Napoli -1 – stato italiano 0

Sottotitolo: nella “policy” del sito del @fattoquotidiano non è specificato che replicare a qualcuno “stai zitta” [e magari fosse solo questo] è offensivo ma in compenso si può scrivere, in assoluta serenità accumulando anche un discreto numero di likes, che la morte di una persona è da derubricare alla “selezione naturale”, perché tanto se Davide non era ancora un delinquente lo sarebbe diventato di sicuro.
Il metodo Lombroso applicato alla conversazione via web e anche al pensiero della feccia immonda che straripa in quel sito e che viene lasciata libera di insultare i vivi e i morti.

Nella vita tutto può succedere, trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, fare la cazzata, incontrare il pazzoide che ti ammazza con un machete, che su questa terra siamo troppi ce lo ricordano tutti i giorni i fatti di cronaca. 

A stare stretti poi si deve sgomitare per farsi spazio, altroché le campagne per incentivare la natalità.
Quello che però mi colpisce sempre, mi rattrista e mi preoccupa sono le reazioni qui alle cose che succedono.
Più i fatti sono seri e andrebbero sollevati col dovuto rispetto specialmente quando si tratta di vita e di morte e più tanta gente si scatena sfoderando tutto il suo becerume, la vigliaccheria spicciola da web.
Per strada non c’è la violenza che si legge qui, io con la gente ci parlo.
Qui è tutto esasperato, elevato al massimo del peggio.
A me questo non piace, non mi adeguo e non mi abituo. Ho letto delle cose che non si dovrebbero far passare come semplici opinioni. Il pensiero violento non è mai opinione. E se non si combatte la violenza nel pensiero è inutile fare tutto il resto per cercare di trasformare questo in un paese un po’ meno malato, di cattiveria, ignoranza, egoismi e malvagità.

 

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 Massimo rispetto per chi nelle forze dell’ordine e i carabinieri si impegna tutti i giorni sul territorio per garantire la sicurezza, esercitare davvero la tutela dei cittadini, e lo fa in condizioni/situazioni impossibili grazie a questo stato che spreca soldi per comprare aeroplanini da guerra, per costruire inutili e devastanti opere, pubbliche solo per chi paga ma poi privatissime per chi ci guadagna e poi taglia sulle necessità primarie dei cittadini e di chi deve garantire i servizi. Ma questo è anche il paese dove le forze dell’ordine hanno abusato spesso del loro ruolo, basta pensare al G8 di Genova, a Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi e a tutti i morti di stato. Ecco perché parlare di rispetto delle regole diventa difficile se si pensa che gli autori, i responsabili e i mandanti di massacri e morte, in divisa e in giacca e cravatta non hanno mai ricevuto un’adeguata sanzione.

Mi chiedo, mentre in queste ore centinaia di persone in giro per la Rete si congratulano e si complimentano col carabiniere che ha ucciso, che razza di paese sia diventato questo, a quale livello di devastazione morale si può essere arrivati per applaudire un carabiniere che spara per ammazzare invece di pretendere, tutti insieme, di vivere in un paese dove nessuno muore per l’eccesso di zelo di un tutore dell’ordine.

E’ troppo pretendere di vivere in un paese dove non si rischia di essere ammazzati in modo accidentale?
E il pericolo sarebbero i migranti, la tbc e l’ebola?

Pietà.

Altroché la Grande Guerra, “prima me spari e poi dici chi va là”.

Qui per soddisfare la sete di giustizia, applicata solo al pianterreno perché per l’attico e il mezzanino si chiude un occhio e pure tutti e due, arriveremo agli squadroni della morte applauditi dalle folle festanti. 

La criminalità è insita nel fattore umano, appunto le società hanno previsto che la si dovesse contrastare usando l’arma del diritto, non ammazzando gente a casaccio sparando con un’arma vera.
Fra chi ha un’arma e chi non ce l’ha il torto e la ragione non sono mai divisi equamente. Mai.
Tutti bravi ad applaudire le forze dell’ordine quando ci liberano da pericolosissimi delinquenti in motorino che non si fermano all’alt, ad invocare ed esaltare il rispetto della legge, chissà poi se le stesse cose le pensano anche quando vanno a votare gente che non spara ma deruba diritti e soldi anche a chi si ferma agli stop.
Ammazzare ragazzini disarmati, per quanto possano essere indisciplinati e irrispettosi delle regole significa contrastare la delinquenza? 

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Rabbia a Napoli, un carabiniere ha ucciso un diciassettenne

E’ accaduto nella notte. Andavano in tre sul motorino, la gazzella li avrebbe speronati. Lo sparo, dice la prima versione, sarebbe partito accidentalmente. Le manette dopo lo sparo.

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Come fu per le notizie che riguardavano l’alleanza europea tra i 5stelle e Farage Il Fatto Quotidiano ha abilmente glissato sulla polemica circa l’allarme tbc lanciato dal blog di Grillo, nonostante nel frattempo siano arrivate diverse smentite da ambienti molto più autorevoli, ad esempio il sito di MSF Italia.
Non intendo riaprire il dibattito e la polemica sulle dichiarazioni fatte nel blog perché sono abbastanza nauseata da chi non si arrende nemmeno di fronte alle evidenze, da chi non sa e non vuole ammettere che una cazzata resta tale indipendentemente da chi la fa o la dice e che giustificare le cazzate o, peggio ancora volerle tradurre in qualcosa di buono non produce nulla di utile.
Sulla qualità dell’informazione cosiddetta indipendente del Fatto però sì: voglio polemizzare. Perché io Il Fatto lo compro, ho iniziato a comprarlo e leggerlo da quando è nato proprio perché mi aveva promesso di voler essere e restare indipendente: da tutti.
Ed essere indipendente da tutti non significa poi fare delle critiche all’acqua di rose, in salsa un calcio al cerchio e uno alla botte solo quando non se ne può fare a meno. I titoloni cubitali nel sito che poi raccolgono migliaia di commenti bisogna farli anche quando si deve andare un po’ contro le proprie simpatie.
Quindi, cari direttori #Gomez, #Padellaro e #Travaglio, siccome ci aspetta un periodo faticoso e un inverno più freddo del solito, capiamoci: un giornale indipendente è quello che dice, non quello che manda in seconda e in terza quello che dà fastidio ai supporters cinque stelle.

Non è una questione affatto marginale quella di Grillo e degli extracomunitari, migranti o chiunque arrivi qui da paesi in cui è impossibile vivere. Non è affatto una casualità che Grillo ogni tanto si lanci in voli pindarici pericolosi straparlando di immigrazione, sulla quale il movimento 5stelle non ha mai preso una posizione che sia davvero politica, che unisca la logistica al fattore umano, visto che si parla di persone e non di alberi di mele.
Perché lui lo sa bene che la questione immigrazione è uno dei tasti dolenti di questo paese, quello che riscuote sempre un certo successo, se se ne parla in forma negativa facendo credere che il pericolo, la malattia, la criminalità arrivano da lontano, da fuori.
Ammettendo anche che il problema sia quello che riporta Grillo, che ci sia davvero un pericolo di epidemia, una persona che fa politica anche se non è un politico di professione e che ha un seguito di gente che gli crede e che ha riposto fiducia in lui non ha forse il dovere di affrontare un problema in maniera diversa dalle annunciazioni urbi et orbi che poi scatenano l’inevitabile e infinito dibattito fra chi gli dà torto e chi si sente in dovere di giustificarlo perché, poverino, lui che di comunicazione non sa niente, sbaglia sempre la forma?
Non avrebbe dovuto consultare lui degli specialisti, esperti del settore dai quali farsi affiancare per poi informare la gente nel modo giusto?
Sarà mai possibile in questo paese uscire dalla logica del sensazionalismo da prima pagina e anche da quella patetica del “che faresti tu” e del “se capitasse a te”, visto che la maggior parte di noi fa un altro mestiere e non ha scelto di occuparsi della risoluzione dei problemi della politica, direttamente, da professionista?
Il razzismo è legato a doppio filo alla questione dei diritti: umani e civili, e il rispetto dei diritti [umani e civili] è più importante di qualsiasi altra questione, perfino dell’economia.
Chi non lo capisce, non capisce niente, ha qualcosa in meno, anzi molto meno rispetto a chi razzista non è, non solo sul piano intellettuale e culturale ma proprio umano.
Ognuno ha il diritto di avere le sue antipatie, di non sopportare qualcuno in particolare ma il razzismo è qualcosa di peggio, significa voler negare a quel qualcuno anche la possibilità di esistere. Significa individuare il pericolo solo nel “diverso” da sé, per orientamento sessuale, nazionalità, etnia eccetera, mentre nella maggior parte dei casi i pericoli li costruiscono proprio quelli uguali a noi.

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Dalla soave boccuccia di Marianna Madia, in riferimento al blocco degli stipendi degli statali, apprendiamo che chi guadagna 26.000 euro l’anno [lordi, in ogni senso] è da collocare nella categoria dei più fortunati. 26.000 diviso dodici fa poco più di 2.100 euro al mese che non è affatto lo stipendio base di uno statale.
Perché un dipendente statale da quadro ordinario a duemila euro non ci arriva nemmeno se rimane chiuso al ministero anche di notte.
Quindi sarebbe il caso che chi 26.000 euro li porta a casa immeritatamente in un mese evitasse di offendere chi paga a lei e agli incapaci come lei stipendi, che non vengono mai ridotti né bloccati, in cambio della fortuna e del privilegio di poter ancora mettere a tavola il pranzo e la cena nella stessa giornata.

