Assolti per insufficienza di prove e assenza di giustizia

 

“In nome del popolo italiano?”
No, nel mio no.
Se lo stato ha deciso di stare dalla parte dei ladri che derubano il popolo, degli assassini dei nostri figli innocenti abbia almeno la decenza di non farlo anche in nome di chi non vuole questo, ci metta la sua faccia, quella di chi ha permesso che si arrivasse fino a qui e fa in modo che si continui così, non la mia né quella di chi si ribella alle ingiustizie fatte subire in ragione della difesa del potere. Lo stato si prenda le sue responsabilità, dica che lo fa in nome della legge: la sua, quella che condanna ad una pena ridicola con licenza di riformare la Costituzione un frodatore e che assolve degli assassini per insufficienza di prove. E quando le prove ci sono gli assassini se la cavano con tre anni e mezzo indultati e la licenza di poter indossare ancora la divisa da poliziotti.
Io non mi vergogno per gli altri, nessuno dovrebbe farlo quando non ha colpe, al contrario dovremmo tutti quanti pretendere che la vergogna, una parola di cui si abusa a proposito delle responsabilità dello stato, con cui ci si veste, così, tanto per dire qualcosa, si traduca nell’atto concreto di evitare perfino di pronunciarla.

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Praticamente la sentenza di appello ha dato ragione a Giovanardi –  al necrofilo Giovanardi che insulta sempre volentieri i morti perché non possono rispondergli – che ha sempre sostenuto la teoria che Stefano sarebbe morto per gli effetti collaterali della tossicodipendenza che, lo sanno tutti, provoca lesioni, fratture ed ematomi su tutto il corpo. Chi, fumando uno spinello non si è spezzato l’osso del collo? E’ la prassi.

Senza la legge sulle droghe, quella del fascista fini e del necrofilo omofobo giovanardi  giudicata poi incostituzionale Stefano oggi sarebbe ancora vivo. Mandate via i figli da qui. E’ l’Italia ad essere tossica, non Stefano.

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C’è da impazzire, muore un figlio, un fratello, un compagno ridotto nelle condizioni in cui era Stefano e non è stato nessuno.
Uno stato che non trova il responsabile di quello scempio andrebbe inserito in quelli canaglia, un posto dove non andare nemmeno in vacanza una settimana.
Non si può sopportare.
E’ troppo.

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Morte Cucchi, tutti assolti in appello
Sap: “Chi disprezza la salute paga”

La sorella: “Ammazzato dalla giustizia”

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Leggendo Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi, viene in mente il libro La banalitá del male nel quale Hannah Arendt spiega benissimo che gli orrori più crudeli li commettono persone normalissime. Erano uomini normali quelli che bruciavano gente nei campi di sterminio nazisti e poi tornavano a casa da mogli e figli.
La fisiognomica di Lombroso è un’idiozia.
“Sono come noi, sono in mezzo a noi”.

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Facile parlare di raziocinio in casi come quello di Stefano. uno dei tanti che è stato ammazzato varie volte anche da morto, come Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, sempre dallo stato nella figura di chi lo rappresenta, dalla politica che insulta i morti e dalle stesse forze dell’ordine che imputano allo stile di vita un massacro evidente, come fu anche per Federico che se non fosse stato per la costanza e la tenacia di sua madre sarebbe morto per atti di autolesionismo dovuti all’assunzione di stupefacenti.
Federico è morto letteralmente sfondato, l’autopsia ha rivelato che uno dei calci ricevuti gli aveva spaccato prima il torace e poi il cuore.
I suoi assassini, quattro poliziotti  fra cui una donna – non è un dettaglio insignificante nel paese dove le donne lo fanno meglio e si meritano tutto – hanno avuto una pena ridicola e non hanno perso nemmeno il posto di lavoro, sono stati applauditi dai loro colleghi che avrebbero dovuto prendere le distanze dai traditori dello stato e dei cittadini soprattutto per restituire fiducia in quello stato di cui ormai non ci fidiamo più.
Non abbiamo più motivo per farlo.
Com’è morto Stefano lo abbiamo visto, facilmente intuito, ma nel paese dei misteri, degli occultamenti, delle sentenze dal retrogusto omertoso non vedremo mai chi lo ha ridotto in quelle condizioni.
Non è giusto.

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E così Cucchi i lividi se li è fatti cadendo dalle scale – Saverio Tommasi

E così Cucchi i lividi se li è fatti cadendo dalle scale.
Pinelli si è buttato dalla finestra perché era convinto di saper volare e la bomba alla stazione di Bologna l’hanno messa gli anarchici.
In Iraq c’erano le armi di distruzione di massa e Carlo Giuliani è stato ucciso dal sasso di un manifestante.
Il DC-9 a Ustica è caduto perché era finito il carburante e questi cazzo di operai dovrebbero smetterla di andare a sbattere nei manganelli perché poi si fanno male come si è fatto male, una notte di settembre, Aldrovandi.

PS. anche se non conta una cazzarola di nulla io voglio mandare il mio abbraccio a quel fiore di Ilaria Cucchi. E prometterle che a mia figlia, appena sarà un po’ più grande, racconterò la verità. Quella che noi sappiamo e che nessuna sentenza potrà mai rubarci. Un abbraccio, carissima e dolce Ilaria.

 

 

Fermiamo i ladri della democrazia

E’ vero che Renzi non viene disturbato dall’informazione mainstream abituata alla posizione a 90 di fronte a qualsiasi potere tenga aperti i rubinetti dei vari finanziamenti, ma è anche vero che nemmeno la societá civile riunita sotto gli ombrelli delle associazioni fa un plissè. Il popolo viola come le “senonoraquandiste” evidentemente soddisfatte di avere la loro bandiera seduta alla Camera e la giusta percentuale di quote rosa al governo. 
Quindi non serve più chiamare la piazza per difendere il paese dall’immoralitá criminale di berlusconi. Non fa paura nello stesso modo Renzi che sta cazzeggiando con la democrazia con l’intenzione di violare la Costituzione insieme ad un pregiudicato e ad un imputato molto più di quanto sia riuscito a fare berlusconi stesso.

