Fermiamo i ladri della democrazia

E’ vero che Renzi non viene disturbato dall’informazione mainstream abituata alla posizione a 90 di fronte a qualsiasi potere tenga aperti i rubinetti dei vari finanziamenti, ma è anche vero che nemmeno la societá civile riunita sotto gli ombrelli delle associazioni fa un plissè. Il popolo viola come le “senonoraquandiste” evidentemente soddisfatte di avere la loro bandiera seduta alla Camera e la giusta percentuale di quote rosa al governo. 
Quindi non serve più chiamare la piazza per difendere il paese dall’immoralitá criminale di berlusconi. Non fa paura nello stesso modo Renzi che sta cazzeggiando con la democrazia con l’intenzione di violare la Costituzione insieme ad un pregiudicato e ad un imputato molto più di quanto sia riuscito a fare berlusconi stesso.

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Le controriforme dell’Italicum e del Senato, concordate dal governo con il pregiudicato Berlusconi e il plurimputato Verdini consentono a un pugno di capi-partito di continuare a nominarsi i deputati, aboliscono l’elezione dei senatori ed espropriano i cittadini della democrazia diretta: i referendum (non più 500mila, ma 800mila firme) e le leggi di iniziativa popolare (non più 50mila, ma 250mila firme). Chiediamo ai presidenti Napolitano, Grasso, Boldrini e Renzi di sostenere solo riforme che rispettino lo spirito dei Costituenti, per una vera democrazia partecipata
Antonio Padellaro, Marco Travaglio, Peter Gomez e la redazione del Fatto Quotidiano

NO AI LADRI DI DEMOCRAZIA – FIRMA
In un’ora già oltre cinquemila adesioni

Patto del Nazareno e Senato dei nominati: piduisti a loro insaputa – Marco Travaglio

 

Contro i nominati in Parlamento e referendum limitati: petizione per riforme dalla parte dei cittadini
10 IDEE PER ISTITUZIONI DAVVERO PARTECIPATE – DI’ LA TUA SULLE PROPOSTE DEL FATTO

“Nei confronti del mondo politico occorre… usare gli strumenti finanziari… per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno sulla sinistra… e l’altro sulla destra… fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile. Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un’azione politica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche”. Così scriveva Licio Gelli nel Piano di Rinascita Democratica, elaborato intorno al 1976 con l’aiuto di alcuni “saggi” e sequestrato nell’82 a Fiumicino nel doppiofondo della valigia della figlia Maria Grazia.

Quanto al Parlamento, il capo della P2 sfoderava una gamma di proposte davvero profetiche. “Ripartizione di competenze fra le due Camere” con due “nuove leggi elettorali diverse: per la Camera di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco)”; e – udite udite – “per il Senato di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali”. Uno spettacolare caso di telepatia vuole che proprio questo sia il “Senato delle Autonomie” inventato da Renzi & B: Camera elettiva, ma fino a un certo punto (l’Italicum, con le liste bloccate dei deputati nominati, rende il Piano di Gelli un tantino troppo democratico); e Senato con elezione di “secondo grado”, cioè con i consigli regionali che nominano senatori 95 fra consiglieri e sindaci. Il Maestro Venerabile meriterebbe almeno il copyright. Anche per l’idea di espropriare il Senato del voto di fiducia: “Modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera” e “per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) e al Senato preponderanza economica (esame del bilancio)”. Qui però i venerabili allievi Matteo e Silvio vanno addirittura oltre: la Camera vota in esclusiva la fiducia al governo del premier-padrone della maggioranza, e il Senato non vota più neppure il bilancio.

Poi accolgono in toto un’altra geniale intuizione gelliana: “Stabilire che i decreti-legge sono inemendabili”. Fatto: inserendo in Costituzione la ghigliottina, sperimentata da Laura Boldrini contro l’ostruzionismo 5Stelle sul decreto Bankitalia che regalava 4,5 miliardi alle banche, i decreti del governo andranno obbligatoriamente approvati entro 60 giorni, con tanti saluti agli emendamenti e all’ostruzionismo dell’opposizione, relegata a un ruolo di pura testimonianza. Il tutto – come auspicava il profeta Licio – con l’apposita “modifica (già in corso) dei Regolamenti per ridare forza al principio del rapporto maggioranza-Governo, da un lato, e opposizione, dall’altro, in luogo dell’attuale tendenza assemblearistica”.

Nel lontano 1976, prima del boom delle tv locali, Gelli anticipava di un paio d’anni la nascita della tv via cavo Telemilano, poi ribattezzata Canale5 e seguita da Italia1 e Rete4 (“impiantare tv via cavo a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese”). E proponeva di “acquisire alcuni settimanali di battaglia”: cosa che il confratello B., tessera P2 n. 1816, fece nel ’90 comprandosi la sentenza che ribaltava il lodo Mondadori e gli regalava Epoca e Panorama. Quanto all’idea di “dissolvere la Rai-tv in nome della libertà di antenna”, è solo questione di tempo: dopo la rapina renziana di 150 milioni, la crisi di Viale Mazzini non può che peggiorare. 
Per mettere in riga le toghe, Gelli auspicava “la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati”: che arrivò con la legge Vassalli del 1988, dopo il referendum craxiano; ma ora si prepara un nuovo giro di vite.

Meno male che il berlusconismo era finito nel 2011. Dopo vent’anni di piduisti doc, ora abbiamo i piduisti a loro insaputa.

Gli sfatti quotidiani

Il Fatto Quotidiano va difeso quando dà davvero le notizie che gli altri giornali non danno. Quando i servi e servetti di regime lo accusano di essere un giornale di manettari forcaioli solo perché difende quello stravagante concetto scritto perfino nella Costituzione che la legge deve essere uguale per tutti.

Ma diventa indifendibile quando espone delle notizie con lo scopo di esporre al ludibrio, alle offese i protagonisti delle vicende che racconta, quando certe notizie vengono date in modo tale da scatenare le peggiori reazioni di pancia dei commentatori. Tre esempi su tutti, notizie di queste ore: il  giro di prostituzione minorile in cui è coinvolto anche il marito della mussolini,  l’omicidio della donna compiuto dal marito davanti ai figli e in ultimo l’allontanamento di un bambino di quattro anni dall’asilo perché ritenuto troppo violento. Basta entrare nel sito e leggere i commenti per capire che la finalità di chi gestisce le pagine di uno dei quotidiani on line  più letti, che fa tendenza perché ha la possibilità di orientare le opinioni non è esattamente quella di offrire uno spazio pubblico di confronto. Altrimenti non si darebbe nessuno spazio a chi si permette di scrivere che sì, va bene lo sfruttamento ma insomma in fin dei conti le ragazzine sapevano quello che facevano [a 14, 15 anni] e che male c’è se qualcuno [di 58 anni] ne ha approfittato. Oppure che un marito che ammazza sua moglie a martellate avrà avuto delle ottime ragioni per farlo e, se un bambino di quattro anni  dà fastidio ai compagni e viene escluso dall’asilo è perché i suoi genitori non lo educano a forza di botte.  Nel sito del Fatto è concentrata la feccia più odiosa, disgustosa dei commentatori della Rete, che può agire in forza dell’incapacità di una redazione che disattende le stesse regole che poi impone e fa subire a quella parte di utenza che l’educazione non va ad impararsela in giro per la Rete ma se la porta già da casa. E più gli argomenti sono delicati più si lasciano passare i concetti più violenti.

Giorni fa il vicedirettore Travaglio, risentito dei commenti negativi rivolti a Beatrice Borromeo che sta scrivendo un’inchiesta a puntate che inchiesta non è circa il sesso fra gli adolescenti ha pubblicato un post intriso di violenza verbale e contumelie rivolte ad un blogger che aveva scritto un controcanto di critica, discutibile ma esposto in uno spazio suo che non ha nessuna velleità informativa, lo ha minacciato di denuncia scrivendo che Il Fatto “ricaccerà la merda in gola” a chi si è permesso di contestare un articolo e chi lo ha scritto. Dunque il vicedirettore si prende la briga di difendere una collaboratrice del giornale manco fosse una ragazzina incapace di farlo da sola e lo fa utilizzando egli stesso un linguaggio violento. Forse è per questo che nel Fatto non trovano niente di strano se centinaia di persone ogni giorno esprimono il peggio in termini di razzismo, omofobia, apologie e istigazioni alla violenza?  Io Il Fatto Quotidiano lo compro dalla sua prima uscita, so benissimo che la versione cartacea con quella on line c’entra poco, Travaglio lo leggo da vent’anni,  seguo lui, Padellaro e Colombo da quando scrivevano su l’Unità da cui sono stati cacciati tutti e tre, ma la linea editoriale adottata nella versione web non mi piace, non risponde affatto a quella informazione che un giornale che si vanta di essere contro le censure, di dire “quello che gli altri non dicono” dice di portare avanti. Penso che chi si esprime in pubblico, che sia un vicedirettore di giornale, un articolista o una semplice blogger, utente dei social network e commentatrice nei siti on line dei quotidiani  come me abbiano delle responsabilità, una su tutte quella di non veicolare pensieri violenti in un periodo nel quale la violenza, di ogni ordine e grado pare sia diventata una virtù.

Lacreme napulitane

Sottotitolo: “C’è gente che pagherebbe per vendersi” [Victor Hugo]

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Un governo che cade in segno di solidarietà nei confronti di un delinquente. Che bel paese che siamo. Neanche a Gotham City una roba così. [Andrea Scanzi]

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150 giorni dopo – Alessandro Gilioli

Bastava non abboccare 150 giorni fa, caro Enrico, cari dirigenti dell’attuale Pd.
Davvero non sapevate, 150 giorni fa, chi era Berlusconi, dopo che lo abbiamo conosciuto per vent’anni? Lui, i suoi reati, il suo disprezzo per le regole, per il Parlamento, per la Costituzione?
Era un delinquente eversivo, lo sapevamo tutti, perché voi avete finto di non saperlo? Per giocarvi l’ultimo giro di poltrone o perché davvero qualcuno di voi pensava che fosse diventato uomo di moderazione, di responsabilità, di istituzioni?
Non so se è più grave e colpevole la prima o la seconda ipotesi, davvero non so se è peggio l’opportunismo o la stupidità.

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B. apre la crisi. Via i ministri del Pdl
Letta: ‘Gesto folle per coprire i suoi guai’

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L’unico che non ha rovesciato nulla è proprio berlusconi. Lui ha sempre fatto capire molto bene quali erano e sono i suoi interessi, ora come allora sempre i cazzi suoi. Strano che questi magnifici strateghi della politica supportati poi da cosiddetti saggi non lo abbiano capito. Ma secondo me invece hanno capito molto bene. Loro lo fanno per noi, per non farci sapere chi dobbiamo ringraziare, sono discreti, ecco.

Si potrà dire adesso che quelli che li rivoterebbero e li hanno votati per tutto questo tempo sono criminali quanto lui?

Penso di sì.
Sono diciotto anni che aspetto. Ché c’è stato un tempo in cui non si poteva nemmeno dire che erano mentecatti semplici. Quando non si doveva demonizzare l’avversario [cit. l’illuminato statista Veltroni, quello che in campagna elettorale nemmeno lo nominava per paura che la gente capisse contro chi doveva votare].
Perché una cosa è dire che lui in politica non ci doveva entrare, prendersela con d’alema e compagnia inciuciante, che non fa male, non fa male ricordare che senza questa sinistra e questo centrosinistra berlusconi, dopo che qualcuno gli ha aperto la strada nella politica fregandosene della legge e della Costituzione sarebbe durato lo spazio e il tempo necessari a smascherare un eversore, un delinquente, un truffatore corruttore, un’altra la constatazione che che c’è gente a cui la vita non è cambiata di una virgola ma che si porta padre Pio nel portafoglio per chiedergli di aiutare il pregiudicato traditore.

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Uno che ha usato lo stato per vent’anni, lo ha saccheggiato pro domo sua e poi quando lo stato finalmente decide di dire che puó bastare perché mai non dovrebbe vendicarsi? Traditori dello stato. Tutti. Ci vorrebbe la corte marziale per la politica e le istituzioni di questi ultimi vent’anni. Per quelli che avevano giurato che le sentenze di berlusconi non avrebbero avuto conseguenze per la tenuta di questo bellissimo governo delle larghe intese di stampo mafioso e anche per quel giornalismo che ancora oggi non riesce a dire la verità agli italiani per eccesso di servitù.

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Un presidente della repubblica che di fronte all’estorsione, al ricatto, ad un gruppo di parlamentari che si comporta come i complici di quei camorristi che tirano i vasi dai balconi quando la polizia va ad arrestare un criminale parla di amnistia, di indulto, dopo aver chiesto ai giudici e non ad una politica connivente con un criminale di non superare il senso del limite, e ancora prima aver chiesto una riforma della giustizia CINQUE MINUTI DOPO che la giustizia aveva ottenuto un risultato storico come quello di riuscire a condannare un delinquente che sembrava impunibile fa bene a piangere. E lo dovrebbe fare ricordandosi di quando, qualche mese fa, si mise ancora contro i giudici per dare la possibilità al delinquente di “poter partecipare alla delicata fase politica”.