Immagino che saranno molto soddisfatti i dipendenti della pubblica amministrazione che hanno votato Renzi perché gli ha messo la mancetta in busta paga e che adesso per bocca della Madia gli fa sapere che non ci sono i soldi per l’adeguamento dei loro stipendi che è fermo al 2010. Renzi poco più di due settimane fa, dopo averlo anticipato già lo scorso aprile, diceva che “il blocco salariale per i dipendenti pubblici è solo una chiacchiera estiva”.
Se Sciascia fosse ancora vivo probabilmente aumenterebbe di qualche unità le categorie in cui ha diviso l’umanità: ai mezz’uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà aggiungerebbe senz’altro i cazzari, i bugiardi per mestiere e tutti quelli che ancora oggi, in tempi ben lontani da quel giorno della civetta, si fanno fregare da persone come Renzi.
Quelli che dopo vent’anni di berlusconi non hanno saputo fiutare e intuire l’inganno e la truffa e prendere le opportune distanze dai bugiardi e cazzari per mestiere.

Italia: stato di figli, figliastri e figli di nessuno

Sottotitolo: all’epoca della sentenza che ha condannato Fabrizio Corona anch’io pensavo ancora che non bisognava fare il distinguo, che un reato è un reato e che chi si pone oltre il rispetto della legge va punito di conseguenza. Ma nel frattempo sono accaduti tanti fatti gravi, gravissimi che la giustizia non ha considerato con lo stesso rigore applicato a Corona. Impossibile quindi avere oggi le stesse opinioni di ieri. Il modo in cui vengono trattati certi reati, ma specialmente chi li commette,  inevitabilmente modifica poi, da parte della pubblica opinione l’idea di affidabilità e di serietà dello stato nella figura delle sue istituzioni. 

Preambolo: “Frequentazioni criminali e atteggiamenti fastidiosamente inclini alla violazione di ogni regola di civile convivenza a cui si sommano numerosi e cospicui precedenti penali, senza dimenticare la ricerca ad ogni costo di facili [ed illeciti] guadagni e condotte prive di scrupoli volte ad accaparrare risorse da investire in un tenore di vita lussuoso e ricercato”.

Una descrizione che potrebbe essere applicata non solo a berlusconi ma anche alle decine di persone colpevoli di essersi arricchite a danno dello stato. Comportamenti che nella politica disonesta sono la consuetudine. Amici criminali, sfregio assoluto della legge, delle regole di convivenza civile, comportamenti che delineano una persona socialmente pericolosa abituata a violare la legge, invece questa è parte della sentenza che ha condannato Corona che a differenza dei politici criminali in galera ci è andato per restarci.

Dell’Utri è stato condannato a sette anni per concorso “esterno” in associazione mafiosa che sta scontando dopo un tentativo di latitanza, berlusconi a quattro per frode allo stato ridotti a qualche ora di passeggiatine in giardino coi vecchietti e alla riforma costituzionale con Renzi; i cosiddetti devastatori di Genova, accusati di aver sfasciato cose e non persone hanno avuto condanne anche a dieci anni; tre anni e sei mesi ai poliziotti assassini di Federico Aldrovandi che non hanno perso nemmeno il posto di lavoro, una sentenza ridicola dovuta al fatto che in Italia non esiste il reato di tortura e ai provvedimenti fintamente pietosi come l’indulto che viene sempre giustificato con la necessità di non infierire troppo sulla microcriminalità che riempie le carceri ma poi agisce soprattutto su quella macro, rimettendo in libertà anche i grandi delinquenti o non mandandoli in galera nemmeno per un giorno come fu ad esempio per  i mandanti dei massacri del G8 di Genova, funzionari di stato, che hanno ottenuto anziché  una giusta condanna, in relazione anche alla loro responsabilità di garantire la sicurezza e l’ordine,  premi, promozioni e avanzamenti di carriera. Ai  politici ladri di stato,  tangentari, corruttori e corrotti il peggio che può capitare è di scontare i domiciliari, poca roba, in case, ville faraoniche frutto della loro disonestà e continuare a ricevere lo stipendio pagato con le tasse dei cittadini onesti. A Fabrizio Corona, invece, tredici anni e otto mesi poi ridotti a nove per il reato di estorsione:  nove anni in galera non c’è rimasta nemmeno la Franzoni condannata a sedici per l’omicidio di suo figlio.
Qualcosa che non va, anzi molto, c’è. Se di riforma della giustizia si deve proprio parlare si potrebbe iniziare da qui, chissà che ne pensa Napolitano.

Marco Travaglio fa benissimo a rimettere ciclicamente sul tavolo del dibattito pubblico la questione della giustizia uguale per tutti, a far notare le contraddizioni di questo stato malato, visto che non lo fa nessuno. 

Non lo fa nemmeno il senatore de’ sinistra Manconi, presidente della Commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani, quella che ha definito il Kazakistan una dittatura “temperata”, Manconi che si fa promotore, sempre ciclicamente, di provvedimenti di alleggerimento di pene per tutti che invece preferisce andare a piagnucolare sul Foglio di Ferrara di quanto Marco Travaglio e Il Fatto Quotidiano siano brutti, cattivi e giustizialisti, invece di aprire lui la questione sul diritto di una persona che, sebbene abbia commesso dei reati non è giusto che venga trattata e considerata dallo stato italiano peggiore, e di conseguenza meriti una pena detentiva più severa di chi ammazza un ragazzino a calci e pugni a cui viene rifilata una condanna ridicola, di chi ruba ai cittadini e allo stesso stato e viene condannato a raccontare barzellette a incolpevoli anziani ospiti di una casa di cura.
Alessando Sallusti, diffamatore seriale pluricondannato, che per mezzo del giornale che ancora dirige ha messo a rischio e pericolo la vita di un uomo perbene per sei anni, permettendo che dalle pagine di quel giornale si raccontassero menzogne su di lui, la sua vita privata e professionale, è stato graziato su cauzione dal presidente della repubblica in persona. Diffamare qualcuno in Italia costa 15.000 euro, ma solo se ci si chiama Alessandro Sallusti.
E in un paese dove la diffamazione viene sanzionata con una multa come un divieto di sosta e la frode allo stato premiata con la concessione di poter riscrivere niente meno che la Costituzione, il paradigma per la giustizia giusta, equa, uguale per tutti non può essere Fabrizio Corona, che ha commesso sì dei reati odiosi ma la sua colpa più grave è stata quella di andare a commetterli dove non si poteva e non si doveva.
Fabrizio Corona, essendo un frequentatore di un ambiente qual è quello del gossip i cui protagonisti sono i potenti con un sacco di soldi è stato punito così severamente con la galera da scontare, non coi domiciliari in villa, affinché a nessun altro potesse poi venire in mente di fare le cose che ha fatto lui.
E un paese non sarà mai normale finché l’estorsione, ma solo quella al vip, sarà considerata e trattata dalla legge un reato più grave di un omicidio, un sequestro di persona, la truffa allo stato e la diffamazione.  In Italia nove anni in galera non ci resta nemmeno uno stupratore, un assassino.
Corona si è mosso all’interno di un mondo, un ambiente, dove tutto ruota attorno ai soldi, alla superficialità volgare e ne ha semplicemente approfittato, commettendo dei reati, certo, ma non ha ammazzato nessuno né portato un paese al ridicolo etico, morale e al disastro economico, non ha derubato lo stato. 
Senza contare poi che, se il cosiddetto vip non avesse avuto niente da nascondere poteva far pubblicare le foto come se ne pubblicano a centinaia tutti i giorni. Il ricatto, l’estorsione, nasce dalla malafede dell’oggetto delle attenzioni di Corona. Una cosa vecchia come il mondo. Chi ha pagato Corona non è migliore di lui.

E ora graziate Corona – Marco Travaglio

Ora che le telefonate di un premier alla Questura di Milano per far rilasciare una minorenne fermata per furto non sono più reato, una domanda sorge spontanea: che ci fa Fabrizio Corona nel carcere milanese di massima sicurezza di Opera per scontarvi un cumulo di condanne a 13 anni e 8 mesi, poi ridotte con la continuazione a 9 anni? È normale che un quarantenne che non ha mai torto un capello a nessuno marcisca in prigione accanto ai boss mafiosi al 41bis, per giunta col divieto di curarsi e rieducarsi, fino al 50° compleanno? Lo domandiamo al capo dello Stato, così sensibile alle sorti di pregiudicati potenti come il colonnello americano Joseph Romano, condannato a 7 anni per un reato molto più grave di tutti quelli commessi da Corona: il sequestro di Abu Omar, deportato dalla base Nato di Aviano a quella di Ramstein e di lì tradotto al Cairo per essere a lungo torturato.

