Il partito di Io [feat Alessandro Robecchi]

Preambolo extra-post a proposito dei “disagi” Wind di ieri: non è solo una questione di disagi e guasti temporanei che possono succedere. Tutto ciò che è fatto dall’uomo è fallibile e “rompibile”.
Il dramma è  che tutto il servizio di telefonia e relative connessioni ad internet in Italia fa pietà. Perché lo stato preferisce investire su altro, ad esempio ancora sulla televisione per poi utilizzarla per la sua propaganda, quando la politica si occupa di internet non lo fa per esaltarne le potenzialità e le risorse ma unicamente per tentare di mettere bavagli e mordacchie alla libera circolazione dei pensieri e delle notizie. E’ tutto qui il rapporto internet/politica.
Io pago alla TIM i due euro e cinquanta a settimana della connessione al mio cellulare ma se non c’è un servizio wi fi nel posto in cui mi trovo è come se non ce l’avessi. 
Però la pago. E allora bisognerebbe che questi signori e padroni dell’etere in tutte le sue forme facessero pagare solo quello che realmente possono garantire, altrimenti si chiama TRUFFA.

 

Sottotitolo: Dell’Utri potrà soggiornare in una cella singola, mica come i poveracci costretti a dividersi tre metri in sei, otto persone nel paese dove il carcere dovrebbe avere una funzione riabilitativa e rieducativa per Costituzione. Il privilegio anche nella delinquenza, laddove non c’è più niente da riabilitare ormai lo stato offre un trattamento particolare tenendo conto dello stato di salute del pregiudicato.
Gli altri possono anche morire di depressione, malattie, sempreché non abbiano la fortuna di essere amici di famiglia di qualche eccellenza come Giulia Ligresti, attenzionata personalmente dall’ex ministra Cancellieri e che, perché gravemente malata, passò da una cella allo shopping in via Montenapoleone evidentemente su prescrizione medica. 

Il presidente del senato Grasso, stop vitalizi a senatori condannati: “Ho chiesto ai Questori di istituire pratiche per questo risultato”.

In un paese normale sarebbe altrettanto normale che un politico che abbia dei conti da regolare con lo stato e la giustizia perda i diritti che aveva da politico, ci sono provvedimenti che dovrebbero scattare di default, il fatto che cuffaro,  dell’utri e altri ancora possano continuare a percepire dei soldi dalla politica come se stessero ancora lavorando per la politica, soldi che non paghiamo con le nostre tasse per mantenere eccellenti avanzi di galera mafiosi e corrotti non fa sentire bene, ecco.
Anzi fa piuttosto incazzare.
Ma siccome nel paese alla rovescia non è così, vediamo se i questori avranno la stessa solerzia d’intervento che hanno avuto per concedere il diritto divino del parrucchiere alle signore onorevolissime deputatissime.

 

Se Orsoni che patteggia per un reato, ovvero lo ammette ma sceglie la via breve con la giustizia non può – giustamente – governare una città, perché allora berlusconi che è stato condannato per reati contro lo stato può partecipare alle decisioni politiche per tutto un paese, incontrare e frequentare le alte cariche dello stato?
Per quale motivo gli italiani dovrebbero fidarsi di uno che pensa di riformare le leggi e perfino la Costituzione con la collaborazione di un delinquente amico dei mafiosi? Come ha ben scritto il professor Rodotà “Renzi non vuol negoziare con i membri del suo partito ma continua a farlo con berlusconi”.
Se questa, come sembra, come ci hanno fatto credere, è una scelta obbligata non significa che debba poi essere anche condivisibile.
Non significa poi che tutti dobbiamo fidarci di Matteo Renzi.
Io ad esempio no, non mi fido.

 

“DA ORSONI FRASI ASSURDE SU DI ME. CHI PATTEGGIA NON PUO’ GOVERNARE CITTA'”

 

Il concetto di “41%” di Renzi è lo stesso che ha permesso a berlusconi di poter ottenere un trattamento a dir poco inusuale per un condannato in via definitiva. 
Il suo giochino è stato sempre quello di ribadire di avere un consenso popolare. 
Il mantra dei milioni di elettori che lui e chi per lui hanno ripetuto ossessivamente e che anche in forza dei ripetuti inviti alla sobrietà di Napolitano verso la magistratura ha fatto tirare indietro la manina al giudice che poteva, eccome e a sua discrezione, decidere che silvio berlusconi anziché andare per 178 ore a farsi subire da incolpevoli vittime doveva invece soggiornare in una galera non 178 ore ma per tutto il periodo previsto dalla sua condanna.
Il consenso non è il viatico per fare come si vuole, non è un’autorizzazione a delinquere protetti dalle varie immunità che questo stato offre ai politici, non è affatto l’assicurazione di cui si fa forte Renzi per poter fare quello che gli pare.
Non funziona così, non può funzionare.

Il Partito di Io – Alessandro Robecchi per “pagina99”

È presto per dire come finiranno le nuove mirabolanti avventure del Pd, se i senatori dissidenti rientreranno nei ranghi, con quale sopraffino barbatrucco semantico pronunceranno la loro abiura davanti al papa re che governa il partito e il paese. Quel che è certa, invece, è l’apoteosi dell’ego renziano. I miei voti, le mie riforme, eccetera eccetera. Io, io, io. Usare il consenso ottenuto come un lasciapassare totale è un vecchio vezzo. Berlusconi, per dire, si serviva dei suoi “dieci milioni di voti” per autoassolversi in sede penale. Più modestamente, Renzi, usa il “suo” 41 per cento per rimuovere qualche senatore da una commissione parlamentare. Apprendiamo dunque che il 25 maggio abbiamo votato per le elezioni europee e per far fuori un manipolo di dissidenti. Questa sì che è democrazia diretta. Diretta da Matteo.

Renzi, il bulletto che fa il premier
Alessandro Robecchi, Il Fatto Quotidiano

Chissà cos’hanno pensato i dirigenti del più grande Partito Comunista del mondo quando hanno visto Matteo Renzi occuparsi di Corradino Mineo. Abituati a leader occidentali che vanno lì a parlare dei dissidenti loro, vederne uno che da Pechino si occupa dei dissidenti suoi li avrà divertiti un bel po’. Poi, appena tornato in patria, il premier ha fatto tutta la classifica delle sue proprietà. Mio il 41 %, miei i voti delle europee, mio il partito, e mio anche il paese, che “non si può lasciare in mano a Corradino Mineo” (che è un po ’ come sparare alle zanzare con un lanciamissili, diciamo). Tipica sindrome del possesso: è tutto suo, ce ne sarebbe abbastanza per uno studio sul bullismo. Studio già fatto, peraltro, perché pare che il paese proceda di bulletto in bulletto. Prima quello là, il Bettino degli “intellettuali dei miei stivali”, che Renzi ha voluto rivisitare con i “professoroni”, con contorno di gufi e rosiconi (al cicca-cicca manca pochissimo, prepariamoci). Poi quell’altro, Silvio nostro, parlandone da vivo, che rombava smarmittato dicendo che “dieci milioni di voti” lo mettevano al riparo dalla giustizia. Non diversissimo dal nuovo venuto, secondo cui “dodici milioni di voti” (suoi, ça va sans dire) sono un’investitura per fare quello che vuole senza se e senza ma. Insomma, che le elezioni europee fossero un voto per la riforma del Senato era meglio dirlo prima, non dopo. Ora, si trema all’idea di cosa, ex-post, tutti quei voti possano giustificare, dallo scudetto alla Fiorentina alla riforma della giustizia, dalla rimozione dei senatori scomodi alla renzizzazione selvaggia del partito. Come sempre quando si va di fretta, non mancano i testacoda. IL “LO CAMBIEREMO al Senato” (il voto della Camera sulla responsabilità dei giudici), detto da uno che il Senato lo vuole abolire. Oppure il famoso lodo “Daspo e calci nel sedere” ai politici corrotti, che si è tramutato in silenzio di tomba quando il sindaco di Venezia è tornato, dopo un patteggiamento, al suo posto. Se n’è andato lui, Orsoni, e sbattendo la porta, senza nessun Daspo e nessun calcio nel sedere (pare che intenda tirarne lui qualcuno al Pd, piuttosto). Ora, forgiata una falange di fedelissimi (persino i giornali amici e compiacenti ormai li chiamano “i colonnelli”) è bene dire che nessuno si sente al sicuro. Ne sa qualcosa Luca Lotti che per zelo ebbe a dire che Or-soni non era del Pd: Renzi lo sbugiardò a stretto giro, come dire, va bene essere più realisti del re, ragazzi, ma ricordiamoci chi è il re. Tanto, che uno sia del Pd oppure no è irrilevante: quel che conta è si è di Renzi oppure no. Perché Giggi er bullo vince sempre. Se il Pd va bene è il suo Pd. Se va male è quello vecchio e mogio di Bersani. Un po ’ come il Berlusconi padrone del Milan, che si intestava le vittorie e scaricava le sconfitte sugli allenatori. Lo stile è quello. L’avesse fatto Bersani, di levare da una commissione un senatore sgradito (magari renziano, toh) avremmo sentito gemiti e lezioncine di democrazia fino al cielo, perché anche nel “chiagni e fotti” le similitudini non mancano. E qui c’è un po ’ di nemesi, a volerla dire tutta. Perché se fino a qualche tempo fa si poteva sghignazzare sulla gesta di Renzi, “Ah, l’avesse fatto Silvio”, ora siamo arrivati al punto di dire: “Ah, l’avesse fatto Pierluigi!”. Che è poi la storia di come procede a passi rapidi l’uomo solo al comando: si teorizzava qualche mese fa da parte renziana che come alleato Berlusconi fosse meglio di Grillo. Oggi si teorizza (anche coi fatti) che come socio per le riforme Berlusconi è meglio di alcuni senatori Pd, eletti per il Pd da elettori del Pd. Quanto ai soldatini, ai pasdaran e ai guardiani della rivoluzione renziana, che sgomitano per farsi notare dal capo, devono per ora limitarsi all’arte sublime del benaltrismo. Ad ogni nota stonata del loro conducator sono costretti ad argomentare: e allora Grillo? Come se davanti a una bronchite un medico intervenisse dicendo: e la polmonite, allora? Nel merito, niente. Poveretti, come s’offrono.