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Le controriforme dell’Italicum e del Senato, concordate dal governo con il pregiudicato Berlusconi e il plurimputato Verdini consentono a un pugno di capi-partito di continuare a nominarsi i deputati, aboliscono l’elezione dei senatori ed espropriano i cittadini della democrazia diretta: i referendum (non più 500mila, ma 800mila firme) e le leggi di iniziativa popolare (non più 50mila, ma 250mila firme). Chiediamo ai presidenti Napolitano, Grasso, Boldrini e Renzi di sostenere solo riforme che rispettino lo spirito dei Costituenti, per una vera democrazia partecipata
Antonio Padellaro, Marco Travaglio, Peter Gomez e la redazione del Fatto Quotidiano

NO AI LADRI DI DEMOCRAZIA – FIRMA
In un’ora già oltre cinquemila adesioni

Patto del Nazareno e Senato dei nominati: piduisti a loro insaputa – Marco Travaglio

 

Contro i nominati in Parlamento e referendum limitati: petizione per riforme dalla parte dei cittadini
10 IDEE PER ISTITUZIONI DAVVERO PARTECIPATE – DI’ LA TUA SULLE PROPOSTE DEL FATTO

“Nei confronti del mondo politico occorre… usare gli strumenti finanziari… per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno sulla sinistra… e l’altro sulla destra… fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile. Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un’azione politica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche”. Così scriveva Licio Gelli nel Piano di Rinascita Democratica, elaborato intorno al 1976 con l’aiuto di alcuni “saggi” e sequestrato nell’82 a Fiumicino nel doppiofondo della valigia della figlia Maria Grazia.

Quanto al Parlamento, il capo della P2 sfoderava una gamma di proposte davvero profetiche. “Ripartizione di competenze fra le due Camere” con due “nuove leggi elettorali diverse: per la Camera di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco)”; e – udite udite – “per il Senato di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali”. Uno spettacolare caso di telepatia vuole che proprio questo sia il “Senato delle Autonomie” inventato da Renzi & B: Camera elettiva, ma fino a un certo punto (l’Italicum, con le liste bloccate dei deputati nominati, rende il Piano di Gelli un tantino troppo democratico); e Senato con elezione di “secondo grado”, cioè con i consigli regionali che nominano senatori 95 fra consiglieri e sindaci. Il Maestro Venerabile meriterebbe almeno il copyright. Anche per l’idea di espropriare il Senato del voto di fiducia: “Modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera” e “per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) e al Senato preponderanza economica (esame del bilancio)”. Qui però i venerabili allievi Matteo e Silvio vanno addirittura oltre: la Camera vota in esclusiva la fiducia al governo del premier-padrone della maggioranza, e il Senato non vota più neppure il bilancio.

Poi accolgono in toto un’altra geniale intuizione gelliana: “Stabilire che i decreti-legge sono inemendabili”. Fatto: inserendo in Costituzione la ghigliottina, sperimentata da Laura Boldrini contro l’ostruzionismo 5Stelle sul decreto Bankitalia che regalava 4,5 miliardi alle banche, i decreti del governo andranno obbligatoriamente approvati entro 60 giorni, con tanti saluti agli emendamenti e all’ostruzionismo dell’opposizione, relegata a un ruolo di pura testimonianza. Il tutto – come auspicava il profeta Licio – con l’apposita “modifica (già in corso) dei Regolamenti per ridare forza al principio del rapporto maggioranza-Governo, da un lato, e opposizione, dall’altro, in luogo dell’attuale tendenza assemblearistica”.

Nel lontano 1976, prima del boom delle tv locali, Gelli anticipava di un paio d’anni la nascita della tv via cavo Telemilano, poi ribattezzata Canale5 e seguita da Italia1 e Rete4 (“impiantare tv via cavo a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese”). E proponeva di “acquisire alcuni settimanali di battaglia”: cosa che il confratello B., tessera P2 n. 1816, fece nel ’90 comprandosi la sentenza che ribaltava il lodo Mondadori e gli regalava Epoca e Panorama. Quanto all’idea di “dissolvere la Rai-tv in nome della libertà di antenna”, è solo questione di tempo: dopo la rapina renziana di 150 milioni, la crisi di Viale Mazzini non può che peggiorare. 
Per mettere in riga le toghe, Gelli auspicava “la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati”: che arrivò con la legge Vassalli del 1988, dopo il referendum craxiano; ma ora si prepara un nuovo giro di vite.

Meno male che il berlusconismo era finito nel 2011. Dopo vent’anni di piduisti doc, ora abbiamo i piduisti a loro insaputa.

L’indecenza

Leggo che il pd, che evidentemente non ha cose più importanti a cui pensare, ha chiesto un’interrogazione parlamentare e l’intervento della vigilanza Rai su Pelù colpevole di aver violato la par condicio. Mentre non chiede nulla per l’incandidabile delinquente che spadroneggia in televisione continuando ad infamare la magistratura, in spregio e sfregio alle regola della par condicio che offre spazi mediatici SOLO ai candidati.

 Il reality show non è stato quello di Pelù ma è quello di Renzi.
Un artista per ottenere consenso non ha bisogno di fare e farsi fare la propaganda: gli basta la sua bravura.

E se grazie a questa diventa ricco, milionario, buon per lui.
Il politico diventa ricco anche quando è tutt’altro che bravo e capace, ecco perché per avere consenso e mantenere le sue ricchezze gli serve raccontare balle e non solo.
Questa mania  di rinfacciare lo status a chi non campa di rendita sulle spalle degli altri è odiosa.
Odiosa. Che poi a me tutto sommato questa teoria del “ognuno faccia quello che sa fare, che fa di solito” starebbe anche bene. Cominciamo dalla politica? Così, giusto per dare il buon esempio.  

Renzi che per aggiungere al suo già cospicuo bottino un’altra manciata di propaganda va a chiedere la carità a mediaset che gli chiude la porta in faccia in virtù della par condicio che esiste solo perché c’è il padrone di mediaset sì, un cantante che parla sul palco di un concerto no? Evviva l’antagonismo della libertà, quella “democratica”, s’intende.

