Quando c’era lui [silvio], i talk show facevano più ascolti di Rambo

Massimo Giannini oggi fa il conduttore al servizio pubblico di Raitre dopo essere stato per anni il vicedirettore di un quotidiano, La Repubblica, che ha fatto la guerra a berlusconi su tutte le cose che oggi perdona a Renzi, compresa l’insopportabile legge bavaglio che quando la voleva fare berlusconi diocenescampieliberi ma ora che la fa Renzi è tutta un’altra cosa e dopo avergli tirato la volata per mesi. Dunque è abbastanza difficile se non impossibile cucirgli addosso i panni del perseguitato ora che il nemico dell’informazione non è più il caimano ma il pupillo stracoccolato dalla grande stampa italiana.

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Rai, Giannini: “Renzi ha liberato i cani
Partita la caccia ai programmi scomodi
Nella sostanza è come l’Editto bulgaro”

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Il fatto che ci sia gente che pensa al giornalista come ad un’entità soprannaturale, senza idee proprie, senza un orientamento politico, una fede religiosa se ne ha bisogno dà l’esatta misura del perché il giornalismo in Italia è ridotto ai minimi termini: la gente non giudica nel merito del servizio e dei contenuti  ma basandosi sulla persona, un giudizio che spesso è viziato dal pregiudizio sul giornalista antipatico e dunque non credibile perché è troppo di destra, troppo di sinistra o troppo indipendente.
Non è importante se il giornalista è di destra o di sinistra, se crede in Dio, Buddha o Allah, non sono importanti le sue faccende private, se è eterosessuale, lesbica o omosessuale.
Dal giornalismo e dai giornalisti si deve pretendere che facciano quello che hanno liberamente scelto di fare e cioè INFORMARE: tutto il resto è  la solita fuffa e caciara costruite ad arte da chi ha la necessità di difendere pedissequamente il proprio idolo, totem e guru e per questo rinuncia a confrontarsi con la realtà che diventa odio, livore, menzogna.
Le persone intelligenti,  interessate alla conoscenza dei fatti li vanno a cercare ovunque e preferiscono sempre sapere con chi hanno a che fare,  proprio per poter valutare la credibilità e l’esattezza di chi dà le notizie e le commenta secondo il suo punto di vista.
Questo per quanto riguarda un’opinione pubblica lobotomizzata da decenni di propaganda.

Parlando nel merito di ciò che deve fare un giornalista, che piaccia o meno al podestà di turno, ai suoi vassalli e servi sciocchi al seguito il compito del giornalista è, contrariamente a quello che pensano in troppi proprio quello di criticare la politica, altroché seguire una linea o accorgersi di chi “ha vinto le elezioni”, fra l’altro Renzi non ha vinto proprio niente, è diventato perfino noioso dover ricordare ogni volta in che modo Renzi è andato a finire a palazzo Chigi.
Chi parla di odio, livore e partigianeria a proposito di un certo giornalismo vada a guardarsi un talk show in un qualsiasi paese civile, dove i palinsesti non li fanno i capi del governo in concerto con le redazioni e le domande non vengono concordate con gli uffici stampa del politico.
Normalmente il giornalista fa la prima domanda ma soprattutto la seconda, ed esige una risposta, perché da giornalista sa di non dover rendere conto al politico ma ai cittadini che per mezzo dell’intervista possono costruirsi una libera opinione sul politico. Uno come Renzi verrebbe inchiodato per ore nel talk show e invitato a dimostrare con i fatti tutte le balle che si limita a citare e ad annunciare. Punto su punto.
Ma questo è incomprensibile in un paese dove si calcola tutto in piccoli e miserabili numeri per ricavarci la percentuale di share, di chi parla di più o di meno e sulla base del proprio sentire, così tutto quello che è contrario ai desiderata del capetto e dell’infatuato viene considerato alla stregua del dispetto personale.
Non esiste paese al mondo, se parliamo di democrazie occidentali, dove la politica interferisce in modo così asfissiante sull’informazione come succede qui. Questo si rovescia inevitabilmente poi sulla scelta della classe dirigente fatta da cittadini continuamente imbambolati e rincoglioniti dalla propaganda coi risultati che vediamo, perché a fronte di una piccola minoranza di gente responsabile che non si fa guidare e indirizzare dal talk show ci sarà sempre la maggioranza rincoglionita che si è fatta abbindolare e che impone le sue scelte politiche anche alle incolpevoli vittime della minoranza.
Le cose buone fatte dalla politica, dai governi non deve raccontarle il giornalista: se ne devono accorgere i cittadini vedendo la loro vita cambiare in meglio, perché tutto funziona meglio.
Ma siccome la politica e i governi sanno di non essere mai nel giusto allora hanno bisogno di chi racconti le cose per come dovrebbero essere ma non sono.
E tutto quello che si contrappone fra la realtà vissuta e la menzogna raccontata diventa un pericolo, qualcosa da eliminare dalla visuale dei cieli azzurri e del panorama del tutto va bene.
E’ tutta qui la storia.

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E’ seccante dover dire “io l’avevo detto”, però lo avevo detto, e l’ho ripetuto nel tempo in varie occasioni quando la truppa d’assalto degli antigrillo si organizzava per terrorizzare, paventare il pericolo dell’ascesa del movimento del popolo, il movimento “fascista”, mentre il vero fascismo si organizzava per tornare in grande stile sotto forma dell’ancien régime più reazionario e antidemocratico che abbia mai preso possesso del potere dopo il ventennio, non quello di berlusconi ma di mussolini.
Ed è veramente pietoso ascoltare e leggere le arrampicate sugli specchi di chi ancora adesso, alla luce delle minacce di Vincenzo De Luca al “giornalismo camorristico” e alle richieste di Renzi per bocca di Michele Anzaldi, segretario della commissione di vigilanza Rai circa un maggiore asservimento dell’informazione: specificamente quella del servizio pubblico al pensiero unico del partito unico, continua a ripetere la filastrocca di Grillo che faceva la lista dei giornalisti “cattivi” sul blog, come se si potesse anche lontanamente paragonare un presidente del consiglio andato al potere in modo arbitrario e assai discutibile all’opinione, spesso legittima anche se talvolta espressa male di chi è stato ed è continuamente bersagliato dagli stessi media che tacciono sulla bulimia di potere che affligge Renzi e il suo centro di potere.
Nota a margine: difendere il giornalismo libero significa, ad esempio, pretendere che il direttore di un telegiornale non si offra all’osceno siparietto organizzato da Bianca Berlinguer che è andata di persona dal presidente del consiglio a farsi rassicurare nel merito del suo futuro professionale dopo le minacce di epurazione del segretario della vigilanza Rai.
Perché se fino a ieri il dubbio sull’imparzialità del Tg3 non c’era oggi forse a qualcuno gli viene.

A proposito di talk show: quando la tivù è diseducazione violenta

Sottotitolo: la questione è seria, non si tratta solo di comunicazione distorta, la gravità sta nel messaggio che arriva nelle case ma soprattutto nella testa della gente.
Perché se l’attore protagonista diventa il carnefice, il criminale, il satrapo che approfitta di ragazzine minorenni a pagamento e lo si invita in qualità di vittima perseguitata, inevitabilmente le vere vittime e le conseguenze sociali delle azioni dei carnefici assumono un’importanza secondaria.
Mentre è a queste e solo a queste che si deve dare la priorità.
La maggior parte della gente che ha capito della vicenda dei Casamonica?
Riassumendo che è gente che ha un sacco di soldi, guadagnati anche illegalmente ma nel paese dove tutti lo fanno e come ci ha insegnato anche la buonanima di craxi che male c’è, che li hanno spesi per onorare il morto di casa e chi non lo farebbe, chi avendo la possibilità non farebbe piovere petali di rose sulla bara del nonno con tanto di fanfara ad allietare l’ultimo viaggio del caro estinto, che comunque se qualcuno li invita in televisione significa che non hanno fatto niente di male.
Del resto è proprio a Porta a Porta che la prescrizione di Andreotti fu trasformata in assoluzione con tanto di scritta gigantesca sul maxischermo che ne ribadiva quell’innocenza che non c’è mai stata.
Porta a Porta non va chiusa perché fa cattiva informazione ma per questioni di igiene ambientale, perché è una di quelle macchine infernali che trasforma gli orchi in principi azzurri e le streghe cattive nelle fatine dei miracoli, la qual cosa nel paese dei telerincoglioniti è molto peggio della cattiva informazione.

E mi raccomando, stasera tutti a guardare la puntata “riparatrice” di ‪‎Porta a Porta‬, fate fare a ‪‎Bruno Vespa‬ il pieno dell’audience, non aspettate di rivederla domani. Chissà come campano gli sciacalli mediatici.

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Preambolo: giovanardi può decidere di non fare una legge, può essere l’ostacolo al raggiungimento di un obiettivo semplicemente civile.Sono anni che provo a dire di non ridere di giovanardi, che è lo stesso che insulta i morti di stato, le loro famiglie, che va in radio e televisione a straparlare di cose che non sa perché qualcuno ci tiene a sapere cosa passa nella testa di giovanardi e vuole farlo sapere anche a noi. giovanardi che è lo stesso della legge  dichiarata incostituzionale sulle droghe fatta insieme a quell’altro sant’uomo di fini che se non ci fosse stata oggi forse Stefano Cucchi sarebbe ancora vivo.  giovanardi è uno fra quelli che si oppone anche alla legge contro le torture. Dopo aver insultato le famiglie Aldrovandi, Cucchi, Magherini e chiunque abbia avuto una storia di violenze e morte subite dallo stato giovanardi si oppone all’unica legge che potrebbe ridurre di molto il contenuto della cesta delle “poche mele marce”.

Sono anni che ripeto che giovanardi non è lo scemo del villaggio ma un politico che mette la firma sulle leggi, che partecipa alle decisioni importanti e sono anni che quando si parla di giovanardi leggo sempre rispostine ironiche, piuttosto a cazzo: giovanardi, chi? Questo, se non vi basta, finalizzate a sminuire la pericolosità di giovanardi, che è lo stesso al quale stava benissimo l’unione di berlusconi con la mafia di dell’utri ma vuole impedire – la tragedia è che lo può fare – l’unione di persone che semplicemente si vogliono bene e vogliono avere gli stessi diritti che ho io e, purtroppo, anche giovanardi.

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Non ho guardato tutto ‪#‎Ballarò‬ ma dopo aver visto un film ho fatto in tempo a non perdermi  l’intervista di Giannini a Bagnasco, vera guest star del programma che rende perfettamente l’idea di cosa sarà la Rai di Renzi il quale, dopo l’inevitabile discorso retorico e ipocrita sull’accoglienza ai profughi: se oggi nella politica c’è chi soffia sul fuoco dell’intolleranza razzista una buona parte di responsabilità è proprio del vaticano che ha sempre coccolato la peggiore politica purché tenesse ben aperti i rubinetti, è stato interpellato sul richiamo della Ue all’Italia riguardo le unioni civili.
Domanda a cui Bagnasco ha risposto più o meno che sì, l’Europa, insomma va bene, il parlamento europeo dice che c’è un problema da risolvere ma non è che sia così importante poi dar retta a quello che chiede l’Europa in materia di diritti perché alla fine chi decide sono gli stati membri.
Dichiarazione che Giannini ha incassato senza fare un plissé, senza rivendicare il diritto di un paese democratico ad avere delle leggi semplicemente civili che mettano tutti i cittadini allo stesso livello indipendentemente dai loro orientamenti sessuali e scelte di vita personali. Giannini non ricorda a Bagnasco che il parlamento europeo è composto da persone votate dai cittadini di tutti quegli stati membri che hanno delegato a quel parlamento le decisioni sulle cose importanti che fanno di un continente una vera comunità moderna ed evoluta: non hanno chiesto al vaticano di farlo.
A margine di questo, giovanardi è quello che è e che abbiamo purtroppo imparato a conoscere, ma se dalla parte opposta di giovanardi ci fosse stata una politica forte, determinata nel riconoscimento dei diritti, anziché gente che nei fatti concreti non la pensa poi così diversamente da lui, la legge sulle unioni civili sarebbe già da tempo una realtà e il partito di giovanardi non sarebbe così determinante nelle scelte che farebbero di questo un paese appena più civile come e da tempo ci chiede l’Europa non solo riguardo le unioni civili.

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Casamonica e non solo: la scalata dei clan sinti
Latina, strana amicizia tra lo ‘zingaro’ e il ‘nero’

Il gruppo dei celebri funerali show parte di una costellazione criminale alleata con ‘ndrangheta e camorra
Nel Pontino i Ciarelli-Di Silvio: omicidi e debitori immersi nel letame. E il rapporto con un deputato Fdi

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Chi comanda alla #Rai, direttamente i #Casamonica? Dov’è la Boldrini che censura la réclame del mulino bianco e dei detersivi perché offensiva per le donne? E dove sono le parlamentari piddine che vogliono vietare i cartelloni con le modelle scosciate?