Eccola qui la collaborazione importantissima, questi sono i risultati.
E purtroppo, non basta nemmeno la vergogna per quantificare, dare una dimensione ad un’indecenza che in nessun altrove sarebbe mai potuta accadere.

Se qualcuno in un impeto di follia apre la bombola del gas e fa saltare in aria il palazzo la colpa è di chi ha avuto la sventura di abitare in quel palazzo?
Le persone che si ritrovano senza una casa sono complici del pazzoide o sono le sue vittime? quindi io non voglio più sentir parlare di NOI a proposito del disastro politico italiano;  non voglio più che qualcuno, molti anzi, diano anche a me e a chi come me non c’entra, la responsabilità di questi vent’anni di sciagure italiane. Nessuno che mi dica più che avrei potuto fare qualcosa ma non l’ho voluta fare. Perché tutti sanno che nulla si poteva fare. 
Io berlusconi non l’ho voluto, non l’ho votato, non ne ho sostenuto nemmeno la più pallida delle idee, e  più che votare la parte politica più distante a berlusconi non so che altro avrei potuto fare per restare dentro le regole democratiche. Quelle che proprio la politica e le istituzioni, nella figura del capo dello stato che adesso piange, come se arrivasse da chissà quale altrove e si fosse accorto solo oggi di berlusconi e del manipolo di eversori che si porta dietro nella sua follia delinquenziale, hanno disatteso e tradito quando hanno permesso che si desse residenza al fascismo e alla delinquenza nel parlamento di una repubblica democratica.

Le persone come me sono le vittime del vicino di casa, non i complici. E dovrebbero chiedere un risarcimento, non essere accomunate alla follia di chi fa saltare un palazzo.
Io ho sempre votato quella parte politica che mi prometteva di liberare l’Italia dall’anomalia criminale berlusconi, che mi diceva che avrebbe fatto leggi buone, risolto il conflitto di interessi, che si sarebbe occupata dei miei problemi, non di quelli di un delinquente che per sua stessa ammissione è entrato in politica per risolvere i suoi guai con la legge e non solo glielo hanno lasciato fare ma, quando la legge, la giustizia, dopo un’estenuante lotta impari contro la sua delinquenza e quella della politica sempre complice che lo ha agevolato facendolo entrare in parlamento, facendo leggi a misura di criminale sono riuscite finalmente ad ostacolarlo ancora si presta al suo gioco facendo finta di cadere dalle nuvole. E’ tutto uno stupirsi, un meravigliarsi di un delinquente che, guarda un po’, si comporta da delinquente e non da filantropo che ha a cuore il valore della solidarietà, lo statista che vent’anni fa è sceso in campo per il bene degli italiani e per salvare l’Italia dalla deriva comunista. E ancora ieri il presidente della repubblica ha parlato di urgenze quali l’amnistia e l’indulto invece che di quella che è l’unica vera esigenza di questo paese, ovvero liberarsi di un delinquente, di un impostore, di uno che non esiterebbe a far saltare il palazzo se questo servisse ai suoi sporchi affari, interessi, e di tutti quelli che per vent’anni lo hanno lasciato fare.

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Napolitano: “Valutare amnistia”
M5S: “Prepara il terreno per B.”

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I troppi servi della vergogna
Antonio Padellaro –  29 settembre

Una tale insopportabile vergogna non ha precedenti. Nelle democrazie occidentali ma neppure, a quanto si sa, nei Paesi del Terzo mondo o nei più sperduti Staterelli africani non si è mai visto un condannato per reati gravissimi disporre a suo piacimento di 97 deputati, 91 senatori e cinque ministri imponendo loro le dimissioni del Parlamento e dal governo come si fa con la servitù, anzi peggio visto che i domestici hanno diritto almeno a un preavviso. A parte i tardivi borbottii di qualche Cicchitto e Quagliariello (e il dissenso di Marina B. forse al corrente del fragile equilibrio psichico del padre), i camerieri del pregiudicato hanno prontamente ubbidito, alcuni per la sottomissione scambiata con una poltrona, altri per pura cupidigia di servilismo. È questo il vero cancro che sta divorando la democrazia italiana condizionata da un personaggio che pur di estorcere un qualcosa che possa salvarlo dalla giusta detenzione e dalla giusta decadenza da senatore non esita a mandare a picco il Paese che domani potrebbe essere investito da una nuova tempesta finanziaria. E tutto con la risibile scusa elettorale della contrarietà all’aumento dell’Iva. Come ha potuto Napolitano mettere il governo nella mani di un simile individuo? Come hanno potuto Letta e il Pd accettarlo come alleato?

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VIDEO – PADELLARO: “CIECA OBBEDIENZA A BERLUSCONI TUMORE DELLA DEMOCRAZIA”

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Lacrime di coccodrillo
Marco Travaglio – 29 settembre

Da qualche tempo a questa parte, appena prende la parola, il che gli accade ormai di continuo, in una logorrea esternatoria senza soste, anche due volte al giorno, prima e dopo i pasti, il presidente della Repubblica piange. È una piccola variante sul solito copione: il monito con lacrima. A questo punto mancano soltanto le scuse al popolo italiano, unico abilitato a disperarsi per lo schifo al quale è stato condannato da istituzioni e politici irresponsabili. Cioè responsabili dello schifo. L’altro giorno, mentre Letta Nipote garantiva agli americani che il suo governo era stabile e coeso come non mai e B. raccoglieva le firme dei suoi 188 servi in Parlamento per minacciare di rovesciarlo, Napolitano definiva “inquietante” la pretesa del Caimano di condizionarlo per fargli sciogliere le Camere e interferire nei processi giudiziari. E lo dice a noi? Sono anni e anni che lui, non noi, corre in soccorso dell’Inquietante non appena è in difficoltà. Lo fece nel novembre 2010, quando Fini presentò la mozione di sfiducia al governo B. e lui ne fece rinviare il voto di un mese, dando il tempo all’Inquietante di comprarsi una trentina di deputati. Lo rifece nel novembre 2011, quando B. andò a dimettersi per mancanza di voti alla Camera, e lui gli risparmiò le elezioni anticipate, dando il tempo all’Inquietante di far dimenticare i suoi disastri quando i sondaggi lo davano al 10 per cento. Lo rifece quest’anno, dopo la batosta elettorale di febbraio (6,5 milioni di voti persi in cinque anni): prima mandò all’aria ogni ipotesi di governo diverso dall’inciucio, tappando la bocca ai 5Stelle che chiedevano un premier fuori dai partiti; poi accettò la rielezione al Quirinale, sostenuta fin dal primo giorno proprio da B., quando ancora Bersani s’illudeva di liberarsi della sua tutela; infine impose le larghe intese, in barba alle promesse elettorali di Pd e Pdl, e nominò premier Letta Nipote che, come rivela Renzi nel suo libro, era stato scelto da B. prim’ancora che dal Pd. L’idea di consultare gli elettori gabbati per sapere che ne pensavano (come si appresta a fare l’Spd con un referendum fra i suoi elettori prima di andare a parlare con la Merkel), non sfiorò nessuno. Tanto i giornaloni di destra, centro e sinistra suonavano i violini e le trombette sulla “pacificazione” dopo “vent’anni di guerra civile”. E B., semplicemente, ci credette: convinto che Napolitano e Pd l’avrebbero salvato un’altra volta. Il Fatto titolò: “Napolitano nomina il nipote di Gianni Letta”. Apriti cielo. A Linea notte Pigi Battista tuonò contro quel titolo “totalmente insensato, eccentrico, bizzarro, non certo coraggioso” perché “non riconoscere che Enrico Letta sia una figura di spicco del Pd e scrivere che la sua unica caratteristica è essere nipote di Gianni Letta è una scemenza. Non vorrei che passasse l’idea che ci siano giornali, come il Corriere su cui scrivo, accomodanti e trombettieri, e altri che dicono la verità, sono coraggiosi, stanno all’opposizione”. Ieri il coraggioso Corriere su cui scrive Battista pubblicava le foto di Enrico e Gianni Letta imbalsamati che sfrecciano sulle rispettive auto blu dopo l’incontro al vertice di venerdì, quando “a Palazzo Chigi arriva anche lo zio di Enrico, Gianni Letta. Incontri non risolutori, che preparano il colloquio delle 18 al Quirinale”. C’era da attendersi un puntuto commento del coraggioso Battista per sottolineare quanto fosse insensata, eccentrica, bizzarra questa simpatica riunione di famiglia fra il premier e lo zio, sprovvisto di qualunque carica pubblica, o elettiva, o partitico, che ne giustificasse la presenza a Palazzo Chigi. L’indomani Napolitano lacrimava alla Bocconi perché B. ha “smarrito il rispetto istituzionale”. Perché, quando mai in vent’anni l’ha avuto? Per smarrire qualcosa, bisognerebbe prima possederla. Intanto il ministro Franceschini, in Consiglio dei ministri, si accapigliava con Alfano: “Voi volete solo salvare Berlusconi!”. Ma va? E quando l’ha scoperto? Infine ieri, mentre tutti parlavano di fine del governo e di “punto di non ritorno”, Napolitano dimostrava che il punto di non ritorno non esiste, la trattativa Stato-Mediaset è più che mai aperta: infatti chiedeva, eccezionalmente a ciglio asciutto, “l’indulto e l’amnistia”. Ma sì, abbondiamo. Così sparirebbero per incanto i processi Ruby-1 e Ruby-2, De Gregorio, Tarantini, Lavitola, la sentenza Mediaset e tutti i reati commessi da B. ma non ancora scoperti. I detenuti perbene dovrebbero dissociarsi e rifiutare di diventare gli scudi umani per B.&N., a protezione del sistema più marcio della storia. Essi sì avrebbero diritto a versare qualche lacrimuccia. Invece in Italia lacrimano solo i coccodrilli: chi è causa del nostro mal, piange al posto nostro.

Il vilipendio nello stato

Il vilipendio allo stato è un presidente della repubblica che si permette di abbracciare la figlia di un pregiudicato morto da latitante nella sua veste ufficiale, quella del presidente di tutti i cittadini, anche di quelli che non rubano, non corrompono, non frodano lo stato e non si lasciano corrompere.
Un presidente, capo supremo della Magistratura che ascolta senza battere ciglio gli insulti della figlia del pregiudicato latitante ai giudici, che quando c’è da prendere una posizione non è mai a favore di chi combatte la criminalità ma per ragioni a noi sconosciute sceglie di rimproverare quei giudici infamati e insultati ha scelto da solo di non rappresentare più la società civile. Io non voglio essere rappresentata da un signore che non sa perché non vuole, ma tutto fa pensare che non possa, prendere una posizione netta in difesa dello stato e dei cittadini. Nella mia repubblica il presidente della repubblica non partecipa alle commemorazioni per il trentennale del governo di una persona che ha concluso la sua carriera politica e la sua esistenza umana in modo indegno.

E, per queste e molte altre cose nessuno, di fronte alla minaccia di un pregiudicato che ha evidentemente ottimi argomenti per ricattare lo stato, e a  un presidente della repubblica che se la prende coi giudici e da loro,  non da una politica indecente pretende comportamenti integerrimi parlasse più di minacce e offese che arrivano dalla Rete.

Per decenza, mica per altro.

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TRATTATIVA STATO-MAFIA, E’ L’ORA DELLA VERITA’  – Antonio Ingroia

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OMAGGIO A CRAXI E INSULTI AI GIUDICI: NAPOLITANO STA ZITTO

LA FIGLIA STEFANIA ATTACCA LA PROCURA DI MILANO MA AL CONVEGNO SUL LEADER PSI, IL PRESIDENTE APPLAUDE

[Paola Zanca – Il Fatto Quotidiano]

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Ci sarebbe quasi da ridere riascoltando oggi quel profluvio di parole ipocrite sul ‘bene del Paese’ e sul ’senso di responsabilità’, si è visto quanto siete stati responsabili, gli uni a zerbino di un delinquente e gli altri a far finta di stupirsi, ohibò era un delinquente!, ma pensa!, noi credevamo che fosse la Merkel! [Alessandro Gilioli]
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Napolitano dove la cerca l’ispirazione sul da farsi, mentre un manipolo di eversori mascherati da parlamentari sta facendo da scudo umano a un delinquente, nei bei discorsi di Stefania Craxi, la figlia del noto pregiudicato morto da latitante?

