercitare poi da “politico” sulle altre, sul cosiddetto servizio pubblico, ha stravolto e deformato un paese intero.

Il divo Giulio

 Sottotitolo: alle spalle di Andreotti giganteggia la parola INNOCENTE sul maxischermo di Porta a porta nella famosa puntata successiva alla PRESCRIZIONE di Giulio Andreotti.
Prescrizione non vuol dire affatto assoluzione ma per bruno vespa questo fu un dettaglio ininfluente, la tv di stato, il servizio pubblico non ritenne opportuno spiegare agli italiani attraverso il suo – ahimé – programma di approfondimento politico [ari_ahimé] di spicco, non foss’altro perché si prende cinque sere a settimana da anni che Giulio Andreotti non fu assolto per innocenza ma prescritto in un processo per mafia. Che non è la stessa cosa.

Solo al pensiero di quello che dovremo leggere e sentire già mi sento male.
Santo, santo, lo faranno diventare.
Se l’hanno assolto da vivo figuriamoci che faranno adesso che è morto.

Morto a 94 anni Giulio Andreotti
Dagli incarichi di Stato ai misteri italiani

Preambolo:  Tenete il fiato, di Massimo Rocca per il Contropelo di Radio Capital

Avete presente la scena del Divo, quando Andreotti arriva alla giunta per le autorizzazioni a procedere? Nella realtà la folla delle telecamere e dei giornalisti era almeno il triplo, io quel 14 aprile del 93 ero lì in mezzo, nel meraviglioso cortile di Sant’Ivo alla Sapienza. Andreotti normalmente pallido era terreo, la bocca sottile non c’era più, più che gobbo era curvo. Fu come essere alla Concorde quando un condannato saliva alla ghigliottina. Lui aveva paura. Io ero molto ingenuo. Mi sembrò il culmine di quello che era iniziato un anno prima nel Pio Albergo Trivulzio, sedici giorni dopo avrei visto Craxi fuggire dal Raphael sotto una pioggia di monetine. Cadevano uno dopo l’altro i potenti, la magistratura diceva, trovava, provava, quello che avevamo sempre detto. Ci sembrava, in piccolo, la nostra Liberazione. Si respirava a pieni polmoni. Dimenticavo, brutto per uno storico di formazione, che in Italia si respira per poco, un paio d’anni ogni tanto. Tra il 59 e il 61 dell’ottocento, tra il 43 e il 45. Undici mesi dopo Berlusconi vinceva le elezioni.

E siamo sempre alle solite.
Alle squallide faccende di casa nostra che riguardano un’informazione viziata dalla malattia della menzogna a getto continuo.
Ecco perché poi quando qualche “folle visionario” col vizio della verità cerca di fare chiarezza viene accusato di gettare fango e di essere lui, il bugiardo.
Giulio Andreotti non è stato affatto uno statista apprezzabile e degno di una forma superiore di rispetto perché non ha fatto proprio niente di rilevante per dover passare alla storia come tale.
Ieri scrivevo sulla mia pagina di facebook che al di là di tutto, Andreotti si è fatto processare, Craxi ha preferito latitare ma nessuno dei due ha mandato un paese a carte quarantotto per i suoi guai con la giustizia.

Solo uno c’è riuscito, evidentemente perché più di qualcuno si è attivato per consentirlo.

Perché doveva andare così e deve ancora essere così.
E se berlusconi è più di Andreotti, più di Craxi e più di entrambi messi insieme questo paese è davvero in pericolo: non è una leggenda metropolitana e nemmeno qualcosa su cui si può ancora scherzare e farci su dell’ironia.

E quello che mi fa incazzare è che tutti e tre hanno la nomea di statisti, quelli morti perché rivisitati e ripuliti perbenino, quello vivo perché comunque ha la possibilità di tenere sotto scacco un paese per i fatti suoi ma tutti e tre non avranno il giudizio storico che si meritano.

Anche il Coni ha proclamato per le manifestazioni sportive il minuto di lutto nazionale, il lutto nazionale per un prescritto per mafia.

Poi dice perché berlusconi sta ancora lì.

Ma il fatto di aver preferito accettare le regole di uno stato di diritto, o almeno di quel che ne resta non può essere un motivo per elogiare un signore che non è stato sanzionato per un abuso edilizio o per aver lasciato la macchina in divieto di sosta ma processato per mafia, nello specifico per “il reato di associazione per delinquere” commesso fino alla primavera del 1980 e assolto “per insufficienza di prove” per quello di associazione mafiosa.