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Art. 21 della Costituzione
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni CONTRARIE AL BUON COSTUME. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.


Paghiamo il canone alla RAI che invita la figlia, il nipote di Vittorio Casamonica e  l’avvocato dei Casamonica. La descrizione del funerale, la storia della famiglia Casamonica, le loro attività illecite, la difesa dei Casamonica in un programma del servizio pubblico mentre è in corso l’inchiesta di #mafiacapitale.

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Il bel “parterre-de-puah” di #portaaporta: come scrivono i ragazzi di Arsenale K peccato che Riina sia al 41bis, altrimenti Vespa un’ospitata non l’avrebbe negata neanche a lui.

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“Abbiamo cacciato i nazisti, cacceremo anche i mafiosi”, ha detto giorni fa il sindaco Marino durante la manifestazione contro le mafie organizzata dal pd che la mafia se la teneva in casa,  tanto a recuperarli poi ci pensa Bruno Vespa che invita i Casamonica a Porta a Porta.  Vespa che conduce un programma che si paga con una tassa pagata dai cittadini che non rubano, non mafiano, non fanno profitti con le estorsioni e il racket della prostituzione porti in televisione le vittime della criminalità dei Casamonica in combutta con lo stato, la chiesa e la politica che per i soliti opportunismi hanno chiuso gli occhi su più di mille persone che coordinano e gestiscono il malaffare di Roma e provincia.
Racconti le loro storie invece di rendere la mafia e la criminalità una questioncina da talk show sorridente.

Dove sono oggi tutti quelli che strepitano contro la commissione di vigilanza Rai, specialmente ora che alla presidenza ci sono i 5stelle, ogni volta che un programma solleva polemiche relative alla mancanza di contraddittorio? Chi ha fatto da contraddittorio ai Casamonica che dopo lo spettacolo osceno del funerale mafia style hanno minacciato pesantemente anche i giornalisti? Lo sa Vespa che altri suoi colleghi come Lirio Abbate sono sotto scorta perché minacciati di morte proprio per aver indagato anche sui Casamonica?
Vespa chieda scusa a chi gli paga lo stipendio: gli italiani non pagano le tasse per stare a sentire i Casamonica e i loro deliri.  Se vuole parlare coi Casamonica, gradisce la loro compagnia, li invitasse a casa sua.

Il cavaliere [quasi ex] e gli stallieri

berlusconi è stato nominato cavaliere grazie all’impero costruito con quei soldi di cui non ha mai voluto rivelare la provenienza e dei quali si parla molto nel famoso libro L’odore dei soldi, che costò la cacciata di Daniele Luttazzi dalla Rai per aver osato ospitare Marco Travaglio che è uno degli autori. Travaglio e Luttazzi querelati da berlusconi hanno poi vinto quella causa; i giudici hanno rilevato che nel libro si esercita il normale diritto di cronaca, ed evidentemente quello che c’è scritto non corrisponde al falso altrimenti non avrebbero vinto la causa.

Nel giorno che berlusconi rischia di vedersi togliere un appellativo inutile, basta guardare l’elenco dei cavalieri del lavoro per scoprire il perché, va ricordato che a Tanzi il titolo fu revocato prima della sentenza di condanna definitiva. Mentre il trattamento riservato a berlusconi è stato come al solito “ad personam”, la sua.

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Europee, partita chiusa per B.

La Cassazione conferma i due anni di interdizione dai pubblici uffici. La difesa del Cavaliere (che sta per perdere il titolo), ha chiesto invano il rinvio alla Corte di Strasburgo. 10 aprile, invece, il tribunale di Milano deciderà se la condanna a quattro anni  sarà da scontare ai domiciliari, o ai servizi socialidi Susanna Turco

INTERDETTO DUE ANNI LA CASSAZIONE CHIUDE CON MEDIASET (Antonella Mascali)

SILVIO BERLUSCONI, GIÀ DECADUTO DAL SENATO, NON POTRÀ NEMMENO VOTARE ALLE EUROPEE. SI COMPLETA COSÌ LA SENTENZA DI UN PROCESSO DURATO 13 ANNI.

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La Rai deve smetterla con l’agguato mediatico e sistematico. Floris è furbo ma non abbastanza. Il giorno della sentenza che conferma l’interdizione a berlusconi lui chi invita? Mara Carfagna che, lo sapevano anche i bambini, si è esibita nella solita sequela di insulti ai giudici, ci ha ricordato che in questo paese vive una sostanziosa parte di gentaglia a cui non fa né caldo né freddo l’idea di votare un partito di proprietà di un delinquente, ha ripetuto tutto il solito repertorio col quale i berlusclowns allietano ogni trasmissione televisiva, cosa che i conduttori dei talk show trovano utile perché gli aumenta l’audience ma a quell’altra parte sostanziosa di gente che non vota il partito di un delinquente ha sinceramente rotto i coglioni. 

La giustizia va riformata, ma non nella direzione che interessa ai lor signori e signoresse; e va riformato anche quel castello di inutili orpelli che impedisce di liberarsi di un delinquente quando fa anche il politico, specialmente se fa il politico proprio per non essere trattato da delinquente qual è. Tredici anni sono troppi, ed è troppo dover subire anche l’onta di sentirsi dire che sì, va bene, però berlusconi rappresenta una parte degli italiani e allora ha fatto bene Renzi a cercare la “perfetta sintonia” con un delinquente da galera: questi sono ragionamenti che disorientano e che promuovono quella politica corrotta che ha fatto la fortuna di silvio berlusconi. 

Perché lui ci ha messo il classico carico da 11 ma lo ha fatto perché sapeva di trovare nel parlamento un ambiente niente affatto ostile rispetto alla delinquenza, ed ecco perché ha cercato nella politica l’approdo sicuro che gli ha consentito di arrivare fino ad oggi da persona praticamente libera. 
Quello che va detto, ripetuto e ribadito fino alla nausea è che berlusconi in un paese appena un po’ civile, appena un po’ normale sarebbe in galera da vent’anni, e che nessuno, NESSUNO lo avrebbe considerato un interlocutore politico con cui fare le leggi e parlare di riforme. 

Quello che andrebbe detto, ripetuto e ribadito a quella parte di italiani imbecilli e delinquenti quanto lui è che se hanno scelto di seguire berlusconi anche, nonostante e malgrado sia proprio berlusconi sono cazzi loro, non di tutti gli italiani.

Quello che andrebbe ripetuto, ribadito è che la vera ferita nella democrazia sono state la politica e le istituzioni che hanno consegnato il paese ad un impostore pensando che un imprenditore già in odore di disonestà, un fallito in bancarotta, uno che si teneva il mafioso in casa, potesse essere la risposta al disastro post tangentopoli,  che in tutti questi anni anziché cercare di rimediare, di impedire che questo paese diventasse lo zimbello del mondo grazie a berlusconi gli hanno reso la vita facile, non solo quella politica ma la sua di persona avvezza a delinquere che ha usato lo stato e la politica per poter delinquere meglio e di più, producendo dei danni ormai irreversibili. La vera ferita nella democrazia è quell’informazione, la gran parte dell’informazione, che ha scelto di servire silvio berlusconi, si è messa a disposizione del padrone, è non aver regolato il conflitto di interessi – del quale non parla nemmeno il rottam’attore –  che sarebbe stata la sola e unica risposta utile al salvataggio di un paese infestato dal monopolio maligno di silvio berlusconi in forza del quale berlusconi ha potuto ottenere e mantenere il suo consenso, ecco perché questo paese non guarirà mai più dal cancro berlusconi le cui metastasi si sono irrimediabilmente incistate nel quotidiano di tutti gli italiani.

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BERLUSCONI TEME LA VALANGA: “MI VOGLIONO CACCIARE PURE DAL PPE”  – Carmelo Lopapa – La Repubblica

Il buio su Arcore è sceso da un pezzo, quando l’attesa lunga un giorno si conclude nel peggiore dei modo. Poco prima delle 22 Ghedini comunica a Silvio Berlusconi che anche le ultime speranze sono tramontate, l’interdizione è confermata, ora il leader è davvero fuori dai giochi, game over. Non si attendeva nulla di diverso. «Sentenza annunciata — attacca lui commentando coi suoi — rientra nel piano dei giudici per farmi fuori, che si completerà il 10 aprile quando proveranno a rinchiudermi, a tapparmi la bocca, ma non mi fermeranno così».

Tutto, però, ora si complica. Già la giornata era trascorsa a discutere tra le mura di casa su come venire a capo in vista delle Europee. Perché nel quartier generale forzista a nessuno è sfuggito che la bocciatura dell’ipotesi di una candidatura del leader sia stata recapitata da Bruxelles da quella Viviane Reding che, oltre a essere commissario europeo alla giustizia, è un esponente di spicco del Ppe. Il messaggio lanciato dalla grande famiglia popolare europea alla quale Forza Italia aderisce è chiaro: una forzatura sulla candidatura del capo, condannato e interdetto, non verrebbe accettata dai moderati europei e, se portata alle estreme conseguenze, potrebbe condurre all’espulsione. Ipotesi estrema che per ora nessuno conferma, comunque divenuta più concreta in queste ore. Ecco perché la prova di forza alla quale Berlusconi a giorni alterni si dice pronto, inizia a scemare.

Nessuno crede realmente nella scialuppa di salvataggio della Corte di Strasburgo. «Speriamo che i ricorsi presentati ci diano l’opportunità di candidarlo» dice ora un cauto Giovanni Toti a Ottoemezzo. «Nessuno ci impedirà di considerare in campo il nostro leader, nessuno pensi di non fargli fare la campagna elettorale» insiste, ma il riferimento alla candidatura diventa ormai subordinato a incognite irrealizzabili.

Ecco perché dallo scorso fine settimana il patriarca ha tenuto a rapporto, in separata sede, i figli di prime e seconde nozze. Agli uni e agli altri ha spiegato come «non possiamo permetterci di rinunciare al nome Berlusconi nella lista di Forza Italia alle Europee, rischiamo di perdere milioni di voti». E per farlo, nell’impraticabilità di una sua candidatura diretta, resta solo la via straordinaria del coinvolgimento di una delle figlie. E Barbara, lo ha confermato l’ultima volta domenica, a differenza della sorella Marina è «disponibile a compiere il sacrificio».

Ma i giochi sono tutt’altro che fatti. Il patriarca intanto non è sicuro al cento per cento. Sta valutando tutte le conseguenze di una mossa così azzardata e non sono pochi in Forza Italia a invitarlo alla prudenza. I maggiori ostacoli sul sentiero già impervio, tuttavia, Berlusconi li sta incontrando proprio in famiglia. A parte Fedele Confalonieri coi suoi dubbi, c’è la netta contrarietà di Marina, stavolta, a dare filo da torcere sull’opzione Barbara. E c’è più che il comprensibile scetticismo legato al coinvolgimento diretto della famiglia.

Chi frequenta Villa San Martino legge, dietro l’ostilità, la paura che l’elezione a suon di milioni di voti della sorella — sarebbe capolista in tutte le circoscrizioni — proietti la giovane e intraprendente ad del Milan nella costellazione politica. Facendone a tutti gli effetti l’erede alla guida di Forza Italia e perfino del centrodestra. Un salto mortale che non convince tutti ma che per il Cavaliere è quasi obbligato, se non si vuole disperdere il patrimonio di voti rischiando un flop il 25 maggio, quando lui sarà vincolato dai servizi sociali.

Oggi rientrerà a Roma, per affrontare a Palazzo Grazioli un’altra grana legata alle Europee. Riunisce la commissione competente per dirimere il nodo dell’eventuale candidatura di deputati e senatori. Raffaele Fitto (che tace da settimane) scalda i motori, Brunetta vorrebbe, Giulio Tremonti in odore di «ritorno» avrebbe ricevuto l’offerta. Berlusconi sarebbe orientato a escludere la corsa dei parlamentari per evitare conte interne e il probabile exploit di Fitto. Ma un veto suonerebbe come un’esclusione ad personam, lo hanno avvertito.