E io, noi, tutti dovremmo rispettare uno stato, la politica e le istituzioni che stanno a sentire una che straparla ancora di giudici comunisti, del trattamento ingiusto riservato a suo padre, un corrotto che è scappato per sottrarsi alla giustizia, in presenza di un presidente della repubblica nonché capo del CSM che non si alza e se ne va in rispetto di quella Magistratura che rappresenta in qualità di suo capo supremo ma abbraccia affettuosamente la figlia del pregiudicato latitante, nella sua veste ufficiale, una che difende un delinquente che si sta cercando ad ogni costo di far entrare nella storia come se non lo fosse stato? 
Quale rispetto per chi assiste inerte alla minaccia, non pensa che sia il caso di far smettere un pregiudicato e i suoi sodali di usare il parlamento come scenario di un ricatto che ha come obiettivo la salvezza di un pregiudicato? Con un paese al fallimento, mentre gli avvoltoi stanno già spolpando la carcassa la politica e le istituzioni si lasciano ricattare da un delinquente come se fosse la cosa più normale del mondo che un fuorilegge abbia la possibilità di avere il cerino in mano pronto per far esplodere la miccia? E mentre succede tutto questo si fa finta di essere nel paese normale nel quale i politici e le istituzioni possono permettersi di andarsene in giro su e giù per l’Italia e per il mondo a fare i loro bei discorsetti filosofici su tutto ovvero sul solito nulla per catalizzare l’attenzione altrove dal problema? Un vicepresidente del consiglio, ministro dell’interno, ovvero la persona che ha fra le mani la sicurezza dello stato e di noi tutti può dire liberamente e pubblicamente che il centrodestra di cui fa parte non è disposto a gesti di responsabilità e non succede niente? 

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LARGHE ESTORSIONI  – Antonio Padellaro

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Riccardo Mannelli per Il Fatto Quotidiano

50 sfumature di Nano 

Marco Travaglio, 26 settembre

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Nel verminaio scoperchiato dalle intercettazioni dell’ennesimo scandalo Tav, quello di Firenze, c’è una frase che racchiude in sé gli ultimi 20 anni di politica italiana. La pronuncia Maria Rita Lorenzetti, ex governatrice pd della Regione Umbria, laureata in filosofia e dunque presidente di Italferr (la società di ingegneria delle Fs), quando uno dei suoi uomini l’avverte che lo scandalo è stato denunciato alla Procura. Testuale: “Oh ma ti rendi conto, cazzo! Che siamo diventati… ma io… guarda, ma veramente ci fanno diventare berlusconiani, è così!”. Ora che è agli arresti per associazione per delinquere, corruzione e traffico illegale di rifiuti, la zarina rossa potrà meglio riflettere su quella voce dal sen fuggita. E magari giungere alla conclusione che il rischio da lei paventato – “diventare tutti berlusconiani”–è già realtà. Non solo per lei che, a sentirla parlare, è impossibile distinguerla da un Verdini o da un Formigoni. Ma per tutto il politburo del Pd. Non c’è più né destra né sinistra. Al massimo esistono varie sfumature di berlusconismo: dalle più light alle più strong , dalle più soft alle più hard . Ma tutte accomunate dall’arroccamento castal-partitocratico (il “primato della politica”), dall’allergia per i poteri di controllo indipendenti (i pochi magistrati non allineati e le rare sacche di libera stampa) e da una sorda ma rocciosa ostilità alla Costituzione. Fuori dal recinto berlusconiano non c’è agibilità politica, culturale, giornalistica. Lo dimostra l’isolamento siderale dei 5Stelle, i soli in Parlamento a parlare un linguaggio totalmente estraneo al modello-base e da tutti guardati come marziani. Perciò le larghe intese sono una ferita sanguinante per gli elettori del Pd, mentre per gli eletti sono nient’altro che un’abitudine. Solo così spiega la nonchalance con cui il Pd s’è consegnato nelle mani di un noto condannato, prima facendogli scegliere il nuovo (si fa per dire) presidente della Repubblica, poi portandoselo al governo, infine pregandolo di restarvi anche dopo la condanna definitiva (con ridicoli inviti a “fare un passo indietro”). Lo sapevano e lo sanno tutti che B. sta al governo e in Senato solo per farsi gli affari propri e non finire in galera. Ma tutti hanno finto che fosse lì per spirito di servizio, per empito riformatore, per il bene del Paese. E ora fingono di meravigliarsi se, approssimandosi la data della decadenza dal Senato (ma soprattutto dall’immunità), fa un fischio e tutti i suoi parlamentari e ministri del Pdl scattano come un sol uomo per consegnargli le dimissioni in bianco. Non è l’ultimo atto: è solo l’ennesima estorsione di un interminabile racket – la trattativa Stato-Mediaset – per minacciare il Pd e soprattutto il Quirinale in vista dell’agognato salvacondotto. Mossa per nulla imprevista, anzi più volte annunciata. Ma accolta ancora una volta come un fulmine a ciel sereno da chi seguita a fingere di non sapere con chi ha a che fare. In un paese perlomeno decente, gli artefici e i trombettieri delle “larghe intese”, quelli che ancora l’altroieri blateravano della “lezione tedesca” come se la Merkel fosse la gemella di Berlusconi e l’Spd un Pd con la S, scaverebbero un buco e vi sprofonderebbero dentro, chiudendo il tombino. Ma non accadrà: si attendono nuovi appelli a B. perché ritrovi il suo proverbiale senso di responsabilità e al Pd perché si metta una mano sulla coscienza e una sul portafogli, salvandolo come ha sempre fatto. Seguiranno nuovi moniti di Napolitano, cioè del primo responsabile di questo sconcio. Ieri assisteva silente su un trono dorato, circondato da noti pregiudicati, ai deliri di Stefania Craxi contro i giudici “comunisti” che perseguitarono il padre Bettino, anzi il “Mitterrand italiano”. Un’altra scena che riassume a perfezione l’abisso in cui siamo precipitati: il presunto garante della Costituzione e presidente del Csm che non dice una parola, né pensa di alzarsi e andarsene, dinanzi a un’esagitata che beatifica un corrotto latitante e dà in escandescenze contro il potere giudiziario. Sono già tutti berlusconiani, a loro insaputa.

Per quel che può valere [visto che chi dovrebbe nelle istituzioni non lo fa] la mia solidarietà alla Magistratura

 Sottotitolo: “spiegare al ricettatore dei giardini di via Carlo Felice che ok, si è preso quattro anni anche lui, ma non può attaccare i giudici in tivù”.[Alessandro Gilioli]

E spiegare anche all’extracomunitario che arriva in Italia che è obbligato a rispettare le leggi fatte in un parlamento dal quale non si fa uscire un già pregiudicato perché già condannato.[Io]

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Ha ragione Barbara, la figlia di cotanto padre:”se lo considerano un delinquente, perché hanno fatto con lui gli ultimi due esecutivi?”

EPIFANI: ‘TONI GUERRA FREDDA’. FIGLIA BARBARA: ‘SE CRIMINALE PERCHE’ PD CON LUI?’

Una bella domanda a cui il pd, nella persona del suo segretario traghettatore che ieri ne ha avute di ogni contro berlusconi dovrebbe saper rispondere.

Perché qualsiasi urgenza, necessità, decisione improrogabile che questo governo è chiamato ad assolvere non giustifica affatto l’alleanza con un pregiudicato condannato col quale non si andrebbe a prendere un caffè, secondo quanto detto da Epifani. E non giustifica soprattutto Napolitano che questo governo lo ha preteso sotto la minaccia di lasciare pur avendo ben chiaro davanti agli occhi qual era il quadro completo delle questioni giudiziarie che riguardavano e riguardano, ce n’è ancora, silvio berlusconi.

Dunque, ad occhio non mi pare proprio che l’irresponsabile sia chi approfitta di privilegi a lui e solo a lui concessi in virtù di chissà quale diritto, gli irresponsabili sono tutti quelli che paventando, ventilando, minacciando catastrofi che fin’ora ci hanno solo raccontato ma soprattutto senza che niente di concreto sia stato fatto per fronteggiarle, hanno prima imposto con un mezzo colpetto di stato a cielo aperto il governo di Monti e adesso, sempre tramite un golpettino, ma tanto democratico, prima la rielezione in seconda di un presidente che ha dimostrato varie volte di non essere quel garante perfetto della Costituzione e poi questo: un governo di nominati non dagli elettori e che può decidere come se fosse stato scelto dagli elettori di cui fa parte il partito di proprietà del pregiudicato silvio berlusconi.

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“Non apriremo con il videomessaggio di silvio berlusconi, ve lo diciamo subito. 
Nulla di personale, solo non riteniamo che sia il fatto più importante della giornata”.

Ecco: il giorno che tutti diranno la stessa cosa come ha fatto Enrico Mentana che non ha ritenuto silvio berlusconi e i suoi deliri la notizia del giorno, quella che tutti aspettavano come una minaccia ma anche con l’idea di farne un prodotto da vendere per ricavarci dei profitti non curandosi del fatto che non era appunto una notizia, questo sarà un paese un po’ normale.

Perché se la politica stenta a liberarsi del pericoloso delinquente, quello che attraverso il suo enorme potere malato, ottenuto col metodo sistematico dell’illegalità è riuscito a piegare quello dello stato riducendo il parlamento ad una dependance e con l’idea fissa di fare altrettanto con la Magistratura: i giudici buoni sono solo quelli che si fanno comprare per permettergli di rubare case editrici, l’informazione può liberarsi e liberarci soprattutto dalla visione e l’ascolto di questo squilibrato che da vent’anni ripete le solite ossessive litanie contro lo stato, contro la legge, contro la Costituzione, contro le regole e contro tutto ciò che ostacola i suoi progetti delinquenziali.

C’è una parte consistente del paese a cui non interessa sapere cosa fa berlusconi, come si veste berlusconi, cosa dice berlusconi, e a cui dà fastidio, un enorme fastidio, sentirlo ancora chiamare cavaliere. 
L’informazione è uno strumento prezioso, crea e può distruggere, quindi per cortesia, mi rivolgo a chi in assenza di berlusconi non saprebbe come riempire giornate e palinsesti: smettete di molestare, inquietare e annoiare gli italiani usando silvio berlusconi.

 Un personaggio in caduta libera, che ha fatto tanto male a questo paese si può ignorare, parlarne a centro pagina così come si fa per le notizie di scarso rilievo. Ieri tutti potevano scegliere, avevano facoltà e libertà di scegliere di ignorare silvio berlusconi e lasciarlo solo davanti al suo pubblico e alle sue telecamere che comunque non dovrebbe poter usare come il salotto di una delle sue ville.

E invece erano tutti lì ad aspettare chissà quale lieta novella.

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QUALCUNO RISPONDA AL RICATTO – Antonio Padellaro

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1,3 balle al minuto
Marco Travaglio, 19 settembre

A parte la perfetta imitazione della mummia di Mao Tse-Tung ricomposta in un frizzante doppiopetto scuro, il videomessaggio che annuncia la nascita di Forza Italia presenta varie analogie con quello primigenio del ’94 che annunciava la nascita di Forza Italia: il colorito pastello del faccino levigato come un culetto di bambino, peraltro adornato da una chioma decisamente più fluente di 20 anni fa; il set Ikea con i libri finti di legno e le foto di famiglia sulla scrivania, senza più Veronica, ma sempre rivolte verso l’esterno; l’impermeabilità al senso del ridicolo che accomuna la salma parlante e i cameramen riprendenti, a nessuno dei quali scappa mai da ridere. Neanche quando lui chiama il Padreterno a testimonial di Forza Italia 2.0 o quando invita kennedianamente gli italiani a domandarsi non cosa può fare lui per loro, ma cosa possono fare loro per lui. Ma soprattutto il fatto che, dopo quasi 20 anni, il protagonista sia ancora a piede libero, il che costituisce il vero, l’unico, miracolo italiano. Quanto alle differenze fra il ’94 e l’oggi, a parte i segni del tempo trascorso (più per noi che per lui), spicca lo straordinario progresso nella capacità di mentire, frutto di un lungo e proficuo allenamento: in un quarto d’ora è riuscito a infilare la bellezza di 20 balle, che costituiscono il nuovo record mondiale di cazzate al minuto (1,3 periodico).

1) Il presunto “bombardamento fiscale che mette in ginocchio aziende e famiglie” non riguarda comunque le sue, vista la sua condanna per frode fiscale, senza contare i vari autocondoni.

2) Il presunto sabotaggio degli alleati che in 20 anni gli avrebbe “bloccato tutte le riforme” non gli ha impedito di approvare la legge sulle rogatorie del 2001 in 93 giorni, la Cirami del 2002 in 119 giorni, il lodo Schifani del 2003 in 69 giorni, il lodo Alfano del 2008 in 25 giorni.

3) È falso che gli abbiano legato le mani sulla “riforma della giustizia”, visto che in vent’anni ne sono state approvate 110.

4) Non è Magistratura democratica che ha trasformato le toghe “da impiegati pubblici non eletti in potere dello Stato”: è l’art. 104 della Costituzione, che definisce la magistratura “autonoma e indipendente da ogni altro potere”, cioè anch’essa un potere dello Stato. Come negli Stati di diritto da Montesquieu in poi. Il che non vuol dire “irresponsabile e immune”: i giudici che rubano finiscono in galera (tipo quelli corrotti da Previti), i politici che rubano si coprono a vicenda.

5) Nessun magistrato, nemmeno di Md, ha mai detto di voler realizzare “la via giudiziaria al socialismo”.

