Il paese va in malora e i politici responsabili sono sempre ai loro posti: guai a chi glieli tocca. Anche alfano resta sempre e incredibilmente al suo posto.
La Nazionale perde, esce – giustamente per demeriti manifesti – dai mondiali e l’allenatore la prima cosa che dice è “colpa mia, mi dimetto”.
E insieme a lui se ne va anche un dirigente storico del calcio.
Magari la Nazionale fosse davvero lo specchio del paese come piacerebbe a Napolitano che non manca mai di associare gli “azzurri” al paese Italia che è tutt’altro da quello splendido colore. In un paese azzurro non si muore dentro e fuori uno stadio; si muore, si rischia, quando quel paese è troppo nero di fascismo ancora troppo tollerato per opportunismo politico, dentro, fuori e intorno alle cosiddette istituzioni di una repubblica antifascista. Napolitano, dopo aver definito “eroi italiani” due presunti assassini dovrebbe andarsi ad inginocchiare davanti alla madre di Ciro Esposito. Andare a guardare il dolore di chi si vede sparire un figlio per un atto violento e ingiustificabile molto simile a quello commesso “presuntamente” da quelli che lui ha chiamato “eroi”.
–
Morto Ciro Esposito
Il tifoso ferito a Roma
In una città, la capitale d’Italia, dove ci si spara con la scusa di una partita di calcio si sarebbero già dimessi il questore e il prefetto.
Dimissioni che andrebbero estese anche al ministro dell’interno che pensa di poter trattare la sicurezza in uno stadio con un capo ultras invece delle forze dell’ordine pagate apposta per farlo.
Perché il capo ultras l’autorità non se la prende da solo, qualcuno gliela dà, gliel’ha data, e quel qualcuno è SEMPRE la politica che chiude un occhio ma anche tutti e due laddove poi verrebbe a mancare il sostegno di una parte sostanziosa di elettori.
Negli stadi è sempre accaduto di tutto perché la politica che dovrebbe lavorare per evitare quel tutto non lo fa, non l’ha mai fatto. Il perché è facilmente comprensibile, ecco perché non sopporto i luoghi comuni sul calcio, sulle colpe da assegnare poi a tutti indistintamente. Il calcio non c’entra niente ma l’obiettivo è proprio quello di far credere che gli episodi violenti siano da ricollegare al calcio. mentre il calcio è solo il pretesto, come lo sono le manifestazioni, il concerto, la serata in discoteca, la movida estiva. Ci chiuderanno tutti in casa, così noi non rischieremo niente e la politica lassù, invece di lavorare per rendere questo un paese civile avrà più tempo per farsi gli affaracci suoi.
Chi esce di casa con una pistola senza essere autorizzato dalla professione ad averne una sempre con sé è un criminale al quale basta un pretesto minimo per scaricare la sua aggressività violenta, non è un tifoso di calcio. Giorni fa l’ennesimo pazzo di strada ha ferito tre persone e ne ha ammazzata un’altra. Ormai l’effetto emulazione è diventato una moda come lo furono i sassi dai cavalcavia che però non hanno scoraggiato la gente a mettersi in macchina e viaggiare. Così come è impensabile doversi chiudere in casa per non rischiare di morire ammazzati fuori e dentro uno stadio, per mano di uno squilibrato che gira per le città col machete o nella propria macchina tornando a casa, perché altrimenti daremmo ragione a chi pensa e dice che se le donne si vestono di più e non escono di sera nessuno le violenta e le stupra, mentre gli stupri avvengono a tutte le ore e le vittime sono anche donne per nulla appariscenti né svestite, o a quelli che è meglio non andare alle manifestazioni per non dover rischiare le botte, magari proprio quelle di chi dovrebbe tutelare i cittadini e non ammazzarli.
Il problema della violenza che ammazza non è relativo ad una passione qual è il calcio o ad una qualsiasi altra occasione che porta la gente fra altra gente. I violenti del calcio sono ben noti alle forze dell’ordine di tutte le città che di loro sanno vita, morte e miracoli ma non intervengono mai prima che ci scappi il ferito o il morto. In questo paese non c’è prevenzione né la voglia di agire sul piano culturale contro le violenze di ogni genere perché poi è più facile per lo stato rispondere alle violenze con altre violenze, ecco perché non dobbiamo darla vinta a chi vorrebbe chiuderci in casa perché fuori ci sono i mostri cattivi.
Non c’è un posto dove è più facile morire.
Gli episodi legati alla criminalità intorno e dentro gli stadi si possono prevedere, arginare ed evitare perché le autorità hanno la possibilità di controllare e monitorare gli spostamenti, chi va dove e chi è soprattutto.
Questo non si è fatto e non si fa.
Ecco perché il calcio non c’entra niente.
Dire che il calcio è violenza è semplificazione massima, menzogna costruita ad arte, è l’alibi dietro al quale nascondere uno stato fallimentare perché rappresentato da incapaci, disonesti, interessati sempre a fare altro dalla gestione di un paese e che non sa garantire sicurezza ai cittadini sempre, non solo allo stadio. Ciro è rimasto un’ora per terra prima di essere soccorso e assistito, a Roma, non a Baghdad.
Povero Ciro, morto di follia e che verrà ammazzato ancora e ancora da tutti quelli che approfitteranno per ripetere le solite storie, sempre quelle, sui violenti, sempre quelli, ovviamente senza sapere di che parlano.
Povera madre.
Poveri tutti.
Speriamo almeno che restino tutti a casa oggi, a fare quello che hanno fatto nei cinquanta giorni di agonia di Ciro non trovando tempo e modo per far sentire alla famiglia di Ciro il sostegno dei romani e degli italiani.