Un piazzista non può che finire la sua carriera in piazza

Sottotitolo: chi dice che berlusconi andava battuto sul piano politico è un disonesto in malafede quanto lui. 
Perché su piano politico si può battere un avversario che ha le stesse armi, gli stessi strumenti, e che agisce all’interno delle regole democratiche. 
Tutto questo berlusconi non lo ha mai fatto, è entrato in parlamento grazie ad una violazione della legge e quella ha perpetuato: una sistematica violazione della legge, e quelle che non ha potuto violare le ha rese nulle con le sue, quelle che ha voluto, preteso e ottenuto per ripararsi dalla legge uguale per tutti. 
Basta con questo romanticismo: berlusconi è un delinquente che ha violato la legge e tradito lo stato. E siccome è stato bravo lo paghiamo pure, invece di pretendere noi un risarcimento da lui.

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Nel paese normale la cacciata e con disonore [altroché pagare pure 180.000 euro di trattamento di fine rapporto e 8000 al mese di vitalizio ad uno che ha rubato allo stato e a tutti noi], di silvio berlusconi dalle sedi istituzionali non dovrebbe avere nessuna conseguenza politica, per il semplice fatto che l’eversore impostore delinquente pregiudicato condannato in via definitiva e in attesa di altri procedimenti giudiziari per reati gravissimi non è mai stato un politico.

Eppure in tutti questi anni ci hanno fatto credere che berlusconi fosse uno statista vero. Ci hanno raccontato dei cambiamenti che avrebbe apportato a questo paese come se fossero stati epocali, significativi e non invece lo stravolgimento da lui voluto – non senza la collaborazione, anche quella viva & vibrante – del benché minimo senso dello stato e di paese col quale lui ha devastato e deformato l’Italia, altroché modernizzarla.

Eppure ancora ieri sera a Ballarò, approfondimento politico del servizio pubblico di Raitre, nessuno ha avuto il coraggio di mettere in fila la cronologia dell’esperienza “politica” in parlamento di silvio berlusconi. 

Ancora ieri sera Floris e Ballarò hanno dato spazio alla polverini, responsabile delle ladrate avvenute in regione Lazio quando lei era presidentessa, consentendole di dire minchiate su minchiate, ad esempio che il voto palese col quale si deciderà la decadenza di berlusconi mette in discussione il principio della libertà di coscienza: come se ci volesse la coscienza per stabilire che un delinquente condannato non può far parte dello stato né rappresentarlo da senatore della repubblica. 

La polverini che parla di accelerazione della procedura rispetto ad una sentenza che da centoventi giorni non può essere applicata solo perché riguarda silvio berlusconi e di una legge che avrebbe dovuto avere un effetto immediato ma che è stata bellamente aggirata dilatando oltremodo i tempi di applicazione solo perché di mezzo c’è silvio berlusconi. 

Per non parlare di casini, amico personale di totò vasa vasa cuffaro, uno che viene accolto dalle pubbliche tribune come se rappresentasse chissà quale autorità autorevole che viene a raccontarci che bisognava aspettare l’interdizione perché la decadenza rischia di “vittimizzare” il povero frodatore fiscale. Solo nel paese deficiente un criminale può diventare la vittima.

Nel paese normale le sentenze si applicano, non si rimandano a data da destinarsi,  non serve una legge che stabilisca la modica quantità di delinquenza in politica: la decadenza che scatta per condanne oltre i due anni è l’ennesimo auto-salvataggio di una casta che non può evidentemente fare a meno di delinquere, e per questo si mette al sicuro con una legge ridicola che non esiste in nessun altro paese democratico davvero dove la linea di confine fra onestà e delinquenza è ben delineata e rispettata. Nel paese normale il delinquente non fa il politico e viceversa. Su quella legge c’è scritto che l’applicazione deve essere immediata, quindi a sentenza pronunciata il disonorevole impostore delinquente avrebbe dovuto abbandonare la casa. Invece da centoventi giorni continua ad abitarci da abusivo.

Nel paese normale l’informazione di questi giorni e di queste ore avrebbe un ruolo fondamentale nel rammentare agli italiani, anche ai mentecatti che oggi andranno sotto casa del vigliacco, chi è ed è sempre stato silvio berlusconi.

In questo invece, a poche ore da un fatto che nel paese normale non sarebbe mai accaduto perché uno come berlusconi avrebbe trovato sbarrate le porte del parlamento, ancora si consente di poter dire che la cacciata dell’abusivo delinquente produce una ferita nella democrazia. Mentre, e invece, quella ferita diventata ormai piaga purulenta che ha infettato tutti, anche quelli che non si sono resi complici di questo abominio, di questa interruzione dello stato democratico,  di diritto e che sarà difficilissimo curare e guarire si chiama silvio berlusconi.

Nota a margine: semmai ci consentiranno di poter ancora scegliere da chi farci governare [parlando con pardon] non voterò nessun partito che non metta al centro del tavolo della discussione politica la questione relativa al conflitto di interessi e alla sua risoluzione definitiva. Non deve succedere mai più che una persona sola possa avere tanto potere, troppo potere grazie alla sua attività privata. Perché nel paese normale il controllore fa il controllore e il controllato, il controllato. I due ruoli non si mischiano, non si confondono e né tanto meno è concesso impersonarli ad una persona sola. Nel paese normale il politico fa il politico, non pensa che deve avere una banca, un giornale, una televisione, un’azienda che gli consentiranno poi di tracimare in ambiti che non dovrebbero avere niente a che fare con la politica. Il conflitto di interessi deprime ed opprime la crescita economica e anche quella culturale di un paese. E se la lezione non l’abbiamo imparata fino ad ora non succederà più.

SCHERMI, BIBITE E PASCALE: COSÌ SILVIO DECADE OGGI IN PIAZZA 

E CON L’INTERDIZIONE B. NON POTRÀ PIÙ CHIAMARSI “CAVALIERE” 

QUEL CHE RESTA DEL VENTENNIO 

 Il problema da risolvere, il cancro vero di questo paese si chiama conflitto di interessi. Ecco perché nessuno vuole metterci al riparo.

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Vent’anni di decadenza 
Marco Travaglio, 27 novembre 2013

[Da leggere, stampare, conservare e far leggere ai nipotini]

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Oggi, salvo sorprese, per Silvio Berlusconi è l’ultimo giorno di Parlamento. L’ha sempre disprezzato, da oggi lo rimpiangerà (che fa rima con immunità). Tutto accade a vent’anni esatti dalla sua prima uscita politica. È il 23 novembre ’93 quando, inaugurando un ipermercato Standa a Casalecchio di Reno, annuncia il suo appoggio a Fini contro Rutelli, che si giocavano al ballottaggio la poltrona di sindaco di Roma. Forza Italia è pronta da mesi. Marcello Dell’Utri ci ha lavorato da par suo. Il primo a saperlo è stato Craxi, il 4 aprile. La Fininvest affoga nei debiti (2.500 miliardi di lire), il pool Mani Pulite ronza attorno al Cavaliere da un anno, arrestandogli un manager via l’altro. In estate, mentre ad Arcore impazzano i provini per i candidati (uno, per l’emozione, è caduto nella piscina), è stato avvertito anche Indro Montanelli: “Entro in politica, il Giornale sarà con me?”. “Te lo puoi scordare”. Montanelli sostiene i referendum di Segni, per un centrodestra liberale e moderato. E il 25 novembre avverte il Cavaliere sul Giornale: “L’idea di mettere intorno a un tavolo Bossi, Fini, Segni, Martinazzoli e non so chi altro mi sembra un sogno a occhi aperti. Ma anche se Berlusconi riuscisse a realizzarlo, con quegli ingredienti non si fa un programma: si fa solo un minestrone da cui non ci si può aspettare nulla di concreto”.
E, sia chiaro, “l’unico che può cacciarmi è il becchino”. Da quel momento sulle reti Fininvest i vari Sgarbi, Fede e Liguori – i “manganelli catodici” – iniziano a massaggiargli la schiena per indurlo alle dimissioni. Il 26 novembre, mentre Mentana, Costanzo e i giornalisti Mondadori chiedono garanzie sull’autonomia del Gruppo, il vecchio Indro dice a Sette : “Se oggi in Italia saltasse fuori un altro Mussolini, avrebbe spazio libero. Ma abbiamo visto dove portano gli incantatori di masse”. Minoli anticipa un’intervista a Mixer del Cavaliere, che intanto affronta i giornalisti alla Stampa estera, per la prima volta da politico. Finge di non aver deciso se entrare in politica direttamente o solo come sponsor di un rass emblement: la candidatura è solo l’extrema ratio, lui non se la augura. E l’iscrizione alla P2? Una storia vecchia. E il fascismo? Un’ideologia vecchia, “sepolta nel passato”. E chi dice il contrario? “Si vergogni!”. 

La stampa di sinistra, italiana ed europea, è più scandalizzata dall’appoggio al “fascista” Fini che dal finanziere-tycoon in politica. Ma il Berliner Zeitung scrive: “Nessuno in Europa ha tanto potere nei media quanto Berlusconi”, senza contare i “grossi debiti del suo gruppo”. La parola “conflitto d’interessi” fa capolino anche in Italia, perché il Tg4 ha trasmesso integralmente la conferenza stampa. Veltroni annuncia: “Faremo subito una legge antitrust sulle tv e la pubblicità”. Buona questa. Si fa vivo anche Giorgio Napolitano, presidente della Camera con un monito ante litteram: “Possono anche entrare in campo nuovi soggetti dalla vita economica. Ma le istituzioni si facciano carico di garantire il massimo equilibrio nell’uso dei mezzi di informazione”. Buona anche questa. Il Cavaliere replica a stretto giro in terza persona: “Se un editore importante dovesse scendere in campo, mi parrebbe giusto e di buon senso scegliere tra le due cose”. Buona pure questa. Nascono i comitati Boicotta Biscione di Gianfranco Mascia. Tina Anselmi paventa il ritorno della P2. Sgarbi ce l’ha con “i nipotini di Stalin”. Bossi capisce subito che la volpe di Arcore vuole razziare nel suo pollaio: “Un partito non si crea dall’alto, piazzando una decina di generali: deve nascere dal popolo”.

Berlusconi entra per la prima volta in Senato il 16 maggio 1994. Presenta il suo primo governo per la fiducia. E dice: “È stato legittimamente sollevato il problema del conflitto d’interessi… Nel primo Consiglio dei ministri abbiamo deciso una commissione di esperti per trovare delle soluzioni entro fine settembre”. Poi fa gli auguri “ai nostri atleti” in partenza per i Mondiali di calcio in America e, già che c’è, pure al Milan che ha vinto la Champions “per difendere i suoi colori, quelli di Milano ma anche quelli dell’Italia”. Il 19 maggio, a Montecitorio, parla per l’opposizione Giorgio Napolitano. Nuovo monito ante litteram: “Ricercare il più ampio consenso per le riforme costituzionali” e dialogo con il governo: “una linea di confronto non distruttivo tra maggioranza e opposizione”. Che “non deve impedire che il governo governi”. Manco fosse a Westminster. 

Il Cavaliere si arma di un sorriso a 32 denti e sale a stringere la mano a questo “oppositore corretto, all’inglese”. DA ALLORA A OGGI le apparizioni del Cavaliere in Parlamento saranno un po’ meno numerose dei suoi capelli veri, forse anche dei suoi processi. Quasi soltanto per le fiducie dei governi suoi e altrui, e per le leggi sugli affari suoi. Il 2 agosto ’94 tuona contro la sinistra che vorrebbe (addirittura) “l’esproprio proletario” della Fininvest: “ma siamo in Italia, non nella Romania di Ceausescu”. Per il resto “il Parlamento mi fa perdere tempo” (11.10.94). Ma, sia chiaro, “il mio rispetto per il Parlamento è assoluto”. Il 21 dicembre gli tocca proprio andarci, alla Camera, perché Bossi l’ha appena sfiduciato: “Ha una personalità doppia, tripla, forse anche quadrupla. Il suo mandato diventa carta straccia. Una grande rapina elettorale”. Il 2 agosto ’95 lancia la sua riforma costituzional- presidenzialista. L’anno seguente, per oliare l’inciucio della Bicamerale, ottiene dal solito Violante una seduta straordinaria della Camera per denunciare lo scandalo del “cimicione”: “Onorevoli colleghi, il fatto è grave. Un’attività spionistica ai danni del leader dell’opposizione, da chiunque ordita, rientra perfettamente nel panorama non limpido della vita nazionale. Mai, nella storia repubblicana, sono gravate sulla libera attività politica tante ombre e tanto minacciose. Nella giustizia malata di questo Paese siamo alle intercettazioni virtuali” (16.10.96). 

Si scoprirà poi che l’aggeggio trovato a Palazzo Grazioli è un ferrovecchio scassato e inservibile, piazzato lì non dalle toghe rosse, ma dalla stessa ditta da lui incaricata di “disinfestare” la casa. Nel ’97 Berlusconi vota con l’Ulivo per la missione militare in Albania, mentre Lega e Rifondazione sono contro. Il leghista Luigi Roscia lo canzona: “Bravo, inciucione!”. E lui: “Bravo tu, furbacchione: votate con Rifondazione, avete proprio delle facce di cazzo!”. Poi cade Prodi e arriva il governo D’Alema-Cossiga-Mastella.