6) Nel 1992-’93 la magistratura non ha affatto eliminato “i 5 partiti democratici che governavano da 50 anni”: si sono eliminati da soli, rubando. Come lui stesso disse nel ’94: “La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti schiacciati dal debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti lascia il Paese incerto al passaggio di una nuova Repubblica”. 7) Nel ’94 B. fu inquisito per le tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza, poi condannato in tribunale, prescritto in appello e assolto in Cassazione, ma non “con formula piena”, bensì dubitativa: “insufficienza probatoria” (e solo perché Mills, che le prove a suo carico le conosceva, mentì sotto giuramento perché corrotto da lui). E le tangenti esistevano: il manager Sciascia corruttore e i finanzieri corrotti furono tutti condannati.

 “Per questo cadde il mio primo governo”. No, cadde perché Bossi gli levò la fiducia, in dissenso sulla riforma delle pensioni.

9) “Da allora ho subìto 50 processi…”. Che però sono 28.

10) “…e 41 si sono conclusi senza condanne”. Ma le sentenze, meno di 41, lo dichiarano colpevole di corruzione, falso in bilancio, appropriazione indebita, falsa testimonianza, frode fiscale e rivelazione di segreti, ma impunito per prescrizione o per amnistia o perché si è depenalizzato il reato.

11)“La sentenza (Mediaset) potrebbe non essere definitiva: mi batterò in Italia e in Europa per la revisione”. In Italia la revisione è ammissibile solo con nuove prove, che per ora non si vedono; in Europa nessuna Corte può ribaltare sentenze di tribunali nazionali.

12) “Md si è impadronita della maggioranza della magistratura e dei collegi giudicanti”. Md non è mai stata maggioritaria tra le correnti togate e anche alle ultime elezioni per l’Anm s’è piazzata terza, alle spalle delle componenti moderate (Unicost e di MI), con 1975 voti su 7359. E nessuno dei 5 giudici di Cassazione del processo Mediaset è di Md.

13) “Per condannarmi hanno inventato un nuovo reato: quello di ideatore di un sistema di evasione fiscale”. Ma il reato è vecchio come il mondo: la legge punisce il “mandante”, il “promotore”, l’ “organizzatore” e il “concorrente nel reato” (articoli 110-112 del Codice penale).

14) “Hanno rifiutato di sentire 171 testimoni a mio favore”. Può darsi, ma il giudice ha il potere di sfrondare le liste dei testi della difesa e del pm: altrimenti l’imputato potrebbe citare direttamente l’elenco telefonico e il processo durerebbe un secolo.

15) “Mi hanno sottratto al mio giudice naturale: la sezione ordinaria penale della Cassazione…”. Il giudice naturale, d’estate, per i processi a rischio prescrizione, è la “sezione feriale promiscua” (mista di giudici penali e civili): la sua comunque era tutta di giudici penali.

16) “…dove già mi avevano assolto due volte per gli stessi fatti”. No, l’hanno assolto per Mediatrade, cioè per il periodo successivo a quello dei fatti contestati nel processo Mediaset.

17) “Mi hanno condannato per una presunta evasione dello zero virgola, a fronte di 10 miliardi pagati dal ’94 a oggi da Mediaset”. A parte il fatto che fino a due settimane fa i miliardi erano 6 e non 10, lo zero virgola non sta in piedi: la condanna riguarda ammortamenti di 7,3 milioni su due annualità, ma solo perché i restanti 300 milioni relativi agli anni precedenti si sono prescritti grazie all’ex-Cirielli e alla controriforma del falso in bilancio.

18) “Io non ho commesso alcun reato”. Ma le sentenze definitive che lui cita come modelli di giustizia imparziale lo dichiarano colpevole di svariati delitti gravissimi (vedi punto 10).

19) “Sono orgoglioso di aver impedito di andare al potere a una sinistra che non ha mai rinnegato la sua ideologia e vuole levarmi di mezzo col suo braccio giudiziario”. Strano: con quella sinistra lui governa dal novembre 2011, mantenendola al potere.

20) “Forza Italia difende la tradizione cristiana della vita e della famiglia”. Parola di uno che fece abortire Veronica e – come dice Benigni – “ha avuto diverse mogli, fra cui alcune sue”. Infatti l’unica frase coerente e veritiera è l’appello ai “missionari della libertà”: lui ha sempre prediletto la posizione del missionario.

Rinnovo l’invito: qualcuno ci invada

Sottotitolo: un ringraziamento speciale a Marco Travaglio e Andrea Scanzi che continuano praticamente ogni giorno a spiegarci la chiave di lettura delle dinamiche dei talk show nonostante e malgrado sia una fatica ed un dispendio di energie abbastanza inutile nel paese dove tutti sapevano e sanno tutto e non c’è bisogno di nessuno che lo spieghi. Forse è per questo che l’Italia è ridotta ai minimi termini: perché tutti sapevano e hanno agito di conseguenza, politica e istituzioni comprese.

Questo è il paese dove  si fanno le pulci a chi almeno ha il coraggio di dire le cose come sono. Troppo facile così. E troppo facile anche accusare di filogrillismo chi condivide l’ovvio e il pertinente. Persona più libera di me politicamente non c’è, dicevo e scrivevo in tempi molto meno sospetti di questo che non bisogna innamorarsi della politica, bisogna vigilarla a vista, non prendere le difese di gente che ha la possibilità di mandare la digos a casa di chiunque, anche dei cittadini onesti, quando vuole.

Quando ho iniziato ad interessarmi della politica l’ho fatto per difendermi, non per diventare come quelli che la fanno e quelli che sostengono chi l’ha ridotta così male.

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LA PUTTANATA  – Marco Travaglio, 11 settembre 

IMPERVERSA IL FUNARISMO 2.0 E I TALK POLITICI DIVENTANO POLLAI  – Andrea Scanzi, 11 settembre

AGLI ORDINI DEL COLLE  Antonio Padellaro, 11 settembre

NAPOLITANO CHIEDE UNITÀ, IL PD SI ADEGUA E SALVA B. Fabrizio d’Esposito, 11 settembre

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Per tutti quelli che “se i 5 stelle avessero fatto altre scelte”, tipo l’accordo con chi non ha trovato disdicevole l’alleanza col partito del delinquente dopo averlo sostenuto in modo più o meno occulto per una ventina d’anni.
I 5 stelle sono stati gli unici a mantenere una certa coerenza, tutti gli altri l’hanno svenduta per il bene della pacificazione nazionale dunque di berlusconi, e non bisogna aver votato il MoVimento per ammetterlo. Ora che ve/ce lo hanno detto in tutte lingue del mondo, potreste per favore smetterla di ravanare sempre in un torbido che non c’è?

Producono il caos, poi lo usano. Alessandro Gilioli, 11 settembre

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Tutto sommato gli eventi “politici” di queste ore aiutano ad inquadrare meglio la situazione nel suo complesso.

Aiutano a difendersi da quelli che vogliono fare la morale a chi incrocia il suo pensiero, e le sue opinioni, talvolta o più spesso condividendo entrambi con quello che esprimono i deputati 5 stelle di fronte alla presidente della camera che trova ingiurioso chiamare i ladri, ladri, ripetendo l’invito a “non offendere”per ben tre volte, forse per convincersene lei per prima. 

A questi, quelli che “con Di Pietro mai”, e “con Grillo mai” andrebbe risposto, come dice il mio amico Andrea, che sono alleati stretti stretti con la destra più fascista e negazionista che abbia mai occupato il parlamento dopo il ventennio di mussolini il quale, secondo il noto pregiudicato, non ammazzava nessuno, mandava la gente in vacanza e qualcosa di buono l’ha fatto anche lui.
E dovrebbe forse bastare per zittirli e farli vergognare, magari in segreto.

Aiutano a non sentirsi troppo colpevoli per tutte le volte in cui per sfinimento un po’ tutti abbiamo detto o pensato che, alla fine, “sono tutti uguali” perché nei fatti lo sono, perché se non lo fossero stati non saremmo mai arrivati fino a qui, a dover assistere allibiti, attoniti, nauseati ad uno spettacolo indegno: quello di una politica e di un presidente della repubblica che stanno facendo l’impossibile e l’inenarrabile per annullare la sentenza che ha condannato berlusconi, non saremmo qui a discutere di un parlamento che, esclusi i nuovi inquilini, quei maleducati che chiamano ladri i ladri non può, non sa, non vuole liberarsi dell’intruso delinquente. Perché se non lo sono nelle azioni lo sono eccome nei principi, se non fosse così berlusconi stamattina sarebbe fuori dal parlamento, se invece questo fosse stato un paese normale non ci sarebbe mai nemmeno entrato. 

E quello che non si può sopportare è il tentativo di  mettere il sigillo dello stato, della democrazia su questa operazione disgustosa, eversiva che è quella di sottrarre un delinquente dalle sue responsabilità penali, cosa che non si potrebbe fare perché non è giusto né legittimo fare nei confronti di nessun altro cittadino, qualcosa che in nessun paese definito normale, civile e democratico davvero sarebbe mai potuta accadere.

La nebbia all’irto Colle

Pdl, norma ‘anti-contestatori’ arriva alla
Camera. Pene fino a tre anni di carcere 

 Tutto perfettamente  in linea con l’andazzo generale. Gli eversori ormai sono quelli che difendono lo stato.

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Ci impongono i governi per evitare il default, ma noi siamo già in default per faccende molto più serie di un’economia che va a rotoli.

Lo siamo perché stiamo permettendo a chi è stato la causa della crisi di avere ancora voce in capitolo nella politica.

Lo siamo perché la democrazia in questo paese non esiste più da un pezzo; il colpo di stato non è la discesa dei carri armati sulle piazze e la presa del potere per mezzo della violenza ma è tutto quello che succede prima, la sua preparazione, quelle azioni spacciate per legittime, che rientrano perfettamente nella gestione della democrazia di uno stato di diritto mentre non lo sono affatto.

E’ colpo di stato sequestrare due persone a casa loro per consegnarle al dittatore amico dell’impostore abusivo che ancora detta legge, la sua, quella del ricatto, delle minacce e il parlamento s’inginocchia, sospende i lavori per solidarizzare con un fuorilegge: il governante occulto, quello che strepita che lo vogliono estromettere dal parlamento per legge ma in quel parlamento non ci va 99 volte su 100.

E quale che sia la sua condanna lui avrà sempre la possibilità, offerta in grande stile da chi avrebbe dovuto proteggere non lui dallo stato ma lo stato da lui, ovvero il padre di tutti gli italiani, il garante della Costituzione, di condizionare la politica.

E questo può succedere solo in un paese dove si chiede, si pretende anzi, l’assunzione di responsabilità di tutti, del loro agire, che siano Magistrati, medici, avvocati, insegnanti, il barista sotto casa meno però della politica che non paga mai per i suoi errori, molti dei quali fatti tutt’altro che per sbaglio.

Può sembrare banale, anzi, demagogico come dicono quelli bravi ma spesso la verità si spiega meglio con frasi semplici che coi tanti artifici verbali che invece si usano per nasconderla.
I cittadini italiani, noi, dopo averne dovuto subire un altro, imposto, non scelto – quello dei  guastatori dello stato sociale mascherati da tecnici sobri –  stiamo pagando un governo [ di necessità, s’intende], tutto il suo contorno, quello dei saggi prima e dopo [con buona pace di chi si lamenta che per pensare non guadagna un cazzo],  consulenti, portaborse e borsette griffatissime, la macchina costosissima del Quirinale al cui interno risiede un signore che ha dimostrato ampiamente che i fatti di tutti gli italiani non gli interessano più quanto invece ha a cuore il destino di uno in particolare –  per rispondere agli ordini di quell’uno in particolare.

Napolitano oltre ad essere il presidente della repubblica è anche il capo supremo della Magistratura, e di fronte all’atto eversivo di ieri ma anche in occasione delle “manifestazioni” davanti ai tribunali di Milano e Brescia a cui hanno partecipato ministri di questo governo, il vicepresidente del consiglio, agli insulti quotidiani rivolti alla Magistratura non ha detto e non dice  una parola a difesa dei giudici.

Non gli è sfuggito neanche un monito: la sua preoccupazione maggiore è che questo bel governo dell’inciucio a cielo aperto vada avanti; a fare che, non è dato sapere.