 

 

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Per quello che mi importa di Pelù – Alessandro Gilioli, Piovono rane

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Insomma: se l’attore e regista Benigni parla male di Berlusconi va benissimo, applausi. Se lo scrittore Baricco parla male di Berlusconi va benissimo, applausi. Se il cantante Jovanotti parla male di Berlusconi va benissimo, applausi. Se il regista Placido parla male di Berlusconi va benissimo, applausi. Se il cantante Piero Pelù parla male di Renzi, è uno schifoso milionario ignorante che deve solo pensare a cantare. 
E si chiamano “democratici”. [Dino Giarrusso]

La libertà di B. è un’indecenza Firma anche tu per la revoca dei “servizi sociali”

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B. ai servizi sociali: la legge non è uguale per tutti

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Ho firmato l’appello di Micromega per la revoca dei servizi sociali di berlusconi non ispirata certamente dalla speranza che la finta sentenza da cui è scaturita la sua finta condanna si possa ribaltare ma perché ormai in questo paese l’unico modo per alzare la voce è questo: l’appello pubblico che solitamente viene inaugurato da eccellenti rappresentanti della società civile. Di quel che ne resta. Perché  noi cittadini non abbiamo più nessuna possibilità di far sapere che quello che si fa nella stanza dei bottoni non ci piace. Perché se proviamo a scendere in piazza lo stato ci fa massacrare come se i terroristi fossimo noi e non chi ha ridotto lo stato di diritto in macerie.

L’ho firmato perché non è vero che le sentenze si devono rispettare sempre nel paese in cui è più facile indovinare quale sarà il loro esito quando si tratta dei potenti delinquenti, che vincere al superenalotto.
Ho firmato perché sono stanca di questo paese ridotto a luogo comune in cui tutti sanno quello che avverrà se si prova a fare cose diverse, normali al posto di quelle consuete da paese ridicolo nel quale le istituzioni non fanno il loro dando più che l’idea che non possono.
Perché non trovo giusto che si favoleggi ancora sul presunto consenso che otterrebbe un delinquente, un eversore, un socialmente pericoloso fuori legge se venisse trattato dallo stato per quello che è.
Cominciamo a mettere un bel chissenefrega sulle ipotesi e a concentraci su come sarebbe “se”… teoria che si potrebbe applicare anche nei riguardi dei governi abusivi formati da parlamentari impostori ai quali nessuno ha chiesto di occuparsi di noi e del paese come da Costituzione.
Perché mi dà la nausea questa giustizia ridotta ormai ad una figura retorica e una democrazia che ormai non è più nemmeno il surrogato di se stessa dove si consente ad un criminale – condannato ad una pena che non sconterà mai – di poter fare non le stesse cose ma molte di più di chi è rimasto nonostante e malgrado tutto dentro lo stato.

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Il fuorilegge
Marco Travaglio, 3 maggio 


L’appello di MicroMega al Tribunale di Sorveglianza di Milano perché spedisca il pregiudicato B. ai domiciliari, revocandogli l’affidamento ai servizi sociali prima che li trasformi nella solita pagliacciata elettorale, è sacrosanto. Almeno dal punto di vista giuridico. Come ricordano Flores d’Arcais, De Monticelli, D’Orsi, Prosperi e gli altri firmatari, la legge penitenziaria consente i servizi sociali in alternativa al carcere solo se “contribuiscono alla rieducazione del reo”. Il quale dunque dovrebbe dare qualche segno tangibile di ravvedimento. I giudici di Milano si sono regolati come sempre in casi simili (e non solo per B.): siccome i servizi sociali, quando la pena da scontare è inferiore ai 3 anni, non si negano praticamente a nessuno, hanno desunto la “volontà di emenda” dal fatto che B., dopo la condanna, ha rifuso il danno di 10 milioni di euro e le spese processuali all’Agenzia delle Entrate, cioè alla vittima delle sue frodi fiscali. Ma quelli erano obblighi di legge a cui non poteva sottrarsi, e con la volontà di ravvedersi non c’entrano nulla. Si sperava almeno – così come gli avevano intimato i giudici, senza affatto violare la sua libertà di espressione, trattandosi di un detenuto vincolato da precisi obblighi – che si astenesse dall’insultare la magistratura e dal rinnegare la sua sentenza. Invece B. non perde occasione per parlare di “golpe giudiziario”, dunque che speranze ci sono che le sue visite settimanali ai malati di Alzheimer dell’ospizio Sacra Famiglia di Cesano Boscone contribuiscano a rieducarlo? Zero. Uno normale, al posto suo, sarebbe già stato spedito in galera. Già, perché l’alternativa al servizio sociale, dopo la decisione del Tribunale di sorveglianza, non sono i domiciliari. Ma il carcere. Almeno in prima battuta: soltanto dalla cella B., tramite i suoi legali, potrebbe avanzare istanza di domiciliari. E solo allora il tribunale tornerebbe a riunirsi per accordarglieli o tenerlo dentro. B. lo sa benissimo, e provoca ogni giorno i magistrati proprio perché è lì che vuole portarli: a sbatterlo in gattabuia alla vigilia delle elezioni, per riconquistare il centro della scena, allestire l’apoteosi del suo spettacolino vittimistico, trasformare la campagna elettorale europea nel solito Giudizio di Dio pro o contro se stesso e oscurare gli annunci di Renzi e la propaganda di Grillo che comunque riguardano problemi concreti (l’euro, il lavoro, le tasse, le banche) sui quali lui non ha più nulla da dire. Ancora una volta i giudici sono costretti a snaturarsi e ad assumersi responsabilità che spetterebbero ad altri. E non vorremmo trovarci nei loro panni in queste ore. Se applicano la legge alla lettera, non c’è dubbio che l’unico servizio sociale che B. può utilmente prestare è andare in galera e restarci per poco meno di un anno; ma così gli fanno un gran favore, regalandogli gratis una campagna elettorale che, senza manette, non comincerebbe neppure per mancanza di argomenti, e lo salvano dall’ennesima batosta. Se invece si pongono il problema dell’inopportunità politica di un arresto a pochi giorni dalle urne e lo lasciano a piede libero, fra una visita a Cesano Boscone e una riforma della Costituzione, cioè non lo trattano come un condannato qualsiasi, violano la Costituzione e sferrano un altro colpo mortale alla credibilità della Giustizia. Autorizzando tutti a pensare che la legge non è uguale per tutti e che la frode fiscale, quando la commettono i “signori”, è una quisquilia da “furbetti”. Lo stesso contrasto fra Legge e opportunità politica si sta consumando a proposito della par condicio televisiva: la norma del 2000 impone alle tv di dare accesso ai candidati alle elezioni, non ai leader incandidabili e privi del diritto di voto attivo e passivo. Ma se qualcuno provasse a tener fuori B. da uno studio tv gli regalerebbe un bavaglio d’oro da sventolare in campagna elettorale. Si spera che qualcuno, dinanzi a questa indecenza, alzi lo sguardo oltre le contingenze quotidiane e riconosca finalmente che B. è illegale di per sé. Dunque, tanto per cominciare, la Costituzione non deve toccarla neppure con una canna da pesca.