Purghe si ma democratiche  –  Marco Travaglio,  14 Giugno 2014

Ma che soave delicatezza, cari colleghi giornalisti! E quali flautati vocaboli state escogitando per non chiamare con il suo nome la brutale eliminazione dei dissidenti ordinata da Renzi e dai suoi giannizzeri, anche in gonnella, dalla commissione che deve (imperativo categorico) approvare la cosiddetta riforma del Senato, cioè l’abolizione dei suoi poteri e delle relative elezioni! Eppure le parole giuste le conoscete bene, perchè le avete usate per mesi e mesi, ogni qual volta Grillo e Casaleggio chiamavano gli iscritti a votare sull’espulsione di questo o quel dissenziente: purghe, ostracismi, stalinismo, fascismo, nazismo, metodi antidemocratici, autoritari, populisti. Ora che toccherebbe a Renzi (caso molto più grave perchè riguarda un partito strutturato che per giunta si chiama Democratico, e coinvolge il premier), invece, siete tutti velluto e vaselina: “tensioni nel Pd”, “stretta di Renzi”(Corriere),“Renzi attacca i ribelli Pd”, “lite sulle riforme”, “pasticciaccio brutto”, “rimozione” (Repubblica), “scontro nel Pd”, “sostituzione”,“Renzi: no veti” (l’Unità). Solo Pigi Battista – una volta tanto onore al merito – mette il dito nella piaga del doppiopesismo italiota. Intendiamoci. L’abbiamo scritto per alcuni sabotatori a 5 Stelle, che all’evidenza avevano sbagliato partito e che il Movimento aveva tutto il diritto di espellere (anche se poi lo fece con forme antidemocratiche e inaccettabili, senza dar loro la possibilità di difendersi e chiamando gli iscritti a un unico voto su quattro senatori con storie diverse, un po’ come sulla scelta di Farage che scelta non era perchè mancavano alternative all’altezza e adeguatamente supportate): i partiti e i movimenti non sono hotel con porte girevoli dove uno entra e fa il suo comodo. La disciplina di partito non è antidemocratica: è una delle basi della democrazia. Esistono regole d’accesso e di permanenza, e chi le viola può essere espulso, purchè con procedure trasparenti e garantiste. Ora, non pare proprio che Corradino Mineo abbia violato alcunchè: se la degradazione del Senato da Camera Alta del Parlamento a inutile dopolavoro di sindaci e consiglieri regionali nominati dalla Casta fosse stata prevista dal programma del Pd alle elezioni 2013, è ovvio che il dissenso di Mineo&C. sarebbe inaccettabile fino a giustificare l’esclusione dalla commissione e anche l’espulsione dal Pd. La controriforma del Senato però l’han partorita Renzi&B. a gennaio nel famigerato Patto del Nazareno che nessuno – tranne i due contraenti, leader di partiti che agli elettori si presentano come avversari irriducibili – ha il privilegio di conoscere nei dettagli. Quindi rispetto a cosa Mineo, Chiti & C. sarebbero traditori da punire?

Mercoledì il renziano Giachetti ha votato con FI, Lega e 70 franchi tiratori Pd la boiata sulla responsabilità diretta dei magistrati, contro il programma del Pd e il parere del governo Renzi: niente da dire? Intanto è stato appena eletto sindaco di Susa Sandro Plano, Pd e No-Tav: e ha preso i voti non perchè è Pd, ma perchè è No-Tav. Ora i vertici del Pd piemontese, infischiandosene degli elettori, minacciano di espellerlo perchè osa bestemmiare il dogma dell’Immacolata Grande Opera tanto caro a Chiamparino, Fassino e amici di Greganti assortiti, che però non compare nello statuto del Pd. Quale regole avrebbe violato Plano? Grillo e Casaleggio – secondo noi sbagliando – contestano la norma costituzionale degli eletti “senza vincolo di mandato”. Ma con che faccia chi – secondo noi giustamente – la rivendica spegne il dissenso di chi vorrebbe votare secondo coscienza contro il Patto del Nazareno, mai discusso da nessuno prima che fosse siglato aumma aumma?

Renzi dice: “Ho preso il 41% e si vota a maggioranza”. Giusto, anche se il 41% l’ha preso alle Europee (dove non era neanche candidato). Ma votare a maggioranza non significa eliminare la minoranza, altrimenti il voto è bulgaro. L’anno scorso, quando il Pd di Bersani decise a maggioranza – secondo noi sbagliando – di mandare al Quirinale Franco Marini, i renziani rifiutarono – secondo noi giustamente – di votarlo. Ora vogliono negare ad altri il diritto di fare altrettanto: le purghe renziane profumano di Chanel numero 5.

 

E questa sì, che è barbarie

Mauro Biani

In un paese dove non arrivano nemmeno le bollette in tempo utile, a me le mandano puntualmente e sistematicamente già scadute e mi tocca litigare ogni volta con le aziende erogatrici dei servizi per colpa della Poste, è abbastanza singolare che una busta venga intercettata a poche ore dal suo invio. Complimenti all’eccesso di zelo degli operatori di Poste Italiane.

Come diceva la buonanima “a pensar male si fa peccato, ma…”

In ogni caso bisognerebbe modernizzarsi, nell’epoca del dissenso e della rivoluzione  2.0, quelle armate dei tweet veri e falsi,  la busta col proiettile è decisamente vintage.

***

Oscar Wilde diceva che la Bellezza non si spiega ma regna per diritto divino. Alda Merini invece le attribuiva il merito di fare luce sulle tenebre. Per non parlare dello stracitato “la Bellezza salverà il mondo”.
E forse è per questo che un’anonima e squallida funzionaria dello stato, una miracolata che in un paese normale sarebbe rimasta dietro le quinte della sua vita, nessuno avrebbe mai saputo nemmeno della sua esistenza ha pensato che in questo paese la Bellezza fosse quel di più che non ci possiamo permettere. Il progetto di eliminazione dello studio della Storia dell’Arte rientra nella riforma della ministra dei neutrini che ha ritenuto troppo costoso l’inserimento della Bellezza nelle scuole e che quindi si potesse  cancellare, pardon, ridurre [come se fosse meno grave] senza nessun dolore. I nazisti bruciavano i libri perché diffondevano cultura e sapere da sempre nemici di tutti i regimi. In questo terzo millennio democratico, repubblicano e occidentale si cancella dalle scuole la Storia dell’Arte e dunque della Bellezza fatta cultura.
Io non ci vedo molta differenza.

***

Grazie al presidente del senato che ha ricordato al senato, a gasparri – che gli dà del teppista – e forse anche a qualcun altro [altra] che i regolamenti si applicano e non si interpretano. A 48 ore dal rapporto della UE, riferito in modo errato dalla stampa ma che comunque non sposta di una virgola la situazione di questo paese  in cui la corruzione  strangola i cittadini,  le imprese, impedisce perfino la ricostruzione nelle zone terremotate come ci ha raccontato lunedì sera Riccardo Iacona a Presa diretta, Scelta Civica con la Lanzillotta si era unita alla destra di alfano, a forza Italia e alla lega negando la costituzione di parte civile dello stato contro il primo corruttore d’Italia. In questo paese chiunque, perfino gasparri, può chiedere le dimissioni e accusare impunemente di teppismo istituzionale il presidente Grasso che applica i regolamenti, mentre alla presidente della camera che li viola, o per meglio dire ne inaugura uno mai utilizzato in precedenza proprio perché permette di aggirare i regolamenti bisogna dire grazie per averlo fatto. Ma va tutto bene. Non ci dobbiamo preoccupare.
Sono sempre adorabili questi liberali e moderati che anche di fronte a dati allarmanti che riguardano anche e soprattutto l’elevato tasso di corruzione di questo paese  continuano a fare gli interessi di un delinquente corruttore. E’ proprio di questo centro destra moderno ed europeo che l’Italia sente il bisogno. Gente incapace di rendersi autonoma da un pregiudicato condannato, gente come casini che di fronte al pericolo di dover scollare il suo culo dalla poltrona dove risiede da una trentina d’anni torna a casa del papi come un Dudù qualunque. Tutto questo nell’interesse del paese, s’intende.

Per questo andrò a votare, se e quando ci rimanderanno a votare, solo se verrà realizzata una legge elettorale che non consenta più  alla Lanzillotta e al suo partito che non vale niente di essere determinante nelle votazioni parlamentari così come accadeva prima con casini e l’udc. L’ago della bilancia non può essere l’ultima ruota del carro né quella di scorta.
Perché una legge che permette a questi partitini che non contano niente di essere decisivi e in grado di far passare o meno una legge, di rendere nulla una votazione, che rende possibile che i parlamentari si vendano poi nei momenti di necessità al miglior offerente per fare numero com’è accaduto con De Gregorio è solo una rappresentazione grottesca, ridicola di una democrazia alla quale non mi va più di partecipare. 

 

Più solidarietà per tutti [tanto è gratis]

Preambolo: ma Riina che chiede di “mettere berlusconi in galera per tutta la vita”? 
Mica ha detto ci voglio fare un reato insieme, ha chiesto proprio la galera, e a vita per giunta.
Giustizialista!

Mi chiedevo inoltre se nei  76 chili del frigo di Francesco è compreso anche il peso delle corna della première dame. Bel furbacchione pure Hollande, prima si fanno i fatti loro, dichiarano guerre come Bush, le perseguono come Obama, tradiscono le mogli come Hollande e poi vanno a prostrarsi davanti alla loro santità per riguadagnare un’immagine pubblica. 
E le santità approvano, le guerre, le corna e molto altro, e aprono la porta a tutti. Intendiamoci, a me delle storielle di letto di Hollande non frega nulla. Al papa però in quanto capo di una religione che santifica il matrimonio e demonizza l’infedeltà sì, dovrebbe interessare. E questa visita a ridosso dell’ennesimo scandalo di sesso del potente in vaticano è quanto meno inopportuna. Se esiste una diplomazia dovrebbe fare il suo mestiere. Così invece è abbastanza comprensibile la ragione di questo incontro. E il problema è sempre il solito, ovvero che il potere che non viene mai condannato nemmeno moralmente può continuare, attraverso i suoi rappresentanti a fare il cazzo che vuole. Ai cittadini comuni questo non è permesso. Perché a loro, a noi il giudizio morale del prossimo può cambiare la vita. E non abbiamo nemmeno un papa che ci riabilita.