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Il caso Ablyazov: nuova vergogna per il governo Letta

Parlamento vergogna. Nell’anonimato

[Il Fatto Quotidiano]

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Rutto nazionale
Marco Travaglio, 11 luglio

Nel Paese del Partito Unico Pdmenoellepiùelle, dove basta un ruttino o un peto del padrone del governo, del Parlamento e del Quirinale per scatenare l’allarme generale, accade pure questo: la serrata delle Camere in segno di lutto nazionale perché la Cassazione, anziché prescriverlo per l’ottava volta, pretende addirittura di giudicarlo in tempo utile. Una minaccia bella e buona del potere legislativo a quello giudiziario in vista del 30 luglio, spacciato come una riedizione del 25 luglio 1943, anche se tutti sanno che B., diversamente dal Duce, non finirebbe agli arresti né in ambulanza neppure se condannato e interdetto, anzi continuerebbe a comandare fuori dal Parlamento, dove peraltro già ora non mette piede. Insomma non cambierebbe nulla. Ma il fatto che sia arrivato terzo alle elezioni (cioè ultimo, se non ci fosse il partito di Monti che svolge in Italia le funzioni della Grecia in Europa) aggiunge un tocco di surrealismo al calarsi le brache del cosiddetto Pd che, sebbene fosse arrivato primo, conta ormai quanto un pelo superfluo. Siccome poi si chiama Democratico, s’è accodato alla protesta eversiva del Pdl dopo un’approfondita riunione fra tre persone di ben 10 minuti (comunque meglio di quanto fece per dire no a Rodotà, riesumare Napolitano e governare con B.). E, per entrare definitivamente nella leggenda, ha affidato la comunicazione dello storico evento a tal Roberto Speranza, inopinatamente capogruppo alla Camera, lo stesso che da giorni ci spiega come superare il complesso di B. e intanto propone le stesse “riforme” della giustizia di B. Sentite che concentrato di neuroni: “Non c’è stata nessuna moratoria. Abbiamo solo votato per consentire al Pdl di tenere l’assemblea del gruppo nel pomeriggio. Abbiamo invece respinto una richiesta ingiustificata di sospendere tutti i lavori per tre giorni”. Cioè, siccome il Pdl voleva prima una novena e poi un triduo penitenziale, chiudere il Parlamento per 24 ore è una grande vittoria del Pd. Intanto l’ologramma di Epifani strapazza il Cainano da par suo: “Quanto accaduto rende ancora una volta esplicito il problema di fondo di questi mesi: la vicenda giudiziaria di Berlusconi e il rapporto d’azione di governo e di Parlamento. Questo nodo deve essere sciolto solo tenendo distinte le due sfere, perché se no, a furia di tirare, la corda si può spezzare con una scelta di irresponsabilità verso la condizione del Paese e la sua crisi drammatica”. Il ruggito del coniglio: ne ho prese tante, ma quante gliene ho dette! Nessuno, nel Pd come in tv e sui giornali, dedica una parola al merito della questione: B. ha un processo in Cassazione per frode fiscale perché è un monumentale evasore fiscale. Interessa a qualcuno sapere se, come dice lui, è un perseguitato politico o, come emerge dagli atti, è un delinquente matricolato? No, a nessuno, perché tutti sanno che è buona la seconda. Lo sa B. e ci mancherebbe. Lo sanno i suoi eletti, che lo conoscono bene e gli somigliano. Lo sanno i suoi elettori, che lo votano apposta e vorrebbero somigliargli. Lo sa il Pd, che gli ha fatto scegliere il presidente della Repubblica e quello del Consiglio e ha deciso di governare con lui e di riformare la Costituzione con lui, quando era arcinoto che era imputato nei processi Mediaset, Ruby, Unipol, De Gregorio e Tarantini, destinati a ripartire dopo l’incredibile pausa elettorale e post-elettorale imposta dal Quirinale. E lo sapeva naturalmente il regista di tutto: Napolitano, che il Foglio descrive sconfitto nel suo “lavoro di costruzione di un equilibrio possibile” (sarebbe un attentato alla Costituzione, ma il Colle non si degna neppure di smentirlo). Tutti insieme, in barba agli elettori che
l’avevano punito con 6,5 milioni di voti in meno, hanno riportato al governo un delinquente e ora tremano all’idea che la Cassazione lo metta nero su bianco. Se cade lui, cadono tutti. Dunque la parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: “Nessuno tocchi Cainano”.

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IL PRESIDENTE E IL VERME NELLA MELA [Antonio Padellaro, 11 luglio]

La domanda è: possibile che Giorgio Napolitano non sapesse che il governo delle larghe intese, da lui fortemente voluto e imposto, contenesse in sé, come un verme nella mela, i problemi giudiziari di Silvio Berlusconi? Escludiamo che abbia potuto minimamente fidarsi della promessa del Caimano di tenere il governo Letta al riparo dalle conseguenze dei suoi molteplici reati. Chi può credere infatti che un personaggio navigato come il capo dello Stato, magistrale artefice della propria rielezione al Quirinale, abbia potuto dare retta all’uomo più bugiardo del pianeta? Resta la seconda risposta: che cioè Napolitano, purché si desse vita a quel mostro politico che è la maggioranza Pd-Pdl, non ha badato a spese, non prevedendo forse un prezzo così salato. Dopo aver tradito il mandato elettorale con gli elettori (“Mai con Berlusconi”), ora il Pd è costretto a vergognarsi di se stesso. Aver votato quell’indegna sospensione dei lavori parlamentari non solo equivale a una sottomissione ai voleri del Pdl, ma acquista un valore simbolico incancellabile nel momento in cui quella pausa istituzionale diventa omaggio penitenziale al miliardario plurinquisito, oltreché pressione inaudita sulla Corte di Cassazione. Il fatto è che il gruppo dirigente democratico, a furia di compromessi con la propria storia, ha perso completamente identità e orientamento, tanto che oggi, per dire, tra uno Speranza e un Alfano non si nota nessuna differenza. Ma forse era proprio questo che si voleva. Il verme nella mela sta producendo un altro inevitabile effetto. I guai penali dell’affettuoso protettore di Ruby Rubacuori, da ossessione privata dell’imputato e problema esclusivo del Pdl, grazie alle improvvide intese allargate si è trasformato in un gigantesco affare di governo e di Stato. Addirittura una bomba termonucleare sul futuro dell’Italia, come vanno preconizzando i terrorizzati giornaloni. Poiché, se la Cassazione dovesse confermare la condanna di Berlusconi con le annesse pene accessorie, costui risulterebbe interdetto dai pubblici uffici. Compresi quelli che non esercita come senatore della Repubblica, visto che è risultato assente dall’aula nel 99,7 per cento delle sedute. Un’onta che, secondo i profeti di sventura, comporterebbe con la crisi di governo una serie di catastrofi a catena, comprese la peste bubbonica e le cavallette. Un trucco da imbroglioni che ha l’unico scopo di far ricadere sui giudici della sezione feriale della Cassazione una responsabilità enorme. Insomma, visto che il governo non decide un fico secco e che l’economia va di male in peggio, retrocessa dalle agenzie di rating, che fosse questo il vero scopo delle larghe intese, salvare il Cavaliere?

2 giugno: festa di che?

Sottotitolo: la parata militare non è inopportuna perché c’è la crisi: è inopportuna e basta.
Ed è sempre mancata la volontà di opporsi fino a farne a meno, alla sfilata delle armi in un paese che ripudia la guerra per legge, altrimenti da quel dì che sarebbe stata abolita. Non basta tagliare  il rinfresco e il passaggio delle frecce tricolore per ridare dignità a questo paese.

Il Quirinale costa agli italiani il quadruplo di Buckingham Palace e il doppio della Casa Bianca.
Ma il Re magnanimo oggi rinuncia al rinfreschino…niente brioches per loro così non sono obbligati a darne neanche a noi.

Più che la festa della repubblica a me pare, oggi più che mai, una festa “alla” repubblica.

Non vedo come si possa celebrare questa festa in assenza di quell’ospite d’onore che manca ormai da un sacco di tempo in questo paese e che si chiama democrazia; il convitato indispensabile se si parla di una repubblica, appunto, democratica.
In un paese dove in parlamento non c’è una rappresentanza di popolo scelta dal popolo non si può celebrare né festeggiare proprio niente.
Questa giornata andrebbe messa in standby finché non verrà ripristinato il minimo indispensabile delle condizioni per riparlare di Italia repubblica democratica.

Un colle solo al comando 
Antonio Padellaro, 2 giugno

Ieri, all’ora di pranzo, sui teleschermi degli italiani è apparso sua maestà Giorgio Napolitano. In occasione del 2 giugno, festa della Repubblica, con tono perentorio ha letto, anzi dettato, le disposizioni ai partiti. Sulla legge elettorale, sulle misure contro la crisi. E ha perfino impartito ordini sull’orizzonte temporale dell’attuale governo: entro il 2 giugno dell’anno prossimo l’Italia dovrà darsi “una nuova prospettiva politica”. E così sia (“Vigilerò”). Sembrava perfino ringiovanito, molto diverso da quel Napolitano sofferente che camminando quasi si appoggiava ai suoi collaboratori. Ma questo avveniva prima della rielezione, che deve avere agito sulle giunture presidenziali come un unguento miracoloso. Spero di non rischiare il vilipendio se dico (con vera ammirazione) che ci ha messi nel sacco tutti quanti. A cominciare da chi scrive, convintissimo che ai reiterati e sdegnosi rifiuti di ricandidarsi egli avrebbe tenuto fede da uomo di parola, poffarbacco. Eravamo tutti così sicuri che la sua ultima ora al Quirinale fosse scoccata che alla presentazione del libro L’ultimo comunista , con l’autore Pasquale Chessa e Filippo Ceccarelli, ci divertimmo a rivangare un episodio che già aveva provocato le fulminanti smentite del Colle: il Napolitano poeta, autore – con lo pseudonimo di Tommaso Pignatelli – di ispiratissime liriche in dialetto napoletano. Non sapevamo che nel frattempo il partito della conservazione stava andando a dama attraverso una serie di mosse, ancora tutte da ricostruire. Infatti, due giorni dopo, i sorrisetti si spensero insieme alle speranze di Bersani, di Marini, di Prodi e dei tanti che avevano fatto i conti senza l’oste. Da allora nell’osteria non si sente più volare una mosca. Letta a Palazzo Chigi lo ha imposto lui. Berlusconi non fiata, ossessionato com’è dalle sentenze. Il Pd sembra un collegio di orfanelli. Mentre la speranza sollevata da Grillo rischia d’impantanarsi nell’irrilevanza e nel risentimento. Tutti i giornali (meno uno) sono sull’attenti e non si muove foglia che lui non voglia, a cominciare dalla nomina del nuovo capo della Polizia. Nell’intervista a Silvia Truzzi, Andrea Camilleri parla di “Costituzione mandata in vacca” dopo il Napolitano bis. Ma c’è qualcosa di peggio: un Paese immobile, paralizzato dalla paura di cambiare, che cerca le poche certezze in un passato che non passa mai.

Non bastava lo schifo dell’utilizzatore finale: ci voleva pure quello dell’assaggiatore iniziale.

Ma, l’importante è che l’organizzatore totale abbia potuto partecipare alla delicata fase politica.

I diritti prima di tutto.

L’uomo che non sapeva nulla
Marco Travaglio, 2 giugno

Chissà se la Procura di Milano se ne farà una ragione: a Pigi Battista non è piaciuta la requisitoria al processo Ruby-bis. I pm Forno e Sangermano hanno usato brutte parole, senza nemmeno concordarle con lui. Poi han chiesto 7 anni per Mora, Fede e Minetti, più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dagli incarichi scolastici: troppo. Se nemmeno tre eventuali condannati per induzione e favoreggiamento della prostituzione, minorile e non, possono diventare deputati o premier o capi dello Stato, né dirigenti o insegnanti in scuole e asili, dove andremo a finire, signora mia. Cose che càpitano quando i pm si ostinano a pronunciare requisitorie senza consultare il noto giureconsulto del Corriere , che nessuno ha mai visto a un processo, ma li conosce tutti come le sue tasche. Mesi fa Lele Mora era in carcere per bancarotta e lui tuonò: “Sei mesi di galera preventiva per bancarotta appaiono una punizione leggermente esagerata prima ancora di una sentenza”; “i pm usano la galera per indurre l’indagato a conformarsi alla loro versione”; roba da “tortura”, colpa della “ferocia diffusa che chiede provvedimenti esemplari contro l”antipatico’, l’eticamente discutibile ed esteticamente impresentabile, il flaccido malfattore (presunto)”. Poi si scoprì che il malfattore era talmente “presunto” e “in attesa di sentenza” da aver appena patteggiato 4 anni e 3 mesi per la bancarotta da 8,4 milioni della sua LM Management, al cui fallimento aveva sottratto i 2,8 milioni regalati da B. per comprarsi una Mercedes e dirottare il resto su un conto svizzero. Subito sbugiardato, il Battista non batté ciglio. Anzi, passò subito ad assolvere l’altro suo imputato prediletto, Ottaviano Del Turco, ripubblicando per l’ennesima volta il pezzo che scrive dal 2008, quando l’allora governatore d’Abruzzo fu arrestato per tangenti. L’altro giorno ha scritto che: il pover’uomo è ancora “nell’attesa di un processo ancora ai primi passi” (non avendolo mai seguito, non sa che è alle ultime battute); le “prove schiaccianti” (tipo la confessione del corruttore, che ha addirittura fotografato le mazzette prima di consegnarle a Del Turco) annunciate dai pm “non esistono”; e la Procura “non aveva nemmeno controllato le date delle foto scattate dall’accusatore e dei pedaggi autostradali”. Purtroppo l’altroieri il perito del Tribunale ha confermato che le foto delle mazzette collimano con le date dei viaggi in autostrada del presunto corruttore verso casa Del Turco. Ma questa notizia l’ha data solo il Fatto. Battista no: con agile balzo, era tornato ad assolvere l’altro imputato prediletto, Lele Mora. Che, a suo dire, viene processato con Fede e Minetti non per dei reati, ma per “un peccato”, “uno stile di vita”. E viene offeso dai pm con un “linguaggio” sconveniente che “smarrisce il senso delle proporzioni”. In effetti è bizzarro che in un processo per prostituzione l’accusa parli di prostituzione con espressioni come “sistema complesso di prostituzione”, “soddisfacimento del piacere di una persona”, “atti sessuali retribuiti”, e dipinga i presunti papponi “come sentina di ogni vizio, espressione di ogni nefandezza” a fini di “degradazione morale”, anziché elogiarne le virtù etiche e civiche (in fondo il lenocinio è uno “stile di vita” come un altro). Invece quelli di Milano sparano la richiesta “severissima” di condannarli a 7 anni più le interdizioni: la prova che vogliono “una condanna morale”, non “giudiziaria”, una “pena esemplare” e quindi non “giusta”. Non sa, il giureconsulto, che non la Procura, ma il Codice penale, grazie anche alle leggi dei governi Berlusconi del 2006 e del 2008, prevede per questi reati da 6 a 8 anni di carcere con automatica interdizione perpetua dai pubblici uffici e dagl’incarichi scolastici: nemmeno volendo i pm avrebbero potuto chiedere di meno. 
Ma Battista, rispetto ai giornalisti, gode di un privilegio invidiabile: non sapendo nulla, può scrivere di tutto.