E nessuna delle due sentenze significa innocenza a trecentosessanta gradi, la prescrizione interviene quando scadono i tempi regolamentari necessari ad un processo per arrivare ad una giusta sentenza, l’insufficienza di prove quando non sono state raccolte quelle prove che potrebbero produrre un altro risultato: l’insufficienza di prove potrebbe essere anche legata alla negligenza di investigatori poco capaci, ad esempio. 

Negligenti per scarsa capacità o magari perché hanno pensato che non fosse opportuno essere più precisi nella ricerca.

Ma tutto questo non sta impedendo in queste ore che seguono la dipartita di colui che sembrava esente anche dalla morte, di parlare di lui come se fosse stato determinante per il cammino di questa nostra democrazia.

E invece non è affatto così.

Andreotti si porta via, nella sua “miglior vita” molte cose e tutte importantissime, i segreti e le omissioni sulle stragi di stato e di mafia ad esempio, fare chiarezza su questi e non ricoprirli col solito alibi, paravento di quella ragion di stato che tanto male ha fatto e continua a fare a questo stato avrebbe potuto migliorare la democrazia, rendere questo un paese fatto di gente consapevole e capace di distinguere la figura di uno statista da quella di un signore il cui unico interesse è stato accumulare una quantità spropositata di potere. 
Gente che grazie alla verità sui fatti passati avrebbe magari evitato di riportare al potere persone interessate non al bene dello stato ma unicamente al loro.

E la sua frase ormai entrata nel linguaggio comune: “il potere logora chi non ce l’ha” è l’ammissione perfetta, esatta, di quello che è stato l’uomo politico  Giulio Andreotti.

Giulio, eri tutti loro
Marco Travaglio, 7 maggio

Uno straniero atterrato ieri in Italia da un paese lontano durante la lunga veglia funebre per Andreotti a reti unificate, vedendo le lacrime e ascoltando le lodi dei politici democristi e comunisti, berlusconiani e socialisti, ma anche dei giornalisti e degli intellettuali da riporto di tutte le tendenze e parrocchie, non può non pensare che l’Italia abbia perso un grande statista, il miglior politico di tutti i tempi, un padre della Patria che ha garantito al Paese buongoverno e prosperità, e ciononostante fu perseguitato con accuse false da un pugno di magistrati politicizzati, ma alla fine fu riconosciuto innocente e riabilitato agli occhi di tutti nell’ottica di una finalmente ritrovata pacificazione nazionale. 
La verità, naturalmente, è esattamente quella opposta. Non solo giudiziaria. Ma anche storica e politica. È raro trovare un politico che ha occupato tante cariche (7 volte premier, 33 volte ministro, da 13 anni senatore a vita) e ha fatto così poco per l’Italia: nessuno — diversamente che per gli altri cavalli di razza Dc, da De Gasperi a Fanfani a Moro – ricorda una sola grande riforma sociale o economica legata al suo nome, una sola scelta politica di ampio respiro per cui meriti di essere ricordato. Andreotti era il simbolo del cinismo al potere, del potere per il potere, fine a se stesso, del “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Il primo responsabile, per longevità politica, dello sfascio dei conti pubblici che ancora paghiamo salato. Un politico buono a nulla, ma pronto a tutto e capace di tutto. Il principe del trasformismo, che l’aveva portato con la stessa nonchalance a rappresentare la destra, la sinistra e il centro della Dc, a presiedere governi di destra ma anche di compromesso storico, a essere l’uomo degli Usa ma anche degli arabi. Un politico convinto dell’irredimibilità della corruzione e delle collusioni, che usò a piene mani senza mai provare a combatterle, perchè – come diceva Giolitti e come gli suggeriva la natura – “un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all’abito”. Eppure, o forse proprio per questo, era il politico più popolare. Perchè il più somigliante a quell’ “italiano medio” che non è tutto il popolo italiano. Ma ne incarna una bella porzione e al contempo la tragica maschera caricaturale. Se però Andreotti spaccava gli italiani, affratellava i politici, che han sempre visto in lui – amici e nemici – il proprio santo patrono e protettore. La sua falsa assoluzione, in fondo, era anche la loro assoluzione. Per il passato e per il futuro. Per questo, quando le Procure di Palermo e Perugia osarono processarlo per mafia e il delitto Pecorelli, si ritrovarono contro tutto il Palazzo. Il massimo che riusciva a balbettare la sinistra era che, sì, aveva qualche frequentazione discutibile, ma che stile, che eleganza in quell’aula di tribunale dove non si era sottratto al processo (il non darsi alla latitanza già diventava un titolo di merito). 
Fu parlando del suo processo che B. diede dei “matti, antropologicamente diversi dalla razza umana” a tutti i giudici. Fu quando si salvò per prescrizione che Violante criticò l’ex amico Caselli per averlo processato e la Finocchiaro esultò per l’inesistente “assoluzione”. Anche i magistrati più furbi e meno “matti”, come Grasso, si dissociarono dal processo e fecero carriera. Oggi le stesse alte e medie e basse cariche dello Stato che l’altroieri piangevano la morte di Agnese Borsellino piangono la morte di Giulio Andreotti. Ma non è vero che fingano sempre: piangendo Andreotti, almeno, sono sincere. Enrico Letta, alla notizia che la Cassazione aveva giudicato Andreotti mafioso almeno fino al 1980, si abbandonò a pubblici festeggiamenti: “Quante volte da bambino ho sentito nominare Andreotti a casa di zio Gianni. Era la Presenza e basta, venerata da tutti. Io avevo una venerazione per questa Icona!”. E giù lacrime per l'”ingiustizia” subìta dalla venerata Presenza anzi Icona, fortunatamente “andata a buon fine” tant’è che “siamo tutti qui a festeggiare” (un mafioso fino al 1980). 
L’altro giorno Letta jr. è divenuto presidente del Consiglio. 
È stato allora che il Divo ha capito di poter chiudere gli occhi tranquillo.

