Dei delitti, delle pene e della giustizia che non è giusta

Sottotitolo: oggi sappiamo che indossare una maglietta con scritto “Speziale libero” che non è un reato ma secondo la nostra giustizia creativa può costituire un’aggravante in caso di somma di imputazioni ma andare a manifestare davanti e dentro i tribunali per invocare la libertà di un delinquente ladro, corruttore colluso con la mafia è un normale esercizio di libertà di espressione che non costituisce eversione nemmeno se fra quelli che lo hanno fatto c’è il ministro dell’interno di questo paese, lo stesso che dà ordini alle forze dell’ordine e che impone il daspo all’ultrà violento: quello che Renzi diceva di voler dare ai politici indagati e condannati ma probabilmente quando lo ha detto “stava a scherza’”.

Oggi sappiamo che si può tenere in una galera qualcuno dei mesi senza un processo, senza una sentenza che ne stabilisca la colpevolezza certa, che si possono spiattellare sui giornali anche i suoi fatti privati, tipo quante volte fa sesso con sua moglie o guarda dei filmini pornografici senza una santanchè che gridi alla violazione della privacy e nemmeno una Serracchiani che dica che non si è colpevoli fino al millecinquecentesimo grado di giudizio. Tutto questo e molto altro mentre il presidente del consiglio eleva a statisti riformatori, ovvero personalità alte e degne del compito di rivedere e correggere le norme costituzionali un condannato per frode, berlusconi, un plurindagato rinviato a giudizio per finanziamenti illeciti, Verdini e Donato Bruno,  indagato anche lui anche se non lo sa, dice che non lo hanno avvertito, è stato proposto per la Consulta, ovvero l’ultima stazione della difesa dei diritti di tutti.

 

***

L’umiliazione che poi diventa pubblica e materia per il gossip e il giudizio dei perbenisti ipocriti come metodo d’indagine.
Dunque ci sono dei magistrati che pensano che la frequenza dei rapporti sessuali coniugali di un ancora indagato ma che questo magnifico stato tiene in una galera da mesi sulla base di ipotesi non ancora certificate da una sentenza che ne stabilisca la colpevolezza, siano rilevanti per delinearne il profilo, così tanto da rendere pubblico il contenuto delle conversazioni fra Bossetti, il presunto assassino di Yara e i giudici che indagano su di lui.
Non si capisce a chi deve interessare se una coppia adulta guarda dei film porno, quante volte si unisce carnalmente e per quale motivo “notizie” di questo tipo devono diventare di dominio pubblico senza che nessuno difenda la vita privata di una persona che, benché sospettata di un omicidio, ha diritto a veder rispettati i suoi diritti fra cui anche quella privacy invocata sistematicamente per i politici mascalzoni.
Vale la pena di ricordare che sono state distrutte delle bobine dove erano registrate le telefonate fra il presidente della repubblica e un ex ministro indagato per aver mentito a processo proprio perché giudicate penalmente irrilevanti.
E nessuno saprà mai cosa si sono detti Napolitano e Mancino in quelle conversazioni, ma quante volte Bossetti faceva l’amore con sua moglie sì, si deve sapere.
Le persone normali fanno sesso e guardano anche i filmini porno se ne hanno voglia, e nel giudizio ultimo su Bossetti sulla sua colpevolezza o innocenza queste cose nel paese normale non dovrebbero costituire nessuna aggravante, in questo che è marcio e dove chi stabilisce e mette in pratica il diritto lo fa su indicazioni di chi è abituato a violarlo tutti i giorni, sì, sono un’aggravante, così tanto da meritare il pubblico ludibrio e la gogna mediatica. Cercavi giustizia, trovasti la legge” non è solo il ritornello di una canzone, in Italia.

***

Tutti ad applaudire lo stato quando arresta il delinquente di borgata, se napoletano è meglio perché i napoletani si sa, nascono con la criminalità nel dna e anche i romani non scherzano.
Probabilmente senza Gennaro De Tommaso la sera degli scontri all’Olimpico dai quali è scaturita poi la tragedia in cui ha perso la vita Ciro Esposito poteva accadere qualcosa di brutto anche all’interno dello stadio che però Genny, siccome è una carogna e conosce il linguaggio della strada ha potuto evitare che accadesse.
Ora le anime candide, già le vedo, penseranno che no, l’ordine nel paese normale lo gestisce lo stato, le forze dell’ordine che prendono ordini da quel sant’uomo di alfano e che non va bene che l'”antistato” della criminalità si sostituisca allo stato originale.
Giusto.
Ma allora non va bene neanche una persona più che vicina alla mafia, anzi proprio dentro la mafia, quella che fa saltare palazzi e autostrade stia collaborando non a rimettere ordine nella curva di uno stadio ma nella Costituzione di questa repubblica, persona che viene interpellata in materia di leggi e di regole per tutti.
Quindi mi dissocio dall’ipocrisia dilagante, quella di chi applaude il carabiniere che arresta il delinquente di periferia, lo stesso carabiniere che poi ci pesta il figlio in questura, per strada o nei sotterranei di un carcere fino ad ammazzarlo ma che diventa improvvisamente un eroe quando “accidentalmente” gli parte il colpo che ammazza chi un delinquente non era ma siccome era napoletano sicuramente ci sarebbe diventato.