Il Cavaliere, alla Camera, torna a strillare al ribaltone: “Continua con D’Alema la maledizione dei partiti comunisti: mai riusciti ad andare al governo con un libero voto popolare… Questo è uno sciagurato mix fra vecchi gladiatori e vecchie guardie rosse… Moro fu assassinato dalle Br, i cui volti spuntavano dall’album di famiglia del comunismo italiano. Il suo, onorevole D’Alema, è un governo senza legittimità democratica, ha solo il 28% dei consensi”. Fabio Mussi lo fulmina: “Quando arriva al 100 per cento, Cavaliere, ci faccia un fischio” (24.10.98). NEL 2001 torna al governo, ma non in Parlamento. Un giorno i Ds gli chiedono di riferire alle Camere sul Medio Oriente, e lui: “Sono richieste ridicole! Basta leggere i giornali, anche l’Unità, e tutti possono sapere la situazione in Medio Oriente” (6.3.2002). L’Italia entra in guerra contro l’Iraq. Scalfaro denuncia in Senato il “servilismo” di B. verso Bush. Lui sibila: “Ma vaffanculo!”. L’ulti – ma impresa parlamentare degna di nota è in Senato, all’approvazione della Devolution: “Chi non salta comunista è!” (16.11.05). Poi più nulla fino al 22 aprile 2013, dopo l’ultimo capolavoro: la rielezione di Napolitano. Il Re esalta l’inciu – cio prossimo venturo e lui magnifica “il discorso più straordinario che io abbia mai sentito nei vent’anni di vita politica”. Ergo, “meno male che Giorgio c’è”. Segue abbraccio affettuoso. Sette mesi fa, e pare già un secolo. Il 2 ottobre, mentre Bondi alla Camera tuona contro Letta Nipote (“vergogna vergogna!”), Berlusconi in Senato annuncia la fiducia.

Oggi – salvo colpi di scena, o di coda, o di mano, o di testa, o di sonno – Palazzo Madama voterà la sua decadenza. E, se sarà presente, i commessi lo accompagneranno all’uscita. Potrà rientrare fra sei anni, quando ne avrà 83. E l’ordine lo darà il presidente Piero Grasso, lo stesso che l’anno scorso voleva premiarlo per il suo indefesso impegno antimafia. A quel punto, al Caimano, verrà da ridere. O forse da piangere.

Il presidente super partes, sì, ve piacerebbe [delle italiche miserie]

IL PATTO CON RE GIORGIO? “AVEVA PROMESSO L’INDULGENZA MOTU PROPRIO” (Fabrizio d’Esposito): questo è l’articolo che ha fatto inquietare tanto SM Giorgio Alla Seconda. 

UN PATTO CON SILVIO? PER IL COLLE NON C’È: “PANZANA ASSURDA” 

“IL COLLE HA FALLITO: LA VERA PANZANA E’ LA PACIFICAZIONE” 

Sottotitolo: sallusti onnipresente ovunque ha tragicamente rotto il cazzo. Uno che scrive e fa scrivere certe porcherie, anche su Napolitano che però coi giornali del pregiudicato delinquente non se la prende mai e chissà perché, un diffamatore seriale graziato proprio da Napolitano, dovrebbe essere emarginato, evitato anche dai vicini di casa, altroché invitato tutti i giorni in televisione. Floris, come Fabio Fazio, i suoi puttan tour li può organizzare se vuole in forma privata, non alla Rai, servizio pubblico pagato coi soldi di tutti.

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Panzane

Era una panzana anche la grazia al condannato per frode? Che significato dare alle parole “senza toccare la legittimità della sentenza, possono motivare un eventuale atto di clemenza”.

E una panzana anche legare assieme il voto del senato sulla decadenza e l’amnistia e la riforma della giustizia?

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Ma come si permette il presidente della repubblica di dare giudizi suoi personali sulla qualità delle notizie che dà un quotidiano?

Giudicare se Il Fatto Quotidiano scriva o meno panzane non spetta a Napolitano, in nessun paese normale un capo dello stato critica apertamente, con un comunicato ufficiale della presidenza della repubblica, la veridicità delle notizie che lo riguardano.

La santanché gli dà del traditore in diretta tv e lui se la prende coi giornalisti del Fatto? andiamo bene.

Le due spedizioni eversive di mezzo governo ai tribunali di Milano e Brescia per le quali Napolitano non ha speso mezza parola sono panzane?
L’ordine ai Magistrati di concedere la possibilità di partecipare alla “delicata fase politica” ad un condannato in primo grado a sette anni per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, sono panzane?
La richiesta di una riforma della giustizia, il discorso alle camere circa le condizione disumana delle carceri, che non lo è da una settimana, sei mesi o tre anni ma da sempre, dopo la condanna di b, sono panzane?
Gli appelli circa gli impellenti bisogni in materia di giustizia: amnistia, indulto, decreti svuota carceri, sono panzane?
Il colloquio avvenuto, sempre dopo la condanna di b, in forma privatissima con Confalonieri, presidente mediaset sono panzane? A che titolo Napolitano ha ricevuto Confalonieri, cosa si sono detti? in quel caso nessun comunicato ufficiale dalle quirinalesche stanze?
I continui attacchi del pdl, dello stesso berlusconi nel famoso videomessaggio registrato da pregiudicato contro la Magistratura e il silenzio di Napolitano, capo del CSM , sono panzane?
Napolitano che bacchetta i giudici invitandoli ad un maggior senso della misura dopo il discorso eversivo contro lo stato di berlusconi mandato in video, una cosa che non potrebbe succedere in nessun paese, sono panzane?

 Nel paese culla del conflitto di interessi, dove a un disonesto imprenditore, guarda caso proprietario di media, giornali, televisioni, fra le altre una casa editrice rubata, è stato permesso dalla politica di occupare il parlamento e farlo occupare dai suoi scherani a libro paga, un paese sempre fanalino di coda di tutte le classifiche internazionali circa la cultura e la libera informazione proprio in virtù di aver concesso la scalata politica ad uno che non ne avrebbe avuto il diritto per legge proprio per il suo mestiere – nei paesi normali il controllato non fa il controllore – ci mancava un presidente della repubblica che inveisce spazientito contro uno dei pochi giornali che ha dato sempre le notizie. 
Che è nato proprio per colmare un vuoto, per riabituare la gente al fatto che le notizie, tutte le notizie, si devono e si possono dare anche se qualche “eccellenza” poi si turba e si sturba.

E naturalmente la stampa quella cosiddetta indipendente, quella bella di Repubblica, il cui fondatore è un amico personale di Napolitano, quella del Corriere, dei buongiorni di Gramellini su La Stampa  e delle amache di Serra si guarda bene dal far notare la macroscopica invadenza di Napolitano in ambiti in cui non dovrebbe mettere bocca.

Un presidente della repubblica serio non si mette a battibeccare a distanza con un quotidiano col fine di intimidire, di dare un segnale, di pretendere il silenzio sui fatti che lo vedono protagonista, il primo attore di una sceneggiata indecente e cioè quella che riguarda la condanna di silvio berlusconi, una sentenza che proprio non si deve applicare, evidentemente. 

Nei paesi normali i quotidiani scrivono tutto a proposito di chiunque senza il permesso di nessuno. Se l’Italia è al 57esimo posto nel mondo per libertá di stampa e informazione non è colpa di Travaglio, Gomez e Padellaro ma degli autorevoli ballisti di regime, quelli cosiddetti moderati, non divisivi che si sperticano per sostenere ogni porcheria voluta, ordinata e imposta da questo nuovo re d’Italia che Napolitano non lo disturbano mai.

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Le larghe fraintese
Marco Travaglio, 23 ottobre

Il presidente della Repubblica è molto nervoso, eppure non ne avrebbe davvero di che. Dopo sette anni e mezzo trascorsi a impartire ordini e moniti a tutti, dal Parlamento ai governi, dai premier ai ministri, dai partiti di maggioranza a quelli di opposizione, dai magistrati al Csm, dalle tv ai giornali, dai sindacati agli elettori, dagli storici ai giuristi, dai movimenti di piazza persino a qualche produttore e regista di film, ha trasformato l’Italia in una monarchia assoluta dove non muove foglia che Lui non voglia. Ogni critica, anche la più timida e pallida, diventa vilipendio e lesa maestà, infatti quasi nessuno ne azzarda più. La libera stampa (si fa per dire) è letteralmente sdraiata a zerbino, commentatori e giureconsulti e intellettuali si consumano le ginocchia e sfiniscono le ghiandole salivari con peana imbarazzanti per magnificare e giustificare ogni stranezza del Re Bizzoso. Ma, come il Divo Giulio Cesare nei fumetti di Asterix , sopravvive un piccolo villaggio che non si arrende al pensiero unico e continua a giudicare Napolitano come se fosse soltanto il presidente di una Repubblica democratica e parlamentare, sprovvisto di divina investitura e di sacra infallibilità, dunque criticabile quando sbaglia, come accade a ogni essere umano imperfetto e fallace. È l’esistenza di questo villaggio che, al Divo Giorgio Cesare, fa saltare quasi ogni giorno la mosca al naso. Spingendolo, anche a causa dei cattivi e mediocri consiglieri che lo circondano, a gesti inconsulti come quello di ieri. “Solo il Fatto Quotidiano – ha comunicato il suo incauto ufficio stampa – crede alle ridicole panzane come quella del ‘patto tradito’ dal Presidente Napolitano. La posizione del Presidente in materia di provvedimenti di clemenza è stata a suo tempo espressa con la massima chiarezza e precisione nella dichiarazione del 13 agosto scorso”. Sorvoliamo per carità di patria sull’autoelogio per la “massima chiarezza e precisione” dei suoi moniti, che un presidente dall’ego un po’ meno smisurato lascerebbe ad altri, evitando di autorecensirsi. E cerchiamo di spiegare quel che è accaduto. Ieri, sul Fatto , Fabrizio d’Esposito ha raccontato che i falchi del Pdl sono tornati alla carica per spingere B. alla crisi di governo in quanto convinti che B. sia stato ingannato dal capo dello Stato con la promessa di un salvacondotto per i suoi processi che poi non si è avverata. I giornalisti politici questo fanno di mestiere: ascoltano tutte le voci dei politici e poi le riferiscono ai lettori, per spiegare quel che accade nel mondo politico. Non tutto ciò che dicono i politici può essere verificato, specie in Italia dove gli accordi – tipo quello che a fine aprile originò il governo di larghe intese – vengono stretti nelle segrete stanze, lontano da occhi e orecchi indiscreti (in Germania le larghe intese vengono concordate da Cdu ed Spd in lunghe trattative che si concludono con protocolli regolarmente sottoscritti ed esplicitati agli elettori alla luce del sole). Capita però che qualche protagonista, ogni tanto, racconti ciò che sa o dice di sapere di quegli accordi segreti. Ed è dovere della libera stampa prenderne atto e riferirne all’opinione pubblica, senza per questo sposare o credere a ciò che viene detto. Specie quando si tratta di fatti almeno verosimili: quando Libero ipotizzò la grazia a B., Napolitano s’infuriò; poi però, 13 giorni dopo la sua condanna, diramò una nota con il bugiardino, la posologia e le istruzioni per l’uso della grazia a B. E da quando B. è stato condannato in Cassazione, non passa giorno senza che i giornali, tutti i giornali, raccontino della rabbia di B. e dei suoi fedelissimi contro Napolitano per il mancato salvacondotto. E mai il Quirinale si era permesso di smentirli, perché riferivano un fatto vero: non che Napolitano avesse davvero promesso il salvacondotto, ma che B. & C. se lo aspettassero e ancora se lo aspettino. Il 1° ottobre, nell’annunciare la sfiducia al governo Letta prima della retromarcia in extremis, B. inviava una lettera al settimanale Tempi per accusare Letta jr. e Napolitano di “distruggere la loro credibilità” e “affidabilità” e di “minare le basi della democrazia parlamentare” perché rifiutavano di “garantire l’agibilità politica al proprio fondamentale partner di governo” e consentivano “il suo assassinio politico per via giudiziaria?”. E il 26 agosto vari giornali rivelavano che B. minacciava di rivelare ”tutte le promesse che Napolitano mi ha fatto quando abbiamo acconsentito a far nascere il governo Letta”. I giornali, tutti i giornali, riportarono quelle parole senza che il Colle li accusasse di credere alle “ridicole panzane come quella del ‘patto tradito’ dal Presidente Napolitano”. E fece bene, perché semmai avrebbe dovuto smentire B., non chi aveva riportato le sue parole sull’inaffidabilità del presidente e del premier che l’avevano tradito. Stavolta, come spesso gli accade con le cronache del Fatto e non con quelle di altri giornali che scrivono le stesse cose, Napolitano l’ha fatto. Evidentemente ci legge con particolare attenzione e passione, o forse dà per scontato che gli altri giornali credano alle panzane ma non si dà pace che lo facciamo proprio noi. Ringraziandolo per la considerazione, ci permettiamo però di fargli notare che ha sbagliato indirizzo. Se vuole smentire i falchi del Pdl, si rivolga ai falchi del Pdl. E se un giorno, non sia mai, volesse smentire B. che l’ha appena fatto rieleggere e sostiene il suo governo (pardon, il governo di Letta jr.), dovrebbe smentire B. Quanto a noi, è vero: ogni tanto crediamo a ridicole panzane. Pensi, Presidente, che ci eravamo persino bevuti quella della sua irriducibile indisponibilità alla rielezione. Per dire.

