“Renziano lo dice a sua sorella”. E piddino anche a suo nonno

Questo paese è una vergogna, non c’è un angolo in cui rifugiarsi per poter trovare un po’ di pace, un punto da guardare per ritrovare non dico un ottimismo ma almeno il minimo di quella spinta che sappia dare un senso a quello che si fa, alle giornate, una motivazione nobile per alzarsi ogni giorno dal letto. Un paese dove si brucia un bambino di tre anni e il presidente della repubblica non dice una parola e non la dicono i presidenti di senato e camera solitamente loquaci rispetto ad altre situazioni anche meno importanti e gravi non se lo merita un futuro. In Italia l’adozione ai gay no ma l’affido al nonno ‘ndranghetista sì. Nessuno ha pensato che fosse una persona inadatta e inadeguata ad occuparsi di un bambino. Miserabili, che siano stramaledetti in questa e nelle loro prossime vite  tutti quelli che hanno ridotto l’Italia in macerie.

Il ministro che non c’è – Massimo Gramellini, La Stampa

Ma l’Italia ce l’ha un ministro dell’Interno? si chiede Antonio Barone nel suo blog sull’Huffington Post. A scandalizzarlo, a scandalizzarci, è il silenzio di Alfano intorno al rogo di Cocò, il bambino di tre anni ucciso e bruciato dalla ’ndrangheta. Quel gesto disumano, che ha cancellato definitivamente l’epica dei cosiddetti «uomini d’onore», scosso le coscienze e ispirato parole infuocate a Claudio Magris, è planato sulle spalle larghe del ministro senza lasciare traccia. In cinque giorni neppure una dichiarazione o un gesto che dessero la sensazione di uno Stato presente e, se non responsabile, almeno consapevole. Evidentemente Alfano considera ordinaria amministrazione che sul territorio italiano si consumino non solo i rapimenti dei familiari di un oppositore kazako, ma anche le mattanze infantili.  La storia di Cocò è ancora più complessa e avvilente per le strutture dello Stato: c’è di mezzo una mamma in galera con cui il piccolo ha convissuto dietro le sbarre, prima di essere affidato da una decisione demenziale al nonno pregiudicato. Ma neanche su questo Alfano ha trovato il tempo di dire qualcosa. Comprendiamo che i tormenti della legge elettorale ingombrino una parte imponente della sua pur vasta intelligenza. E siamo certi che abbia presieduto vertici su vertici per mettere nel sacco gli assassini di Cocò. Ma la politica è comunicazione. Un ministro che parla di listini bloccati e non di un fatto di sangue che ha sconvolto il mondo intero farebbe meglio a presentare le dimissioni. Pubblicamente, però. Altrimenti non se ne accorgerebbe nessuno.  

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“Renziano lo dice a sua sorella” è da Oscar. Questi lorsignori permalosi devono smetterla. I giornalisti fanno i giornalisti, non i piccoli e grandi fans dei politici.

Il rapporto fra quel giornalismo che informa e la politica non è alla pari: perché il giornalismo ha il dovere di raccontare i fatti, anche quando sono spiacevoli per la politica, e il politico non deve e nemmeno per sogno rispondere con altrettante critiche, giudizi o rilasciando  patenti  di appartenenza ma con i fatti e le azioni che possono confutare e smentire ciò che dice il giornalismo. Qui invece i politici sono disabituati a trovarsi di fronte i giornalisti,  soprattutto sono disabituati alle critiche, non le vogliono, gli danno noia, scoprono altarini,  permettono di ricordare episodi che non sono affatto parte del passato, demagogia e retorica qualunquista ma le fondamenta di questo presente. E siccome il passato non lo possiamo cambiare, conoscerlo dovrebbe servire a non ripetere gli stessi errori. Dovrebbe: appunto.

 

“Mediaset è stata una delle società con il maggior rialzo in Borsa nel 2013, + 122%, e in un giorno solo il 19 dicembre +16,4%”.

Se malgrado le vicissitudini giudiziarie di un imprenditore in odor di mafia, quello entrato in politica appositamente per il salvataggio di se stesso dalla galera e delle sue imprese dal fallimento, quello che non pare ma è stato condannato alla galera per frode fiscale [capisco che l’argomento può annoiare ma anche a me irrita oltremodo che un delinquente processato e condannato in via definitiva possa ancora agire e muoversi da cittadino libero e onesto]: il reato che gli ha permesso di accrescere in maniera esponenziale il suo patrimonio le sue aziende continuano a guadagnare e crescere, nonostante e malgrado una crisi che sta uccidendo tutte le altre, significa che lo stato è un complice, altroché quel socio occulto che pretende la marchetta senza farti nemmeno godere che si portano dietro i cittadini italiani, quelli che se violano la legge lo stato non li manda per premio a fare le leggi ma che in galera ci vanno e ci restano.