Latitante negli Usa, senz’aver mai scontato né rischiato un minuto di galera, Romano fu graziato nel 2013 su richiesta di Obama da Napolitano in barba alle regole dettate dalla Consulta nel 2006. Queste: la grazia dev’essere un atto “eccezionale” ispirato a una “ratio umanitaria ed equitativa” volta ad “attenuare l’applicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa confligge con il più alto sentimento della giustizia sostanziale”, cioè per “attuare i valori costituzionali… garantendo soprattutto il ‘senso di umanità’ cui devono ispirarsi tutte le pene” e “il profilo di ‘rieducazione’ proprio della pena”. Parole che paiono cucite addosso a Corona. Il suo spropositato cumulo di pene è frutto di una serie di condanne: bancarotta (una fattura falsa, 3 anni 8 mesi), possesso di 1500 euro di banconote false (1 anno 6 mesi), corruzione di un agente penitenziario per farsi qualche selfie in cella (1 anno 2 mesi), tentata estorsione “fotografica” al calciatore interista Adriano (1 anno 5 mesi), estorsione “fotografica” allo juventino Trezeguet (5 anni), e alcune minori.   Nessuno sostiene, per carità, che sia uno stinco di santo. Ma neppure un demonio che meriti tutti quegli anni di galera: ne ha già scontati quasi due fra custodia cautelare ed espiazione pena. Ed è bene che resti al fresco un altro po’ a meditare sui suoi errori, come ha iniziato a fare fondando un giornale per i detenuti, Liberamente, e rivedendo criticamente il suo passato nel libro Mea culpa scritto dietro le sbarre. E a curare la sua evidente patologia di superomismo: ma questo gli è impedito dalla condanna “ostativa” subìta al processo Trezeguet. I fatti, peraltro piuttosto diffusi nel mondo dei paparazzi, sono questi: un fotografo della sua agenzia immortala il calciatore in compagnia di una ragazza che non è sua moglie; Corona gli propone di ritirare il servizio dal mercato in cambio di denaro; Trezeguet ci pensa su un paio di giorni, poi sgancia 25mila euro. Tecnicamente è un’estorsione, poiché i giudici – dopo un proscioglimento del gip annullato in Cassazione   – ritengono che fotografare un uomo pubblico per strada integri una violazione della privacy (tesi controversa e ribaltata in altri processi a Corona, tipo nel caso Totti). Reato per giunta aggravato dalla presenza di un terzo: l’autista. Così, per un delitto scritto pensando al mafioso che chiede il pizzo scortato dal killer, Corona si becca 3 anni 4 mesi in tribunale, poi divenuti 5 in Appello (niente più attenuanti generiche). E scatta il reato “ostativo”: niente sconti per la liberazione anticipata (75 giorni a semestre per regolare condotta), niente percorso rieducativo e terapeutico, almeno 5 anni in cella di sicurezza. Un pesce rosso in uno stagno di squali. Proprio a questo serve, secondo la Consulta, la grazia: non a ribaltare le sentenze, ma ad “attenuare l’applicazione della legge penale” quando “confligge con il più alto sentimento della giustizia sostanziale… garantendo il senso di umanità” e il fine “di rieducazione della pena”. Una grazia almeno parziale, che rimuova il macigno dei 5 anni “ostativi”, sarebbe il minimo di “umanità” per ridare speranza a un ragazzo che ne ha combinate di tutti i colori, ma senza mai far male a nessuno. Se non a se stesso.

 

Il terzo mondo è qui: basta leggere i giornali per accorgersene

A proposito del presunto assassino di Yara.

“L’Italia è un Paese dove chi uccide e chi delinque viene arrestato e finisce in galera. Può passare del tempo o può finirci subito. Ma questo è il destino che attende i criminali”.[angelino alfano, ancora, incredibilmente, ministro dell’interno]

Tutti meno uno, vero angelino? Per quell’uno si può fare una deroga, Anzi, è stata fatta, e con viva e vibrante soddisfazione.

 

Avere cura di noi stessi – Alessandro Gilioli

 

Era il mostro quel padre accusato di aver stuprato una figlia bambina ma che poi si scoprì, era malata di tumore, è morta lei e dopo un po’ anche quel padre, ci sono dolori che hanno un effetto a rilascio lento, come un veleno. Ma questo non interessa ai professionisti del crimine autorizzato a mezzo stampa.

I mostri servono, perché mentre si dà la caccia ai mostri,  mentre ce li mostrano nei vari talk show, sulle copertine dei settimanali, le sanguisughe criminali si spartiscono l’Italia. Ecco perché ci vogliono sempre anni per trovarli.  Qui i mostri si confezionano ad uso, abuso e consumo della propaganda politica e della spettacolarizzazione mediatica di drammi e tragedie, mentre la criminalità politica viene trattata coi guanti di velluto, anche quando è conclamata e condannata. In Italia il giornalismo si divide in servo e criminale.  Criminale perché non si sbattono mostri in prima pagina prima di assicurarsi che lo siano davvero. Servo, per i motivi che abbiamo imparato a conoscere molto bene: come diceva Victor Hugo “c’è gente che pagherebbe per vendersi”, che è l’attività più svolta da gran parte degli addetti all’informazione di questo paese. Serietà e deontologia sottozero.  E’ molto importante che il mondo sappia che marito e moglie hanno avuto un rapporto sessuale appena prima che scattasse la follia criminale di lui. E’ un dettaglio che fa la differenza.
Di un vecchio delinquente prestato alla politica che comprava favori sessuali da ragazzine minorenni, invece, non si doveva sapere né parlare; c’era la privacy del delinquente da tutelare, da riparare perfino pensando a leggi speciali che impedissero la diffusione delle notizie.
Luridi cialtroni.

Penso a quei ragazzi che da oggi in poi saranno i figli del mostro, oltre ad avere il futuro distrutto se il loro padre  verrà riconosciuto colpevole davvero  e a cui qualcuno ha avuto premura di rovinargli anche l’immediato, il presente solo perché non si poteva aspettare di avere notizie più certe  prima di divulgare il loro cognome,  a differenza di quel che accade ad altri tipi di criminali, ad esempio quelli che abusavano di ragazzine: gente facoltosa, altolocata, il marito della mussolini che patteggia, paga il conto e si rimette a letto con sua moglie, ci va alla messa della domenica perché Dio si sa, perdona tutti: soprattutto quelli che hanno cospicui conti in banca.  Per sapere il nome del figlio del parlamentare di forza italia coinvolto in quello schifo ci sono volute settimane. E nessun alfano si è preso il merito di questo.

Complimenti ai garantisti sempre, quelli che “nessuno è colpevole fino al terzo grado di giudizio”, quelli che difendono la presunzione di innocenza solo quando a commettere i reati sono i malviventi abituali, ad esempio i politici, ma poi, come a La Repubblica, e a seguire tutti, compreso Il Fatto Quotidiano fanno i cazzoni pubblicando nome, cognome e foto di famiglia [prese da internet] di un fermato ancora da sottoporre ad interrogatorio, inchiodato da una prova ma che in questo paese basta – se si è persone normali e comuni – per essere colpevoli e condannati di omicidio prima del primo grado di giudizio. Per il politico invece bisogna aspettare anche il giudizio di dio.

E naturalmente complimenti agli imbecilli che, grazie a chi ha divulgato il nome del fermato, da ieri condividono le foto a più non posso, perché agli imbecilli se gli levi i mostri da giudicare e  condannare, magari a morte perché loro sono i buoni e gli altri i cattivi  poi sui social non sanno che cazzo fare, a loro non interessa che si tratta del padre di tre figli la cui sicurezza potrebbe essere messa in pericolo. Perché al giustiziere del web in realtà non frega nulla del dolore degli altri, lo usa per mettersi in mostra, perché sa che in quel modo è facile catturare il consenso e l’approvazione di altri imbecilli.

Complimenti ad alfano che per chiedere la libertà di un delinquente seriale è andato, insieme ad altri colleghi  a fare eversione occupando tribunali ma poi si vanta pubblicamente come se il mostro lo avesse trovato lui personalmente, a differenza di quello che ha fatto quando il mostro era lui che per compiacere l’amico delinquente non si è fatto nessuno  scrupolo e ha permesso la deportazione di una madre e di sua figlia; e complimentissimi al quadrato e al cubo  soprattutto a Renzi che solo in questo caso non ritiene di dover aspettare i tre gradi di giudizio prima di gioire per l’arresto di un “assassino”. 
Eccola l’Italia che fa paura a me, altroché quella dove si avvisano, si indagano e si condannano persone a cui poi il massimo che può capitare è di andare a scontare i domiciliari in villa.

AMICI DI SANGUE SU FACEBOOK – di Diego Cugia  [Jack Folla]
Entrambi gli assassini, quello -presunto- di Yara e quello che ha sgozzato la famiglia in fretta e furia perché dopo c’era la partita, hanno profili Facebook. Noi italiani li clicchiamo perché ci piace sguazzare nell’orrido per fare “Ooh!” come i bambini di Povia e perché ci illudiamo di essere innocenti. Ma che colpa hanno i figli degli assassini, i loro bimbi fotografati al mare o quando spengono la candelina sulla torta, che hanno fatto per meritarsi questo danno collaterale i nipoti, i genitori, gli zii del “Mostro”? Sfogliamo gli album degli assassini su Facebook come milioni d’improvvisati commissari Montalbano. “Hai visto? Quello che ha ucciso la moglie dopo averci fatto l’amore e prima di gridare Forza Italia era “seguace” di una sola persona, guarda tu, una donna, e pure bonazza, sarà mica lei l’amante di cui vociferano gli inquirenti?” Clicchi e apri il profilo della donna “seguita” dall’assassino. E toh, guarda un po’, c’è un post di lei, in evidenza, che inveisce contro “chiunque” abbia commesso proprio quel delitto lì. “Strano no? Sei amica dell’assassino e inveisci contro “chiunque” sia stato? Ma se è stato lui, il tuo “seguace”!” Così la tragedia-madre, il delitto, si costella di centinaia d’altre micro-tragedie, quelle di chi è colpevole solo di essere figlio, parente o amico di sangue su Facebook. Penso a quelle povere bambine, alle figlie minorenni del presunto assassino di Yara, l’uomo che ha dichiarato agli inquirenti “Sono sereno”. Loro, le figlie del “Mostro” che chiunque può copiaincollare sulla propria pagina fosse solo per commentare “Oooh! Poverine!”, dopo tutta questa terribile pubblicità a quale serenità potranno mai aspirare? Sono contro ogni censura ma i profili Facebook degli assassini, forse, è il caso di spegnerli come le vite delle loro vittime, per non crearne, involontariamente, altre ancora.

 

Non esiste il male di vivere: esiste quello di accettare la vita per come è

A proposito del triplice omicidio di Motta Visconti.