Informazione [si fa per dire]: scusate se insisto

Sottotitolo: “Fra trent’anni l’Italia non sarà come l’ha fatta la politica ma come l’hanno fatta le televisioni”. Questo l’ha detto Ennio Flaiano, che è morto nel 1973, quindi in tempi meno sospetti di questo. Per non parlare di quanto detto e scritto da Pasolini a proposito dell’effetto devastante dei mezzi di informazione quando sono usati e gestiti male, con l’obiettivo di favorire il potere e non quello di raccontare i fatti affinché la gente poi impari ad elaborare le giuste riflessioni su ciò che esiste davvero, dunque non per costruire modelli perlopiù negativi, contrari a qualsiasi forma di etica in cui la gente non si riconosce, che a leggerlo adesso sembra scritto e detto l’altra settimana.

Io, lo dico spesso a mò di implorazione, di preghiera, non pretendo da tutti una chissà quale cultura avanzata che non possiedo neanch’io, ma almeno la conoscenza di questi ultimi trent’anni di storia, per capire, per non farsi prendere per il culo, per sapere chi dice la verità e chi invece la nasconde dietro il chiacchiericcio delle finte risse in tv. Oggi molti parleranno della finta lite fra Cicchitto e sallusti e non della fiducia che probabilmente si darà ad un governo che agisce sotto l’egida dell’Europa peggiore, quella liberista che ammazza lo stato sociale e i diritti civili, del lavoro, in virtù di una crisi provocata ad arte di cui non sono responsabili quelli che la stanno pagando. E quelli che stanno per decidere la fiducia al governicchio liberticida di Napolitano sono gli stessi che avevano giurato che Ruby era la nipote di Mubarak. Gli stessi TRADITORI dello stato. #colLetta.

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Mauro Biani

Il punto più significativo, e più basso, di Ballarò di ieri sera secondo me non è stata la lite fra Cicchitto e sallusti ma il successivo commento di Paolo Mieli quando riferendosi a Cicchitto ha detto più o meno che lui ha avuto dei problemi, un passato complicato ma che non gli si può riconoscere il ruolo di traditore. 
Ovvero Paolo Mieli ha riconosciuto una dignità politica a Cicchitto evitando accuratamente di fare riferimento a quei problemi che hanno riguardato Cicchitto e che si chiamano P2.  Quando l’ho sentito ho fatto un salto sulla sedia, si spera sempre “ora lo dice, lo dirà” e invece no, nessuno dice  che se questo fosse un paese normale tutta la P2 e i suoi derivati sarebbero in una galera da vent’anni, lontani dalla società civile e dimenticati da tutti, purtroppo, e invece, in questo paese c’è un sacco di gente che non sa nemmeno cos’è la P2, trasformatasi nel tempo in 3, 4 eccetera. Ecco perché dare una forma di dignità politica a Cicchitto significa non aver capito un cazzo di quello che è successo in Italia in questi ultimi trent’anni, anche un po’ prima di silvio il pregiudicato, quindi.

La televisione imbambola la gente con la finta lite in studio, a meno che qualcuno creda davvero che quei due stessero facendo sul serio, così oggi tutti parleranno della lite e non dei contenuti di un programma che informa in modo parziale, pilotato dalla politica che se questo fosse un paese normale non avrebbe nessun diritto né il modo di influenzare l’informazione in modo così sfacciato. Margaret Thatcher usava dire: “la BBC non mi piace ma non posso farci nulla”.

Questo è il paese dove tutti sanno tutto, dove non c’è bisogno di nessuno che racconta le cose, dove si guarda a chi le racconta, e invece di andare a verificare se le cose che si riportano sono vere o false si preferisce prendersela con chi le dice e le scrive. Solo in un paese a maggioranza di deficienti e ignoranti dal punto di vista della conoscenza si può criticare un giornalista perché è lui come succede sistematicamente a Marco Travaglio perché non si possono confutare né smentire le cose che scrive e che dice. Ecco perché poi i Paolo Mieli diventano le eccellenze e gli altri, quelli che non hanno piegato la schiena al conflitto di interessi di berlusconi né al suo libro paga, gli scemi del villaggio.  

Qui in rete, lo vedo anche dalla mia pagina di facebook si rischia ogni giorno l’accusa di presuntuosità, molti ti leggono e rispondono alle varie cose che si pubblicano con l’aria da “ma questa che dice, che vuole?” solo perché scrivi di cose che non conoscono. E invece di andare a vedere se sono vere preferiscono prendersela con chi gliele racconta.

Riconoscere una storia politica a chi ha fatto parte di una loggia segreta eversiva il cui obiettivo era il rovesciamento dello stato significa dare dignità ed un significato POLITICO, e ancorché storico a tutto quello che è successo in questi ultimi vent’anni, ovvero la messa in pratica di quel progetto criminale che è il piano di rinascita di Licio Gelli che nel 2003 in un’intervista a Repubblica  si vantava che tutto [giustizia, ordine pubblico, televisione] stava andando come da lui voluto trent’anni prima e che forse avrebbe dovuto pretendere i diritti d’autore.

E se il bravo presentatore avesse fatto ascoltare tutta l’intervista a Grillo, del quale tutto si può dire meno che non abbia la giusta competenza e conoscenza delle dinamiche dell’informazione italiana, invece dei venti secondi stralciati da un quarto d’ora di dichiarazioni interessanti e vere sullo stato pietoso dell’informazione del servizio pubblico forse la gente capirebbe che se l’Italia è al livello più infimo in materia di libertà di stampa e informazione, nelle classifiche internazionali si trova sotto o al pari di paesi che almeno non si vantano di essere democrazie, lo si deve anche, soprattutto, a gente come Paolo Mieli considerato un’autorevole eccellenza giornalistica ma nei fatti solo uno dei tanti funzionari del sistema “status quo” italiano e alle trasmissioni come Ballarò, grazie alla quale, val la pena di ricordarlo, un’anonima dirigente di un sindacato inutile come Renata Polverini  è stata aiutata a diventare niente meno che governatrice del Lazio.

La disinformazione crea mostri che nessuno poi può più distruggere, e la conferma l’abbiamo proprio nella figura di berlusconi che grazie alle sue tv e al controllo che ha potuto esercitare poi da “politico” sulle altre, sul cosiddetto servizio pubblico, ha stravolto e deformato un paese intero.

Un conto è la politica, un altro il pd e il pdl

Sottotitolo: nell’eventualità della conferma della condanna di berlusconi bisognerebbe iniziare a preparare spiritualmente non tanto i fedelissimi di b quanto quelli che avrebbero dovuto fare quell’opposizione che non c’è mai stata. 

Per battere politicamente qualcuno come si sono sempre augurati tutti quelli che, anche a centrosinistra hanno parlato di accanimento giudiziario nei confronti di berlusconi bisognerebbe fare politica, non gli interessi di quel qualcuno, per dire.
Ci resteranno malissimo, tutti questi anni a tirarlo fuori dai guai e poi arriva un giudice che pretende di applicare la legge anche a silvio berlusconi proprio come è scritto nella Costituzione.

Non è bello, non si fa, ecco.

In ogni caso, stando alla scelta di chi dovrà formare la corte che giudicherà se berlusconi è colpevole o innocente credo che possiamo stare tutti tranquilli a goderci l’estate, anche silvio potrà rimandare il suo esilio a data da destinarsi.
Che si rilassino, i suoi aficionados: Sansone non muore, e figuriamoci i filistei.

Questo paese è irrecuperabile anche a causa di chi vede il pericolo in una Magistratura che essendo composta da donne e uomini può sbagliare, certo, ma non lo fa scientemente come chi delinque di proposito per avvantaggiare la propria condizione economica e sociale.
Dopo diciotto anni bisogna ancora leggere chi prende le difese di un individuo che ha fatto strame perfino delle regole più semplici, quelle che s’insegnano ai bambini.
I Magistrati saranno anche una casta privilegiata ma mi pare che spesso e volentieri non esitano a punire chi tra i loro pari si macchia di un reato, i politici no, questo non l’hanno mai fatto, da parte loro nessuna condanna, nemmeno morale, nei confronti di chi pensa di essere più uguale degli altri anche di fronte alla legge. 
Lo stesso Letta ieri sera si è rifiutato di commentare la sentenza che verrà e questo dovrebbe spiegare molte cose.
E nessuno di questi che si chieda ad esempio perché i coinvolti nei reati e processi insieme a berlusconi siano stati sempre condannati mentre lui no, l’ha sempre scampata grazie ai provvidenziali escamotage da lui stesso voluti e ottenuti grazie ad un parlamento complice e connivente.
Non va lontano un paese dove una sostanziosa parte di gente, anche fra le istituzioni, pensa che sia giusto applicare la legge alla criminalità di strada mentre di fronte alla delinquenza e alla criminalità dei palazzi si possa chiudere un occhio, sorvolare, magari in virtù della pacificazione nazionale.

LA CORTE SARA’ SCELTA DAL PRESIDENTE SANTACROCE. FU TESTIMONE NEL CASO PREVITI

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Il Corriere della Sera calcola che Berlusconi, grazie a una parziale prescrizione, potrebbe scampare la temuta interdizione per il processo Mediaset (leggi). E la Corte di Cassazione fissa subito un’udienza per fine mese (leggi). La decisione provoca una reazione furiosa del Pdl, che grida al “colpo di Stato” e reclama la piazza e invoca “azioni forti” (leggi)

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Il piduista cicchitto dopo essersi permesso di correggere niente meno che il papa chiede che venga “affermata una ragionevole, non oltranzista, ma seria e reale autonomia dello Stato dalla Chiesa”. Chissà perché lui o qualcun altro non l’hanno mai chiesta e non la chiedono quando la chiesa s’intromette in faccende che non la riguardano, l’elenco è infinito: sesso, aborto, diritti civili, argomenti che non dovrebbero interessare chi ha scelto di occuparsi di anime e spiritualità. Adesso che un papa prova a cambiare registro, ipocritamente o meno però lo sta facendo, ci prova a sovvertire l’importanza delle cose, a non lanciare anatemi un giorno sì e l’altro pure, a dire cose di buon senso usando toni non sgradevoli apprezzate anche da chi non è cattolico, secondo cicchitto sarebbe opportuno fare il giochino dell’uva; ognuno a casa sua. Ecco perché cicchitto è uno di quelli che meglio rappresenta questa politica miserabile e cialtrona.

Forse  Napolitano dovrebbe spiegare a quelli del pdl che gridano al colpo di stato promettendo rivolte di ogni genere che la sentenza di un tribunale non è un golpe ma lo sarebbe se s’impedisse a quel tribunale di poterla pronunciare.

Letta ieri sera a Ballarò non ha voluto commentare la prossima sentenza di b e l’ha buttata, come si usa dire in caciara cianciando dei problemi della  giustizia civile per non parlare di quella penale semidistrutta dalle leggi ad personam confezionate intorno a berlusconi.
“Non è compito di un presidente del consiglio commentare sentenze e date delle sentenze”.
Invitare a palazzo il condannato, già abusivo della politica secondo il Letta pensiero, e anche quello di Napolitano che lo ha ricevuto al Quirinale come fosse uno statista vero, sì.

Dice brunetta che arrivare ad una sentenza definitiva in nove mesi è qualcosa di pauroso, io penso invece che chi sa di essere innocente se la augura una sentenza in nove mesi, altroché averne paura.
Perché chi sa di essere innocente non vede l’ora di poterlo dimostrare. 
Magari la giustizia fosse sempre così veloce ed efficiente in Italia.