C’era una volta un partito

I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi.

Gino Strada

Il pd non ha avuto paura di andare in piazza: NON C’E’ POTUTO ANDARE.
Così come non ha potuto dire mezza parola sulla manifestazione eversiva del pdl a Brescia.
Il pd si è consegnato spontaneamente a quello che avrebbe dovuto essere il nemico, l’avversario, l’antagonista, e questa è una delle conseguenze.

Se guardate dietro, ma dietro dietro, dovrebbe esserci anche bersani [che in quanto segretario dimissionato avrebbe potuto esserci davvero, per dire].

E’ meglio, molto meglio che la politica dei giorni nostri non si accosti nemmeno per sbaglio alla questione morale, quella di cui parlava Berlinguer trentadue anni fa.
Perché sarebbe molto complicato spiegare da un punto di vista morale, che non è uguale a quello moralista, o “moralisteggiante” come va di moda dire adesso, com’è stato possibile che un partito che diceva di essere l’alternativa al disastro economico, etico e, appunto, morale, prodotto da berlusconi in questi due decenni,  sia rimasto a guardare dalla finestra uno spettacolo al quale non avrebbe dovuto partecipare come spettatore muto ma da protagonista principale.
Il pd non ha solo abbandonato l’idea di essere alternativa, ha proprio e definitivamente rinunciato all’idea di una politica onesta, al servizio della gente, dei suoi bisogni e necessità.
Non si abbandona il popolo e non si abbandonano i lavoratori a favore della risoluzione dei problemi di un  delinquente.

Pdl dopo insulti a Carfagna
“Colpa dei cattivi maestri”

Lei: “Mi spaventa il clima” video

La pretesa che dei carabinieri si debbano occupare di insulti verbali dà l’esatta misura di quanto questa gente sia distante dalla realtà, quella di altra gente che è costretta a rubare per mangiare a causa delle loro politiche scellerate, hanno ridotto un paese in miseria e in ginocchio, l’hanno stravolto e deformato a immagine e somiglianza di un delinquente  e in cambio  pretendono  il silenzio rispettoso?

Preambolo: “ chi infiamma le piazze, chi alza i toni, chi insulta con disprezzo, dovrebbe riflettere e farsi un accurato esame di coscienza” .

Aristotele? no, brunetta a proposito di madonna carfagna insultata.

brunetta, se sbaglio mi corigerete, è stato quello che insultò una signora tre volte laureata dicendole che lei e quelle e quelli come lei erano “l’Italia peggiore”.
Allora io voglio dire a brunetta, alla carfagna, a schifani [!] che parla di episodi preoccupanti […], e per conoscenza anche a Laura Boldrini, che ancora non c’entra ma si è dimostrata assai sensibile al tema dell’insulto al politico ed è subito accorsa a dare la sua solidarietà di genere alla carfagna, forse per il timore che brunetta le potesse rifare lo stesso cazziatone di qualche giorno fa in parlamento, che forse bisognerebbe andare oltre la solita solidarietà pelosa e ricercare  i motivi del disagio nei motivi, appunto, che ci sono, non sono il frutto di nessuna fantasia né dell’antipatia personale nei confronti di qualcuno.

Bisognerebbe chiedersi, seriamente,  come mai  c’è gente, nella fattispecie gente che fa politica per mestiere, che non può mettere piede in un negozio, in un ristorante, al supermercato senza essere presa di mira. All’estero i politici vanno in giro in bicicletta, coi mezzi pubblici, a piedi, qui no.

Ci sarà un motivo?

Non ne possiamo più, è diventato difficile e complicato anche pensare che esistono persone così,  insopportabili, false, bugiarde, arroganti e questo al di là di tutti i  privilegi, di tutto l’esercito di poliziotti e carabinieri con cui sono costrette ad andare in giro per evitare che le lincino, altroché insulti, e non è più tollerabile il tentativo reiterato ormai quotidianamente di reprimere il dissenso che loro stesse hanno prodotto in tutti questi anni.  

Il clima di odio l’hanno costruito loro e ora se ne lamentano?

Questa  ossessione dell’intervento repressivo, di censurare le voci contro  è stomachevole. 

L’odio è un sentimento, come l’amore, e nessuno può impedire a nessun altro di odiare qualcuno e di dirglielo, se ne ha voglia.  

Noi, al contrario di loro una coscienza l’abbiamo, ed è proprio quella, che si ribella.

La carfagna non si offende di stare al fianco del puttaniere corruttore [sempre per sentenze, non per le opinioni mie o di qualcuno]? non lo trova violento?

LE LARGHE INTESE: STORIA GROTTESCA DI UN AUTOCOMPLOTTO 
Furio Colombo, 19 maggio

Certo che c’è un complotto. Ci deve essere una ragione urgente, grave e pericolosa, se il nuovo segretario del Pd, già segretario della Cgil, è costretto a non andare al corteo e alla manifestazione della Fiom (Cgil) che difende accanitamente il lavoro. Per non turbare il governo delle larghe intese? Non può essere perché appena una settimana prima il collega di Letta dell’altro partito era andato in piazza in difesa di Berlusconi condannato due volte e in attesa di due sentenze. Lo aveva fatto contro i giudici, ovvero un leader dell’esecutivo contro un altro potere democratico della Repubblica. Lui risponde: “È la politica, bellezza”. Non vale per il Pd. Il Pd deve fingere di esserci e restare fermo, sottomesso, a obbedire. Questo è il complotto. Ecco le prove. Una sera in televisione compaiono fianco a fianco il presidente della commissione Giustizia del Senato, Nitto Palma (Pdl) e la presidente della commissione Giustizia della Camera, Ferranti (Pd). Sono due esperti, due magistrati. Rappresentano i due partiti che si contendono il governo in Italia. Viene buttata lì la domanda (Lilli Gruber, 16 maggio): “Secondo lei Berlusconi potrà essere senatore a vita?”. Il lettore immaginerà che il senatore del Pdl abbia detto con convinzione ed entusiasmo che certo, sì, Berlusconi è lo statista italiano che più di tutti merita questo onore. Giusto. Nitto Palma lo ha fatto. E che la presidente Ferranti, anche perché giudice, abbia respinto con un certo sdegno questa risposta. Invece, con un sorriso ha detto che “non saremo noi a dire se Berlusconi può diventare senatore a vita. Il privilegio di quella decisione spetta al presidente della Repubblica”. Gli spettatori – elettori (ormai le elezioni sono sempre imminenti) hanno constatato che una delle parti è attiva e occupa tutto lo spazio che può (molto, data la doppia disponibilità televisiva che è dono del conflitto di interessi) al punto da mandare in onda, in tempo reale, contro-inchieste televisive su processi in cui Berlusconi è imputato. L’ALTRA PARTE è immobile. E viene incoraggiata a disertare e disprezzare una grande manifestazione operaia per il lavoro. Non mancano i momenti in cui le conseguenze del complotto contro il Pd diventano ancora più chiare. Arriva Chiamparino, che lascerebbe tutto per diventare segretario del Pd dopo il Congresso d’autunno. La notizia sembra interessante, smuove le acque. Ma il complotto obbliga Chiamparino ad aggiungere una condizione non negoziabile: “Accetterei solo se il Pd facesse proprie le proposte di Pietro Ichino sul lavoro”. Come è noto, sono le stesse regole di condotta che hanno affondato il lavoro negli Stati Uniti, mettendo tutto il potere nelle mani delle imprese, fino a quando il presidente Obama ha strappato al Congresso più diritti e più lavoro per la parte di americani che lo ha votato, cioè i più poveri. Il Pd, invece è deciso (o costretto) a ignorare i suoi elettori. Eppure molti di loro cercavano, anche i meno sicuri, una sola qualità nel Pd: la certezza che non fosse il Pdl. Ma qui entra in funzione, potente e bene organizzato, il complotto. Centouno estranei si infiltrano nel partito che, in Europa, è parte del Pse (Socialisti europei) e prima abbattono Prodi, poi obbligano l’intero partito, dirigenza e deputati, a non vedere Rodotà. Votarlo voleva ridare istantaneamente identità e dignità a un intero partito immobilizzato e sotto assedio, avviare un nuovo governo e soprattutto restare dalla parte degli elettori. Ma la ferrea crudeltà del complotto non lo ha permesso. Forse per questo Beppe Grillo, leggero di mano come al solito, può dire in un suo comizio di questi giorni: “Non preoccupatevi, è tutto chiaro. A ottobre andremo alle elezioni perché così vuole il nano e allora saremo in due a misurarci, noi e il nano. E li spazzeremo via”. Non sappiamo se la previsione sull’happy end di Grillo sia fondata. Ma purtroppo la descrizione del paesaggio sembra realistica. Si vedono con chiarezza due protagonisti, non tre. VI DIRETE: ma il presidente del Consiglio è del Pd. Inevitabile rispondere. Sì, ma da lontano non si vede. E questo è il capolavoro del complotto che sta togliendo di mezzo il Pd: quel partito, da lontano, dal punto di vista degli spettatori-elettori, non si distingue. Avrete notato il tono padronale del vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno (carica non da poco in caso di imminenti elezioni). Avrete notato il tono padronale dei loro giornali, delle loro televisioni. Ti parlano con la contenuta indignazione di chi comanda, e includono un evidente disprezzo per chi ha detto o scritto ciò che non vogliono. Anche l’uso del governo – che offre al ridicolo la reputazione di uno dei partiti per segnare i punti dell’altro – dovrebbe far riflettere. Esempio, l’Imu. Letta rischia tutto con l’Europa, un bravo banchiere gli fa da notaio. Ma è Berlusconi che si presenta al pubblico per l’incasso. Lo ottiene perché, per forza, credono a lui. Nessuno farebbe spontaneamente, contro se stesso e la propria credibilità e immagine, ciò che il Pd ha fatto e sta facendo. Come Pasolini, devo dire – del complotto contro il Pd – che “io so, ma non ho le prove”. A differenza di Pasolini mi tormenta un dubbio. Che si tratti di un folle autocomplotto che punta a un risultato inevitabilmente distruttivo? Altrimenti come spiegare che un solo senatore (Luigi Zanda) ha chiesto al Pd di dichiarare l’evidente ineleggibilità di Berlusconi? Gli altri sono minacciati?