Preambolo: sono felicissima di non avere la responsabilità di curare malattie, costruire palazzi, giudicare chi è colpevole e chi non lo è. 
Cose che può fare e deve fare solo chi è all’altezza di ogni situazione, perché implicano il dover garantire la sicurezza di chi verrà curato che poi dovrà guarire, chi abiterà in palazzi che non dovranno crollare e chi non dovrà essere privato ingiustamente della sua libertà. Evito come la peste i fatti di cronaca cruenta, perché so che poi danno la stura a commenti di tutti i tipi. Da quando faccio blog e Rete rarissimamente ho scritto di fatti violenti, e quando l’ho fatto, come oggi, è sempre per fare da contraltare a quello che scrive la maggioranza degli utenti web in giro per siti e social network. Alla fine si riduce sempre tutto al processo e mai alla riflessione. Non partecipo alla gara del “che gli farei”.
La legge del taglione è da barbari incivili. 
Chi la invoca non è una persona migliore di chi commette un’azione violenta.

 

Non mi piacciono gli argomenti “facili”: quelli da tanti likes e dai commenti beceri come ad esempio il concetto che solo gli uomini sono capaci di commettere mostruosità. 
Perché la storia dell’umanità è piena di vicende tragiche in cui il mostro è lei  che ha tenuto nel suo ventre nove mesi un figlio, che l’ha partorito e poi si è accorta che quel figlio le era estraneo, non era una parte di sé ma altro da sé da rifiutare e da punire con la morte.
Bisognerebbe andare a leggersi le storie tragiche delle detenute nell’ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere, specializzato nell’assistenza e la cura di madri “figlicide” prima di sciorinare i soliti luoghi comuni sulle donne sempre vittime e gli uomini sempre mostri da condannare socialmente solo per il fatto di essere tali.
Sono un po’ stufa di leggere sciocchezze qualunquiste, spesso più violente della violenza che si vuole condannare, su argomenti gravi, delicati, cose di cui si dovrebbe parlare – se proprio si deve fare – senza trasformarsi in giudici e avvocati difensori quando non addirittura nel boia del “ci vorrebbe questo e quello”.
Noi non sappiamo nulla di quello che succede tra le mura di casa di gente che non avremmo mai conosciuto se non fosse stata protagonista di storie da cronaca giudiziaria e non tocca a noi capire come possono succedere certe tragedie, ci sono apposta persone specializzate a farlo.

Le notizie di cronaca nera dovrebbero essere incommentabili per legge.

Ci vorrebbe proprio una deroga speciale all’articolo 21.
Tanto la maggior parte della gente, non capendo e non sapendo una beata mazza non commenta: vomita, e allora no. 
A vomitare si va nei bagni, non in giro per il web dove tutti si sentono profondi conoscitori dell’animo umano, delle dinamiche mentali. A me pare che ci sia, invece, una gran voglia di pontificare di quello che non si sa e basta. Un gran desiderio di esternare a vanvera su argomentazioni serie, delicate e che meritano rispetto, non il giudizio e la relativa sentenza del barista, l’impiegato, l’operaio, la parrucchiera. Alla gente, molta, non tutta, piace guardare dal buco della serratura, che sia sesso o storie violente non importa. Purché possa farsi beatamente i cazzi degli altri e non i suoi.

Nel sito del  Fatto Quotidiano  mi hanno accusato di essere una fiancheggiatrice di assassini solo perché non mi unisco mai all’esercito dei giustizieri da web.

C’è un sacco di gente mentalmente instabile, con tanti problemi suoi, e per non guardare ai suoi va a cercare quelli degli altri, i più gravi, per far sembrare i suoi più piccoli. Si leggono cose che altroché i quattro amici al bar al terzo giro di vodka. Io sono sempre favorevole al patentino per connettersi al web. Sempre. Per certuni, e in Rete sono la maggioranza,  è troppo difficile e complicato capire che non condannare non significa giustificare e che esiste la via di mezzo della discrezione di chi non sa nulla e dovrebbe tacere senza ipotizzare, né tanto meno dire cosa farebbe se fosse al posto di un giudice. In questo paese c’è troppa gente incapace di ragionare laicamente, deve sempre infilarsi dentro una vicenda non per comprenderla ma per giudicarla, magari anche sulla base del suo vissuto: niente di più sbagliato. Sacco e Vanzetti finirono sulla sedia elettrica solo perché erano italiani, non certo per aver commesso quei reati dei quali un tribunale razzista li accusò nel paese dove ancora oggi si fa strame del diritto umano utilizzando quale deterrente alla violenza la pena di morte.  E chi se ne frega poi se sulla sedia elettrica o a morire per l’iniezione letale ogni tanto è anche qualche innocente. Ad ucciderli è stato un principio, ovvero che, perché italiani dovevano essere colpevoli: lo stesso principio che ispira il razzismo di genere che vuole gli uomini sempre carnefici e le donne sempre vittime. E quando il sentire comune diventa opinione diffusa bisogna stare sempre molto attenti. Chi scrive pubblicamente, che sia in un blog personale o una pagina di un social network ma soprattutto chi fa informazione, quella che poi leggeranno tutti deve assumersi la responsabilità di quello che poi altra gente leggerà. Sempre. Idiozie della serie: “so io che gli farei”,  oppure il tanto abusato “vorrei vedere se capitasse a te” sono stronzate populiste che denotano solo l’incapacità di argomentare,  che contribuiscono  a fomentare reazioni  altrettanto populiste e ad aggiungere violenza alle violenze.  Servono? naturalmente no.

Ad esempio, quanti sono a conoscenza della sindrome da “information overload(ing)”?
Sempre meno di quelli che poi scrivono idiozie a proposito di quel che si dovrebbe fare a padri e madri che dimenticano un figlio nel seggiolino di un’automobile. Ora, questo con la tragedia di Motta Visconti non ha molto a che fare, ha a che fare però col facile giudizio di chi pensa che un adulto possa dimenticarsi scientemente un bambino chiuso in un’automobile sotto il sole di luglio. O che lo lasci lì apposta per farlo morire.
Non si parla di gente che poi entra in un bar per giocare al videopoker ma di tragedie capitate nella vita di stimati professionisti; persone che avevano un lavoro di responsabilità e dunque mentalmente sane e affidabili. Ma nemmeno questo fa tenere poi lingua e tastiera a freno, quando capitano incidenti di questo tipo.
Io non  chiedo tanto, giusto un po’ di quella curiosità che poi porta ad approfondire cose che non si conoscono, che farebbe imparare quel tanto che basta poi ad esprimere un parere, non il giudizio tranchant di quelli che sanno sempre cosa fare quando  come e a chi. E soprattutto accettare anche la brutalità della vita, semplicemente, imparare l’empatia, mettersi davvero nei panni degli altri.  Soprattutto perché quegli altri potremmo essere tutti.

C’è chi crede che non si possa odiare qualcuno senza pensare che quel qualcuno si meriti anche il male e perfino la morte.
Mentre non è affatto così. E’ necessario, se si vuole aggredire l’aggressività violenta, che l’odio diventi un sentimento socialmente accettato senza che venga associato necessariamente al gesto violento. 
Detestare qualcuno che ha causato il male si può senza augurargli di morire.  Né, ci mancherebbe altro, causarne la morte violenta.
I sentimenti non hanno tutti una matrice positiva, romantica; esiste il sentimento negativo che è la risposta umana ad un trattamento ricevuto, dunque anche l’odio ha un suo diritto ad esistere, a nascere e morire come tutto ciò che si prova nei riguardi dell’altr*.
Anche gli amori nascono e finiscono, ma non è detto che la fine di un amore debba essere decretata da qualche coltellata.
Non si augura né si provoca la morte a chi ha fatto del male, anzi si dovrebbe augurare tanta vita, quella che basta per ripensare al male fatto e poi pentirsene.
E soprattutto basta parlare della famiglia come di una struttura perfetta, scevra da rischi, quando tutto nella storia ci ha raccontato il contrario.
La famiglia di oggi è composta in maggioranza da genitori stanchi, schiavi di lavori che svolgono controvoglia con l’unico obiettivo di portare i soldi – pochi – a casa, figlie e figli abbandonati a loro stessi, in balia di amici che molto spesso i genitori nemmeno conoscono e di internet.
Bisognerebbe smetterla di diffondere la propaganda tanto cara alla chiesa che mette al centro dell’universo umano la famiglia come se fosse una garanzia di vita bella e serena.
Restituire dignità alla verità, che comprende amore ma anche odio, smetterla di diffondere l’illusione della fedeltà, del per sempre associato a due persone che sono e restano fondamentalmente due estranei, due persone che possono smettere di amarsi in qualsiasi momento e per ragioni che non sono sindacabili né giudicabili da nessuno significherebbe restituirla anche alla vita: quella vera, non quella raccontata e manipolata dai negazionisti della realtà.

La realtà antipatica

Sottotitolo: se dieci milioni di persone mi guardassero e ascoltassero quello che voglio dire, o meglio, quello che qualcuno mi suggerisce di dire, per poi mandarmi a quel paese quasi all’unisono non credo che sarei contenta. Non vi ringrazieremo, cari “giornalisti”, visto che vi secca sentirvi apostrofare giornalai e pennivendoli nonostante molti di voi facciate tutto fuorché dare notizie corrispondenti ai fatti reali e accaduti, quando deciderete di smettere di raccontarci balle, magari all’unisono che sarebbe meraviglioso: un nuovo Rinascimento praticamente.