Quello che dovrebbe far paura anche a brunetta e a tutta la teppa di destra che insorge contro la Magistratura non è la conclusione di un processo; dovrebbe essere un ministro degli esteri che rifiuta di dare asilo politico ad un uomo in pericolo rifiutandosi di spiegare il perché della sua scelta. [Bonino, perché non risponde?]
Dovrebbero essere 50 poliziotti che sequestrano una donna e una bambina su ordine di non si sa bene chi ma si sa benissimo per fare un favore a chi e dopo non succede niente, il presidente della repubblica non pensa di dover intervenire in materia di violazione dei diritti circa due persone, una è una bambina di sei anni, che sono state rimandate illegalmente e senza un ragionevole motivo nel paese dove rischiano la tortura e la vita: questa sì che è roba da gestapo, da “banditi di stato” come titola oggi il giornale diretto dal diffamatore seriale sallusti in riferimento alla Magistratura.
Queste non sono cose degne di una democrazia né di un paese civile. [Caso Ablyazonv, liberare Alma e Alua]
L’applicazione della legge e dunque della Costituzione non dovrebbe spaventare nessuno, soprattutto chi sa di essere innocente. 

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La storia di berlusconi descrive perfettamente perché gli italiani non hanno più fiducia nella politica.

Ancora ieri sera Goffredo Bettini [pd] a Linea notte si crucciava perché la sinistra non si è impegnata abbastanza per battere berlusconi sul piano politico. 
E ancora da Floris a Ballarò si parlava del berlusconi statista, quello che in vent’anni ha segnato la vita politica italiana così bene evidentemente che sarebbe molto complicato farne a meno.
Il pensiero di Bettini, che poi è largamente condiviso anche a centrosinistra è alquanto buffo se si pensa che la sinistra prima ha contribuito in larga parte a rendere fattibile, possibile la “discesa in campo” e il centrosinistra dopo a fare in modo che la permanenza nell’agone politico dell’impostore abusivo fosse il più serena possibile.

Perché bisogna capirci una volta e per tutte; berlusconi non l’hanno voluto gli italiani, berlusconi è il prodotto delle solite manovre occulte di palazzo, è il risultato di chi ha pensato che dopo gli scandali di tangentopoli la persona più adatta a ricomporre una classe dirigente semidistrutta potesse essere un imprenditore i cui trascorsi oscuri, certe amicizie e frequentazioni erano già note, basterebbe leggere qualche libro del periodo per saperlo e l’articolo di Gianni Barbacetto sul Fatto di oggi per sapere come sono andate le cose nella loro cronologia.

berlusconi non è l’uomo arrivato dalla fine del mondo come papa Francesco per risolvere i problemi della chiesa, berlusconi è arrivato dal suo mondo, quello dell’imprenditoria per aggiustare i suoi, e intuire che un imprenditore è per natura portato a fare i suoi interessi è una cosa così semplice che dovevano e potevano capire tutti, perfino d’alema.

Una classe politica/dirigente che vuol farsi rispettare propone il meglio per farsi rappresentare, non si va a cercare i suoi referenti in ambiti estranei alla politica, proprio quelli che la politica dovrebbe controllare, e quand’anche facesse un errore così grave come quello di permettere ad un tycoon disonesto l’accesso alla politica cercherebbe di porvi rimedio, non lascerebbe che a farlo sia un altro potere dello stato dopo avergli permesso l’inenarrabile sul quale poi far ricadere la “colpa” di aver applicato la legge anche con  silvio berlusconi così come Costituzione comanda.

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Vent’anni di inciuci per salvare B. 
 Saraceni: “Vent’anni fa un ordine salvò B.”

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Possano avverarsi i tuoi desideri – Massimo Rocca, il Contropelo di Radio Capital

E alla fine ce ne libereremo per via giudiziaria. Come che decida poi in sentenza, la Cassazione ha fatto capire a Berlusconi che non c’è più trippa per gatti. I giudici non vivono in un altro paese. I sei milioni di voti persi alle politiche, la catastrofe delle amministrative, il conflitto con L’Europa, non sono elementi del processo, ma ne sono la cornice. Oggi il circuito tra il popolo della destra e il suo corpo mistico è in corto, come andò in corto quello della prima repubblica con Craxi o Andreotti . I supremi accelerando il calendario, hanno offerto a Berlusconi l’occasione per un ultimo spettacolo. Coincideranno con lo svanire delle promesse sulle tasse, il pretesto buono, che in autunno non ci sarebbe più stato, per rovesciare il tavolo. Il vecchio titano non avrebbe esitato. Se, stavolta, rinuncerà sarà un rimettersi alla clemenza della corte. Se pigerà l’acceleratore sarà chiaro a tutti che, come sempre, iddu pensa solo a iddu.

La sentenza, in fondo, come ha sempre sperato sarà lui stesso a scriversela.

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La Corte di Cassazione: “Abbiamo obbligo di fissare udienza prima della prescrizione del reato” (leggi)

PRESCRIZIONE ADDIO. “SEGUITA LA LEGGE, COME PER TUTTI” (di M. Lillo e A. Mascali)

Processo Mediaset, udienza il 30 luglio
Pdl contro la Cassazione: ‘Colpo di Stato’

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La congiura degli eguali
Marco Travaglio, 10 luglio

In un paese civile non ci sarebbe nemmeno discussione: un politico che per giunta sostiene il governo dopo averlo presieduto tre volte, imputato per frode fiscale, rinuncerebbe alla prescrizione per essere assolto nel merito, sempreché — si capisce — fosse innocente. Perché, se dovesse mai incassare una prescrizione dopo due condanne, dovrebbe subito dimettersi da ogni incarico pubblico in base all’articolo 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. E, se non gli fossero chiari i concetti di “disciplina e onore”, provvederebbero i compagni di partito e gli alleati di maggioranza, scaricandolo su due piedi per evitare l’imbarazzo di sedergli accanto. E il capo dello Stato rifiuterebbe di riceverlo al Quirinale, per motivi igienici. Ma, siccome siamo in Italia, dov’è reato dire “paese di merda” ma è lecito far di tutto perché i cittadini onesti lo pensino, ecco il coro delle prefiche, dei servi e dei venduti contro la Cassazione che — horribile dictu — tenta di evitare che il processo Mediaset venga ancora falcidiato dall’ennesima prescrizione. I fatti sono chiari: quando i reati — falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita — furono scoperti (era il 2004), la frode ammontava a 368 milioni di dollari di costi gonfiati tramite società offshore per non pagare le tasse (fatti commessi nel 1995-’98, con effetti fiscali fino al 2003). Nel 2005 B. scoprì di essere indagato e impose subito l’ex-Cirielli, che tagliava la prescrizione da 10 anni a 7 e mezzo, e una raffica di condoni e scudi fiscali. Così ogni anno vide evaporare un pezzo del suo monumentale delitto e nel maggio scorso, quando arrivò la condanna d’appello, restavano 4,9 milioni di euro evasi nel 2002 e 2,4 nel 2003. Ma a metà settembre si estingueranno anche quelli del 2002. Dunque, se la Cassazione non sentenzia prima, la pena di 4 anni scenderà, probabilmente sotto i 3, con due conseguenze: il processo tornerà in Corte d’appello per rideterminarla; e sparirà la pena accessoria dell’interdizione di 5 anni dai pubblici uffici, prevista solo per le pene sopra i 3 anni. Insomma B., che già non rischia il carcere perché ha più di 70 anni (grazie al regalo di compleanno contenuto nell’ex Cirielli) e perché 3 dei 4 anni sono coperti da indulto (gentile omaggio del centrosinistra), potrebbe restare tranquillamente in Parlamento. Almeno per un altro anno, fino a quando la Corte d’appello rideterminerà la sua pena. O per sempre, se poi la pena scendesse sotto i 3 anni. Peccato però che la Cassazione abbia l’obbligo di esaminare subito i processi a rischio di prescrizione o di decorrenza dei termini di custodia cautelare. Per evitare che i delitti restino impuniti (con grave danno per le vittime: in questo caso l’Erario) e che soggetti pericolosi escano dal carcere e spariscano dalla circolazione prima della condanna. La Sezione Feriale della Cassazione (che resta aperta durante le ferie estive, da luglio a settembre) è lì apposta: per trattare i processi che, diversamente da quelli normali rinviabili a dopo le vacanze, sono urgenti: quelli con imputati detenuti in scadenza e quelli — vedi decreto del primo presidente Ernesto Lupo del 24-6-2011 — “per i quali la prescrizione maturi durante la sospensione o nei successivi 45 giorni”. Proprio il caso del processo Mediaset, che a metà settembre sarebbe dimezzato dalla prescrizione. Perciò è stato assegnato alla Sezione Feriale per il 30 luglio. E gli alti lai del Pdl & company sulla “fretta sospetta” (figuriamoci: per un processo nato 9 anni fa!) della Cassazione per eliminare B. dalla vita politica sono pura propaganda, e di bassissima lega: come se la prescrizione fosse un diritto dell’imputato, o addirittura il fine ultimo del processo penale. Anche stavolta, la Cassazione ha trattato B. come qualunque imputato nelle sue condizioni, perché la legge è uguale per tutti. Ed è proprio questo lo scandalo.

Indovina chi è andato a cena

“Certe campagne, che si vorrebbero moralizzatrici, in realtà si rivelano nel loro fanatismo negatrici e distruttive della politica”. [Giorgio Napolitano, 8 aprile 2013] – Alla luce delle ultime dichiarazioni non penso che il presidente abbia cambiato idea, anzi, quindi secondo l’ottimo Napolitano tenersi in parlamento un corruttore concussore sfruttatore e la sua teppa, augurarsi la continuità di un governo composto anche da gente così renderebbe onore alla politica. Fare in modo di allontanarla, impedire che sia anche gente così a rappresentare il paese significherebbe danneggiare il buon nome della politica.

Sottotitolo: per chi pensa che la condanna di b. sia eccessiva.

Nemmeno per idea.

Chi non capisce che il ruolo politico obbliga a comportamenti moralmente, legalmente ed eticamente esatti e dovrebbe – anche se nei fatti poi non succede, non qui da noi almeno –   prevedere  pene maggiori per chi da politico commette dei reati forse non ha capito nulla di quello che è successo in Italia in questi due decenni, né ha capito la gravità di quello che ha commesso berlusconi nell’ambito dell’affaire Ruby e in generale nemmeno di chi è silvio berlusconi, considerati i suoi numerosi precedenti penali.

La concussione è un reato pesantissimo; bisognerebbe iniziare a togliersi dalla testa le mignotte, i festini, il bunga bunga e limitarsi a considerare l’abuso di un potere eccessivo [ecco perché bisognava fermarlo subito, prima, anzi, non bisognava proprio permettere che il suo potere aumentasse a dismisura offrendogli l’opportunità politica] come quello di silvio berlusconi. In un paese normale la carriera di berlusconi sarebbe terminata dopo il furto della Mondadori. Non sarebbe mai arrivata fino a qui. Il politico prima che giuridicamente va condannato moralmente, quello che qui non succede mai. Fra quelli che probabilmente verranno incriminati per falsa testimonianza c’è anche un viceministro di questo governo, e altri ministri facevano parte dell’orda dei barbari traditori che votarono “Ruby nipote di Mubarak”. berlusconi  ha una storia di ladrate, frequentazioni mafiose e corruzione che a una persona normale sarebbe costata l’emarginazione totale, mentre qui no. Si aspettano le sentenze per capire che un delinquente è effettivamente un delinquente, nel caso di specie non sono nemmeno sufficienti. Solo per questo il parlamento andrebbe chiuso per manifesta indegnità, altroché le fibrillazioni e la continuità di Napolitano.
Sette anni sono troppi? io gliene avrei dati come minimo il doppio.

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Mi chiedevo in quale altro paese potrebbe succedere che un condannato a sette anni di galera la sera successiva alla sentenza venga invitato a cena dal presidente del consiglio, ufficialmente per parlare di politica, non a casa sua ma a Palazzo Chigi.

Ce li vedo Cameron, la Merkel, Hollande, aprire la porta principale dei loro palazzi per cenare con uno che avesse fatto solo un quarto delle porcherie di berlusconi.

berlusconi non è giustificato solo da chi guadagna qualcosa o molto dalla sua presenza in politica, praticamente i tre quarti dell’arco costituzionale,  ma anche da un’ampia parte della cosiddetta società civile; quella che sfoltisce, minimizza o, nella migliore delle ipotesi fa finta di ignorare la gravità di quello che ha fatto berlusconi.

 Vorrei capire come si fa a pensare e dire che uno così abbia il diritto di essere ancora considerato parte delle istituzioni,  oppure, come detto anche dal costituzionalista Onida le questioni giudiziarie, legate a reati gravi e pesanti che riguardano berlusconi devono restare separate dalla politica.