“Noi ad Atene, facciamo così”

Come dice il mio amico  Mauro, “Tsipras è di sinistra, un progressista fermo, radicale e però ragionevole, e vincente. E’ troppo.”
E’ troppo per un paese dove la politica è ridotta a derby perpetuo, al dispettuccio della serie “se c’è lui/lei non ci sto io” che poi è il motivo principale della divisione di una sinistra finita man mano per annacquarsi e morire perché tutti volevano, vogliono fare la parte della prima donna sul palcoscenico e nessuno quella del gregario che dietro le quinte fatica e porta il peso delle responsabilità. Alexis Tsipras è un signore che arriva dalla patria della Polis dove è nata la Democrazia, e il primo paese nel quale la democrazia è stata sacrificata ai soldi,ed è l’ultima speranza per questa Italia disgraziata. E non solo bisogna provarci ma è necessario un sostegno forte, se davvero crediamo ancora che esista una politica dei diritti, delle priorità, delle urgenze e di tutte quelle cose che sono di sinistra ma che si è preferito dimenticare, sacrificare anch’esse agli interessi di parte, ad un liberismo sfrenato che il mondo, non solo questo paese, può permettersi di sopportare ancora e alle oscure manovre di palazzo, quelle che mettono nei posti di potere chi incentiva la politica del liberismo che affama e distrugge lo stato sociale.

Aderisco alla lista Tsipras perché io sono di sinistra, e voglio che questo paese abbia una rappresentanza politica di sinistra. Una sinistra vera, forte, riformista davvero che non si faccia abbindolare dal fascino della presa del potere come è accaduto ai partiti di sinistra italiani, che hanno rinnegato la loro origine sacrificandola al potere, abbandonando di fatto la loro funzione di difensori dei diritti: quelli civili, del lavoro, delle minoranze, dell’uguaglianza e della giustizia sociale. E anche – soprattutto –  perché invece di “abbiamo una banca” vorrei che un leader di sinistra dicesse: “avete un lavoro, una casa, la dignità”.

Mauro Biani

Vogliono distruggere la Costituzione

“La Costituzione stravolta in silenzio”
Appello contro la riforma di Pd e Pdl

Affossate le procedure dell’articolo 138, parlamentari esautorati e costretti a votare a scatola chiusa
Così, nell’indifferenza generale, le larghe intese puntano a imporre la svolta presidenzialista
BLOG DI PETER GOMEZ – LA CARTA FONDAMENTALE RISCRITTA DAI NOMINATI.

La riforma della Costituzione sta a questo paese come il riordinamento del codice stradale a Palermo dove il problema è notoriamente il traffico.

Non risulta che riformare la Costituzione fosse un’urgenza da governo di necessità.

Questo governo così com’è non può permettersi di riformare nulla di quanto fatto da persone con una diversa moralità, etica e senso dello stato che in un momento storico difficilissimo hanno dimostrato di tenere davvero al bene del paese, non certo al loro personale né politico come invece si usa fare in questi bei tempi moderni.

Fuori tutti gli indagati, imputati, prescritti e condannati dal parlamento e poi forse se ne può parlare, ma col consenso dei cittadini, non quello delle segreterie dei partiti e del presidente monarca che fa i governi a sua immagine e somiglianza, non degli italiani.

La Costituzione è l’ultima garanzia che abbiamo: difendiamola. Tutti.

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Lucarelli, Salvi, Ingroia, La Valle, Giulietti e altri chiedono una firma per fermare la procedura di modifica della Carta messa in opera dalla maggioranza delle larghe intese. Che affossa l’articolo 138, umilia i parlamentari e tiene all’oscuro l’opinione pubblica. Mentre il Porcellum resta. Firma l’appello

 

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Je m’appelle

Uno stato dove la politica ordina a funzionari irriconoscibili  – di cui non si conosce il volto, il nome né il numero di matricola, esattamente come quei ‘teppisti’ tanto criticati dalla società dei benpensanti –  di picchiare i  suoi figli, ragazzi o comunque persone che chiedono istruzione, lavoro, la possibilità di avere un futuro, diritti che spettano a tutti tanto quanto ad  un poliziotto e ad un ministro,  non merita di essere chiamato stato e non può essere rispettato da nessuno.
Alla violenza si dice no, sempre, in un paese civile.
Soprattutto se si rappresenta lo stato.

Fare in modo invece che polizia e carabinieri quando vestono i panni antisommossa siano identificabili almeno con un numero di matricola così come si fa in tutti i paesi civili tutela anche loro, si eviterebbe così di fare di tutta l’erba un…coso [non mi viene nemmeno per modo di dire].

Firmiamo l’appello di Micromega

Poliziotti o giustizieri?  Il compito di una Polizia professionale e democratica è quello di prevenire l’esito violento delle manifestazioni di piazza. Con una presenza discreta e un uso della forza proporzionato e residuale. Non deve punire per strada nessuno.

PUCCIARELLI E adesso le dimissioni della Severino sarebbero un bel gesto
RUSSO SPENA Polizia, subito numeri identificativi |

 Firma l’appello

Anche per questo:

Lacrimogeni dal ministero, al Tgcom il video verità

Il Partito della Costituzione

Mi piacerebbe sapere qual è il ruolo della politica in questo paese se la politica non si fa garante nemmeno della salute dei cittadini anteponendo – more solito – la logica del profitto alla logica e basta che dovrebbe essere quella per cui nessuno deve scegliere fra morire di cancro e morire di disoccupazione [i famosi motivi “ignoti” per i quali la gente s’impicca, si spara, si dà fuoco, ecco…].

E ancora qualcuno ha il coraggio di parlare di Magistratura politicizzata? ben venga, se la Magistratura è stata fino ad ora l’unica Istituzione che ha dimostrato di voler lavorare davvero per il bene comune. 
Quando la politica non fa la politica è ridicolo che la stessa accusi poi altri di volersi sostituire a chi dovrebbe occuparsi di risolvere i problemi.

Vale per “il buffone” e anche per quei giudici che tentano da anni, disperatamente, di ripristinare il vero senso dello stato, visto che la politica NON lo fa, non lo vuole fare salvo poi sragionare su presunte “ragioni di stato” che impediscono ad uno stato di essere tale.

Spero che la Consulta ridicolizzi questa gentaglia che parla di ‘futuro compromesso’ dalla chiusura di una fabbrica che il futuro non si limita solo a comprometterlo ma lo ammazza proprio.