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L’invenzione del reato di omicidio stradale compreso di “ergastolo della patente” è un’iniziativa sensazionalista quanto inutile come  quella che stabilisce l’aggravante per il cosiddetto femminicidio. Perché la guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti già dovrebbe costituire l’aggravante in caso di incidente e infatti lo fa. E lo stato può benissimo decidere di non restituire la patente di guida a chi ha commesso una strage perché guidava  ubriaco o drogato. Così come non dovrebbe richiedere nessuna aggiunta di pena  né una legge speciale il genere sessuale di chi è vittima di un omicidio a proposito del quale ci sono già svariate varianti di reato, da quello colposo a quello volontario passando per il preterintenzionale che a fare la lista viene il mal di testa.  Non c’è bisogno di riscrivere in continuazione leggi che già c’erano, inventarsi reati che già c’erano per farsi belli e progressisti. Basterebbe far rispettare seriamente le leggi esistenti che qui sarebbe già un lusso.

La Cancellieri vuole istituire il reato di omicidio stradale. 
Pene più severe per chi provoca incidenti a causa di imperizia, distrazione, guida pericolosa viziata dall’assunzione di sostanze che riducono l’attenzione. 

Bene, benissimo, chi guida sotto l’effetto di alcool e stupefacenti è un criminale e da tale va trattato. Ma che senso ha fare nuove ed inutili leggi per infilare tutti in galera e poi inventarsi l’indulto e lo svuotacarceri per tirare fuori tutti dalle galere? L’Italia è un paese ridicolo, surreale e grottesco non per colpa sua né della gggente ma perché amministrato da incapaci come quelli che spostano continuamente l’attenzione sulla criminalità comune che è quella che ha più rilevanza e impatto nell’opinione pubblica per distogliere l’attenzione da quella dei piani alti. La strategia è chiara così come è altrettanto chiara l’ininfluenza di queste aggiunte e appendici di reati se poi le sentenze non possono essere applicate perché applicando le sentenze relative a quelli dei piani bassi si rischia di disturbare chi delinque a quelli alti. E tutto va ad alimentare poi questo dibattito infinito permeato sempre dagli stessi argomenti.
Mi piacerebbe domandare alla superministra Cancellieri che ne pensa e che pena si merita chi si è macchiato dell’omicidio dello stato, della democrazia e tutto quello che di grave gli è capitato è rimanere in parlamento a spese dei contribuenti. E’ un’iperbole ma mica tanto. 

E che dire altresì di un ladro condannato, il più ladro di tutti con l’aggravante di essere uno degli artefici della distruzione dello stato e della democrazia che da cinque mesi e due giorni è ancora latitante alla luce del sole, lo può fare, ma questo pare ormai non interessare più nessuno tanto meno la Cancellieri, responsabile dell’ambito giustizia? 

Va benissimo l’inasprimento delle leggi quando sono manifestamente ingiuste e insufficienti a punire i responsabili di reati pesanti ma come mai per altre faccende non si richiede con lo stesso rigore la stessa assunzione di responsabilità? 

Perché negli altri paesi i reati che danneggiano la collettività sono considerati – giustamente – più gravi e puniti più severamente mentre qui da noi no? 

Che bisogna fare per ristabilire l’uguaglianza, in materia di giustizia? Chiedo.

 

AL CONFRONTO B. ERA UN DILETTANTE 

EVASIONI, STORIE DI LADRI: DALL’IDRAULICO AI POLITICI 

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Colle Oppio
Marco Travaglio, 3 gennaio

Siccome i sondaggi vanno maluccio, la stampa corazziera spaccia l’indice di ascolto del Supermonito di Capodanno per l’indice di gradimento del presidente. 
Come se il discorso di Napolitano fosse un varietà del sabato sera. 
Naturalmente l’ascolto dice soltanto quante persone erano davanti alla tv, non quante hanno condiviso le cose dette (e soprattutto non dette).
I telespettatori sintonizzati sulle reti unificate erano 9,98 milioni contro i 9,8 del 2012, cioè 180 mila (2% circa) in più: un po’ per la curiosità di sentire come Napolitano avrebbe risposto alle critiche dei suoi oppositori (prima non ne aveva mai avuti), un po’ perché la crisi ha trattenuto in casa molta più gente dell’anno prima.

Infatti lo share – calcolato sul totale dei telespettatori con la tv accesa – è calato: 53% contro il 55 del 2012 (-2%). Resta da capire dove mai l’Unità abbia tratto il dato degli “ascolti record (più 12,2%)”. È vero invece che il ridicolo boicottaggio di Forza Italia è fallito: ascoltare quel che ha da dire il capo dello Stato è comunque interessante, anche – anzi soprattutto – per chi lo critica: le critiche devono essere sempre motivate, non fatte a casaccio.
Tutt’altra storia è il messaggio di Beppe Grillo, politicamente rilevante per i contenuti ma soprattutto per i toni, decisamente nuovi rispetto al recente passato.

Non è vero che fosse la prima volta che i due messaggi si sovrapponevano la stessa sera: Grillo arringa gli italiani quasi a ogni Capodanno fin dal 1998, quando al Quirinale c’era ancora Scalfaro.

In ogni caso il raffronto con Napolitano è impossibile: Grillo non ha lanciato alcun boicottaggio e soprattutto non ha a disposizione Rai, Mediaset, La7 e Sky, ma solo il suo blog per la diretta streaming (subito saltata per eccesso di contatti) e poi youtube: in tutto quasi 1 milione di spettatori.
Tutti questi numeri però rischiano di narcotizzare la gente oscurando la vera novità del Supermonito: la malcelata coda di paglia per i deragliamenti degli ultimi anni e per la versione ufficiale della rielezione, che continua a fare acqua da tutte le parti. 
Dopo aver mandato avanti la stampa corazziera a propinarcela in tutte le salse, Sua Maestà l’ha raccontata lui stesso l’altra
sera.  Ma, rivedendosi, dev’essersi reso conto che non funzionava. Così ieri s’è registrato il replay di dieci giorni fa, quando una lettera di Cossiga approdò sulle prime pagine di Stampa , Corriere e Messaggero dopo essere “uscita dall’archivio personale di Napolitano” (Marcello Sorgi dixit).
Stavolta, aggirando un’altra volta i ferrei controlli dei corazzieri sull’uscio del Quirinale, è uscita a fare due passi e a prendere una boccata d’aria un’altra missiva, firmata da Sua Altezza in persona, datata 15 aprile 2013 e indirizzata a Bersani, Monti e Alfano. E si è autorecapitata al Corazziere della sera: “Cinque pagine – scrive  Marzio Breda – per sgombrare ogni equivoco sulla rielezione che diversi emissari già gli avevano chiesto: sarebbe ‘una soluzione di comodo’, una non soluzione”. E questa sarebbe la “prova documentale delle sue volontà”.

Infatti il Corriere titola: “Quella lettera per evitare il secondo mandato”. Purtroppo, come si dice in Veneto, l’è pezo el tacon del buso.
Per evitare il secondo mandato non c’era bisogno di scrivere lettere: bastava rifiutare la proposta indecente di B., cui si associarono Bersani, Maroni e Monti, e rispedirli tutti a votare in Parlamento, dove c’era un candidato perfetto: Stefano Rodotà, che avrebbe potuto raggiungere il quorum di 504 voti con quelli sicuri di M5S (162) e di Sel (44) e con i due terzi dei grandi elettori Pd (ne bastavano 298 su 452, vanificando fino a 146 franchi tiratori, ben più dei 101 mancati a Prodi).
Già, ma Rodotà presidente avrebbe escluso lo sconfitto B. dalla maggioranza, scongiurato l’inciucio appena bocciato dagli elettori e propiziato il “governo di cambiamento” – magari per pochi mesi – che Bersani sbandierava ma rendeva impossibile con la sua stessa presenza.  

Un governo che nessuno voleva: a parte la stragrande maggioranza degli italiani, si capisce.

Scuse un cazzo [tanto per restare al livello intellettuale e morale dei leghisti]

A Taranto si fuma troppo: parola di esperto.

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“Dimissioni Calderoli”. Oltre 25mila firme in poche ore. Petizione su Art.21 e Change.org

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Mauro Biani

Sottotitolo: calderoli, ma generalmente tutti i leghisti e i razzisti si troverebbero perfettamente a loro agio negli States dove ammazzare un nero significa assoluzione certa.

A meno che non ci si chiami O.J.Simpson, nero ma di lusso, nel qual caso si può ammazzare una moglie,  essere assolto per omicidio e finire in galera in un secondo momento per rapina a mano armata.

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 La Carfagna viene insultata, minacciata in Rete e subito la politica insorge e torna a chiedere dei provvedimenti limitativi per la libertà di espressione nel web.

calderoli insulta il ministro Kyenge e lo fa anche da vicepresidente del senato: qualcuno chiederà dei provvedimenti limitativi circa la libertà della politica di mettere fra le istituzioni gente che in un paese normale non sarebbe neanche a pulire i cessi alle stazioni? curiosità da lunedì mattina di mezza estate.

Fra tutti quelli che nelle istituzioni, Napolitano in testa, si sono giustamente indignati per l’insulto al ministro Kyenge e per la minaccia  alla Carfagna,  quanti lo hanno fatto anche per la vicenda del sequestro di madre e figlia kazake? siamo arrivati all’indignazione nazionalpopolare o è sempre la solita e consueta autodifesa di casta? 
La specialista in difesa dei diritti umani promossa alla presidenza della camera ha detto qualcosa? perché insomma, avrebbe dovuto essere la prima a dire qualcosa,  gli ingredienti ci stanno tutti: una donna, la sua bambina e la violazione dei diritti nazionali e internazionali.

Era proprio la sua materia.  Peccato.

Il vicepresidente del senato calderoli ci ha fatto sapere che, quando vede la ministra Kyenge, pensa ad un orango, io invece quando penso a calderoli mi viene in mente solo lui, il che è molto peggio: ogni altra similitudine sarebbe eccessiva, inappropriata, esagerata.