In quale paese democratico e civile sarebbe possibile che a 24 ore da una condanna  per concussione un presidente del consiglio possa pensare di convocare l’imputato a palazzo per discutere dei fatti che riguardano un paese.

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Secondo l’esimio costituzionalista Onida, uno fra quelli che avevano dato ragione a Napolitano circa il conflitto di attribuzioni ma questo è solo un caso, siccome i reati di berlusconi sono stati contestati e giudicati solo adesso non è giusto che a farne le spese debba essere il pdl di adesso ma doveva essere il pdl di allora, dell’epoca dei fatti a suggerire, anzi “consigliare amichevolmente” a berlusconi di allontanarsi dalla politica. 

Mi piacerebbe sentire un parere di Zagrebelsky sullo stesso argomento, perché dubito che una faccenda così grave si possa liquidare in modo così semplice riducendola ad una questione di tempi. 
Da un costituzionalista, poi.
E mi piacerebbe sapere da che paese arriva il professor Onida, se ritiene possibile che silvio berlusconi avrebbe mai potuto accettare una proposta simile.
A me pare di sognare, perfino in Thailandia ci prendono per il culo.

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Napolitano deve smetterla di entrare a gamba tesa nelle dinamiche del parlamento.
Non è compito di un presidente della repubblica suggerire, orientare, intimare e ancorché intimidire.

Questo governo così com’è non ha più niente da dire né da dare, semmai fosse davvero nelle intenzioni del progetto delle larghe intese risolvere le urgenze del paese.

A ben guardare sembra proprio di no. 

E, francamente, pensare che le decisioni di un governo così malmesso, fatto di persone che [a parte i fedelissimi di b] non hanno nulla in comune fra loro debbano avvalersi del prezioso contributo di un condannato per concussione e sfruttamento della prostituzione non ci mette proprio ai primi posti nel mondo per prestigio e credibilità.
Sono diciotto anni che l’Italia fa figure di merda a livello planetario per colpa di berlusconi, Napolitano invece di parlare di “fibrillazioni” e “continuità” perché non lo difende un po’ questo paese, in concreto? o è capace solo di commuoversi quando all’estero dicono e scrivono che l’Italia è un paese in balia dei buffoni?  meglio che lo sia di un farabutto seriale?

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Il quarto mondo è qua. Ma guai a scontentare i capricci di Napolitano, il governo è suo e lo gestisce lui.

E io che mi ero pure spesa a favore della santanchè riconoscendole il diritto a non essere insultata in quanto donna così come dovrebbe essere, deve essere per tutte le donne.
Invece ho sbagliato, e non perché questo non sia un diritto ma perché è lei che lo rifiuta.
Una che accetta di prestare la sua immagine allo slogan “siamo tutti puttane” per sostenere la causa di un delinquente che delle donne ha un’idea rozza, una considerazione pari a meno dello zero, che pensa che basta pagare e che tutto si possa comprare un tot al chilo è solo un’istigatrice, una fomentatrice violenta che non merita alcun rispetto né tanto meno di essere difesa.
 Io non mi vergognerò mai per lei né per quelle e quelli come lei, mi disturba alquanto però l’idea di dover dividere con questi farabutti l’aria che respiro.
E chissà se si è sentita a suo agio in una manifestazione dove per esserci bisognava essere puttane al servizio dell’utilizzatore finale.

Centomila volte meglio, un milione di volte meglio le puttane vere, che non si vergognano di esserlo, non quelle che si spacciano per gran signore e poi il troiaio ce l’hanno in testa, che è molto peggio che avercelo fra le gambe.

 

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Gli olgettini

Marco Travaglio, 26 giugno

Mentre tutta la stampa mondiale si fa beffe dell’Italia, ancora nelle mani dopo vent’anni di un vecchio puttaniere che ne ha combinate più di Bertoldo in Francia, nessun quotidiano italiano — a parte un paio di eccezioni — commenta la condanna di Berlusconi a partire dai fatti che l’hanno originata. Che un presidente del Consiglio abbia minacciato una Questura, abusando del suo potere, ordinandole di violare la legge per rilasciare una prostituta minorenne senza documenti né fissa dimora fermata per furto, e che l’abbia fatto perché la ragazza tenesse la bocca chiusa sul monumentale giro di prostituzione anche minorile che gravitava nelle sue residenze, sono fatti che tutti conoscono ma che quasi nessuno scrive. Sono comportamenti puniti dal Codice penale, addirittura in base a leggi — nel caso della prostituzione minorile — approvate dal suo stesso governo, ma quasi nessuno lo dice. Fiumi di parole e d’inchiostro per buttarla in politica e parlare d’altro, cioè del nulla. Pigi Pigi non lo sa. L’orecchiante del Corriere della Sera è affranto per “la condanna rigidissima, addirittura superiore alle richieste dell’accusa” (se invece i giudici avessero aderito alle richieste dell’accusa, Battista li avrebbe accusati di “appiattirsi sui pm” e chiesto la separazione delle carriere; in ogni caso la pena massima per la concussione è 12 anni e per la prostituzione minorile è 3 anni, e B. per il primo reato ha avuto 6 anni e 1 anno per il secondo, quasi il minimo delle pene). Ma soprattutto perché i giudici “considerano il capo di uno schieramento che compartecipa in modo determinante al governo del Paese” come “il vertice di una ramificata banda dedita a reati moralmente spregevoli” (ma se il capo dello schieramento commette reati spregevoli che devono fare i giudici? Assolverlo solo perché compartecipa in modo determinante?). Poi, col pilota automatico, il Ballista ripete la giaculatoria della “spaccatura che da vent’anni spezza in due l’opinione pubblica italiana”, ora “ancora più profonda e irriducibile, fra chi considera B. “come una figura losca da gettare nel precipizio della vergogna e della non rispettabilità” e chi lo difende come “vittima di un accanimento politico-giudiziario senza precedenti”. Il compito di un giornalista sarebbe appunto quello di spiegare ai suoi lettori che non c’è bisogno della sentenza Ruby per sapere che B. è una figura losca da gettare nel precipizio eccetera, visto che altre sentenze definitive hanno già accertato la corruzione della Guardia di Finanza, del teste Mills e del giudice Metta, i fondi occulti a Craxi, i falsi in bilancio per 1.500 miliardi di lire, la falsa testimonianza sulla P2 e così via. Ma Battista fa un altro mestiere, dunque dopo vent’anni è ancora lì a chiedersi se il suo ex editore (quand’era vicedirettore di Panorama ) sia una brava persona o un mascalzone. Siccome poi non sa nulla di ciò che scrive, aggiunge il suo stupore perché 30 testimoni pagati dall’imputato vengono denunciati per falsa testimonianza prezzolata, quasi che B. fosse “il capo di una banda” e di una “rete di complicità omertosa”, mettendo addirittura “in discussione la legittimità morale del capo di un partito”. Il fatto che i giudici abbiano capito ciò che tutti sanno, e cioè che il capo di un partito è anche il capo di una banda e di una rete omertosa, non lo sfiora neppure. Altrimenti dovrebbe scegliere fra le due categorie che lui da sempre mette sullo stesso piano: “I cantori di una ‘guerra civile fredda’ che hanno trovato nella demonizzazione o nella santificazione di B. l’unico parametro dei loro giudizi politici”. Insomma, alla sua età, dovrebbe mettersi a informare: e non vi è proprio portato.

Bella, ciao

Su wikipedia tutti hanno la possibilità di aggiungere informazioni e dettagli a tutti gli argomenti che sono contenuti nell’enciclopedia on line che ogni giorno viene consultata da miliardi di persone.
Solo però, come diceva Grillo tanti anni fa, se qualcuno scrive una cazzata tempo due minuti e gli si rivolta contro il mondo.
E allora io mi chiedo: qual è il senso di diffondere cazzate, anche offensive, se grazie alla Rete tempo due minuti e non dico il mondo ma un sacco di gente giustamente incazzata e stanca di essere trattata da imbecille poi si rivolta contro?

Per la cosiddetta informazione italiana, pubblica e privata, la parola fascismo è off limit, non si può dire, non si può pronunciare, non si deve dire, ad esempio, che Franca Rame non fu vittima della sua bellezza [finché, ‘sto cazzo] quando il 9 marzo del 1973 fu stuprata da un branco di  fascisti e che il suo fu uno stupro su commissione non perché lei fosse una gran bella donna ma perché era una donna comunista e dunque doveva essere punita per questo.
E non si può dire che quello stupro fu ordinato da alcuni ufficiali dei carabinieri come riportano le cronache del periodo.

Ieri il TG2 ha mandato in onda un servizio vergognoso su Franca Rame: la conduttrice  ha detto che Franca Rame avrebbe usato la sua bellezza finché non fu stuprata omettendo il perché di quello stupro, ovvero la parte fondamentale che fu quella che poi segnò per sempre la vita dell’artista.

Dopo mezz’ora dalla fine del telegiornale in Rete è successo il finimondo come sempre accade quando l’informazione ufficiale, quella che paghiamo tutti, non assolve al suo dovere che è appunto, quello di informare e non di dare la versione più comoda, riveduta, corretta e addolcita di un fatto che è accaduto.

E dai fatti che hanno riguardato  la splendida vita di Franca Rame non si può stralciare qualcosa che è ormai di pubblico dominio, e specialmente nel giorno della sua morte e dopo che  la vicenda drammatica dello stupro subito da Franca Rame aveva già fatto il giro del mondo in Rete.
A distanza di quarant’anni, il servizio pubblico come quello privato nella figura di Enrico Mentana, anche lui così poco coraggioso da evitare di pronunciare la parola “fascisti” in riferimento agli stupratori,  non possono oscurare il fatto che lo stupro di Franca sia stato una vera spedizione punitiva eseguita da una squadraccia fascista e ordita per motivi politici.

Solo in tarda serata è arrivata una specie di rettifica da parte del TG2, ma come sempre accade in casi come questi la toppa è stata peggiore del buco, perché il direttore Marcello Masi ha fatto l’offeso e lo sdegnato invitando a vergognarsi tutti quelli, me compresa che si erano già attivati su facebook per pretendere il chiarimento, colpa nostra che  avevamo capito male e non c’era nessuna finalità offensiva né tanto meno censoria nell’intervento di Carola Carulli al telegiornale.

Nella richiesta di rettifica non c’era nessuna volontà di ripristinare la gogna per la giornalista disinformata: bastava ammettere l’errore e  fare un opportuno passo indietro senza i se i ma del direttore.

E inoltre, se l’informazione facesse il suo dovere non servirebbero nemmeno certe “scuse”.

Lo stupro è un orrore che ammazza dentro.

Quello che si vive dopo è solo un surrogato di vita: un’apparenza di vita.

Grazie a Franca Rame per aver saputo, invece, vivere così bene la sua, mettendosi a disposizione per un progetto di civiltà.

E, a proposito di balle e ballisti,  qual è il senso di fare il Pigì Battista se poi c’è sempre almeno un Marco Travaglio che gli fa fare la figura di merda che si merita?