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LA BANDA DEI DISONESTI – Marco Travaglio, 24 gennaio 2014

Ricapitolando: siccome ogni detenuto sigillato al 41-bis ha diritto di trascorrere le ore di “socialità” con un suo simile per scambiare quattro parole, il Dap e la Dna designano per far compagnia a Totò Riina il capomafia pugliese Alberto Lorusso. La scelta, a posteriori, si rivela infelice perché Lorusso è uno specialista in linguaggi cifrati, con cui riesce a trasmettere fuori dal carcere i suoi messaggi criminali, seguitando a gestire le estorsioni nella sua zona fra Taranto e Brindisi. In ogni caso la Procura di Palermo non viene consultata e decide autonomamente di intercettare Riina, che s’è appena confidato con un agente sulla trattativa con lo Stato: insomma sembra in vena di parlare. Infatti le intercettazioni si rivelano proficue: il boss non parla nella saletta ricreativa del carcere di Opera, temendola imbottita di cimici; invece esterna a ruota libera nel cortiletto esterno, non sospettando di essere ascoltato anche lì, e svela retroscena interessanti e in parte inediti delle stragi e delle trattative con la politica, naturalmente tutti da verificare. Già che c’è, si scaglia con rabbia inestinguibile contro il pm Nino Di Matteo, ordinando di ammazzarlo in una strage modello 1992-’93.

È bene o è male che i magistrati vengano a sapere ciò che dice, auspica e progetta un boss irriducibile che ha sempre rifiutato di collaborare? Ovviamente è bene: le intercettazioni si fanno apposta. Se Riina progetta attentati, lo Stato può far di tutto per sventarli proteggendo le vittime designate. Se dice cose vere e verificabili, aiuta involontariamente la ricerca della verità. Se mente per depistare, i giudici possono scoprire perché lo fa e comportarsi di conseguenza. Chi può mai aver paura delle parole del boss? Nessuno, a parte chi ha la coscienza sporca e i suoi manutengoli.

Infatti Giuliano Ferrara, sul Foglio di casa B., parte subito lancia in resta, anche se non si capisce bene con chi ce l’ha e che diavolo vuole. Non l’ha capito neanche lui, infatti – nell’attesa di capirlo – invoca una commissione parlamentare d’inchiesta: che è comunque il sistema migliore per fare casino e buttare tutto in politica, cioè in caciara. Ieri sul Foglio un tal Merlo domandava pensoso “quale magistrato ha autorizzato le intercettazioni dei colloqui di Riina?”. La risposta – il pm Di Matteo e i suoi colleghi che indagano sulla trattativa – la sanno tutti quelli che seguono anche distrattamente la vicenda, dunque non Merlo. Altra domandona: “Qualcuno ha imbeccato Lorusso per pilotare le risposte di Riina?”. Basta leggere quei dialoghi per accorgersi che Lorusso si limita a chiedere e Riina risponde quel che gli pare. Terza domanda a cazzo: “Possibile che nessuno si attivi per difendere la presidenza della Repubblica mostrificata nelle parole del capomafia?”. Di grazia, chi dovrebbe difendere il Quirinale? E come? E da chi? Boh. “Il ministero della Giustizia tace”. E che potere ha il ministero di impicciarsi in un’indagine in corso? Le risposte sono affidate a un tal Buemi del Pd, quello che si opponeva alla decadenza di B. e che ora delira di un imprecisato “clima di linciaggio nei confronti delle istituzioni”.

In realtà Riina non lincia affatto Napolitano, anzi lo elogia, lo esorta a non testimoniare sulla trattativa e invita i suoi corazzieri ad assestare altre “mazzate nelle corna a questo pm di Palermo”. Dunque di che linciaggio parla questo tizio? Da parte di chi? In che senso? Boh. Sempre sul Foglio interviene Massimo Bordin convinto che, se Riina dice a Lorusso che bisogna ammazzare Di Matteo, allora Di Matteo è “beneficiario dell’operato” di Lorusso e Riina “supporta” il pm che vuole far saltare in aria. Bordin naturalmente raccomanda una scrupolosa verifica delle fonti e delle date. Infatti chiama Lorusso “Lo Verso”. Come Totò che, ne La banda degli onesti, chiama l’amico Giuseppe Lo Turco (Peppino De Filippo) Lo Turzo, Lo Curto, Turchesi, Turchetti, Lo Tripoli, Gianturco, Lo Struzzo, Lo Sturzo, Lo Crucco e Lo Truzzo. E questi sono gli esperti. Poi ci sono anche gli ignoranti.

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