Il ministro Kyenge ha sbagliato ad accettare le scuse di calderoli  spostando la questione dal piano personale a quello istituzionale.Perché le istituzioni, si fa per dire, non se lo porranno mai il problema di non far entrare in parlamento quelli come calderoli, ma anche quelli come cosentino, dell’utri e berlusconi. Non si può sempre sorvolare in virtù di una superiorità intellettuale, morale che quelli come calderoli non comprendono.

Il problema non è che esistano individui ripugnanti come calderoli,  ce ne sono tanti  anche altrove dal paese che non esiste, quella padania di cui vaneggiano i rozzi bifolchi in camicia verde, gente che anche quando non dimostra di essere particolarmente cattiva  non riesce proprio a non essere razzista, a non pensare che ‘quelli che vengono da fuori’ sono un pericolo, uno spreco di risorse per gli italiani, e che insomma, se ognun* restasse al suo paese non sarebbe poi così malaccio.

Il dramma è che a uno così non siano state ancora sbarrate le porte del parlamento.  

Da calderoli ci si aspetta che faccia proprio calderoli. Dagli altri no: calderoli è stato ministro di questa repubblica soprattutto grazie a chi pensa di essere diverso da lui.

calderoli è quello  delle magliette anti islam che provocarono morti e feriti a Bengasi qualche anno fa, le sue NON SONO GAFFES  di un deficiente, sono dichiarazioni pericolose che poi hanno delle conseguenze serie,  gravi e altrettanto pericolose per tutta l’Italia e non solo.

E a uno così il governo delle larghe intese ha affidato niente meno che la vicepresidenza del senato. 

Ecco perché le scuse si potevano e si dovevano rifiutare. Non si scusa chi ti prende a calci in bocca ripetutamente.

E l’unica questione che resta non aperta ma proprio spalancata non è quella dell’offesa, dell’insulto e del razzismo ma quella di un parlamento stracolmo di impresentabili cialtroni, ignoranti, disonesti e delinquenti che si rendono responsabili di fatti molto più gravi di un insulto, benché odioso, ma per quei fatti poi non s’indigna Napolitano che parla di “imbarbarimento” a proposito del razzismo di calderoli ma non trova, evidentemente, abbastanza barbaro e incivile sequestrare  due persone colpevoli di nulla a casa loro; non pensa, altrettanto evidentemente, di dover dire due parole a proposito di una donna e di una bambina di sei anni trattate dallo stato italiano che lui rappresenta come due criminali.

Il vero imbarbarimento sono le continue violazioni ai diritti, alla Costituzione compiute dalle istituzioni stesse che ormai non fanno sussultare più nessuno a parte una minoranza di idealisti  che non si rassegnano  al fatto che il declino di questo paese, economico, sociale, umano, morale, etico, è ormai irreversibile e la responsabilità di tutto questo è principalmente di chi avrebbe dovuto proteggere, tutelare quei valori e principi racchiusi nella Costituzione più bella del mondo.

‘o piezzo [un altro, l’ennesimo]

Sottotitolo, una citazione da un mio post di qualche mese fa: i combattenti antimafia sono quelli che poi quando devono decidere se un mafioso prestato alla politica deve andare in carcere votano compattamente per il no. Per questioni di coscienza. Quelli che commemorano Falcone, Borsellino e tutti i morti di stato ma salvano Cosentino.
Quelli che parlano di berlusconi e andreotti definendoli statisti. Quelli che festeggiano le prescrizioni come fossero assoluzioni, solo in questo paese è possibile essere mafiosi da un certo periodo a un altro, né un attimo prima né uno dopo. Quelli che non riescono a fare nemmeno una legge decente sulla corruzione perché poi andrebbe a disturbare chi di corruzione si è macchiato ma ancora può fregiarsi del titolo di “onorevole”. L’esercizio del male non necessita di gente dotata di particolari qualità: durante il nazismo ad esempio bastarono dei semplici burocrati, funzionari, medici di famiglia, come fu per la strage di Ausmerzen, che si resero complici dello sterminio dei disabili nell’indifferenza pressoché totale della gente.
Gli esecutori del male sono e sono stati dunque sempre persone normali, insospettabili, con buona pace della teoria lombrosiana che li voleva brutti, storti e fatti male.
L’olocausto è stato un orrore dell’uomo moderno che è potuto accadere anche grazie all’indifferenza, alla noncuranza, all’individualismo e all’egoismo.
Allo stesso modo la mafia è potuta proliferare soprattutto grazie all’indifferenza, alla noncuranza, all’individualismo e all’egoismo di chi sa, vede ma fa finta di niente, grazie ad uno stato che non ritiene sia necessario impegnare TUTTE le energie non a combattere le mafie, combattere non significa niente, ma ad annientarle, sconfiggerle.

Camorristi siete dei bastardi

[…] è una nenia, un lungo Rosario, un lamento interminabile fatto di tanti nomi e cognomi: sono i caduti per mano dell’invasore, camorra. Giancarlo, Silvia, Gigi e Paolo, Valentina, Federico, Annalisa, Gelsomina, Antonio, Dario, Francesco, Carmela, Attilio, Nunzio, Enrico, Ciro, Domenico. Di cosa parliamo? Di cosa cazzo scriviamo? […]

Se questo fosse un paese civile a Pasquale Romano, morto ammazzato di camorra – e quindi anche di stato – visto che questo stato non riesce ad essere più forte della malavita, della criminalità e delle mafie, perché essere severi e forti con la criminalità spicciola poi significherebbe esserlo anche con quella “eccellente” e allo stato questo a quanto pare non conviene, si dovrebbe fare il funerale di stato, fermare tutto per un giorno e farlo ogni volta che una vita umana viene privata del diritto di esistere solo perché ha avuto la sventura di nascere in uno dei tanti quartieri dimenticati d’Italia.

La mafia sarà anche un fenomeno culturale e che culturalmente si può indebolire, ma senza dispositivi di legge rigorosi e severi non si distrugge. E con la mafia non si tratta né la si dovrebbe trattare in punta di diritto: non si cura il cancro con l’aspirina.

Cominciamo ad andare a stanare i referenti di questi criminali, quelli di cui si conoscono le facce, i nomi, i cognomi e gli indirizzi.

Quelli che si fanno le leggi per eliminare il dolo dal loro agire mafioso, quelli che ogni giorno tentano di far passare i Magistrati come una parte di umanità a sé il cui unico obiettivo è la persecuzione di povere anime candide e innocenti, quei “combattenti antimafia” che poi votano no all’arresto di un loro pari quando tradisce lo stato a favore di mafia e camorra, per questioni di coscienza. Oggi sono molto avvelenata, più del solito se poi leggo che il CSM boccia una legge perché insufficiente a liberarci dai mafiosi e dai delinquenti di stato.

Oggi l’Italia è, se possibile, un paese ancora più disgustoso del solito.

Manca l’aria a viverci dentro.

Severino Salvatutti
Marco Travaglio, 19 ottobre

La legge anticorruzione approvata dal Senato è così anti che manderà in prescrizione un bel po’ di processi di concussione: quelli al pubblico ufficiale che chiede tangenti senza violenza o minaccia, ma “per induzione”, cioè con le buone maniere (“se non paghi, ti rovino”). Proprio ciò che sono accusati di aver fatto B., Penati, Tedesco e tanti alti politici che non hanno bisogno di puntare la pistola alla tempia di nessuno. Dei 36 processi pendenti in Cassazione per questo reato, con la nuova prescrizione ridotta da 15 a 10 anni, ben 17 si estingueranno entro aprile 2013. E con la prescrizione anche il mostro di Marcinelle diventa un giglio di campo. Ora però la ministra Severino del “governo degli onesti” annuncia: “Subito l’incandidabilità dei condannati”. Subito si fa per dire: è una legge delega al governo, che però ha solo 6 mesi di vita, poi ad aprile si vota. E per di più sarà in Gazzetta Ufficiale chissà quando, visto che governo e partiti vogliono emendare la legge appena varata in Senato, così dopo la Camera tornerà a Palazzo Madama. Ma, anche se si facesse in tempo con i decreti delegati, sarebbero in candidabili solo “i condannati definitivi a pene superiori ai 2 anni per reati contro la Pubblica amministrazione o di grave allarme sociale”, tipo mafia e terrorismo. Esclusi dunque finanziamento illecito, reati finanziari e fiscali. Ed escluso pure chi ha patteggiato(il patteggiamento non è equiparato alla condanna). Nel 2008, quando fu eletto l’attuale Parlamento, i pregiudicati erano 22. Uno è morto: Giampiero Cantoni (Pdl, 2 anni per bancarotta e corruzione). Se fosse sopravvissuto avrebbe potuto ricandidarsi: aveva patteggiato e la pena non superava i 2 anni. Vediamo i superstiti, escludendo gli ex radicali Rita Bernardini e Benedetto Della Vedova (cessione di hashish in campagne di disobbedienza civile) e Giancarlo Lehner (diffamazione), non certo indegni di sedere nelle istituzioni. Le maglie della Severino sono talmente larghe che non lascebbero a casa quasi nessuno: o perché la pena non supera i 2 anni, o perché il reato non rientra fra quelli previsti per l’ineleggibilità. Non sarebbe incandidabile Massimo Maria Berruti (Pdl, 8 mesi: favoreggiamento). Non Umberto Bossi (Ln, 8 mesi finanziamento illecito, 1 anno istigazione a delinquere, 16 mesi indultati oltraggio alla bandiera). Non Aldo Brancher (Pdl, 2 anni: ricettazione e appropriazione indebita). Non Giulio Camber (Pdl, 8 mesi: millantato credito). Non Enzo Carra (Udc, 16 mesi: false dichiarazioni al pm). Non Marcello de Angelis (Pdl, 5 anni: associazione sovversiva e banda armata, ma è roba vecchia ed estinta). Non Marcello Dell’Utri (Pdl, 2 anni e mezzo patteggiati: false fatture e falso in bilancio). Non Antonio Del Pennino (Pdl, 2 anni: finanziamento illecito). Non Renato Farina (Pdl, 6 mesi patteggiati: favoreggiamento in sequestro di persona). Non Giorgio La Malfa (6 mesi: finanziamento illecito). Non Roberto Maroni (Ln, 4 mesi: resistenza a pubblico ufficiale). Non Domenico Nania (Pdl, 7 mesi: lesioni). Non Domenico Naro (Udc, 6 mesi: abuso d’ufficio). Non Domenico Papania (Pd, 2 mesi: abuso d’ufficio). Resterebbe fuori Giuseppe Drago (Udc poi Pdl, 3 anni: appropriazione indebita e peculato), ma s’è già dovuto dimettere da deputato perché interdetto dai pubblici uffici. Alla fine la mannaia del “governo degli onesti” si abbatterebbe su tre soli senatori, ovviamente Pdl: Giuseppe Ciarra pico (7 anni e mezzo: ricettazione fallimentare e bancarotta fraudolenta), Salvatore Sciascia (2 anni e mezzo: corruzione) e Antonio Tomass ini (3 anni: falso). 