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LA SOLITUDINE DEGLI ELETTORI 
Antonio Padellaro, 19 maggio

Di bandiere del Pd ce n’era una soltanto, ma siamo convinti che di elettori del Pd ce ne fossero davvero molti, forse la maggioranza tra i centomila di piazza San Giovanni a Roma dove, ieri, intorno alla Fiom-Cgil di Maurizio Landini, c’erano con la sinistra del lavoro, della legalità e della dignità, Stefano Rodotà, Sergio Cofferati, Gino Strada, Antonio Ingroia, Nichi Vendola e i 5Stelle. Lavoro e diritti che teoricamente dovrebbero stare a cuore al Pd dell’ex leader della Cgil Epifani, così come a Bersani e agli altri esponenti del sinedrio democratico che, sempre molto teoricamente, di sinistra dovrebbero sentirsi. È un caso unico, quello di un gruppo dirigente che, come paralizzato da una forza potente quanto misteriosa, abbandona i propri militanti nella solitudine politica anche a costo di perderli per sempre. Una coazione a ripetere gli stessi errori che dura guarda caso da un decennio, da quando (era il 2002) sempre in quella piazza San Giovanni un milione di cittadini dissero: basta con Silvio Berlusconi. Sembrò la volta buona, ma poi furono lasciati soli dai Ds, e si è visto come è finita. Oggi la situazione si presenta ancora più grave. È comprensibile che, dopo il vergognoso tradimento del contratto con gli elettori, quei dirigenti che firmando la resa nelle mani di Napolitano sono andati al governo con il Pdl non abbiano più il coraggio e la faccia per mostrarsi a un popolo che forse non li riconosce più. Solo in due non hanno avuto paura di andare in piazza: Fabrizio Barca e Matteo Orfini. Gli altri sono o ministri o sottosegretari. Esiste anche il problema opposto, poiché farsi vedere accanto a Landini e Rodotà potrebbe scatenare le ire dei Brunetta e dei Cicchitto, e ciò per i colonnelli delle larghe intese pd è oltremodo disdicevole. Michele Serra sull’Espresso ha narrato da par suo la triste condizione dei deputati e senatori democratici, costretti a convivere nella stessa maggioranza con i berluscones: “Le inventano tutte, dai sedativi alla cannabis, e i più audaci tagliano la testa al toro e diventano di destra”. C’è poco da ridere: con il sesto senso della satira, Serra ha colto nel segno. È il destino di chi, a furia di arretrare sui principi e di fare compromessi con la propria storia, non si ricorda più chi era e da dove veniva. Del resto, la classe operaia è dispersa e anche il lavoro si va estinguendo. Non è meglio allora “fare spogliatoio” con Alfano e Quagliariello?

Abbracci fra il presidente della repubblica e il ministro della sanità. In un paese normale sarebbe stato così.

 

Il ruggito del coniglio

 

Sottotitolo: oh, me s’è incazzato pure il direttore Padellaro stamattina…vuoi vedere che alla fine c’aveva ragione il coniglio, il vile, il vigliacco? miserabili cialtroni, quelli che insultano al comodo della propria casa e molto spesso  senza un volto e nascosti dietro i propri finti nomi, a differenza di un giornalista che ci mette la sua faccia e che può sbagliare e come no, e infatti quando sbaglia lo portano in tribunale, mica da Formigli.

Ed io,  fra un giornalista che sta sui coglioni a tutti e un uomo potente che piace a tutti, non ho alcun dubbio da quale parte devo e voglio stare.

Caselli scrive al Csm: “Chiedo
tutela dalle accuse di Grasso”

 Il procuratore capo di Torino ha scritto una lettera al vicepresidente Consiglio superiore della magistratura Michele Vietti dopo le parole del presidente del Senato a Piazzapulita [Il Fatto Quotidiano]

 

Un altro po’ e l’infamato diventa lui il diffamatore.
Questa è la conferma  che è sempre sbagliato pretendere un contraddittorio televisivo nel merito di inchieste giornalistiche.
Nell’informazione esiste un attore che è il giornalista, il cui dovere sarebbe quello di dare le notizie, possibilmente corrispondenti al vero come infatti sono quelle che riguardano l’ex superprocuratore, visto che in otto anni non aveva mai pensato di chiedere smentite, rettifiche, chiarimenti né, tanto meno di sentirsi infamato aggiungendo anche la nota di colore sulla moglie spaventata come ha fatto da Formigli, il picco massimo a cui può arrivare la minaccia di un potente che avverte il giornalismo che scrivere e parlare di lui significa mettere in pericolo la sua sicurezza.

E, quando una notizia non corrisponde al vero il diffamato può rivolgersi alle sedi legali opportune per chiedere la rettifica, la smentita ed eventualmente pretendere il sequestro del materiale incriminato.

Sepperò il diffamato si chiama Cocilovo e di mestiere fa il PM e il diffamatore sallusti le speranze di avere giustizia purtroppo si riducono allo zero, specialmente in presenza di un presidente della repubblica come dire? un po’ troppo interventista e caritatevole.

Ma mai e poi mai può pretendere che un fatto e una notizia si trasformino in un pettegolezzo mediatico.
Starebbero freschi i giornalisti se dovessero contraddirsi con tutti i protagonisti delle loro inchieste e notizie.

Grasso, solo dopo molti anni e nell’imminenza di un suo probabile alto e altro incarico politico, ha ritenuto di dover giustificare in fretta e furia i fatti che gli erano già stati attribuiti in altri articoli e  in un libro scritto da Travaglio con Saverio Lodato nel 2005.

E spetta all’opinione pubblica, non a Grasso, a Formigli e ai detrattori tout court di Travaglio e Santoro stabilire se le giustificazioni piuttosto misere di lunedì sera dell’ex procuratore fanno apparire i fatti che lo riguardano  meno gravi.

Solo persone  in malafede possono pensare che il giornalismo deve essere opportuno, in un paese dove non bastano vent’anni per mandare in galera un mafioso. Un paese posizionato, per libertà di informazione, sotto a stati e paesi che almeno non si ammantano dell’aggettivo di democrazia.

Per farsi piacere la verità bisogna amare la verità, non parteggiare per il proprio idolo, partito e personaggio politico.

Un giornalista mette i fatti a disposizione della gente affinché sia la gente a formarsi le sue opinioni.

E quanto più un giornalista è libero  più gli interessano i fatti, non i personaggi coinvolti in una storia.

 

Uno dei danni più gravi prodotti dal quasi ventennio di berlusconi è aver sdoganato il concetto che anche il [o la] peggior ignorante può prendersi la libertà di insultare persone migliori di lui [o di lei] come e quanto vuole.
La questione Grasso – Formigli – Travaglio [posizionato al centro, là dove un perfetto terzo incomodo deve stare] è stata molto utile, educativa, pedagogica, e ha dimostrato ancora una volta – semmai ce ne fosse davvero la necessità – di quanto tanta gente sia immatura, ignorante e incapace non dico di pensare in modo profondo – magari dopo essersi informata – ed eventualmente contare almeno fino a dieci prima di dire o scrivere scemenze, quelle sì offensive e diffamanti [e spero che Travaglio abbia preso nota di tutto quello che è stato scritto e detto in questi giorni su di lui] ma anche di formulare il benché minimo ragionamento, delle semplici riflessioni non sull’occulto ma su ciò che si vede benissimo.
La malafede acceca, l’invidia dei mediocri è devastante, e alla maleducazione e all’inciviltà non si può che replicare con  compatimento.
 E, tanto per chiarire una volta e per tutte, non è stato Travaglio a dire no al confronto, lui ha detto no solo a Piazza pulita e saranno ben fatti suoi se nel salotto di Formigli qualcuno può anche non avere voglia di sedersi, visto che lo fanno in tanti, compresi Monti e Bersani con Servizio Pubblico senza essere accusati di viltà e vigliaccheria.

Lui aveva detto che l’incontro si poteva fare dalla Gruber a otto e mezzo, ma Grasso ha preferito Formigli.

E chi ha visto Piazza pulita  ha capito anche il perché.

VELENI E CITOFONI

di Antonio Padellaro, 27 marzo

A Piazza Pulita abbiamo ascoltato il presidente del Senato Grasso pronunciare la seguente frase: “La sera della trasmissione ho trovato mia moglie agitata come la trovai quando, ai tempi del maxi-processo, citofonarono da giù e le dissero: ‘I figli si sa quando escono, ma non si sa quando rientrano'”. La trasmissione in questione è l’ormai famoso Servizio Pubblico di giovedì scorso e, se l’ex procuratore intendeva tracciare un’infame quanto ridicola analogia tra le minacce degli assassini mafiosi e le critiche legittime che gli ha rivolto Marco Travaglio, ci è riuscito perfettamente. La frase, tuttavia, si presta ad alcune brevi considerazioni sullo stato mentale di certa classe politica di cui Grasso è un’eminente new entry. Prima di tutto lo sgomento che li assale ogniqualvolta il loro finissimo orecchio coglie qualche nota in dissonanza con il consueto concerto per flauti e archi che li accompagna su tutta la stampa nazionale. Chi osa esprimere un dubbio su cotanto cristalline carriere sarà certamente un manigoldo o un emissario di Cosa Nostra. Ed ecco la piagnucolosa litania infarcita di figli in pericolo e di mamme trepidanti. L’eroe antimafia vive, si sa, un pericolo costante: “Mi crocifiggeranno, ci saranno dei video, sarà killeraggio mediatico”, nientedimeno. Ma intanto, a difesa della “nuova funzione istituzionale”, egli si porta avanti con il lavoro spargendo veleni. E se il bravissimo Formigli non ha ritenuto di interrompere l’augusto ospite per chiedergli conto e ragione dello spregevole insulto rivolto a un giornalista libero, lo faremo noi. Si vergogni, signor presidente del Senato, e accetti un consiglio. Poiché continueremo a fare tranquillamente il nostro lavoro, la prossima volta che vorrà darci dei mafiosi, abbia il coraggio di farlo a viso aperto e non si nasconda dietro un citofono.

Lunedì Grasso (con bugie) 
Tutte le bugie di Grasso, il furbo che piace a tutti.
Marco Travaglio, 27 marzo

Nelle quasi due ore di intervista concordata per rispondere ai tre minuti che gli avevo dedicato a Servizio Pubblico, Corrado Formigli e Piero Grasso hanno detto moltissime cose. Tralascio, per palese irrilevanza, quelle dette da Formigli (a parte il rivendicare come “la cosa più normale del mondo” convocare con un tweet notturno un confronto fra la seconda carica dello Stato e un giornalista di un’altra testata, che fra l’altro non frequenta twitter). E passo immediatamente al presidente del Senato, che si conferma purtroppo un pubblico mentitore e approfitta del fatto che i suoi colleghi della Procura di Palermo non possono andare in tv a sbugiardarlo. Se però mi vorrà querelare, sono in molti che verrebbero volentieri a testimoniare sotto giuramento come sono andate le cose e dove sta la verità. 

Balla n. 1: appello Andreotti. Grasso dice di non aver firmato né “vistato” l’atto di appello della sua Procura contro l’assoluzione di Andreotti in primo grado per motivi squisitamente tecnici, in quanto era stato sentito come testimone e la sua adesione all’appello avrebbe precluso ai giudici la possibilità di risentirlo in appello. È falso. Quando, nell’estate 2000, i procuratori aggiunti Scarpinato e Lo Forte gli consegnano il plico dell’impugnazione, Grasso rifiuta non solo di sottoscriverlo, ma anche di apporre il “visto” rituale, dicendo che non l’ha letto e non c’entra. Un gesto di plateale presa di distanze, che gli vale le lodi sperticate del Foglio di Ferrara e del Velino di Jannuzzi. Anziché respingere quegli imbarazzanti elogi, Grasso rilascia un’intervista al Quotidiano Nazionale e spiega che “forse, se avessi avuto più tempo a disposizione, avrei potuto collaborare anch’io alla stesura” (7.8.2000). E un’altra a La Stampa in cui boccia i processi della stagione Caselli, capace – a suo dire – di “ottenere condanne solo sulla stampa, nella fase delle operazioni di cattura, e non sempre nelle sedi giudiziarie e in via definitiva” (19.8.2000). Potrebbe dichiarare subito che il mancato visto è dovuto a un motivo squisitamente tecnico (il suo ruolo di ex testimone), ufficializzando così la sua vicinanza ai pm nel mirino per aver osato processare uno dei padroni d’Italia. Invece, col suo attacco a Caselli e ai processi eccellenti istruiti sotto la sua guida, li delegittima e li isola. Soltanto parecchio tempo dopo Grasso scoprirà improvvisamente di non aver firmato l’appello Andreotti (fra l’altro coronato dal successo di una sentenza d’Appello, poi confermata in Cassazione, che dichiarerà provata la mafiosità dell’ex premier fino al 1980) perché aveva testimoniato in primo grado. Una scusa puerile e infondata, sia perché nessuno pensava di richiamarlo a testimoniare in appello; sia perché, da procuratore nazionale antimafia, Grasso ha poi coordinato per anni varie indagini sulle stragi, in cui era stato chiamato a testimoniare più volte sui suoi rapporti con Falcone e sulla sua funzione di giudice del maxiprocesso, e non si è mai sognato di astenersi per quel motivo. 