Ricordiamoceli bene e tutti, i politici che lavorano per il bene “comune”, quando e se ci rimanderanno a votare.

100.000 FIRME. UN ALTRO GIUDICE NEL MIRINO, SE L’ILVA UCCIDE E’ COLPA SUA 
Boom di adesioni per i pm siciliani. Intanto a Taranto migliaia di persone muoiono per i veleni della fabbrica. E ora che la magistratura vuole porre fine alla strage e costringere i proprietari alla bonifica, governo e Pdl-Udc-Pd, dopo aver permesso lo scempio, trascinano il gip Anna Todisco davanti alla Consulta [Il Fatto Quotidiano]

[Tra gli oltre 90 mila che hanno firmato la sottoscrizione del Fatto per i magistrati di Palermo ecco quelli ci stanno e perché. Sulla guerra dichiarata a questi magistrati impegnati sulla trincea più rischiosa, tacciono perfino i vertici dell’Anm con l’eccezione di quello palermitano (firma la petizione)]

Ilva, Catricalà: “Faremo ricorso alla Consulta” e Clini: “Eutanasia non è cura”

Taranto, cittadini in piazza a difesa del Gip “Salviamo la città e i nostri figli dall’Ilva”

Il Partito della Costituzione – Marco Travaglio, 14 agosto 2012

 

Dobbiamo prepararci a difenderne tanti, di magistrati aggrediti e isolati dal potere. I 100 mila che in quattro giorni han firmato l’appello del Fatto per i pm siciliani si tengano pronti: presto dovremo richiamarli a raccolta per altre battaglie in difesa della Giustizia, nella speranza che nasca un Partito della Costituzione che contrasti questo schifo. Fino all’altroieri ci si domandava cosa accomuni l’allegra ammucchiata Pdl-Udc-Pd che non solo sostiene il governo Monti con la benedizione apostolica del Colle, ma ha una gran voglia di stabilizzare il ménage à trois nella prossima legislatura. Ma ora la risposta è arrivata: il mastice che tiene insieme la più arlecchinesca Armata Brancaleone mai vista dai tempi del film di Monicelli è la sete di vendetta contro la magistratura, almeno quella che prende sul serio la propria indipendenza da ogni altro potere per garantire l’uguaglianza di tutti i cittadini. In una parola, l’odio per la Costituzione. Prima il presidente Napolitano e poi il governo Monti hanno trascinato alla Consulta magistrati che disturbano il potere: i pm di Palermo che indagano su chi trattò con la mafia e il gip di Taranto Anna Todisco che sequestra gli impianti omicidi dell’Ilva. In entrambi i casi il potere politico accusa il giudiziario d’invasione di campo, come se non spettasse alla magistratura decidere se e quando distruggere un’intercettazione e fermare una strage in corso da anni nell’indifferenza dei governi incapaci e/o complici in Puglia e a Roma. Ma a questo siamo: quando c’è di mezzo il potere, politico o industriale, la legge non è più uguale per tutti. I magistrati devono voltarsi dall’altra parte, od obbedire al potere. Se no, peggio per loro. 
A sindacare i loro insindacabili provvedimenti provvedono Quirinale, Pg della Cassazione, partiti, governo, addirittura il ministro della Giustizia che acquisisce le ordinanze del gip non si sa bene a che titolo, ma con sicuro effetto intimidatorio (anche sul Riesame, che sta ancora scrivendo la motivazione). Mentre noi comuni mortali, per contestare una sentenza sgradita, non abbiamo altra arma che impugnarla in appello e in Cassazione, lorsignori si rivolgono direttamente alla Corte costituzionale, cioè a giudici nominati dalla politica: oseranno mai dare torto al Presidente e al Governo, innescando gravi “scontri istituzionali”? La giustizia domestica regola e sistema tutto nelle segrete stanze. 
E tutti i magistrati impegnati in inchieste delicate sono avvertiti: non s’azzardino a dare torto al potere. Colpirne due o tre per educarli tutti. È il trionfo dell’abuso e del conflitto d’interessi.Napolitano ha un interesse personale nel conflitto aperto con i pm di Palermo (mettere la sordina alle sue telefonate con Mancino). E così vari ministri del governo Monti che aggredisce il gip di Taranto sono pappa e ciccia con l’Ilva e i suoi padroni (per esempio i due Corradi: Passera, a Banca Intesa, era socio di Riva nella Cai, ed era pure l’advisor che lo chiamò nella compagnia; Clini, dalle intercettazioni, è descritto come la quinta colonna dell’Ilva al ministero dell’Ambiente). E così il Pd col suo ex candidato Ferrante, per non parlare dei soldi di Riva a Bersani e Forza Italia. Spudoratamente sull’Unità Giovanni Pellegrino esprime tutto il suo “rimpianto per la magistratura degli anni 60, che riteneva che nell’applicazione della legge l’interesse generale dovesse prevalere”. Ah quei begli insabbiatori di una volta! Quella magistratura forte coi deboli e debole coi forti, che lasciava intonso mezzo Codice penale per non disturbare i manovratori, infatti non indagava mai su tangenti, collusioni e inquinamenti. Questo si vuole. Viva la faccia, almeno è tutto chiaro. Nel caso Ilva non si può nemmeno sventolare la solita scusa delle toghe che parlano troppo e “fanno politica”: nessuno sa come la pensi la gip Todisco, né che voce abbia. Eppure la colpiscono lo stesso. Come dice Davigo, “non ce l’hanno con noi per quello che diciamo, ma per quello che facciamo”.

 

 

 

Se fosse…[un paese normale]

Sottotitolo: l’altro giorno sfogliavo una copia di Repubblica trovata sul tavolino del bar della spiaggia. Pensavo che in redazione avessero perso il vizio di fare domande, e invece la domanda c’è, riguarda Formigoni e la richiesta di chiarimento circa le sue vacanze all’insaputa, come se nel frattempo non fosse successo nulla; ad esempio un presidente della repubblica che facendosi scudo del suo ruolo apre uno scontro senza precedenti con la Magistratura.
Si dice che la verità renda liberi, in un paese sano questa libertà ha molto a che fare con un’informazione altrettanto sana.
Appunto.

 

Ho sempre pensato che il finanziamento pubblico ai giornali fosse una garanzia di libertà. 
Che finanziare cartaccia come Libero, Il giornale, Il foglio del molto intelligente ma soprattutto molto e basta ferrara servisse ad avere la possibilità di poter leggere anche altro, che finanziare diffamatori, calunniatori per mestiere come feltri, belpietro, sallusti e compagnia pessima mi avrebbe garantito di poter leggere chi non diffama, non insulta, non racconta balle, non china la testa davanti al potente e al pre-potente.