Con tutto quel che si vede in giro, fanno quasi tenerezza: diamogli la grazia.
Ciao Pasquale…Napoli è una città bellissima ma lo stato non se n’è mai  accorto.

Politica VS Legge e Costituzione

Sottotitolo: anch’io vorrei provare ad  ammazzare una persona  e poi SCEGLIERMI la pena. Ma mi sa che non me lo farebbero fare.

Omicidio Aldrovandi, i poliziotti colpevoli assegnati ai servizi socialmente utili

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In ginocchio da Cosa Nostra. Nero su bianco

“Spiace ai cultori del negazionismo professionista, ma l’unico aggettivo che si può togliere, nella narrazione della trattativa tra Stato e mafia, è “presunta”. A cancellarlo è la sentenza della Cassazione del processo sulle stragi del ’93 a Firenze, Roma e Milano, che ha certificato l’esistenza della ‘trattativa’ ponendo il proprio autorevole timbro alla ricostruzione, confermata nei tre gradi di giudizio, e sintetizzata dalle parole contenute nel verdetto di primo grado: “L’iniziativa del Ros (che contattò Vito Ciancimino, ndr) aveva tutte le caratteristiche per apparire come una trattativa: l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli definitivamente che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione. E nonostante le più buone intenzioni con cui fu avviata, (quest’iniziativa, ndr) ebbe sicuramente un effetto deleterio per le istituzioni”.

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 IL CSM PREPARA LA LEGGE NAPOLITANO
Il vicepresidente Vietti incontra il Capo dello Stato, poi dice al Fatto: top secret le parole dei “soggetti terzi intercettati, ma non indagati”. Con tanti saluti alle responsabilità politiche.

[Il Fatto Quotidiano]

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Ci vuole una grandissima faccia come il culo a scrivere, come ha fatto l’Unità, che l’ascesa politica di berlusconi fu la naturale conseguenza dal “conflitto” fra politica e Magistrati. Certi giornali – cosiddetti di sinistra – ultimamente più che riportare notizie e citare fatti realmente accaduti belano, cinguettano, talvolta abbaiano – ma solo quando c’è da prendere le parti di qualche indifendibile eccellente – unicamente menzogne, mistificazioni, capovolgimenti di verità ormai storiche potendo confidare nel fatto che qualcuno crederà perfino che siano cose serie.
E se anche l’Unità scrive  – senza che nessun dirigente del partito smentisca e si dissoci da questa sesquipedale bufala –  di una colossale falsità inventata ad arte come il conflitto fra politica e Magistratura, gli elettori del pd sanno che devono crederci perché questo vuole il partito, diventato ormai l’unico editore di riferimento del povero quotidiano che fu di Antonio Gramsci, il quale, sono sicura, avrebbe avuto un altro concetto di ‘conflitto’, non avrebbe mai pensato infatti, che un Magistrato che porta a processo criminali, corruttori, mafiosi – anche se fanno i politici – sia lui il pericolo, il nemico da abbattere o tutt’al più, per non dare troppo nell’occhio ché ricostruire autostrade e quartieri è anche un po’ costoso e c’è la crisi, esiliandoli altrove dove non possono “far danni”, tipo indagare sui rappresentanti di uno stato che anziché lavorare per sconfiggere la mafia ci si siedono a tavola mettendosi anche comodi: un pranzo che dura praticamente da vent’anni.
Ricordiamo agli smemorati che l’ascesa di berlusconi, impostore, abusivo della politica e con guai giudiziari antecedenti alla famosa “discesa in campo” fu resa possibile con quello che davvero si può ritenere un atto eversivo/sovversivo e cioè ignorare la legge che glielo avrebbe impedito, dunque un colpetto di stato in piena regola.
La bicamerale [necessaria eh?] del cazzatore [di rande] ma più che altro cazzaro, quello che qualcuno considera addirittura uno statista ha completato l’opera consegnandogli praticamente le chiavi del paese.
L’unico vero conflitto, esistente dalla notte dei tempi in Italia, è solo quello della politica fra la legge e il suo rispetto, che deve valere per tutti meno per chi – indegnamente – la rappresenta.   Il pd non andrà a governare perché NON CONVINCE, perché tratta e in malomodo sui diritti  e la legalità che sono la priorità per un paese civile, molto più dell’economia. Un paese è molto più povero quando viene privato della sua dignità.

Una politica seria e onesta non parla di conflitto con la Magistratura:  la sostiene e ci lavora affianco.

 Chi tocca la casta e tutto ciò che ad essa ruota attorno – quindi soprattutto il malaffare – muore, anche restando vivo.

Magistrati, giornalisti, militanti, non ce n’è per nessuno.   Pensate che bella la nuova legge elettorale che ci aspetta.

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In nano veritas
Marco Travaglio, 1 agosto

La Seconda Repubblica è nata dal “peccato originario” (sic) del “conflitto tra politica e magistratura” che l’ha attraversata come un “filo rosso permanente”. “A trarre il massimo vantaggio da quest o conflitto fu Berlusconi” grazie alla “destrutturazione della politica operata in buona parte dalla magistratura”, poi però “si aprì uno scontro insanabile fra Berlusconi e la magistratura”. Un “conflitto ventennale che ha visto contrapposti Berlusconi e la magistratura, costituitasi e progressivamente rinsaldatasi in un ruolo di custode generale dell’eticità dello Stato”. I reati di B. e dei suoi compari, ma anche di vari esponenti del centrosinistra finiti sotto processo, non c’entrano: è stata una guerra civile, “condotta da entrambe le parti” — truppe berlusconiane e togate — “con furore giacobino, senza esclusione di colpi” e s’è conclusa “senza vincitori né vinti”. Ora però “la Seconda Repubblica è finita” e i due eserciti devono ritirarsi in buon ordine in nome dell'”equilibrio dei poteri”, per fare spazio alla “politica”. Resistono, purtroppo, alcune schegge di magistratura “recalcitranti e invadenti”, ma vanno prontamente “cancellate” come “fantasmi di un passato che dev’essere chiuso”. Ed “è su questo sfondo storico che va considerata e apprezzata la decisione del presidente Napolitano di sollevare il conflitto di attribuzione presso la Consulta sulle intercettazioni operate da una procura” (era un gip, ma fa lo stesso): “Essa è importante” perché “segnala la necessità di chiudere disfunzioni formali e distorsioni materiali della Seconda Repubblica” e “si propone di ridefinire compiti e funzioni di ciascuno” per “aprire una nuova fase della democrazia, liberandola finalmente dalle contrapposizioni del passato e dalle macerie personali e collettive che esse hanno lasciato sul terreno”. Chi pensasse che questi pregevoli scampoli di prosa siano usciti sul Giornale, sul Foglio, su Libero, su Panorama, sul Corriere a firma del quartetto Galli della Loggia-Panebianco-Ostellino-Battista, resterà sorpreso: l’autore è Michele Ciliberto, editorialista della fu Unità. Qualcuno dirà: Ciliberto chi? Giusto, se non fosse che l’Unità è tornata a essere l’organo ufficiale del Pd.
Quindi, a meno che qualcuno non ci spieghi che Ciliberto non rispecchia la posizione del Pd, siamo autorizzati a pensare che anche il Pd ha finalmente fatto outing sposando il berluscones-pensiero: i processi a B.&C. per mafia, corruzione di giudici, finanzieri e testimoni, frode fiscale, falso in bilancio, concussione, prostituzione, così come le indagini sulle trattative Stato-mafia non sono la conseguenza di gravissimi delitti, ma di uno “scontro fra politica e magistratura” combattuto “da entrambe le parti con furore giacobino”; e che il conflitto del Colle contro la Procura di Palermo che indaga sulle immonde trattative non serve tanto a stabilire se le intercettazioni indirette del Presidente andassero o meno distrutte dai pm senza passare dal gip e dal contraddittorio fra le parti; quanto piuttosto a mettere in riga quei pm facinorosi, “recalcitranti e riottosi”, che si ostinano a credere che la legge sia uguale per tutti e a non comprendere che la guerra è finita e la politica deve comandare sul potere giudiziario come ai bei tempi del Duce e del Re Sole. Nel qual caso, B. può ritenersi soddisfatto, ritirarsi in una delle sue ville con le sue squinzie, rinunciare alla faticosa e incerta ridiscesa in campo e lasciar fare ai “comunisti”. Ormai ha vinto lui. Le sue parole d’ordine campeggiano sulla prima dell’Unità, succulento antipasto di quel che ci riserva la prossima legislatura. Intanto la guerra alle intercettazioni e alla Procura di Palermo, che finora l’aveva visto soccombente, la combatte per lui il capo dello Stato fra gli osanna di destra, di centro e di sinistra (fa eccezione Di Pietro, ma una simpatica vignetta sull’Unità lo definisce “molto malato”, pronto per la rieducazione “in clinica”). Quod non fecerunt berluscones, fecerunt corazzieri.