***

Sottotitolo: perché  ognuno può dire quello che vuole e non dire quello che dovrebbe al momento opportuno.
E allora succede che il presidente del consiglio abbia, con tre mesi di ritardo espresso la sua solidarietà a Nino Di Matteo, che come giustamente fa notare Marco Travaglio stamattina non è stato minacciato di morte dalla mafia ma “condannato” perché la mafia solitamente quando si prefigge un obiettivo poi riesce a centrarlo [ché non è mica un governicchio di larghe intese, la mafia] e per non far sembrare troppo grave quella condanna o troppo zelante la sua solidarietà – ché non sia mai lo stato si metta al fianco di chi lavora per lo stato e non invece di chi lo deruba – ha aggiunto la solidarietà anche a Piero Grasso condannato a fare il presidente del senato.

E, siccome le disgrazie non vengono mai sole, nessun giornalista di buona volontà è andato a chiedere a Enrico Letta come mai la solidarietà a Nino Di Matteo da parte di una parte delle istituzioni sia arrivata oltre il tempo regolamentare rispetto ad altre che hanno riguardato altre persone e altre situazioni meno gravi espresse quasi in tempo reale, né i motivi per i quali Piero Grasso ha bisogno anche della mia solidarietà.

***

LO SVUOTA-CARCERI LIBERA GOMORRA (Thomas Mackinson e Davide Milosa).

***

Giorni fa sentivo a radio Capital che in Italia a causa della crisi sono aumentati i reati di microcriminalità come i furti negli appartamenti, gli scippi e le rapine. 
Premesso che un furto in casa non ha mai una micro dimensione perché spesso e volentieri oltre al danno di ciò che viene sottratto chi entra in una casa senza chiavi deve trovare un modo per farlo. Io ad esempio, oltre alla perdita di oggetti di valore, alcuni di un valore semplicemente simbolico altri di valore e basta ho dovuto rifare per intero la porta di casa che mi avevano sradicato dal muro e, abitando in una casa che inizia dal pianterreno mettermi dietro le sbarre da incensurata. 
Una spesa che sul bilancio familiare incide e costringe a fare a meno di altre cose per un po’. Oltre a quelle di cui si era già dovuto fare a meno per motivi contingenti. 
E nemmeno uno scippo è un reato micro, perché spesso per strappare una borsa dalle mani si usa violenza, una persona può cadere, farsi male e il gesto violento lascia inevitabilmente delle conseguenze psicologiche, come anche il furto in casa. 
E, a meno che le persone che si rimetteranno in libertà con l’indulto non abbiano di che mantenersi una volta usciti dal carcere è facile presumere che riprenderanno la loro consueta attività criminosa. 
Del dramma dei detenuti si è discusso tante volte e ogni volta la conclusione è stata la stessa, cioè che non è rimettendo per strada persone che si mantengono abitualmente grazie a furti, scippi e rapine che si risolve quel dramma. Che il problema del sovraffollamento delle carceri è dovuto ad altri fattori quali leggi sbagliate ed un uso esuberante ed eccessivo della custodia cautelare. Oltre ovviamente al discorso strutturale che in questo paese nessuno vuole affrontare per rendere le carceri quel luogo di redenzione sociale umanamente vivibile e sostenibile come prevede il nostro diritto. 
E lo stato, nel momento peggiore del suo rapporto coi cittadini, nel momento in cui la fame costringe gente a rubare, invece di prendere provvedimenti che abbiano un effetto positivo per questo obiettivo di nuovo si mette contro i cittadini trovando nell’indulto, e cioè rimettendo per strada persone che hanno un cattivo rapporto con la società cosiddetta civile, l’unico modus operandi per sbloccare una situazione umanamente insostenibile. 
I cittadini vittime sempre e comunque delle scelte scellerate di una politica incapace di applicare con serietà le leggi che essa stessa produce. 
Alcuni, molti, vittime due volte. Ho sempre detto e scritto, perché lo penso, che la criminalità è un fatto umano che non si estinguerà se non con la fine dell’umanità. Ma imparare a convivere coi fenomeni sociali, anche quelli inevitabili non vuol dire doverli accettare, subire passivamente, e nemmeno significa subire passivamente le scelte e le decisioni di governi che agiscono in proprio e non secondo la volontà del popolo. Uno stato ha il dovere di tutelare i cittadini, di farsi sentire sempre al loro fianco, non costringerli a doversi confrontare continuamente con le paure e l’incertezza. Perché la paura mette pensieri sbagliati in testa, chi pensa male vive male e si comporta male a sua volta, votando anche male, lo abbiamo visto con la lega, con alemanno, gente che promette e ha promesso quel che non potrà mantenere e non ha mantenuto e sulle paure dei cittadini ci campa di rendita. 

***

Non sanno quello che fanno
Marco Travaglio, 25 gennaio

La verità è che noi i politici li sopravvalutiamo. Tutti. Pensiamo che dietro ogni loro parola, sguardo, scelta, proposta ci sia dietro chissà chi e che cosa. Invece, il più delle volte, c’è il sottovuotospinto, del resto facilmente riscontrabile nei loro sguardi persi nel nulla. È il principale difetto delle tesi complottiste: sono sempre molto affascinanti perché ogni complotto inizia regolarmente alcuni secoli fa, mette d’accordo centinaia di persone che manco si conoscevano, infila nella sceneggiatura potentissime banche d’affari, logge massoniche, potentati occulti e criminali, servizi deviatissimi e alla fine tutto torna.

Poi uno guarda in faccia Enrico Letta, Fassina, Angelino Jolie o l’ultimo acquisto Toti, ma pure i tecnici tipo Fornero, Saccomanni o Cancellieri, e deve arrendersi a un’evidenza più prosaica: questi non li manda nessuno, nemmeno Picone; si mandano da soli e, quando non rubano, non sanno quello che fanno. Intendiamoci: non è un’attenuante, è un’aggravante, visto che hanno in mano le nostre vite e i nostri soldi. E più sono incapaci più diventano burattini delle lobby. La supertecnica Fornero allungò l’età pensionabile, poi si stupì molto perché aumentavano i giovani disoccupati e gli esodati, cioè i lavoratori espulsi in anticipo e rimasti senza più uno stipendio e senza ancora una pensione. Chi l’avrebbe mai detto, eh? Pure Saccomanni pareva questo granché, poi l’abbiamo visto all’opera con l’Imu. La Cancellieri ha passato la vita a fare il prefetto: se la macchina dello Stato non la conosce lei, siamo freschi. Invece conosce solo Ligresti. Ha fatto una legge svuotacarceri che non svuota una mazza, come le precedenti di Alfano e Severino (altri due geni). L’altro giorno, con l’aria di chi passa di lì per caso, ha spiegato (a noi) che abbiamo 9 milioni di processi pendenti, dunque ci vogliono l’amnistia e l’indulto. Come se uno avesse la casa allagata perché ha lasciato aperto il rubinetto della vasca da bagno e, anziché chiuderlo, svuotasse l’acqua col cucchiaino.

Pure il presidente della Cassazione Giorgio Santacroce invoca l’indulto per mettere fuori “chi non merita di stare in carcere”. Ma poi non spiega chi, di grazia, sarebbe in galera senza meritarlo, e perché ci sia finito, visto che il carcere è previsto dalle leggi dello Stato ed è il risultato di sentenze emesse dalla Cassazione che lui presiede. Dopodiché, in lieve contraddizione con se stesso, chiede di riformare la prescrizione che garantisce l’impunità a 200 mila imputati l’anno: ma lo sa o non lo sa che, se i prescritti venissero condannati, i detenuti raddoppierebbero? Che si fa: si aboliscono direttamente le carceri? L’altroieri Enrico Letta, con tre mesi di ritardo, ha trovato il coraggio di pronunciare il nome di Nino Di Matteo e di inviargli la solidarietà per le ripetute condanne a morte emesse da Totò Riina (lui le chiama eufemisticamente “minacce”). Poi però s’è spaventato di averne detta una giusta e ci ha aggiunto una fregnaccia: la solidarietà a Piero Grasso. Ohibò, si son detti tutti quanti, Grasso compreso: Riina ha condannato a morte anche Grasso e non ne sappiamo nulla? Niente paura: semplicemente il pentito La Barbera ha raccontato al processo Trattativa un fatto noto da 15 anni, e cioè che nel ’92, dopo Salvo Lima, Cosa Nostra progettava di uccidere Mannino, Martelli, i figli di Andreotti e Grasso. Poi cambiò idea. Ma Letta non sa nulla, infatti fa il premier. Oppure non gli pare vero di associare all’impronunciabile Di Matteo un personaggio che piace alla gente che piace: Grasso. E ha posto sullo stesso piano l’ordine emesso tre mesi fa da Riina di uccidere Di Matteo con l’attentato a Grasso annullato 22 anni fa: “Profonda solidarietà al pm Di Matteo e al presidente Grasso oggetto di minacce terribili”. Ieri anche Vendola, altro esperto, ha tributato “affettuosa solidarietà a Grasso e Di Matteo”. Niente solidarietà, al momento, per Mannino, Martelli e i figli di Andreotti. Letta e Vendola provvederanno fra 22 anni.

“Renziano lo dice a sua sorella”. E piddino anche a suo nonno

Questo paese è una vergogna, non c’è un angolo in cui rifugiarsi per poter trovare un po’ di pace, un punto da guardare per ritrovare non dico un ottimismo ma almeno il minimo di quella spinta che sappia dare un senso a quello che si fa, alle giornate, una motivazione nobile per alzarsi ogni giorno dal letto. Un paese dove si brucia un bambino di tre anni e il presidente della repubblica non dice una parola e non la dicono i presidenti di senato e camera solitamente loquaci rispetto ad altre situazioni anche meno importanti e gravi non se lo merita un futuro. In Italia l’adozione ai gay no ma l’affido al nonno ‘ndranghetista sì. Nessuno ha pensato che fosse una persona inadatta e inadeguata ad occuparsi di un bambino. Miserabili, che siano stramaledetti in questa e nelle loro prossime vite  tutti quelli che hanno ridotto l’Italia in macerie.