Ma in questo ultimo periodo ho dovuto cambiare idea. 

Perché mi ero abituata all’idea che dei servi potessero fare solo quello per cui sono pagati; gli altri, quelli che servi non erano fino a che il centro della scena politica era occupato da un malfattore delinquente assurto al potere grazie alla collaborazione di chi avrebbe dovuto impedirlo in qualsiasi modo e che invece lo ha agevolato rendendogli tutto facile e possibile, avrebbero dovuto continuare a fare altro e cioè INFORMARE. 

E invece questo non succede più; da quando c’è Monti ma soprattutto da quando lo stato – dunque Giorgio Napolitano – ha aperto lo scontro con la Magistratura siciliana non c’è più distinzione fra l’informazione che informava e quella che si mette a disposizione del potere. 

Difendere il prestigio delle istituzioni, semmai si possa ancora parlare in questi termini di quelle italiane non significa mentire, tacere, negare, e non si può chiedere ai cittadini, quelli che pagano, di rendersi complici di questo immondo modo di “fare informazione”.

Io non voglio più contribuire, coi miei soldi, ad armare i sabotatori della verità.

 

Trattativa Stato-mafia, ecco tutte le firme di chi sta con la procura di Palermo

La petizione del Fatto Quotidiano a favore della procura di Palermo raccoglie sempre più adesioni A chiedere la fine dell’accerchiamento dei magistrati anche nomi della cultura e dello spettacolo.

 

I have a dream

 Marco Travaglio, 12 agosto

Il Presidente Napolitano è ripartito da Stromboli ed è tornato a Roma. “Parto — ha tenuto a sottolineare con certosina precisione in un imperdibile colloquio con l’Unità — dopo un soggiorno di poco più di otto giorni, più o meno come lo scorso anno”. Fissata con esattezza la durata della vacanza, restano da chiarire due punti. 
1) La sorte del cinghialotto e dell’upupa avvistati da Scalfari nella tenuta di Castelporziano durante la precedente intervista. 
2) L’esatto stato d’animo del Capo dello Stato: la solerte intervistatrice lo descrive basculante fra il “piacere” per la “schiarita nei rapporti tra il governo e le forze politiche che lo sostengono” e l'”inquietudine” per il “non vedere ancora vicine ad un approdo le discussioni che procedono attraverso continui alti e bassi su una nuova legge elettorale, mentre rimane ancora bloccato il progetto di sia pure delimitate modifiche costituzionali che era stato concordato prima di un’improvvisa virata sul tema così divisivo di un improvvisato cambiamento in senso presidenzialistico della Costituzione”. Almeno è certo che il Presidente gode di un poderoso apparato respiratorio, se riesce a pronunciare frasi di questa portata senza prender fiato. Roba da far invidia al bambino che “gli porge una foto e si rammarica” perché l’autografo presidenziale “fatto con la biro l’anno scorso s’è scolorito” (King George aveva finito l’inchiostro sulle leggi di B.) e — fortunello — “se ne guadagna così subito un altro”. Per carità di patria, l’Unità non lo sfrucuglia sull’altra ossessione: l’inchiesta sulla trattativa e la Mancino chat line. A quella provvedono i tweet clandestini del portavoce Cascella; le azioni disciplinari dell’apposito Pg della Cassazione contro i pm che osano parlare; e i vicemoniti del vicepresidente del Csm, Vietti contro il consigliere Racanelli, reo di aver dato ragione alla Procura di Palermo (azione disciplinare anche per lui? Pubblica gogna per lesa maestà? Si attendono lumi). Insomma, un’estate di inferno: fortuna che è l’ultima, da presidente. E dire che filerebbe tutto liscio, se solo Napolitano desse una ripassata alla Costituzione a proposito dei suoi poteri, evitando di impicciarsi in affari che non lo riguardano. Tipo le inchieste giudiziarie. O le “sia pure delimitate modifiche costituzionali” (non dovrebbe trasmettere la Costituzione intatta al successore, come diceva il suo sia pure ignaro maestro Einaudi?). O la legge elettorale, che è di squisita competenza parlamentare. Invece no, s’è messo in testa di dover (e soprattutto di poter) fare tutto lui. “Rientrando a Roma — minaccia — seguirò più da vicino il processo che dovrebbe portare all’attuazione dell’impegno ormai inderogabile di non tornare alle urne con la legge elettorale del 2005”. Ora, non saremo certo noi a difendere il Porcellum: tant’è che avevamo sostenuto il referendum Parisi-Segni-Di Pietro per tornare al Mattarellum. Ma, grazie anche alla moral dissuasion del Colle, la Consulta lo bocciò, cestinando 1 milione 200mila firme tra gli osanna del Palazzo tutto: “La legge elettorale spetta al Parlamento”. Era il 12 gennaio. È forse cambiato qualcosa? Il boom di 5 Stelle: lui sul momento disse di non averlo udito, ma poi con calma glielo spiegarono. Da allora, ogni notte, si sveglia di soprassalto e lancia un urlo: “Aaaarghhhh!”. Donna Clio, consiglieri, corazzieri, monitatori e trombettieri accorrono al capezzale: “Che è stato, Presidente? Il solito incubo dello spread?”. “No, no”. “L’euro?”. “Macché”. “Ancora la voce di Mancino?”. “Ma va, mica chiama più, quello. Ho di nuovo sognato quel tipo grassoccio, barba e capelli grigi, che si presenta nel mio ufficio in giacca e cravatta ridendo come un pazzo, mi grida all’orecchio ‘Presidenteeeee? Boom!’, poi dice che ha vinto le elezioni e che devo incaricarlo di formare il nuovo governo. Ditemi che non succederà mai”. “Ma no, Presidente, torni a riposare, vedrà che passa anche stavolta. Lo dicono i tweet di Cascella. 
L’upupa e il cinghialotto confermano”.

Se fosse un paese normale, non sarebbe l’Italia

Poi, alla fine, tutti concordi a dire: “L’Italia non è un paese normale.” Anche io, colpevole, l’ho scritto più volte, e ora scopro di essere stata vittima della stessa formuletta ripetuta fino alla nausea, proprio come un mantra.