Solidarietà d’accatto

Sottotitolo: un normalissimo capoufficio risponde in prima persona, sempre, dell’operato dei suoi sottoposti.
Ma in questo paese più si sale di grado e meno è richiesta, anzi, pretesa  l’assunzione di responsabilità.
Questo non è solo sbagliato e ingiusto ma proprio pericoloso.
Il capo è tenuto ad assumersi le responsabilità di ciò che commettono i suoi subalterni. SEMPRE. E in casi come quelli di cui si parla, il minimo che fa è scusarsi e dimettersi,  soprattutto in relazione alla pervicace e protratta attuazione di depistaggi e minacce ai testi, il capo è professionalmente responsabile.
La solidarietà ai condannati sarebbe sufficiente a costringere il capo del governo a cacciarlo.
E comunque, nei paesi normali, le dimissioni sono la prassi in casi di questa gravità all’apertura del procedimento, senza neanche considerare le motivazioni relative alla possibilità che ha un poliziotto mantenuto in servizio di inquinare le prove.

Se un sottosegretario di governo può solidarizzare con la parte [purtroppo minima] dei criminali che hanno ordinato e fatto eseguire i massacri al G8 nella notte della repubblica bis di questo paese, durante la quale ci fu la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese dal dopoguerra in poi secondo la stima [moderata] di Amnesty International significa che da ieri in poi ognuno di noi è legittimato a solidarizzare con chi vuole, anche con chi, eventualmente, si ribella a questo stato ridicolo gestito da gente altrettanto ridicola quanto pericolosa dove leggi e giustizia vengono applicate e fatte rispettare ad cazzum, e a certe solidarizzazioni d’accatto.
Io, ho già iniziato.

La madre di Aldrovandi: “Accetto le scuse, ma non riesco a perdonare”

Dopo la richiesta d’incontro del capo della polizia Manganelli e del ministro Cancellieri, Patrizia Moretti scrive sul suo blog: “Accetto volentieri, non ho mai provato rancore per la polizia, ma per me Federico è ancora lì, su quell’asfalto, mentre invoca aiuto e supplica coloro che lo bastonano di smetterla”.

[Troppo buona questa madre, io non avrei accettato nemmeno le scuse]

Diaz, De Gennaro: “Le sentenze vanno rispettate anche quando assolvono”

“Nelle parole dell’ex capo della polizia non c’è nemmeno l’ombra delle scuse che, se pur solo formalmente, ha chiesto il suo successore Manganelli”. “De Gennaro – aggiunge – con arroganza rivendica ogni cosa e, sfottendo i giudici, osa addirittura affermare che tutto si è svolto secondo la Costituzione, lui che a Genova nel 2001 era il capo della polizia e quindi il responsabile della gestione dell’ordine pubblico”. “Nemmeno una critica – sottolinea Agnoletto – verso i dirigenti di polizia condannati per reati estremamente gravi, ai quali va anzi la sua solidarietà. La stessa solidarietà in nome della quale per undici anni i vertici della polizia hanno cercato di impedire l’azione dei pubblici ministeri e di bloccare i processi. Per tutti gli altri resta solo un generico dolore; nemmeno un accenno alle vittime della violenza provocata dai suoi sottoposti”. “In qualunque altro Paese europeo De Gennaro sarebbe stato sospeso dall’incarico già nel 2001; è inaccettabile – conclude Agnoletto – che resti al governo nel silenzio colpevole di tutto il parlamento”. [Vittorio Agnoletto]

De Gennaro assolto. Ma solo in tribunale

Noi popolo, gente comune, normale, dunque esente da privilegi e immunità nell’eventualità dovessimo commettere qualche reato non siamo praticamente nessuno per impedire che i politici abbiano, amicizie come dire, più che discutibili con delinquenti, mafiosi et similia.
Però da popolo, da gente che in linea di massima certa gente non la frequenta, non l’ammira né la considera ‘eroe’ non dovremmo considerare normale che quei politici esprimano pubblicamente, ad esempio da presidente della camera la loro solidarietà ad un condannato per mafia come fece casini appena si concluse il processo a totò – cuffaro – vasa vasa.

E come fanno puntualmente onorevoli, senatori, deputati di ogni schieramento ogni volta – quasi mai, dunque – che un politico deve passare per il giudizio di un tribunale.
E non dovremmo considerare normale che un sottosegretario, Gianni De Gennaro, fresco di nomina [per decisione di Mario Monti che non è lì per fare politica, s’intende, e chissà che farebbe se la potesse/dovesse fare] perché scampato, grazie all’iniquità della giustizia italiana ad una condanna sacrosanta a proposito della sua responsabilità sui massacri del G8 di Genova – visto che all’epoca era lui il capo della polizia dunque proprio il primo responsabile dell’operato dei suoi uomini e donne – si dispiaccia ed esprima altrettanto pubblicamente solidarietà e affetto a quegli uomini così “duramente colpiti” perché nonostante tutti i tentativi degli apparati dello stato di fare in modo che non si arrivasse mai ad un processo né ad una sentenza non sono riusciti a scampare ad una condanna, benché ipotetica e virtuale dal momento che la vita di queste persone non cambierà né è cambiata in questi undici lunghissimi anni. Tanto infatti c’è voluto per stabilire che l’assassino stavolta, era proprio e solo il maggiordomo.

Anzi, è perfino migliorata.

Gente che ha fatto carriera sulla pelle altrui e non per modo di dire ma per modo di fare.
 In un paese normale ci si dimette per molto meno di atteggiamenti e dichiarazioni di questo tipo, qualcuno, magari Napolitano,  lo dica a De Gennaro.

Si può essere solidali da privati cittadini, ma quando si rappresenta lo stato sarebbe meglio dimostrare di essere dalla parte dello stato, dunque quella della gente onesta, che non abusa del suo ruolo, che non ordina massacri né li esegue,  che non ammazza ragazzini a manganellate e a calci, che non si mette mafiosi in casa mascherati da stallieri, non li frequenta né si dispiace quando vengono  condannati né si duole quando, raramente, lo stato riesce a processare  chi invece, proprio grazie al suo ruolo ha commesso crimini che una persona qualunque  avrebbe pagato con anni ed anni di carcere.

Chi rappresenta lo stato si mette dalla parte delle vittime senza se e senza ma, non certo  da quella dei carnefici.

Una legge contro le torture [di stato] servirebbe anche a dare sicurezza a chi vuole manifestare pacificamente, ovvio che poi, chi rompe paga, ma in un paese normale non si possono rischiare 15 anni di galera per devastazioni e, di contro, condonare con l’indulto tre miseri anni  per omicidio  volontario [altro che colposo] e praticamente niente grazie alle prescrizioni chi massacra di botte decine di persone inermi, indifese e disarmate causando danni permanenti che non sono stati mai nemmeno risarciti.

L’altra verità politica nel merito  di questo episodio disgustoso, degno dei peggiori regimi sudamericani, nazisti, inaccettabile per una società che vuole dirsi civile è che tutto sommato alle istituzioni repubblicane, democratiche, va bene che un ex capo della polizia abbia un precedente grave e mai sanzionato  come quello di aver comandato la polizia di stato anche quando bastonava e massacrava. Così bene da averlo elevato di grado nominandolo nientemeno che sottosegretario alla sicurezza del governo.
Promosso perché incapace quindi innocuo o perché ha eseguito bene gli ordini ai tempi, quindi capace ma con comportamento e mentalità criminale, dunque inadatto a ricoprire qualsiasi carica che abbia a che fare con uno stato democratico?

E Napolitano, il presidente di tutti [?], come di solito fa quando invece ci sarebbe molto da dire, tace.

Penso. Credo. Spero. Ma…

Sottotitolo: Gratteri: “La mafia che io conosco non colpisce scuole e ragazzi”

Nicola Gratteri, procuratore aggiunto a Reggio Calabria, è uno dei massimi esperti di ‘ndrangheta: “Fatto anomalo, la mafia per esistere ha bisogno del consenso popolare”.

 

 

Voglio credere e sperare che la tragedia di Brindisi non abbia niente a che fare con teorie stragiste, con complotti orditi allo scopo di destabilizzare un paese che fa fatica a reggersi in piedi.
Però, attenzione, qualcuno ci proverà: il capo della polizia ha già pronunciato la parolina magica “eversione” e anche Monti ha promesso contrasto alle “tentazioni eversive”.
La storia di questi ultimi anni ci ha insegnato che è stato definito eversore anche chi vuole uno stato serio, un governo scevro da politici corrotti, un’impresa ripulita da dirigenti disonesti, delinquenti.

E’ stata una parola pronunciata spesso anche nei confronti di giornalisti che denunciavano i fatti osceni e criminali di cui certa politica si è macchiata.
E inoltre, l’Italia è sempre il paese in campagna elettorale permanente, dunque, parleranno, molti lo hanno già fatto, TUTTI.
Anche quelli che si nascondono dietro un partito di centrosinistra che però cerca alleanze strane, “anomale” per un partito di centrosinistra.
L’unica cosa che si può fare è stare vigili, attenti, e non cadere nei tranelli di chi vuol farci credere quello che – more solito – è utile e funzionale al potere.

Specialmente in questo momento.