Il ministro che non c’è – Massimo Gramellini, La Stampa

Ma l’Italia ce l’ha un ministro dell’Interno? si chiede Antonio Barone nel suo blog sull’Huffington Post. A scandalizzarlo, a scandalizzarci, è il silenzio di Alfano intorno al rogo di Cocò, il bambino di tre anni ucciso e bruciato dalla ’ndrangheta. Quel gesto disumano, che ha cancellato definitivamente l’epica dei cosiddetti «uomini d’onore», scosso le coscienze e ispirato parole infuocate a Claudio Magris, è planato sulle spalle larghe del ministro senza lasciare traccia. In cinque giorni neppure una dichiarazione o un gesto che dessero la sensazione di uno Stato presente e, se non responsabile, almeno consapevole. Evidentemente Alfano considera ordinaria amministrazione che sul territorio italiano si consumino non solo i rapimenti dei familiari di un oppositore kazako, ma anche le mattanze infantili.  La storia di Cocò è ancora più complessa e avvilente per le strutture dello Stato: c’è di mezzo una mamma in galera con cui il piccolo ha convissuto dietro le sbarre, prima di essere affidato da una decisione demenziale al nonno pregiudicato. Ma neanche su questo Alfano ha trovato il tempo di dire qualcosa. Comprendiamo che i tormenti della legge elettorale ingombrino una parte imponente della sua pur vasta intelligenza. E siamo certi che abbia presieduto vertici su vertici per mettere nel sacco gli assassini di Cocò. Ma la politica è comunicazione. Un ministro che parla di listini bloccati e non di un fatto di sangue che ha sconvolto il mondo intero farebbe meglio a presentare le dimissioni. Pubblicamente, però. Altrimenti non se ne accorgerebbe nessuno.  

***

“Renziano lo dice a sua sorella” è da Oscar. Questi lorsignori permalosi devono smetterla. I giornalisti fanno i giornalisti, non i piccoli e grandi fans dei politici.

Il rapporto fra quel giornalismo che informa e la politica non è alla pari: perché il giornalismo ha il dovere di raccontare i fatti, anche quando sono spiacevoli per la politica, e il politico non deve e nemmeno per sogno rispondere con altrettante critiche, giudizi o rilasciando  patenti  di appartenenza ma con i fatti e le azioni che possono confutare e smentire ciò che dice il giornalismo. Qui invece i politici sono disabituati a trovarsi di fronte i giornalisti,  soprattutto sono disabituati alle critiche, non le vogliono, gli danno noia, scoprono altarini,  permettono di ricordare episodi che non sono affatto parte del passato, demagogia e retorica qualunquista ma le fondamenta di questo presente. E siccome il passato non lo possiamo cambiare, conoscerlo dovrebbe servire a non ripetere gli stessi errori. Dovrebbe: appunto.

 

“Mediaset è stata una delle società con il maggior rialzo in Borsa nel 2013, + 122%, e in un giorno solo il 19 dicembre +16,4%”.

Se malgrado le vicissitudini giudiziarie di un imprenditore in odor di mafia, quello entrato in politica appositamente per il salvataggio di se stesso dalla galera e delle sue imprese dal fallimento, quello che non pare ma è stato condannato alla galera per frode fiscale [capisco che l’argomento può annoiare ma anche a me irrita oltremodo che un delinquente processato e condannato in via definitiva possa ancora agire e muoversi da cittadino libero e onesto]: il reato che gli ha permesso di accrescere in maniera esponenziale il suo patrimonio le sue aziende continuano a guadagnare e crescere, nonostante e malgrado una crisi che sta uccidendo tutte le altre, significa che lo stato è un complice, altroché quel socio occulto che pretende la marchetta senza farti nemmeno godere che si portano dietro i cittadini italiani, quelli che se violano la legge lo stato non li manda per premio a fare le leggi ma che in galera ci vanno e ci restano.

***

LA BANDA DEI DISONESTI – Marco Travaglio, 24 gennaio 2014

Ricapitolando: siccome ogni detenuto sigillato al 41-bis ha diritto di trascorrere le ore di “socialità” con un suo simile per scambiare quattro parole, il Dap e la Dna designano per far compagnia a Totò Riina il capomafia pugliese Alberto Lorusso. La scelta, a posteriori, si rivela infelice perché Lorusso è uno specialista in linguaggi cifrati, con cui riesce a trasmettere fuori dal carcere i suoi messaggi criminali, seguitando a gestire le estorsioni nella sua zona fra Taranto e Brindisi. In ogni caso la Procura di Palermo non viene consultata e decide autonomamente di intercettare Riina, che s’è appena confidato con un agente sulla trattativa con lo Stato: insomma sembra in vena di parlare. Infatti le intercettazioni si rivelano proficue: il boss non parla nella saletta ricreativa del carcere di Opera, temendola imbottita di cimici; invece esterna a ruota libera nel cortiletto esterno, non sospettando di essere ascoltato anche lì, e svela retroscena interessanti e in parte inediti delle stragi e delle trattative con la politica, naturalmente tutti da verificare. Già che c’è, si scaglia con rabbia inestinguibile contro il pm Nino Di Matteo, ordinando di ammazzarlo in una strage modello 1992-’93.

È bene o è male che i magistrati vengano a sapere ciò che dice, auspica e progetta un boss irriducibile che ha sempre rifiutato di collaborare? Ovviamente è bene: le intercettazioni si fanno apposta. Se Riina progetta attentati, lo Stato può far di tutto per sventarli proteggendo le vittime designate. Se dice cose vere e verificabili, aiuta involontariamente la ricerca della verità. Se mente per depistare, i giudici possono scoprire perché lo fa e comportarsi di conseguenza. Chi può mai aver paura delle parole del boss? Nessuno, a parte chi ha la coscienza sporca e i suoi manutengoli.

Infatti Giuliano Ferrara, sul Foglio di casa B., parte subito lancia in resta, anche se non si capisce bene con chi ce l’ha e che diavolo vuole. Non l’ha capito neanche lui, infatti – nell’attesa di capirlo – invoca una commissione parlamentare d’inchiesta: che è comunque il sistema migliore per fare casino e buttare tutto in politica, cioè in caciara. Ieri sul Foglio un tal Merlo domandava pensoso “quale magistrato ha autorizzato le intercettazioni dei colloqui di Riina?”. La risposta – il pm Di Matteo e i suoi colleghi che indagano sulla trattativa – la sanno tutti quelli che seguono anche distrattamente la vicenda, dunque non Merlo. Altra domandona: “Qualcuno ha imbeccato Lorusso per pilotare le risposte di Riina?”. Basta leggere quei dialoghi per accorgersi che Lorusso si limita a chiedere e Riina risponde quel che gli pare. Terza domanda a cazzo: “Possibile che nessuno si attivi per difendere la presidenza della Repubblica mostrificata nelle parole del capomafia?”. Di grazia, chi dovrebbe difendere il Quirinale? E come? E da chi? Boh. “Il ministero della Giustizia tace”. E che potere ha il ministero di impicciarsi in un’indagine in corso? Le risposte sono affidate a un tal Buemi del Pd, quello che si opponeva alla decadenza di B. e che ora delira di un imprecisato “clima di linciaggio nei confronti delle istituzioni”.

In realtà Riina non lincia affatto Napolitano, anzi lo elogia, lo esorta a non testimoniare sulla trattativa e invita i suoi corazzieri ad assestare altre “mazzate nelle corna a questo pm di Palermo”. Dunque di che linciaggio parla questo tizio? Da parte di chi? In che senso? Boh. Sempre sul Foglio interviene Massimo Bordin convinto che, se Riina dice a Lorusso che bisogna ammazzare Di Matteo, allora Di Matteo è “beneficiario dell’operato” di Lorusso e Riina “supporta” il pm che vuole far saltare in aria. Bordin naturalmente raccomanda una scrupolosa verifica delle fonti e delle date. Infatti chiama Lorusso “Lo Verso”. Come Totò che, ne La banda degli onesti, chiama l’amico Giuseppe Lo Turco (Peppino De Filippo) Lo Turzo, Lo Curto, Turchesi, Turchetti, Lo Tripoli, Gianturco, Lo Struzzo, Lo Sturzo, Lo Crucco e Lo Truzzo. E questi sono gli esperti. Poi ci sono anche gli ignoranti.

Per quel che può servire, la mia solidarietà incondizionata al giudice Esposito

Quello che provo è sgomento, raccapriccio, rabbia e impotenza.

Mentre un pregiudicato, condannato, uno che non ha nemmeno più bisogno di essere rappresentato, descritto, del quale non dovrebbe servire sapere più niente ormai per destinarlo alla categoria cui si merita di appartenere che è quella dei fuori legge, dei delinquenti viene difeso dalle istituzioni e dalle istituzioni e dalla politica viene accolto, ascoltato, gli viene concesso di imperversare ovunque, lui e chi per lui perfino nei cieli d’Italia per continuare a mentire sulla sua innocenza, c’è un giudice che viene lasciato solo a dover affrontare persone, fra cui gente delle istituzioni – quelle stesse che dovrebbero difendere gli uomini e le donne dello stato – che lo diffamano, lo insultano, permettono che sui giornali di proprietà del condannato berlusconi si scrivano infamità sul suo conto. 

Nessuna voce, di quelle solite che sono sempre pronte ad offrire solidarietà a chiunque, anche a gente che sostiene il condannato delinquente e che solo per questo non la meriterebbe affatto si è levata per far sentire la sua vicinanza al giudice Esposito, non Piero Grasso, l’ex procuratore antimafia che dovrebbe conoscere bene il clima in cui sono costretti ad operare ed agire i giudici, la magistratura italiana da quando in questo paese si è concesso ad un fuori legge, a un delinquente per natura come recita il primo grado della sentenza di uno dei processi che lo riguardano, di potersi intromettere nelle faccende di stato.