 

Insomma, è diventato normale, che l’Italia non sia un paese normale, al punto che nemmeno ridiamo delle cose che dovrebbero far ridere o ci indigniamo per quei fatti che dovrebbero destare la nostra indignazione. Allora, siccome non siamo più normali, ma normalizzati, tutti giù a ridere perché quella strana cosa della santanchè, promette per Ottobre, un milione di persone in piazza per “silvio”.

 

Che c’è da ridere? A mio avviso proprio nulla. Non è strano, non è nemmeno impensabile che l’operazione possa andare a buon termine. Portare e deportare un milione di persone in piazza, oggi, non è difficile: ci riuscirono con 30 euro un panino e una bibita, oggi potrebbero anche abbassare il prezzo, e al posto della bibita dare solo una bottiglietta d’acqua scadente. La gente ci andrebbe, aggiungendovi la speranza di poter vedere da vicino, una di quelle facce che così tante volte hanno visto in televisione. Non importa che piaccia o no, l’importante è la foto scattata col cellulare o poter dire: “Io c’ero. L’ho visto! Ammazza oh! Fa davvero schifo da vivo. E poi mi hanno dato anche venti euro.” Per le deportazioni, sappiamo come funziona: basta una casa di riposo di proprietà di un connivente e qualche pullman con l’aria condizionata. Forse la promessa di una bella gita o di un premio al termine della giornata. Così capita già.

 

Peccato davvero che l’Italia ormai sia un paese anormale, questo ci ha fatto perdere l’occasione di una sonora risata, una di quelle gratis, che riempie tutta la bocca. C’era ben altro nelle dichiarazioni di quella vecchia cosa lurida, ossia il veto, per Passera, di ricoprire in futuro la carica di Primo ministro. Un sacrosanto divieto dato dall’etica e dalla morale: “Passera – dice la zoccola – è un evasore fiscale.” (Mi asciugo le lacrime, che per fortuna ancora riesco a ridere)

Se l’Italia non fosse stata così tanto normale nella sua anormalità, il giornalista sarebbe saltato sulla sedia: “Ma come? È come se domani, maroni dicesse che borghezio non può essere ministro perché è un razzista. O come se domani un vescovo dicesse che molestare un bambino è reato, oltre che mero peccato. È come se dell’utri si opponesse alla candidatura di cosentino, perché o’americano è vicino al clan dei casalesi …”

 

Invece no … tutti preoccupati per un milione di morti di fame che venderebbero le proprie figlie per un pieno di benzina. Della dignità e dell’intelligenza, noi ce ne fottiamo.

 

Perché l’Italia non è un paese normale, e se lo fosse non sarebbe l’Italia.

 

Rita Pani (APOLIDE)

 

Onori e disonori

 Sottotitolo: per tutti quelli che “l’appello del Fatto Quotidiano a sostegno della Magistratura palermitana è contro Giorgio Napolitano…”

NO, così come il presidente della repubblica attuale ha pensato che la sua azione poteva servire a mettere al riparo l’istituzione e non la persona che la rappresenta [molto commovente ma non convincente], chiedere con forza la verità circa la trattativa tutt’altro che presunta fra lo stato italiano e la mafia significa ribadire che il popolo italiano e la società civile non chiedono ma PRETENDONO che in uno stato civile, repubblicano e democratico [se le parole hanno ancora un senso] le istituzioni preposte alla lotta contro tutte le criminalità eseguano esattamente il compito di lavorare per sconfiggere tutte le criminalità, e che le istituzioni alte, anche quelle altissime non si permettano mai più di nascondere dietro presunte, quelle sì, ragioni di stato  qualsiasi verità utile al ripristino della legalità  e offrire riparo e  sostegno a chi la mafia non l’ha combattuta ma con essa è scesa a patti.

Stato-mafia, politica e giornali tacciono
Oltre 44mila firme per i pm sotto attacco

 49313 persone  in meno di 24 ore  hanno già firmato l’appello.

Se gli italiani fossero stati e fossero così esigenti, rigorosi e severi nel giudizio e nella pretesa della giusta punizione nei confronti della politica quando non fa la politica e cioè gli interessi dei tutti anziché, come avviene puntualmente la sua,  nei confronti delle cosiddette istituzioni quando fanno tutt’altro da quel che il loro ruolo impone  (gli squadristi della Diaz e gli assassini di Federico Aldrovandi non hanno avuto una punizione così esemplare e con effetto immediato come è accaduto al “povero Schwazer”)  così come dimostrano di esserlo verso lo sportivo che tradisce, che sia il calciatore che si fa corrompere per soldi o l’atleta che si dopa e si droga per migliorare le sue prestazioni, questo sarebbe il paese migliore del mondo fatto di gente migliore NEL mondo.

E invece è solo l’Italia: il paese zimbello del e nel mondo.

Preambolo: “Schwazer cacciato dall’Arma: certo ha sbagliato, senza se e senza ma, ma non ha ucciso nessuno”, ha scritto Lino Aldrovandi [papà di Federico, ammazzato di botte a 18 anni da quattro poliziotti fra cui una donna: nota di RL] aggiungendo in riferimento alla vicenda del figlio: “E chi con una divisa invece, ora pregiudicato, in cooperazione ha ucciso e si é comportato da scheggia impazzita in preda a delirio, ha bastonato, ha soffocato, ha ucciso, ha detto il falso, ha depistato, ha omesso, ha disonorato quella divisa compiendo di fatto un alto tradimento, nonché ha oltraggiato e offeso dopo una sentenza definitiva la madre della vittima?” (Ansa/Photocredit Lapresse)

Il padre di Aldrovandi: “Perché Schwazer espulso e chi ha ucciso mio figlio no?”

“Lui per doping ha dovuto restituire subito tesserino e pistola, gli agenti condannati dalla Cassazione per l’omicidio di Federico sono ancora in servizio.”

Credo che il ministro Severino dovrebbe rispondere a questo padre, magari con la stessa veemenza con cui spesso omaggia gli ottimi comportamenti delle forze dell’ordine.

Medaglie d’oro all’ipocrisia – Rita Pani

Oggi non rido perché non ho voglia, e non ho voglia di essere gentile, nemmeno di far finta che tutti quelli che leggono siano in grado di comprendere o di far la rivoluzione. E per la prima volta, rivoluzione lo scrivo minuscolo, perché è solo una parola, una come tante; una di quelle che abbiamo masticato come una cingomma nella bocca di un bambino, così tanto a lungo che non ha più sapore.