Balla n. 2: caso Giuffrè. Nel giugno 2002 si pente Antonino Giuffrè, boss delle Madonie, fedelissimo di Provenzano e membro della Cupola. Grasso dice che Giuffrè “valeva oro” perché sapeva tutto di tutti i livelli mafiosi. Dunque cosa fece? Non avvertì nessuno dei pm antimafia, né tantomeno le procure di Firenze e Caltanissetta che indagavano sulle stragi, e per ben tre mesi se lo gestì da solo, clandestinamente, insieme al fido aggiunto Pignatone e al fido sostituto Prestipino (all’altro aggiunto Lo Forte diede la notizia, ma negò l’accesso ai verbali). E lo interrogò “personalmente nel carcere di Novara”, ma “solo i sabati e le domeniche”: mossa geniale, quella di giocarsi 5 giorni su 7 a settimana, visto che la nuova legge sui pentiti dava ai pm solo 6 mesi di tempo per cavargli di bocca tutto quel che sapeva. Perché tanta segretezza? Per evitare “fughe di notizie” che avrebbero messo a repentaglio la vita dei famigliari del neopentito: oltretutto – di – ce Grasso – “Giuffrè mi aveva parlato di talpe in Procura, che poi abbiamo individuato”. Se ne deduce che Grasso sospettava (senza prove) dei suoi colleghi, e perciò disattese la regola-Falcone della “circolazione delle informazioni” nei pool antimafia. Ma non basta: nei primi tre mesi (su sei a disposizione) interrogò Giuffrè quasi soltanto su certe estorsioni nelle Madonie, che porteranno all’arresto di una dozzina di pastori: la gallina delle uova d’oro che partorisce il topolino. Per annunciare i mirabolanti arresti, Grasso convocò una conferenza stampa il 20.9, svelando la collaborazione di Giuffrè “nuovo Buscetta”. Insomma, la fuga di notizie la fece il procuratore che ora dice di averla sventata, precludendo l’effetto sorpresa che poteva portare alla cattura di latitanti o al rinvenimento di prove decisive sui rapporti mafia-politica. Per questo tutta la Dda di Palermo “processò” Grasso che alla fine dovette capitolare: Giuffrè poteva essere sentito (giorno e notte, a tappe forzate, essendo rimasti solo tre mesi) dai pm dei processi eccellenti. A loro rivelò particolari importanti su Andreotti, B., Dell’Utri e trattativa, che Grasso non aveva chiesto. Non solo: consentì di individuare il referente mafioso delle talpe in Procura (che non erano pm, ma i marescialli Ciuro e Riolo): il costruttore Michele Aiello. La scoperta si deve ai pm Scarpinato, Lari, Russo, Paci, Piscitello, Guido e Tarondo che lo interrogarono a tutto campo il 12.11.2002. LìGiuffrè rivelò che Aiello era un prestanome di Provenzano. Così Grasso e i suoi, due anni dopo, fecero arrestare lui e i marescialli-talpa. Dunque è falso che la segretezza su Giuffrè abbia consentito la scoperta delle talpe: al contrario, fu proprio quando Grasso dovette informare su Giuffrè i suoi pm che le talpe furono smascherate. 

Balla n. 3: Ciancimino & C. Partito Grasso da Palermo nel 2005, dai cassetti della Procura saltano fuori un sacco di documenti dimenticati o trascurati sui rapporti mafia-politica. 1) Le intercettazioni dirette e/o indirette di telefonate del 2003-2004 fra il prestanome di Vito Ciancimino, il ragionier Lapis, e gli on. Cintola, Romano e Vizzini, in cui si parlava anche di Cuffaro, e che facevano ipotizzare una corruzione mafiosa. 2) Un pizzino di paternità incerta (Ciancimino? Riina? Provenzano? Un loro scriba?) con minacce e promesse di appoggio a B. in cambio di una tv Fininvest. Grasso l’altra sera si è fatto una risata: ai suoi tempi Massimo Ciancimino “non collaborava” e i Carabinieri o i suoi sostituti – lui, mai – “commisero degli errori o forse trascurarono qualcosa”. Già, ma era difficile che Ciancimino collaborasse, visto che la sua Procura non gli domandò nulla sulla trattativa. E non fece domande sulle carte sequestrate a Ciancimino jr. sulla trattativa: come il pizzino su B. e Dell’Utri (puntualmente segnalato dall’Arma alla Procura). Grasso dice che “non si sapeva chi l’avesse scritto, forseProvenzano o Riina”. Invece di indagare meglio, lo gettarono in uno scatolone, dove lo ritrovò un pm dopo la dipartita di Grasso. Quanto alle telefonate dei/sui quattro politici, Grasso sostiene che non erano dirette, ma fra terze persone che accennavano a nomi di battesimo imprecisati: i Carabinieri non capirono che “Totò” era Cuffaro e “Saverio” era Romano (probabilmente pensarono al principe De Curtis e a Borrelli), dunque ignorarono i nastri “senza neppure trascriverli”. Ma neanche questo è vero: le telefonate erano fra Ciancimino jr., Lapis e tre politici. Grasso aggiunge che, in ogni caso, “Cintola è morto, Cuffaro è stato condannato, Romano è stato assolto e per Vizzini c’è una richiesta di archiviazione per prescrizione”, dunque la dimenticanza “non fu un gran danno”. Ne avesse azzeccata una: Cuffaro è stato condannato per altro (favoreggiamento mafioso) e Romano assolto per altro (concorso esterno). Sulla presunta corruzione mafiosa, Cuffaro è uscito dalle indagini; per Romano pende una richiesta di archiviazione per prescrizione; idem per Vizzini perchè il Parlamento ha negato l’uso di numerose intercettazioni. É incredibile che il Pna uscente ignori fatti così gravi. Se poi sul caso incombe il rischio di prescrizione, è proprio perchè le bobine furono ignorate nella sua gestione nel 2005 e scoperte dai suoi successori nel 2008, perdendo tre anni preziosi. In realtà i carabinieri obbedirono a una circolare diramata da Grasso il 26.11.2004 sulle intercettazioni di parlamentari su utenze di soggetti terzi: “Non dovranno essere riportate nelle richieste di intercettazioni o di proroga, né in qualsiasi altra nota all’Autorità giudiziaria”, ma solo trasmesse con “note separate” alla Procura, mentre nei “brogliacci” si deve annotare solo che le intercettazioni esistono. Così, se un killer confida a un deputato che sta per uccidere qualcuno, la polizia non può riportare la conversazione nella richiesta di intercettare il killer, solo perché il killer ha preannunciato l’omicidio a un deputato. Senza la circolare, magari, i Carabinieri avrebbero segnalato alla Procura le telefonate dei politici. E la Procura di Grasso si sarebbe forse accorta per tempo della loro esistenza.

Balla n. 4: le querele minacciate. “Mai minacciato querele a Travaglio”, assicura Grasso. Invece il 10.1.2006 Grasso definì il libro Intoccabili. Perché la mafia è al potere (Bur) scritto da Lodato e da me “opera di disinformazione scientificamente organizzata” (non disse da chi) e aggiunse: “Non mancheranno le ‘sedi giudiziarie ed istituzionali in cuifar trionfare la verità’”. Poi naturalmente se n’è tenuto alla larga. 

Balla n. 5: l’amante del confronto. Grasso lamenta, sull’orlo delle lacrime, l’impossibilità di ottenere un confronto col sottoscritto. Se ciò fosse vero, accetterebbe il mio invito a dibattere con me a Servizio Pubblico, Otto e mezzo, al Tg di Mentana, o da Lerner. E, se ciò fosse vero, avrebbe risposto venerdì a Santoro che lo cercava tramite la batteria del Viminale, anziché fargli rispondere (l’indomani e da una segretaria) che era totalmente impegnato sabato e domenica (peccato che sabato fosse a Roma, ai funerali di Manganelli). Personalmente cerco un confronto con lui da dieci anni. Nell’estate 2003, quando ricostruii per MicroMega le drammatiche spaccature nate nella sua Procura (quelle che lui liquida come “normali dialettiche interne”, mentre lui si sforzava di “te – nere unita la magistratura”), il direttore Flores d’Arcais lo invitò a un forum in redazione o a un confronto con Scarpinato. Ma Grasso declinò entrambi gli inviti. Idem quando molti dei suoi pm chiesero un confronto con lui dinanzi al Csm.

Balla n. 6: caso Schifani. Archiviato ai tempi di Grasso, Schifani è stato di nuovo indagato dopo la sua dipartita. E, contrariamente a quel che lui afferma, non è stato archiviato: la richiesta è ancora all’esame del gup Piergiorgio Morosini. 

Balla n. 7: le leggi anti-Caselli. Dice Grasso che, contrariamente a quanto ho sostenuto a Servizio Pubblico , le tre leggi del governo Berlusconi nel 2005 per eliminare il suo concorrente Gian Carlo Caselli dal concorso per la Dna, non furono da lui “ottenute”. Gli piovvero in testa come la casa di Scajola: a sua insaputa. “Ottenere significa chiedere e io non ho mai chiesto niente”. Ma ottenere significa anche meritare. Si è mai domandato perché ha meritato tre norme (e da che governo!) contro il suo unico avversario, e dunque in suo favore? E perché i cinque membri laici del centrodestra al Csm votarono per lui? E perché, mentre il centrodestra cannoneggiava, spiava fin dentro i calzini, insultava, attaccava, faceva punire, chiedeva di trasferire, delegittimava tutti i magistrati più in vista d’Italia, e tutti i pm antimafia, elogiava, applaudiva, favoriva per legge e votava soltanto uno: lui? Grasso sostiene che le tre leggi non ebbero effetto perché il Csm avrebbe potuto procedere alla nomina del Pna in un plenum straordinario, in fretta e furia, prima che entrasse in vigore la terza e decisiva legge anti-Caselli. Il quale dunque “se la deve prendere con i colleghi che impedirono la decisione”. Balle: la commissione Incarichi direttivi dà 3 voti a lui e 3 a Caselli il 12 luglio 2005; e il 20 luglio viene approvata la legge: come può il plenum deliberare in una settimana, visto che uno dei relatori delle candidature deve ancora stendere le motivazioni? Inoltre la lettera che chiedeva il plenum straordinario su input del centrodestra era irricevibile, infatti non ebbe risposta dal vicepresidente Rognoni. La legge poi ebbe un effetto gravissimo: escludendo Caselli, gli impedì di ricorrere al Tar contro la nomina di Grasso vantando titoli e anzianità che Grasso si sognava. In ogni caso resta la questione di principio: un cultore della Costituzione come Grasso dovrebbe sapere che l’art. 105 affida le nomine dei magistrati al Csm senza interferenze del governo. E avrebbe dovuto rifiutare quel concorso truccato a suo favore. Invece ne approfittò senza batter ciglio, salvo poi – quando la Consulta dichiarò incostituzionale l’ultima norma – riconoscere che sì “era stata contro Caselli e a favore mio”, ma conservando la poltrona. Ottenuta, sì “ottenuta” in quel modo scandaloso. 

Esaurito – per esigenze di sintesi e per ora (il resto domani a Servizio Pubblico) – il capitolo-balle, e sorvolando sul paragone tra le critiche di un giornalista e le minacce dei mafiosi alla sua famiglia, restano un paio di violenze alla logica che confermano platealmente la sua fama di italianissimo furbo, una sorta di Alberto Sordi della toga. 8. Premio antimafia a B. È stato tutto un equivoco, colpa di “quei birbanti de La Zanzara”. 

Ma per non cadere nel presunto tranello, anziché dire e ripetere che B. merita “un premio speciale” antimafia, bastava rispondere: “No, nessun premio a chi dice che Mangano è un eroe e che i magistrati sono matti, antropologicamente diversi dalla razza umana, golpisti, cancro della democrazia”. 

Nessuno avrebbe equivocato. 9. Processi & (in)successi. Se un pm si chiama Ingroia o Caselli o Gozzo e si vede condannare un imputato, tipo Dell’Utri, per Grasso “non deve viverlo come un successo”. Anzi, come una sconfitta, perché il processo “è durato troppo”. Se invece l’imputato si chiama Cuffaro e viene condannato e il pm si chiama Grasso, allora è un trionfo: la prova che il suo “metodo” è quello giusto, mentre quello degli altri era sbagliato, viziato da “processi gogna” a politici poi assolti, dunque da non processare proprio (ma i processi non servono proprio a stabilire se uno è colpevole o è innocente?). Quali? “Non è elegante fare nomi”. Invece i nomi dei suoi imputati politici Grasso li fa eccome e molto elegantemente. Tanto ce n’è solo uno: Cuffaro. Anzi no, ha sgominato anche un altro pezzo da 90: “Vincenzo Lo Giudice detto Mangialasagne”, nientemeno che consigliere regionale Udc. 

E qualcuno osa insinuare che si sia tenuto a distanza dalle indagini sulla politica?

10. Applausi da B. e Dell’Utri. Se B. applaude il suo discorso al Senato e se Dell’Utri si spertica in elogi in ogni intervista, è colpa del Fatto che chiede pareri su di lui a “persone non in auge dal punto di vista dell’opinione pubblica”. Ma Dell’Utri, prima che lo intervistassimo, aveva già esternato qua e là in difesa di Grasso: “È equilibrato, un uomo di Stato. Lui sa chi sono io… Grasso è brava persona, sono contento per la sua elezione a presidente del Senato… Non è un magistrato fanatico come Ingroia”. E già nel 2004 gli aveva dipinto un impareggiabile ritratto umano: “Grasso, quando era giovane, giocava a calcio nella mia squadra, la Bacigalupo, ed era famoso perché a fine partita usciva sempre pulito dal campo: anche quando c’era il fango, lui riusciva sempre a non schizzarsi…”. Comunque, promesso: la prossima volta che ci servirà un parere su Piero Grasso, chiederemo direttamente a Piero Grasso.