Non la presidentessa della camera sempre pronta a bacchettare chi alza i toni, chi osa ricordare agli italiani lo scempio politico di cui sono vittime; non il presidente della repubblica che ha scelto il silenzio, non ritiene di dover spendere due parole nel merito delle vicende che riguardano il pregiudicato berlusconi, di una condanna che non deve essere eseguita e chissà perché.

Mi chiedo che razza di gente viva in questo paese e quanto altro sia disposta ad accettare se nemmeno dopo tre condanne si può dire di un delinquente che è un delinquente e considerarlo e trattarlo come si merita. Principalmente dalle istituzioni che fino a prova contraria non sono lì per tutelare gli interessi dei pregiudicati, nemmeno se si chiamano silvio berlusconi.

***

Esposito, giudice sotto tiro: è caccia alla bobina segreta dell’intervista

***

CSM: ciechi, muti e sordi
Marco Travaglio, 13 agosto

Quando il giudice Mesiano, reo di aver condannato il gruppo Berlusconi a risarcire De Benedetti per lo scippo Mondadori, fu pedinato e linciato da Canale5 e dagli altri house organ della ditta per i suoi calzini turchesi, il Csm intervenne in sua difesa con una pratica a tutela contro attacchi “che possono condizionare ciascun magistrato, specie quando si tratti di decidere su soggetti di rilevanza economica e istituzionale”. Il vicepresidente Mancino denunciò il “clima invivibile dove il potere è forte e può intimidire”. E persino il presidente Napolitano evidenziò “le inquietanti connotazioni della vicenda”. Era solo quattro anni fa, ma pare un secolo. Da due settimane, da quando ha letto la sentenza di condanna per B. nel processo Mediaset che gli era toccato in sorte, il presidente della Cassazione Antonio Esposito viene manganellato dal Giornale e altri fogliacci. Decine di pagine con accuse infamanti fondate sul nulla: tutto falso, tutte menzogne (vedi articolo di Marco Lillo). Eppure intorno a lui tutto tace. Tace Napolitano, troppo occupato a riflettere sull’“agibilità politica”del pregiudicato e a riceverne gli emissari. Tace Vietti, solitamente così garrulo. Non tace purtroppo il ministro Cancellieri, che sguinzaglia gl’ispettori come ai tempi di Biondi e Mancuso, mentre il Csm apre un fascicolo disciplinare contro Esposito. Illegale. L’ordinamento giudiziario 269/2006 sanziona “le dichiarazioni o interviste che riguardino soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione”, non quelli chiusi da sentenza definitiva. Come il processo Mediaset. Il giudice Esposito è solo, lasciato in pasto ai linciatori da chi, per legge, dovrebbe difenderlo. Se il Csm, dal presidente e dal vicepresidente in giù, non se la sente di fare il proprio dovere, tanto vale scioglierlo.

***

Mercedes, fango e bugie: il Giornale all’attacco di Esposito 
Marco Lillo, Il Fatto Quotidiano, 13 agosto

IL QUOTIDIANO DI FAMIGLIA DEL CONDANNATO DI ARCORE SCRIVE MENZOGNE CONTRO IL PRESIDENTE DELLA CASSAZIONE CHE LO HA GIUDICATO SULL’EVASIONE MEDIASET: ECCO QUALI.

Dopo la condanna di Silvio Berlusconi a 4 anni di carcere Il Giornale di Alessandro Sallusti ha dedicato una ventina di pagine al 72enne presidente della sezione feriale della Cassazione. Il 3 agosto parte Stefano Lorenzetto con un articolo basato sul suo ricordo di una cena del 2009 con il giudice Antonio Esposito: “Così infangava Berlusconi il giudice che l’ha condannato” è il titolo. Il pezzo viene pubblicato solo dopo la condanna, nonostante il direttore Sallusti fosse informato da giorni. Quando il magistrato Ferdinando Imposimato, presente alla cena, dice al Fatto di non aver sentito nulla del genere, Lorenzetto lo fulmina: Imposimato era lontano e poi è troppo amico di Esposito per essere credibile. La prova? “Una fonte affidabile mi assicura che il figlio fu registrato all’anagrafe con il nome di Ferdinando proprio in onore di Imposimato”. La fonte è attendibile perché intrattiene ‘relazioni confidenziali ’ con Esposito. Peccato che non abbia svelato a Lorenzetto un altro segreto: Ferdinando è il nome del padre di Antonio.

Il Giornale picchia duro anche dopo la pubblicazione dell’intervista di Esposito al Mattino. Nella sua smentita il giudice nega di avere risposto a una domanda sulla motivazione della condanna di Berlusconi. La frase “Berlusconi condannato perché sapeva” effettivamente non è farina del suo sacco e la sua risposta (riportata fedelmente dal Mattino) seguiva una domanda diversa e generale . Ma per Sallusti è “Il giudice bugiardo”. Dopo l’8 agosto Il Giornale pubblica tre pagine al giorno piene di accuse: Esposito fa il doppio lavoro a Sapri ed è stato trasferito d’ufficio dal CSM. Esposito accettava Mercedes in regalo e si appropriava di fascicoli sui vip per smania di protagonismo. Il giudice replica con i provvedimenti del CSM e dei giudici che hanno smontato le accuse riportate dal Giornale. La lettura incrociata di articoli e comunicati spiega bene come funziona la stampa berlusconiana.

SUL GIORNALE
IL CASO ISPI 

“Aveva un doppio lavoro, amministrava una scuola” 

IL GIORNALE SPARA l’8 agosto in prima pagina: ‘Lo strano doppio lavoro del giudice bugiardo’. Nell’articolo si legge: “Quando Antonio Esposito non sta in Cassazione fa un altro lavoro. Un doppio lavoro. (…) Esposito veste i panni del responsabile amministrativo di un pezzo di un’università telematica. Insieme alla moglie avvocato e alla figlia, il magistrato risulta referente per lo sportello Salerno/2 della Unicusano, ateneo privato romano (…) sul sito web dell’università come contatto per Sapri c’è proprio il numero di cellulare dell’alto magistrato. Illecito? No, magari no. Magari il buon giudice ha il via libera, l’ok, del Csm. Magari è normale”. Il Giornale torna sul tema tre giorni dopo per ricostruire il procedimento disciplinaresubito dal giudice alla fine degli anni novanta sulla scorta di una relazione redatta da un allora giovane capitano dei Carabinieri della stazione di Sapri: “Alla fine – scrive Il Giornale – è stata proprio la gestione dell’Ispi a determinare il trasferimento. ‘Dovrebbe essere provato – si legge nel provvedimento – che Esposito svolga attività ulteriori rispetto a quella dell’insegnamento per il quale è stato autorizzato dal Csm’ (…) Esposito – scrivono i consiglieri – poteva essere reperito sistematicamente presso i locali della scuola e i collegamenti con l’I-spi venivano tenuti anche in pretura’”.

IL TRASFERIMENTO 

“Rete di affari” e troppo protagonismo, per questo fu spostato

IL TITOLO DEL GIORNALE dell’11 agosto non lascia adito a dubbi: “La rete di affari di Esposito: ecco perché fu trasferito”. Il titolo sintetizza così la motivazione del trasferimento: “Con la sua scuola guadagna centinaia di milioni che gli permettono di avere una Jaguar, una villa a Roma e un motoscafo”. Secondo Il Giornale: “Il 7 aprile del ‘94 il plenum del Csm approvava a maggioranza la proposta di trasferimento d’ufficio dell’allora pretore di Sala Consilina, che venne destinato alla Corte d’Appello di Napoli”. Il Giornale entra nei dettagli: “Sulla scuola di formazione i consiglieri si soffermano a lungo, ipotizzando che il particolare tenore di vita del magistrato che risultava ‘proprietario di un villino a Roma, di una Jaguar e di un motoscafo avallassero l’ipotesi che l’Ispi avesse consentito la realizzazione di guadagni nell’ordine di centinaia di milioni’”. Inoltre, secondo Il Giornale, Esposito era accusato di avere “gravemente mancato ai propri doveri”. Il CSM, lo aveva trasferito perché “aveva celebrato nel ’91 un procedimento penale contro Maria Pia Moro per interruzione di pubblico servizio ‘senza che tale procedimento fosse compreso tra quelli a lui assegnabili’”.

CAMERA 

L’interrogazione del Pci lo accusa di “faziosità” 

ANCHE UN’INTERROGAZIONE parlamentare comunista è stata riciclata a distanza di 33 anni e promossa a sentenza sotto il titolo de Il Giornale: “Il magistrato inchiodato pure alla Camera”. Gli inviati a Sapri di Sallusti hanno recuperato il testo dell’atto del 1980 firmato dai deputati PCI Alinovi, Amarante e Vignola: “L’operato di Esposito è oggetto di universale riprovazione da parte della popolazione del mandamento per i comportamenti asociali e per la faziosità”.

MERCEDES 

Cene a sbafo e un’auto di lusso in regalo

L’ACCUSA PIÙ VELENOSA contro Esposito è quella del sottotitolo del Giornale dell’11 agosto: “Spuntano una Mercedes gratis e le cene a sbafo”. Nell’articolo si ricostruiscono le accuse rivolte da un consigliere del CSM a Esposito: “Sarebbe stata portata, per conto della ditta Palumbo (un costruttore della zona, ndr), una Mercedes di colore beige acquistata” da un direttore romano di banca “con chiavi nel cruscotto, sotto l’abitazione del dottor Esposito”.