Passer(à) anche questo [speriamo]

Sottotitolo: “Guardo il Paese, leggo i giornali e dico: avevo già scritto tutto trent’anni fa” .
Giustizia, tv, ordine pubblico è finita proprio come dicevo io.” { Licio Gelli, 28 settembre 2003 }

In questo paese anche il concetto di “turn over” si applica ad personam.
Per smantellare la procura di Palermo e rendere ancora più complicata l’azione antimafia è buono, per fare un repulisti come si deve in parlamento, no.
Nell’unico ambito in cui un ricambio è necessario, igienico e salutare al turn over, chissà perché, non ci ha pensato mai nessuno.
Evviva, come sempre, l’Italia.

Palermo, azzerata la squadra antimafia. E anche in procura arriva il turnover

Preambolo: c’è trattativa e trattativa.
Con le BR no, con tanti saluti ad Aldo Moro, con la mafia sì.
Sarebbe carino se sul sito del Governo pubblicassero un elenco dei possibili interlocutori, così poi ci  si regola.

Strepitoso  Travaglio che in una pagina e mezza di giornale ieri  ha smontato tutta la commedia degna del  peggior Teatro de’ servi sceneggiata e prodotta dalla premiatissima ditta «Eugenio Scalfari: un uomo molti perché».

Dal primo all’ultimo {speriamo} atto.

Non riesco a capire perché “La Repubblica” non sia stata  abbandonata da quelle firme che hanno ancora un’idea degna del giornalismo.

Povero D’Avanzo, che delle inchieste di mafia aveva fatto una delle sue ragioni di vita.

Troppo facile, per un quotidiano che vuole definirsi prestigioso  scrivere per settimane, mesi, per anni  quasi esclusivamente del mignottificio di Hardcore.

Allora valeva tutto, domande,  post-it, dossier, “speciali” mandati in onda in diretta  e in replica dalle radio associate al Gruppo Espresso.

Per SM Re Giorgio, invece,  su qualcosa si puó sorvolare e dimenticarsi del proprio professionismo.

Ragion di stato: “robba forte”.

“Eugenio che dici”, i 10 motivi per cui Scalfari sbaglia sulla trattativa Stato-mafia

Il fondatore di Repubblica ha risposto a Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, che venerdì aveva fatto a pezzi il conflitto di attribuzione di Napolitano contro la Procura di Palermo. E, già che c’era, ha offeso la logica, la verità storica, la professionalità dei magistrati e la memoria di Falcone.

Famiglia Cristiana attacca il Meeting: “Cl applaude soltanto i potenti”

Dalle colonne del settimanale cattolico l’attacco alla kermesse ciellina che fa più male: “Cossiga, Andreotti, Craxi, Formigoni: applausi per tutti a prescindere da ciò che dicono. Poco importava se il Paese, intanto, si avviava sull’orlo del baratro. Su cui ancora continuiamo a danzare. Non c’è senso critico, ma omologazione”.