 Che peccato lo spreco che facciamo di noi, e delle nostre esistenze, bruciate in fretta come un falò d’estate, di legna troppo secca. L’esistenza che s’impara guardando il piccolo schermo di un telefono, il rifugio che si trova celando la propria identità, scordandosi di sé e delle proprie certezze, che di fronte alla vita che ci hanno inventato, paiono nulla, nemmeno degne d’essere vissute.

 Siamo un popolo telecomandato, che s’incanta del dolore altrui ma non lo comprende perché dal dolore fugge; s’incanta degli eroismi altrui perché eroe non lo sarà mai, e neppure saprà di esserlo stato il giorno che guardando suo figlio, cresciuto come “una persona per bene” eroe lo sarà davvero, e anche molto fortunato.

 Che tristezza l’ammirazione per Oscar Pistorius, le immagini del giovane sudafricano che abbraccia una bimba, anche lei senza gambe. Che amarezza i telecronisti delle olimpiadi che s’interrogano sulla giustezza della sua partecipazione alle gare dei “normali”. Che dolore le sue parole di felicità per essere “arrivato” fino a là. Tutti concordi a riconoscerne l’eroismo, anche noi italiani, che lui ringrazia sempre per essere stato accolto. Il nostro è un paese così, fatto di brava gente che si commuove. Il nostro paese applaude a Pistorius, ma rifiuta il diritto allo studio a una ragazza disabile, maturata col massimo dei voti e con la lode, da casa sua, dal suo letto, collegata via webcam con chi dalla scuola le insegnava. Costa troppo tenerla all’università: una connessione Internet, un computer e una webcam.

 E il giovane Schwazer? Da giorni le sue lacrime accompagnano il pentimento mediatico. La sua fidanzata è una ragazza per bene, e non lo lascerà. Ha sbagliato a gonfiarsi in prossimità delle Olimpiadi. L’errore è tutto suo, confessato e perdonato da tutti gli italiani, tutta brava gente capace di comprendere di tendere la mano. Tutta la gente, ma non lo stato. Povero Schwazer, non potrà più essere carabiniere. Lo stato è severo quando si tratta delle sue istituzioni, e un dopato non può certo rappresentarle, non ne può diventare un eroe. La divisa è la divisa e bisogna sempre onorarla, dopo averla indossata anche per giurare la fedeltà allo Stato e a tutti noi.

 Povero Schwazer, che voleva solo vincere una medaglia all’Olimpiade. Se solo avesse desiderato di picchiare un ragazzo, di ucciderlo in caserma o per la strada, pestandolo o sparandogli a un posto di blocco, forse noi non lo avremmo perdonato, ma lo Stato, il nostro, decisamente sì. O fosse morto lui, magari di overdose magari almeno alla brava gente sarebbe dispiaciuto. Solo un po’ che è sempre meglio di nulla.

 

Rita Pani (APOLIDE)

La mattanza

“Femminicidio” è un termine fuorviante per quanto riguarda gli omicidii delle donne. Femminicidio è infatti l’assassinio di una femmina in quanto tale, come genere contrapposto geneticamente a quello maschile, come quello praticato in Cina a causa del regime di controllo delle nascite dove centinaia di migliaia – forse anche di più – di neonate sono state (e forse lo sono ancora) soppresse appena nate perché ‘femmine’; una strage, una violazione dei diritti umani reiterata e continuata nel silenzio generale della politica mondiale, che con la Cina ci fa affari nonostante tutte le violazioni, compresi D’Alema, Bersani, Vendola, Polverini e tutti quelli che oggi si fanno portavoce dell’appello di “se non ora quando”.
Continuare a definire nel modo sbagliato il fenomeno del crimine   degli uomini che uccidono le donne perché ritengono che una donna sia una cosa di loro proprietà anche ex post, ovvero quando una relazione, un matrimonio sono finiti contribuisce soltanto a rendere più difficile una risoluzione seria, rigorosa e che sia degna di un paese civile.
Ecco perché penso che certi appelli siano inutili: perché chiedere ad una politica che rifiuta sistematicamente il riconoscimento delle aggravanti per tutti i crimini che hanno come comune denominatore la discriminazione (sessuale, di genere) e dunque che venga riconosciuta – appunto – un’aggravante e non una casualità, un delitto come un altro, l’omicidio definito erroneamente, superficialmente e banalmente “passionale” è davvero un’impresa titanica.
La chiesa ovviamente contribuisce al teorema del panem et circenses, ovvero prudentemente tace sull’argomento, nessuna eminenza che si scandalizza e insorge, nessun angelus dedicato alla mattanza delle donne, perché più la gente è impegnata a litigare su una partita di calcio, a fare previsioni su chi vincerà l’isola dei famosi e il grande fratello, su quale sarà il prossimo fidanzato di belen e della canalis e meno si occuperà di altre tristissime cose.

***

Il cosiddetto movente  “d’onore” è stato abolito, nel nostro civilissimo paese solo nel 1981, l’altroieri, praticamente.

Fino ad un attimo prima di quando è stata presa questa decisione un marito, o generalmente un uomo  poteva ammazzare sua moglie o, generalmente una donna,  per un tradimento  accaduto  o presunto e farla franca.

C’è voluto il massacro del Circeo per riconoscere lo stupro un reato contro la persona e non contro la morale come era stato sempre considerato e giudicato dalla legge di allora.

E dire che a quei tempi nei governi non c’erano bossi né berlusconi ma chissà a cosa pensava la politica, allora come ora.

E non mi pare di ricordare nessun anatema da parte della chiesa verso quella forma odiosa e criminale di inciviltà.

Chi non si oppone ai crimini, quali che siano, è semplicemente complice.
Aderisco, per coscienza civile a questo  APPELLO  e perché 55 donne morte ammazzate dall’inizio dell’anno, cioè a dire in meno di cinque mesi,  per mano di mariti, amanti, fidanzati o ex credo che siano una ragione sufficientemente valida affinché qualcuno nella politica, fra uno spread e una manovra trovi il tempo ma soprattutto la volontà di impegnarsi in modo serio per fermare questa mattanza.

La politica ha ormai ampiamente dimostrato la sua distanza dai problemi e dai drammi reali di tanta gente,  le donne e i bambini sono le prime vittime di una società ingiusta e incivile.


Quando un ministro della giustizia trova il tempo per andare a disquisire sulla pericolosità dei blog, quando le priorità della politica sono sempre altre anziché  dare la precedenza  alle cose davvero pericolose e alla vita, significa che alla politica non interessa poi così tanto attivarsi per risolvere drammi, tragedie e problemi.

Reali, non virtuali.