IL GIUDICE REPLICA
IL CASO ISPI 

“Insegnava gratuitamente, il Csm lo aveva autorizzato”

IL GIORNALE OMETTE di dire – replica Esposito – che tutte le dichiarazioni di questo ufficiale (il capitano dei Carabinieri, ndr) più volte “rettificate e parzialmente difformi” tra di esse erano state smentite addirittura da numerosi militari della sua stessa compagnia e da un militare della Guardia di Finanza. Così conclusivamente motiva il CSM: “(…)contrariamente a quanto affermato dal capitano l’Ispi non era una società di capitali, il cui amministratore unico era la moglie del dr. Esposito, ma era un’associazione culturale senza scopo di lucro. A proposito dell’attività svolta dal dr. Esposito presso l’Ispi non è stato confermato quanto riferito dal teste, sia pure sulla base di notizie informalmente acquisite, di “impressioni”, di “conclusioni personali” in merito al ruolo di direttore, amministratore o organizzatore di Esposito, a un suo asserito potere di stabilire chi doveva essere ammesso e chi non doveva. È emerso, infatti, che “il magistrato svolgeva esclusivamente attività d’insegnamento, non si occupava in alcun modo direttamente o tramite la moglie dei profili gestionali dell’istituto, non ha mai fatto parte del consiglio d’amministrazione dell’ISPI”. Inoltre l’incarico era “ritualmente comunicato al Csm, autorizzato ed espletato gratuitamente”.

IL TRASFERIMENTO 

Accuse smentite dagli organi competenti già tredici anni fa 

IL TRASFERIMENTO d’ufficio da Sala Consilina a Napoli del 1994 venne annullato dal Tar del Lazio nel 1996 per “un progressivo sfaldarsi delle tesi accusatorie”. Nel 1998 il Giudice della Sezione Disciplinare del CSM dà ragione di nuovo a Esposito e nel 2000 il CSM torna sulla materia e sostiene che l’attività di Esposito presso l’ISPI è di “esclusivo impegno didattico, senza interessi patrimoniali, regolarmente autorizzata e di nessun intralcio per il normale svolgimento delle funzioni giudiziarie”. Anche sulla questione della “smania di protagonismo”, Il Giornale fa un buco nell’acqua. Il Csm così afferma: “Conclusivamente la celebrazione dell’udienza del 12/11/91 – Procedimento Fidia Moro – da parte del Dott. Esposito ebbe a rappresentare un atto di doverosa assunzione di responsabilità del dirigente di un ufficio giudiziario in assenza di un collega e non certo una disdicevole forma di protagonismo di cui manca in atti qualsiasi prova. Anzi gli elementi probatori raccolti sono di segno esattamente opposto in quanto i testi hanno univocamente riconosciuto l’imparzialità e la correttezza del Dott. Esposito”.

MERCEDES 

Fu comprata nel ‘77, era del ‘71 Aveva fatto 300mila km 

ESPOSITO ricorda che “la Mercedes 220D del 1971 è stata acquistata regolarmente nel 1977 con 300 mila km percorsi”. La vicenda “è stata archiviata perché “si è accertato, con prova orale e documentale, l’assoluta legittimità del-l’acquisto”. Esposito ha rinunciato alla prescrizione ottenendo l’archiviazione del Gip nel 1996. Mentre il CSM ha archiviato nel 1997 sulla base di “univoche acquisizioni documentali” come “l’assegno bancario di Esposito”.

CAMERA 

Il Consiglio superiore scrisse: “Un complotto contro di lui” 

IL GIORNALE OMETTE: “L’inchiesta apertasi a seguito delle interrogazioni venne archiviata dal CSM”. La motivazione descrive “un vero e proprio complotto contro Esposito (…) oggetto di un attacco scorretto nelle forme e illecito nei contenuti da parte di un gruppo di persone che per soddisfare un loro sentimento di vendetta (…) non hanno esitato a costruire a tavolino gli elementi di accusa ed a coinvolgere nell’operazione anche rappresentanti del Parlamento”.

 
 
 

La mafia uccide, il silenzio pure

”Bisogna trarre le dovute conseguenze dalle vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituiscono reato, ma li rendevano inaffidabili nella gestione della cosa pubblica. 
Questo giudizio non è mai stato tratto perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza.”

[Paolo Borsellino]

Quale alleato di governo dell’amico dei mafiosi – inutile ribadire chi si teneva in casa in qualità di stalliere lo statista più amato degli ultimi 153 anni e nemmeno che il partito col quale è ‘sceso in campo’ è stato confezionato da un condannato per mafia [e già questo dovrebbe bastare e avanzare per non prenderci nemmeno un caffè con uno così,  figurarsi farci alleanze di governo] andrà alle commemorazioni per la strage di via D’Amelio? chi ci mandano, l’ex superprocuratore antimafia, quello che è andato al funerale di un prescritto per mafia, il vicepresidente del consiglio che va a manifestare contro i Magistrati davanti ai tribunali e vende donne e bambini ai dittatori o ci andrà direttamente Napolitano a dire che “ventun anni fa non ci lasciammo intimidire?”

Chiedo.

Dice Napolitano, a proposito della vicenda del sequestro di Alma e Alua che si è trattato di una storia inaudita.
L’unica cosa veramente inaudita è che come al solito, come è sempre successo in questo paese i veri responsabili, seduti comodamente sulle loro poltrone in parlamento e protetti proprio da Napolitano che si fa premura di ‘avvisare’ – contro ogni regola costituzionale che non dà al presidente della repubblica la prerogativa di poter intimare alla stampa di farsi da parte, di smettere di insistere su certe faccende per non disturbare il meraviglioso idillio bipartisan e nemmeno di  dire al parlamento quello che deve fare – non pagheranno, in virtù, ça va sans dire, di quella ragion di stato che in Italia non ha mai protetto lo stato ma unicamente chi lo ha offeso, vilipeso e tradito.

Non facciamoci imbambolare dai parolai di regime: Napolitano non “blinda” proprio niente, il termine blindare sta a significare che bisogna proteggere, mettere in sicurezza qualcosa di molto prezioso dal pericolo che qualcuno lo possa rubare, e si fa fatica ad immaginare che ci sia qualcuno che vuole portarsi alfano e franceschini a casa sua, per dire.

Napolitano fa un’altra cosa, che non gli compete per Costituzione, e cioè IMPONE, che è tutt’altro dal blindare – parlando a nuora affinché varie suocere intendano – la durata di questo governo minacciando una catastrofe a cui dobbiamo credere sulla parola: la sua.

Io ho scelto di non fidarmi.

Taci, il kazako ti ascolta – Marco Travaglio, 19 luglio

Riccardo Mannelli

“Perché non parli?”, avevano domandato a Napolitano il Fatto e Gustavo Zagrebelsky. E ieri Napolitano ha parlato. 

Solo che non l’ha fatto per difendere l’onore del Parlamento, preso in giro da un vicepremier ridicolo e bugiardo. Né per tutelare l’immagine del Quirinale, unica istituzione (secondo noi a torto) ancora apprezzata dalla maggioranza degli italiani. Né per garantire la dignità dell’Italia, prostituita da B. e dai suoi servi ai peggiori tiranni di mezzo mondo e ridotta a provincia del Kazakistan. 

L’ha fatto – alla cerimonia del Ventaglio, che già fa aria da sé – per assolvere Alfano, il mandante e i complici; per apporre il timbro sulle sue tragicomiche bugie; e soprattutto per dare ordini al Parlamento, ai partiti, alle correnti e alla stampa, esortata – come già sugli scandali sessuali di B. e sul caso Montepaschi – ad autoimbavagliarsi per carità di patria. Il tutto con la scusa che bisogna tenere in piedi il governicchio Nipote, peraltro sostenuto dalla più ampia maggioranza mai vista. 

Mai, neppure nel lungo regno di Giorgio I, si era smantellata così sistematicamente la Costituzione come nel Supermonito di ieri, a colpi di congiuntivi esortativi d’irresistibile comicità involontaria: “si eviti”, “non ci si avventuri, “si sgombri il terreno”.

1) “Non ci si avventuri a creare vuoti e staccare spine”. Ma in Parlamento nessuno tenta di rovesciare il governo. Non esistono contro di esso mozioni di sfiducia. Ce n’è una individuale di M5S e Sel contro il cosiddetto ministro Alfano, destinata all’insuccesso anche se fosse affiancata da una dei renziani (peraltro subito rientrati all’ovile dopo il Supermonito). Ma, anche se fosse approvata, se ne andrebbe Alfano, non il governo: non sarebbe la prima né l’ultima volta che un ministro incapace viene sostituito (di solito da un altro incapace). E non spetta al Presidente della Repubblica decidere se, quando e chi debba sfiduciare governi o ministri. 

2) “Il governo in due mesi e mezzo s’è guadagnato riconoscimenti e apprezzamenti per la sua capacità di iniziativa e di proposta”. E da chi, di grazia: dai bradipi e dalle talpe? E quali iniziative, visto che il governo delle larghe attese non fa che rinviare i problemi (Imu, Iva, Irap, F-35, Porcellum ecc.)? 

3) “Si sgombri il terreno da sovrapposizioni improprie tra vicende giudiziarie dell’on. Berlusconi e prospettive di vita dell’eventuale governo”. A parte la perfetta definizione di “eventuale governo”, che significa “sovrapposizioni improprie”? Se i giudici accertano B. è un evasore, concussore e utilizzatore di prostitute minorenni, la maggioranza dev’esserne orgogliosa?

4) “Una storia inaudita, una precipitosa espulsione in base a una reticente e distorsiva rappresentazione e a pressioni e interferenze inammissibili di diplomatici stranieri”. Ora sta’ a vedere che la colpa è dei kazaki che interferiscono e non del governo che li lascia interferire. 

5) “Il governo ha opportunamente deciso di sanzionare funzionari che hanno assunto decisioni non sottoposte al vaglio dell’autorità politica. Per i ministri è assai delicato e azzardato evocare responsabilità oggettive”. Ma qui nessuno evoca responsabilità oggettive (che valgono solo nella giustizia sportiva). Semmai politiche, come da art. 95 della Costituzione: “I ministri sono responsabili… individualmente degli atti dei loro dicasteri”. O è abolito pure quello perché dà torto ad Alfano e noia a Re Giorgio?

6) “Il richiamo alle responsabilità del momento si rivolge anche alla stampa, perché la sollecitazione e l’amplificazione mediatica influenza molto parole e comportamenti dei politici”. Ma in base a quale potere costituzionale il capo dello Stato impartisce direttive alla stampa perché tradisca la sua missione di fare domande e dare notizie?