Corrado Passerella
Marco Travaglio, 22 agosto

Due estati fa il banchiere Corrado Passera sfilava in passerella al Meeting di Rimini, dove ormai è una rubrica fissa, con una requisitoria contro “tutta la classe dirigente italiana” che “non risolve i problemi della gente” e “suscita indignazione”. Applausi a scena aperta dalla platea di Comunione e Fatturazione, che un applauso non l’ha mai negato a nessuno, anch’essa indignata contro la classe dirigente che non risolve i problemi della gente, ma quelli del Meeting di Cl sì, finanziato negli anni dai migliori esponenti della classe dirigente: Berlusconi, Ciarrapico, Tanzi, Eni, Banca Intesa (cioè Passera coi soldi dei risparmiatori) e Regione Lombardia (cioè Formigoni coi soldi dei lombardi). Il noto marziano naturalmente non aveva nulla a che vedere col Passera che amministrò Olivetti (poi venuta a mancare all’affetto dei suoi dipendenti), Poste Italiane e Intesa, dunque membro della classe dirigente che fa indignare i cittadini. Altrimenti avrebbe dovuto autodenunciarsi e beccarsi bordate di fischi. L’altroieri il Passera è tornato per la decima volta al Meeting, non più in veste di banchiere ma in quella di esaministro (Sviluppo economico, Infrastrutture, Trasporti, Comunicazioni, Industria e Marina mercantile): infatti ha evitato di riprendersela con la classe dirigente. Ha invece annunciato che “l’uscita dalla crisi è vicina, dipenderà molto da quello che si riuscirà a fare”. Altrimenti l’uscita è lontana.  Applausi scroscianti, gli stessi che nel corso degli anni han salutato Andreotti, Sbardella, Martelli, Forlani, Cossiga, D’Alema, Berlusconi, Napolitano, Bersani, persino Tarek Aziz e ieri Betulla Farina, Alfonso Papa e Luciano Violante (se un giorno salisse sul palco una donna delle pulizie o Jack lo Squartatore e si spacciassero per ministri di qualcosa, verrebbero sommersi di ovazioni). Il “nuovo Passera” uscito dal fonte battesimale di Rimini, manco fossero le acque del Giordano o del Gange o dello Yangtze, distinguibile dal vecchio per via delle maniche di camicia al posto della giacca, ha poi distillato altre perle di rara saggezza: essendo indagato per frode fiscale, ha detto che “bisogna trovare le risorse per abbassare le tasse,  una vera zavorra, fra le più alte al mondo”. In qualunque altro posto, gli avrebbero domandato: “Scusi, lo dice a noi che le paghiamo? Ma lei è un ministro o un passante?”. Lì invece l’hanno applaudito. Anche se, in nove mesi da esaministro, non ha toccato palla (leggendario il giorno in cui annunciò un “decreto per la crescita” che avrebbe addirittura “mobilitato risorse fino a 80 miliardi”, ovviamente mai visti manco in cartolina). Poi ha minacciato la platea con un modesto “sappiate che la responsabilità che sentivo verso il vostro mondo nelle vite precedenti, in quella attuale è molto aumentata”. Mecojoni, direbbero a Roma. Applausi. Siccome poi Maroni l’ha invitato agl’imminenti, imperdibili “Stati generali del Nord” in programma a Torino, ha aggiunto: “Dobbiamo riprendere il federalismo”. Ma certo, come no. I retroscenisti dei giornali, chiamati a decrittare il sànscrito dei politici, e ora dei tecnici, sostengono che Passera era a Rimini perché “il Meeting porta fortuna” e lui sogna una Lista Passera, o un Partito dei Tecnici, o una Cosa Bianca, o un Grande Centro, o un centrino, o un centrotavola, insomma qualcosa che lo issi a Palazzo Chigi o al Quirinale, visto che ritiene “improbabile” un suo ritorno a Intesa (e a Intesa condividono). Ormai si crede un leader, un trascinatore di folle, e nessuno ha il cuore di avvertirlo che gli applausi ciellini non han mai portato voti a nessuno. Un banchiere con la faccia da travet, specie di questi tempi, può travestirsi come vuole, farsi fotografare dai rotocalchi sulla spiaggia con la faccia da figaccione, la sua signora e l’incolpevole prole, ma resta sempre un banchiere con la faccia da travet, la cui popolarità fra gli elettori è inversamente proporzionale a quella sui giornali. Passerà (con l’accento).