I ragazzi del coro
Marco Travaglio, 30 maggio

L’altra sera il giornalismo indipendente ha fatto un altro passo da gigante a Ballarò con l’intervista, si fa per dire, di Giovanni Floris a Pier Luigi Bersani. Parevano due compari che si ritrovano al bar dopo tanto tempo e il più cazzaro dei due racconta all’altro che lo voleva la Juve come centravanti, ma lui ha rifiutato perché merita ben di meglio. Solo che al bar, di solito, l’altro compare guarda il cazzaro con un misto di simpatia e commiserazione, e se è molto buono lo asseconda, altrimenti gli ride in faccia. Floris invece assisteva alle bugie di Bersani con compunta partecipazione, alzandogli lui stesso la palla per aiutarlo a mentire meglio. Così lo smacchiatore di giaguari ha potuto raccontare la favola del “governo del cambiamento” con i 5Stelle, abortito per il no di Grillo (tutti sanno che era un governo Bersani di minoranza, in cui i 5Stelle non avrebbero avuto alcun ministro e alcuna voce in capitolo sul programma, che Bersani si era premurato di preparare in anticipo: i famosi otto punti di sutura). La frottola della sua proposta ai grillino di votare Prodi al Quirinale (proposta mai fatta né in pubblico né in privato, mentre fu Grillo a proporgli pubblicamente di votare Rodotà e poi discutere di un governo insieme). La balla del no del Pd a Rodotà perché “non avrebbe avuto i voti” (e allora perché proporre Marini e Prodi, che non avevano neppure i voti del Pd, ed escludere in partenza Rodotà, che aveva già i voti dei 5Stelle e di Sel e avrebbe potuto essere eletto anche senza un terzo del Pd?). La bufala della sua disponibilità a farsi da parte (lo disse solo il 2 aprile, dopo aver ripetuto per un mese e mezzo “governo Bersani o elezioni”, e poi non lo fece mai). La patacca del “sempre stato contrario al finanziamento pubblico dei partiti” (celebre il refrain della campagna elettorale:”anche Clistene era favorevole, sennò fan politica solo i ricchi”). E via balleggiando. L’unica volta che Bersani ha detto qualcosa di vero, e cioè che sa chi sono i 101 “o forse 110” parlamentari del Pd che han tradito Prodi e il partito, ma non intende svelarli, Floris ha lasciato pietosamente cadere la questione. Meglio non metter troppo in imbarazzo l’ospite. Meglio servirgli altri assist spiritosi, tipo: “È più facile governare con Alfano o con Casaleggio?”. Ah ah, zuzzurellone. Il clima è da quiete dopo la tempesta: ce la siamo vista brutta, ma ora è passata, tutto è tornato al suo posto: Grillo perde, i partiti vincono (mettono in fuga 4 elettori su 10, ma è un trionfo), i giornalisti tornano a sdraiarsi dopo tanta paura, la cadrega è salva e si può anche riscrivere la storia a uso e consumo dei presunti vincitori. È lo stesso clima che si respira nei giornali, che celebrano il record dell’astensionismo con titoli virili del tipo “Una domanda di governo” (Corriere ), “Il riscatto dei partiti” (Repubblica ), “Il voto sveglia la sinistra” (l’Unità). Anche gli onanisti di twitter si scatenano. Il neomartire Pigi Battista (Grillo l’ha insultato per le balle che scrive, dunque tutti solidali, mentre chi viene insultato da Battista non merita nulla) cinguetta: “Per Ingroia l’anno della catastrofe: arrestato il suo pataccaro Ciancimino jr.”. Strana esultanza, da parte di uno che passa il tempo a travestire da Tortora qualunque potente arrestato o inquisito. Figurarsi se avessero ingabbiato uno a scelta fra i suoi editori evasori: pianti a dirotto e alti lai contro le manette facili e l’accanimento delle toghe cattive. Trattandosi invece di Ciancimino, viva la garrota. Peccato che il primo a far arrestare Cincimino per calunnia e porto di esplosivi sia stato proprio Ingroia, che poi lo fece rinviare a giudizio per minaccia a corpo dello Stato e concorso esterno. E peccato che l’arresto per evasione fiscale non c’entri nulla con la veridicità o meno di quel che Ciancimino ha detto sulla trattativa e dei 50 documenti che ha prodotto (già autenticati dalla Scientifica). 
Queste cose le sanno tutti i giornalisti, anche i meno dotati. Dunque non Battista.

Qualcosa tipo… una liberazione

Le elezioni hanno evidenziato il desiderio di cambiamento degli italiani. A tale istanza, la politica (Pd in primis) ha risposto con Enrico Letta premier. Un po’ come andare al concerto di Woodstock, farsi una canna, rotolarsi nel fango. Aspettare Jimi Hendrix. E poi trovarsi sul palco Orietta Berti e Drupi. [Andrea Scanzi]

 

Preambolo: l’unico ricompattamento che interessava al piddì è quello fra il loro culo e la poltrona, altroché votare Napolitano per senso di responsabilità perché sarebbe l’unico in grado di garantire l’unità nazionale, se mentre lo facevano i tre quarti d’Italia si stavano sgolando perché non volevano lui ma volevano un presidente che fosse DAVVERO un GARANTE di TUTTI e non dei partiti e della politica.
Se c’è qualcosa che ha finito di spaccare questo paese è stata proprio la rielezione straordinaria di Giorgio Napolitano.
Per non parlare di quanto potrà ancora distruggere, altroché unire, ricompattare e garantire, il governo che questi geniali strateghi della politica stanno preparando.

Adesso qualcuno dovrebbe anche raccontarci la storiella che “meglio di così non si poteva fare”, ma, come diceva qualcuno: “il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare”.

Molto comica la Di Girolamo ieri sera a Ballarò che cercava di paragonare le grosse coalizioni che si fanno nei paesi normali – dove non si mandano delinquenti nei parlamenti – in situazioni particolari, di crisi politica o di emergenza con gli squallidi accordi di bottega che si fanno invece qui anche a prescindere dalle crisi ed emergenze. 

Quando gli storici del futuro, fra cento anni, duecento anni analizzeranno il fenomeno della politica italiana noi non ci saremo più.

E sarà un vero peccato, vorrei reincarnarmi in una mosca per assistere allo spettacolo, quando sui libri di Storia del futuro i ragazzi dovranno studiare che nel 2013 il parlamento della repubblica italiana ha deciso che Carfagna, Gasparri, Alfano, Letta jr, Franceschini, Gelmini sono stati giudicati autorevoli difensori dell’unità nazionale e del bene del paese mentre Stefano Rodotà no.

“Perché no a Rodotà e sì a Berlusconi?”
Ma Bersani non risponde a Serracchiani

Sottotitolo: in Francia, concedendo il matrimonio e l’adozione agli omosessuali onorano l’égalité, del resto l’hanno inventata loro insieme alla liberté e alla fraternité che non sono modi di dire lì ma proprio modi di fare.
Noi qui, invece, siamo fermi alla complicité.
Del resto, anche questa l’abbiamo inventata noi.

Finalmente, grazie al nuovo governatore Zingaretti, la regione Lazio ha bloccato i finanziamenti per la costruzione del monumento al criminale di guerra Rodolfo Graziani. Qualcuno dovrebbe spiegare al sindaco di Affile che per essere Antifascisti non bisogna essere stalinisti, e che se questo fosse un paese normale ogni singolo cittadino che conosca almeno un po’ la storia italiana dovrebbe avere in sé i valori dell’Antifascismo, altroché ammalarsi di  nostalgie fasciste.

Idioti, imbecilli, storicamente ignoranti e perdenti.

Qualcosa tipo una liberazione – Massimo Gramellini, La Stampa

«La prof dice che giovedì non c’è lezione». «Vero, c’è qualcosa tipo… una liberazione». Ma anche i pochi che sanno ancora di che cosa si tratta preferiscono non diffondere troppo la voce «per non offendere i reduci di Salò», come si è premurato di precisare il commissario di Alassio. Una sensibilità meritoria, se non fosse che a furia di attutire il senso del 25 aprile si è finito per ribaltarlo, riducendo la Resistenza alla componente filosovietica e trasformando le ferocie partigiane che pure ci sono state nella prova che fra chi combatteva a fianco degli Alleati e chi stava con i nazisti non esisteva alcuna differenza. La differenza invece c’era, ed era appunto politica. Se avessero vinto i reduci di Salò saremmo diventati una colonia di Hitler. Avendo vinto i partigiani, siamo una democrazia. Nonostante tutto, a 68 anni di distanza, il secondo scenario mi sembra ancora preferibile. Grazie, partigiani.

In questi giorni e ogni anno due cose tornano puntuali e con precisione scientifica: le formiche a casa mia – ché la primavera è bella ma ha anche i suoi svantaggi, specialmente se si abita in campagna, e le consuete cazzate sul 25 aprile, il che non dovrebbe essere un fatto da imputare alla stagione, se questo fosse un paese normale.
Perché bisognerebbe indagare sui metodi di insegnamento e nel particolare sugli insegnanti, se un ragazzino può dire che “giovedì [25 aprile] si sta a casa perché c’è una cosa tipo una liberazione”.
Ma del resto questi sono i risultati di un’azione capillare di dimenticanza che dura da anni e anni, i risultati di quell’eccesso di “comprensione storica” di togliattana memoria che portò violante, uno che di cazzate se ne intende ma chissà perché Napolitano l’ha considerato addirittura saggio, a dire qualche anno fa che tutto sommato fra i repubblichini di Salò e i Partigiani non c’era una differenza così sostanziale, e il pdl fece addirittura una proposta di legge, subito imitato anche dal pd per assegnare ai reduci di Salò una pensione statale.
Come se aver combattuto contro l’oppressore nazifascista ed essersi messi al suo fianco – perché, come ancora pensa e dice qualcuno, i tempi non permettevano di scegliere – fosse la stessa e identica cosa.

Libro & Giorgetto
Marco Travaglio, 24 aprile

Il Foglio e Libero — il primo in modo spiritoso, il secondo con le mèches smentiscono quel che abbiamo scritto negli ultimi giorni e di cui facciamo ammenda: cioè che tutti i media siano genuflessi ai piedi di Sua Castità e del suo governissimo. 
Essi anzi manifestano una sbarazzina tendenza alla critica che rasenta il vilipendio. 
Per esempio il Corriere, che assume la guida dell’opposizione con il commento al vetriolo di Antonio Polito: “Discorso breve, severo ma intriso di commozione: una lezione di virtù repubblicana”. E di Paolo Valentino: “Ci sono discorsi che cambiano la storia di un Paese. Come quello di Abraham Lincoln nel 1863 a Gettysburg… O come Lyndon Johnson, che nel 1964 pronuncia il celebre we shall over come e chiude la segregazione razziale… Il discorso di Giorgio Napolitano ha la forza retorica, l’altezza d’ispirazione e la dirompenza politica che lo rendono già un’opera prima… ha aperto una nuova pagina, restituendo dignità alla parola e regalandoci un testo di etica pubblica senza precedenti nella storia repubblicana. In un altro Paese, lo farebbero studiare nelle scuole”. Le case editrici sono già all’opera per rimaneggiare all’uopo i sussidiari e le antologie scolastiche, espungerne i sorpassati Alighieri, Machiavelli, Foscolo, Manzoni e Pirandello e far posto a Giorgio Lincoln-Johnson. Ma anche un po’ De Gaulle, come lo definisce sul Foglio il sempre controcorrente compagno Ferrara (“logica stringente, grinta politica, orgoglio civile e sculacciate a Gribbels… un capolavoro che ha per titolo onorario quel ‘Tutti per l’Italia’ proposto dal Foglio prima della campagna elettorale”). I provveditori agli studi vedano se non sia il caso di ripristinare, all’inizio delle lezioni subito prima della preghiera mattutina, il Saluto al Re dei balilla e delle piccole italiane. Addirittura urticante, com’è nello stile di Repubblica, l’attacco di Andrea Manzella che vede “nella generosa disponibilità di Napolitano la consapevolezza di dover conservare ‘immune da ogni incrinatura’ il ruolo istituzionale del presidente della Repubblica”. Perché sembra un re, ma è solo un presidente che “assembla le attribuzioni presidenziali che erano un po’ sparse nella Carta”: ecco, assembla. E “si può dire che al triangolo tradizionale — governativo, legislativo, giudiziario — si è ora aggiunto, senza togliere nulla agli altri, un quarto lato. Un triangolo quadrilatero”. Gli editori scolastici prendano buona nota e approntino opportune integrazioni ai testi non solo di diritto costituzionale, ma anche di geometria: ai triangoli equilatero, isoscele, degenere, rettangolo, ottusangolo e scaleno si aggiunga senza indugio il triangolo quadrilatero, con buona pace di Pitagora che non capiva un cazzo (il suo, del resto, era il solito “teorema”). Addirittura temerario sulla Stampa , nel suo empito dissacratorio, è Luigi La Spina, che fa onore al suo cognome conficcando nel sacro còre napulitano un giudizio al vetriolo: “È una delle poche occasioni in cui l’aggettivo ‘storico’ si può e si deve usare, perché non serve a un tributo encomiastico e adulatorio”, ci mancherebbe, perbacco. Per non esser da meno, la corrosiva Unità ospita l’on. giorn. Massimo Mucchetti, che da grande economista, forse un tantino influenzato dalle tempeste ormonali di primavera, non ha dubbi: “Di fronte alla cittadina Lombardi, Mara Carfagna per tutta la vita”. E vivaddio, quando ci vuole ci vuole. Per dirla col sempre birichino Claudio Sardo, è “La riscossa della istituzioni” e “speriamo che il discorso ‘storico’ del presidente segni l’avvio di una nuova stagione della Repubblica… Ora si fanno le riforme… Ora si fa il governo che le imprese, i lavoratori, le famiglie reclamano.Ora non si sfugge a una convergenza politica. Ora si difendono le istituzioni dal vilipendio”. E magari i treni arrivano in orario e ci riprendiamo pure l’Abissinia. Libro & Giorgetto, inciucista perfetto.

La direzione del PD sembrava una riunione dell’anonima alcolisti dopo una gita all’oktoberfest: salve, sono Pierluigi, perdo da una vita, ho provato a smettere…[Maurizio Crozza]