Viene quasi nostalgia del Minculpop, che almeno le veline ai giornali le passava con più discrezione. E comunque tutti sapevano di vivere sotto una dittatura. 
Oggi la democrazia muore, ma a nostra insaputa.

Chi va col kazako…di Massimo Rocca, il Contropelo di Radio Capital

Provo a trovare una motivazione positiva. Blindare Alfano oggi, dire che il governo non può cadere salvo contraccolpi irrecuperabili, significa poter dire le stesse parole tra dodici giorni se la Cassazione dovesse spedire al gabbio il Cavaliere. Poi, però, stremato mi rendo conto che col piffero che Napolitano ha speso le stesse parole in occasione dei tentativi semi eversivi in parlamento o al tribunale di Milano. E allora lascio perdere. Perché io non ne posso più di questo presidenzialismo mascherato e un po’ vigliacchetto cui siamo sottoposti senza contrappesi e nel silenzio della buona stampa. Cerco vanamente nella costituzione un articolo, un comma, un lemma che affidi al capo dello stato il potere di dire che un governo è insostituibile, perché se i contraccolpi sono irrecuperabili, il governo è ovviamente insostituibile. Mi chiedo chi come dove quando e perché abbia firmato questa sospensione dell’agibilità politica del paese, e come possa la sovranità popolare essere esercitata se le forme previste dalla costituzione, compresa l’assenza di mandato imperativo, sono state messe sotto sequestro sostanziale.

Ma che siamo kazakistani?

Commistioni

Sottotitolo: quando poche settimane fa è morta Margaret Thatcher nessun comitato sportivo ufficiale inglese  ha stabilito che si dovesse osservare il minuto di silenzio, è stato chiesto ai diretti interessati, ovvero ai tifosi, se fossero o meno d’accordo, alla loro risposta negativa il rifiuto è stato rispettato e non c’è stata nessuna commemorazione sui campi di calcio. 

Dunque hanno fatto benissimo all’Olimpico a fischiare il minuto di silenzio per Andreotti, visto che nessuno ha chiesto ai tifosi se fossero o meno d’accordo nell’osservarlo.
Inutile l’ipocrisia degli speakers che hanno parlato del momento di crisi della gente verso la politica. Quei fischi erano proprio e solo per il fu divo.

Se un ex procuratore antimafia promosso alla presidenza del senato va al funerale di un prescritto per mafia, in quale versione ci va: da ex procuratore antimafia, da presidente del senato, da conoscente dispiaciuto, da ipocrita così come c’è andata la maggior parte della gente che era presente ai funerali “in forma privata” di Andreotti o che altro?


E magari fra quindici giorni Grasso andrà anche a Palermo a fare il discorsetto di ordinanza a Capaci?
Ci sono cose che si devono fare e quelle che perfino un’istituzione può evitare di fare se vuole, se pensa che non siano opportune, la politica è fatta soprattutto di gesti simbolici, e malgrado l’avvocatessa Bongiorno ancora ieri parlava di un Andreotti “assoltissimo” così non è. 
E il presidente del senato, se ci teneva così tanto a non far mancare la sua presenza poteva benissimo limitarsi a mandare un telegramma di condoglianze suo personale, visto che non tutta l’Italia che adesso anche Grasso rappresenta è obbligata a commemorare Andreotti e a dispiacersi per la sua dipartita, invece di sedere in prima fila ai funerali del prescritto per mafia.

Andreotti non andò al funerale di mio padre. Preferiva i battesimi di Nando Dalla Chiesa – Il Fatto Quotidiano

Andreotti, Ambrosoli non commemora

Se l’è andata a cercare
Massimo Gramellini, La Stampa

Mentre il consiglio regionale della Lombardia rendeva omaggio al fantasma di Andreotti, il capo dell’opposizione Umberto Ambrosoli è uscito dall’aula. Suo padre, l’avvocato Giorgio, fu ammazzato sotto casa in una notte di luglio per ordine del banchiere andreottiano Sindona: aveva scoperto che costui era un riciclatore di denaro mafioso. Trent’anni dopo Andreotti commentò l’assassinio di Ambrosoli con queste parole: «Se l’è andata a cercare». 

Il perdono è una cosa seria. E’ fatto della stessa sostanza del dolore e si nutre di accettazione e di memoria, non di ipocrisie e rimozioni forzate. La morte livella, ma non cancella. Con buona pace del quotidiano dei vescovi che ieri titolava: «Ora Andreotti è solo luce». Per usare una parola alla moda, Andreotti era divisivo. Lo era da vivo e lo rimane da morto. Purtroppo anche Ambrosoli. Perché esistono due Italie, da sempre. E non è che una sia «buona» e l’altra «cattiva», una di destra e l’altra di sinistra (Giorgio Ambrosoli era un liberale monarchico). Semplicemente c’è un’Italia cinica e accomodante – più che immorale, amorale – che non vuole cambiare il mondo ma usarlo. E un’altra Italia giusta e severa – più che moralista, morale – che cerca di non lasciarsi cambiare e usare dal mondo. Due Italie destinate a non comprendersi mai. Un’esponente lombarda del partito di Berlusconi ha detto che il figlio di Ambrosoli ha mancato di rispetto al morto. Non ricorda, o forse non sa, che anche Andreotti aveva mancato di rispetto a un morto. Quell’uscita dall’aula se l’è andata a cercare.

QUANDO IL DIVO DISSE: “SE L’ANDAVA CERCANDO”

Il dottor Ambrosoli  ha fatto benissimo.  

Le cattive abitudini si correggono solo con azioni educative, con gesti esemplari, e quella di Ambrosoli lo è stata, così come è illuminante l’articolo di Nando Dalla Chiesa.

Oggi non sa solo chi non vuole sapere e nessuno è obbligato a dovere del rispetto ad una persona morta, se quel rispetto non ha saputo conquistarselo da viva.

Uno dei miei punti di riferimento  è una  donna nera che una sera, tornando dal lavoro, rifiutò di cedere il suo posto sull’autobus che a quei tempi era  riservato solo ai bianchi.

Con quel semplicissimo NO diede il via ad una rivoluzione  senza precedenti: il segno che bastano anche i piccoli gesti simbolici a cambiare le cose. 

Qui ci vorrebbero meno politici e più Rose Parks.

 E se sparissero finalmente tutti gl’ ipocriti, corrotti, conniventi con tutte le mafie, opportunisti, invece di essere infilati nelle commissioni preposte al controllo degli apparati dello stato sarebbe una grande conquista di civiltà per l’Italia.

“Ha una vaga idea la signora della storia di quegli anni? ci sono anche dei libri, s’informi, e si vergogni”.

Bravo Cacciari, quanno ce vo’ ce vo’.


Le lingue di Menelik
Marco Travaglio, 8 maggio

Nel 1889 l’ambasciatore italiano ad Addis Abeba siglò un trattato di amicizia con il negus Menelik, imperatore d’Etiopia, dopo la conquista dell’Eritrea. La firma avvenne nell’accampamento del Negus, a Uccialli. Ma ben presto i due paesi tornarono a litigare, perché il trattato diceva una cosa nella versione in lingua italiana e un’altra in quella in lingua amarica. Nella prima, l’Etiopia diventava un protettorato italiano e il Negus affidava la politica estera etiope al nostro governo. Nella seconda, il Negus poteva delegare la politica estera all’Italia quando voleva, e quando non gli conveniva poteva fare di testa sua. Una furbata all’italiana per consentire a entrambi i governi di presentarsi come vincitori agli occhi dei rispettivi popoli. Naturalmente la magliarata durò pochi mesi: poi Menelik, senz’avvertire Roma, strinse rapporti diplomatici con la Russia e la Francia. E riesplose la guerra. La storia ricorda quel che sta accadendo nel Pd: da quando, non bastandogli il suicidio sulla via del Colle, ha deciso di suicidarsi una seconda volta (impresa che può riuscire solo al Pd) sulla strada di Palazzo Chigi, non passa giorno senza che un dirigente del Pdl lo richiami ai “patti”: sui ministri, sui sottosegretari, sull’Imu, sulla giustizia, sui presidenti di commissione. E pare che quei patti ci siano, senza errori di traduzione. Nulla di strano: quando due partiti decidono di governare insieme, è normale che prendano accordi. Gli elettori del Pdl lo sanno e, se va bene a B., buona camicia a tutti. Viceversa gli elettori del Pd non devono saperlo: questa almeno è l’illusione dei dirigenti che da vent’anni li raggirano, estorcendogli i voti in nome dell’antiberlusconismo e poi usandoli per inciuciare con Berlusconi. Ora però, nel raggiro, c’è un salto di qualità. Due mesi fa la parola d’ordine era “mai con B.”. Un mese fa era “con B. solo per il Quirinale”. Due settimane fa era “con B. solo per un governo di scopo di pochi mesi: legge elettorale e si torna a votare”. Ora è “con B. per un governo di legislatura e la riforma della Costituzione”. Nel timore che domani si passi a “con B. per un partito unico guidato da B.”, la base si sta ribellando in tutt’Italia. Il che spiega perché il Pd resta senza segretario: così i dissidenti non sanno a chi tirare i pesci in faccia.
Ma quali siano i patti stipulati da Letta e B. nel famoso incontro clandestino con lo zio Gianni, l’hanno capito tutti. Il governo Letta — come l’Italia descritta da Corrado Guzzanti nei panni di Rutelli con la voce di Sordi — “non è né di destra né di sinistra: è di Berlusconi”. Lui l’ha voluto, lui ha scelto il Premier Nipote e i ministri che contano, lui decide il programma (anche perché il Pd ne ha diversi, cioè nessuno), lui detta i tempi, lui staccherà la spina quando gli farà comodo. Intanto le questioni che gli stanno a cuore, cioè la giustizia, la tv, le autorizzazioni a procedere e le ineleggibilità sono cosa sua. Dunque il sottosegretario alle Comunicazioni è Catricalà e il presidente della relativa commissione è Matteoli. Il presidente della giunta delle immunità è La Russa. Il presidente della commissione Giustizia sarà Nitto Palma o, se non passa, Ghedini. Il presidente della giunta delle elezioni sarà un leghista. Il tutto, beninteso, coi voti determinanti del Pd. Ora B. vorrebbe anche la Convenzione (“come da accordi”, dice lui), che comunque spetta di diritto al Pdl, visto che il centrosinistra col 29% dei voti ha occupato le prime quattro cariche dello Stato. Ma il Pd si oppone, come se tra B. e qualche suo servo ci fosse qualche differenza. Ragazzi, giù le maschere e via le lingue di Menelik: l’han capito tutti che vi siete messi d’accordo con B. Dategli pure ‘sta Convenzione e non se ne parli più. Dopo la faccia, evitate almeno di perdere tempo.

Ps. Complimenti all’ex procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. L’altroieri era ai funerali di Agnese Borsellino, ieri a quelli di Giulio Andreotti.

Meno male che Marco c’è

Preambolo: SENTENZA STORICA Mediaset  perde contro Travaglio  

Quest’anno le vacanze a Travaglio le paga silvio: non è meraviglioso?

Sottotitolo: se a centrosinistra vinceranno le elezioni hanno detto di voler fare una legge per evitare la commistione fra la Magistratura e la politica [per quella con la mafia invece no, ci vorrà ancora un po’ di tempo: il paese non è pronto e la gggente non capirebbe].

I Magistrati, untori del terzo millennio, alla politica non si devono avvicinare né per fare il loro mestiere, ché mandare in galera i politici delinquenti non è bello e non si fa per le ragioni di cui sopra frapparentesi, e nemmeno per occuparsene da cittadinanza attiva come società civile.
Gli avvocati, gli imprenditori, i banchieri, gli stessi magistrati che già c’erano, Nitto Palma e tutta la lista che cita stamattina Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano che sono entrati in parlamento hanno forse dato le dimissioni? c’è gente che svolge dieci professioni, tutte regolarmente strapagate, e non si sogna minimamente di lasciare quello che faceva per andare a fare il sottosegretario, il ministro, il presidente del consiglio.

Ingroia però sì, si deve dimettere perché sennò non è credibile.

Un uomo onesto e perbene  che dice di voler fare politica per un paio d’anni deve essere messo in condizioni di scegliere, cosa che non è stata pretesa per NESSUNO.

Nel paese che galleggia nel conflitto di interessi fa paura un Magistrato che decide di voler andare a vedere coi suoi occhi quello che succede nella stanza dei bottoni.
La politica ha una grande responsabilità non avendo fatto quelle leggi per tutelare il paese ed evitare che gente che faceva un altro mestiere fosse in qualche modo costretta a doversi occupare della politica.
Con una legge sul conflitto di interessi non saremmo mai arrivati fino a qui.
Per non parlare dell’idiozia che per cacciare dal parlamento i delinquenti si debba aspettare una sentenza e che, addirittura, vengano rimandati i processi che riguardano berlusconi per non disturbargli la campagna elettorale.
Queste cose le diceva anche Borsellino ma chissà perché quando si evocano Falcone e Borsellino lo si fa sempre per tutt’altre argomentazioni.
Non è colpa di Ingroia se fare il magistrato antimafia in Italia significa doversi poi occupare inevitabilmente anche di politica visto che entrambe sembrano non poter fare a meno l’una dell’altra.

Dico da sempre che in un paese normale ognuno farebbe il suo mestiere, ma se la politica non è in grado di badare a se stessa e pretende che dei politici disonesti, collusi e conniventi con la mafia non se ne occupi la Magistratura quando è il caso – cioè quasi sempre, basta pensare alla vicenda Ilva –  mi sembra altrettanto inevitabile che qualcuno, estraneo alla politica,  un bel giorno decida di  rimboccarsi le maniche per dare il suo contributo e cercare  di porre rimedio ad una situazione/condizione diventata insostenibile.La politica non deve più essere una sorta di privilegio riservato alla solita élite dei soliti noti, dei loro amici, parenti e conoscenti: prima lo capiamo tutti meglio è.

Ingroia ha già detto che non tornerà a fare il Magistrato in Sicilia,  e non si capisce perché  chi  oggi pretende tutto da Grillo e da Ingroia non lo abbia fatto anche coi politici di professione dai quali, invece, ha accettato il tutto e l’oltre. 

Che paese timoroso è diventato l’Italia, è bastato un Renzi per mandarlo in confusione…

Boccassini vs Ingroia, sarà colpa della politica?

 
Leggo che anche Daria Bignardi e quell’eminenza giornalistica di Beppe Severgnini hanno cazzeggiato su Ingroia ieri sera alle Invasioni barbariche su la7.
Quindi dopo Sallusti, Santanché, D’Alema, Boccassini, Casini, Romano [ideatore lista Monti], Berlusconi, Granata, Carfagna, Finocchiaro,  varie testate giornalistiche considerate financo di sinistra perché sostengono il piddì  chi sarà il prossimo o la prossima? staremo a vedere, l’elenco è in aggiornamento.
Meno male che Travaglio c’è: il suo fondo di oggi è un vero faro nella nebbia.
E mi rasserena il fatto che molti dei concetti che ha espresso sono gli stessi che scrivo anch’io da ieri un po’ ovunque.
Idealizzazioni a parte, che non mi riguardano, io non sono una fan del giornalista come chi lo considera una specie di rock star, penso che sia un professionista molto al di sopra della media di quel che passa il convento Italia e che meriti non dico la stima, quella è una questione personale di ognuno, ma il rispetto sì, quindi sono molto più felice di essere in sintonia con lui che con i tanti detrattori che stanno spalmando fango e altro materiale organico e meno nobile da ieri sulla persona di Antonio Ingroia.
Fra questi ci sono anche giornalisti e professionisti che dovrebbero scrivere e parlare per smorzare una polemica inutilmente assurda ma ai quali invece piace tanto buttare altra benzina sul fuoco.
E non credo che lo stiano facendo per mero piacere personale.

Falconi e avvoltoi – Marco Travaglio, 31 gennaio

Conosco Antonio Ingroia da 15 anni e non l’ho mai sentito paragonarsi a Falcone o a Borsellino. Semplicemente gli ho sentito ricordare due dati storici: nel 1988, neomagistrato, fu “uditore” di Falcone; poi nell’89 andò a lavorare alla Procura di Marsala guidata da Borsellino, di cui fu uno degli allievi prediletti. Nemmeno l’altro giorno Ingroia s’è paragonato a Falcone. S’è limitato a ricordare un altro fatto storico: appena Falcone si avvicinò alla politica (e di parecchio), andando a lavorare al ministero della Giustizia retto da Martelli nel governo Andreotti, fu bersagliato da feroci attacchi, anche da parte di colleghi, molto simili a quelli che hanno investito l’Ingroia politico. Dunque non si comprende (se non con l’emozione di un lutto mai rimarginato per la scomparsa di una persona molto cara) l’uscita di Ilda Boccassini che intima addirittura a Ingroia di “vergognarsi” perché avrebbe “paragonato la sua piccola figura di magistrato a quella di Falcone” distante da lui “milioni di anni luce”. Siccome Ingroia non s’è mai paragonato a Falcone, la Boccassini dovrebbe scusarsi con lui per gl’insulti che, oltre a interferire pesantemente nella campagna elettorale, si fondano su un dato falso. Ciascuno è libero di ritenere un magistrato migliore o peggiore di un altro, ma non di raccontare bugie. Specie se indossa la toga. E soprattutto se si rivolge a uno dei tre o quattro magistrati che in questi 20 anni più si sono battuti per scoprire chi uccise Falcone e Borsellino. Roberto Saviano tiene a ricordare che “Falcone non fece mai politica”: ma neppure questo è vero. Roberto è troppo giovane per sapere ciò che, in un’intervista per MicroMega , Maria Falcone mi confermò qualche anno fa: nel ’91 suo fratello decise di usare il dissidio fra Craxi e Martelli per imprimere una svolta alla lotta alla mafia dall’interno del governo Andreotti, pur sapendo benissimo di quale sistema facevano o avevano fatto parte quei politici. Difficile immaginare una scelta più politica di quella. Ora però sarebbe il caso che tutti — politici, magistrati e giornalisti — siglassero una moratoria su Falcone e Borsellino, per evitare di tirarli ancora in ballo in campagna elettorale. Tutti, però: non solo qualcuno. Anche chi, l’estate scorsa, usò i due giudici morti per contrapporli ai vivi: cioè a Ingroia e Di Matteo, rei di avere partecipato alla festa del Fatto , mentre “Falcone e Borsellino parlavano solo con le sentenze”. Plateale menzogna, visto che entrambi furono protagonisti di centinaia di dibattiti pubblici, feste del Msi e dell’Unità, programmi tv, libri, articoli. Queste assurde polemiche dividono e disorientano il fronte della legalità, regalando munizioni a chi non chiede di meglio per sporchi interessi di bottega. Ma vien da domandarsi perché né la Boccassini né la Falcone aprirono bocca due anni fa, quando Alfano, ministro della Giustizia di Berlusconi, si appropriò di Falcone per attribuirgli financo la paternità della controriforma della giustizia. Né mai fiatarono ogni volta che politici collusi o ignavi sfilarono in passerella a Palermo negli anniversari delle stragi, salvo poi tradire la memoria dei due martiri trattando con la mafia, o tacendo sulle trattative, o depistando le indagini sulle trattative. Chissà poi dov’erano le alte e basse toghe che ora si stracciano le vesti per la candidatura di Ingroia quando entrarono in politica Violante, Ayala, Casson, Maritati, Mantovano, Nitto Palma, Cirami, Carrara, Finocchiaro, Carofiglio, Della Monica, Tenaglia, Ferranti, Caliendo, Centaro, Papa, Lo Moro, su su fino a Scalfaro. E dove spariscono quando si tratta di dedicare a Grasso le critiche riservate a Ingroia. Se poi Ingroia deve espiare la colpa di aver indagato su mafia e politica, di aver fatto condannare Contrada, Dell’Utri, Inzerillo, Gorgone e di aver mandato alla sbarra chi trattò con i boss che avevano appena assassinato Falcone e Borsellino, lo dicano.

Così almeno è tutto più chiaro.