***

Codice a sbarre – Marco Travaglio

“In Italia c’è una bandiera che sventola forte nel vento: questa bandiera è Matteo Renzi, dobbiamo riconoscerlo… Poi c’è una bandiera a mezz’asta che si chiama Berlusconi: vediamo di utilizzarla ancora, se è possibile”. Povero Cainano, va capito. A lui i giudici di sorveglianza, in cambio dei servizi sociali, hanno imposto varie prescrizioni, fra l’altro molto diverse da quelle cui era abituato: coprifuoco alle ore 23, obbligo di dimora ad Arcore o a Palazzo Grazioli, niente attacchi ai magistrati e soprattutto divieto di frequentare pregiudicati. Il che gli impedisce di andare a trovare Dell’Utri in carcere e di incontrare i tre quarti del suo partito. Renzi invece, almeno per ora, non ha di questi problemi. Infatti ha ricevuto il pregiudicato B. una volta al Nazareno e tre volte a Palazzo Chigi, molte meno comunque di Denis Verdini, che ieri ha collezionato l’ennesimo rinvio a giudizio (illecito finanziamento), dopo quello estivo per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta. Un amore. Ha voglia Bersani a chiedere di essere ascoltato anche lui: ha l’handicap insormontabile di essere incensurato.

“Vecchia guardia” da rottamare. B. & Verdini invece no. Da quando è salito a Palazzo Chigi, il giovin Matteo s’è fatto un sacco di nemici, sfanculando nell’ordine: i costituzionalisti, i senatori pidini dissidenti, il Parlamento tutto, i giornali italiani critici (praticamente uno), l’Economist, la Rai al gran completo, le autorità europee (ma solo a parole), il Forum di Cernobbio, Confindustria, i ministri Orlando e Giannini, l’Associazione nazionale magistrati, i sindacati, la minoranza del Pd, ovviamente i 5Stelle e molti altri gufi lumache avvoltoi rosi-coni conservatori per cui manca lo spazio. Gli unici con cui va d’amore e d’accordo sono Silvio & Denis. Il fatto di poter frequentare pregiudicati per lui non è un’opportunità: è un obbligo. E, già che c’è, lo estende anche agli indagati. Nel giro di sei mesi quello che si atteggiava a ragazzo pulito, lontano da certi brutti giri, s’è avvolto in una nuvola nera di habitué di procure e tribunali.   Barracciu, Del Basso de Caro, De Filippo e Bubbico al governo. Bonaccini candidato in Emilia Romagna. Rossi ricandidato in Toscana. De Luca candidato in Campania. D’Alfonso eletto in Abruzzo. Soru e Caputo paracadutati al Parlamento europeo. Faraone e poi Carbone in segreteria. Descalzi all’Eni. Papà Tiziano in famiglia. Prossimamente Donato Bruno alla Consulta. È la famosa “svolta garantista”: chi non ha ancora una condanna definitiva è illibato come giglio di campo.   Eppure lo Statuto del Pd, sempreché Renzi lo conosca (lo Statuto e il Pd), dice tutt’altro: “Condizioni ostative alla candidatura e obbligo di dimissioni. Le donne e gli uomini del Partito democratico si impegnano a non candidare, ad ogni tipo di elezione – anche di carattere interno al partito – coloro nei cui confronti… sia stato: a) emesso decreto che dispone il giudizio; b) emessa misura cautelare personale non annullata in sede di impugnazione; c) emessa sentenza di condanna, ancorché non definitiva, ovvero a seguito di patteggiamento; per un reato di mafia, di criminalità organizzata o contro la libertà personale e la personalità individuale; per un delitto per cui sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; per sfruttamento della prostituzione; per omicidio colposo derivante dall’inosservanza della normativa in materia di sicurezza sul lavoro…” o “sia stata emessa sentenza di condanna, ancorché non definitiva, ovvero patteggiamento, per corruzione e concussione”. Appena finirono dentro le cricche di Expo & Mose, il renzianissimo sottosegretario Luca Lotti annunciò: “Le parole di Matteo contro la corruzione sono un monito, ora diamoci da fare. La pulizia deve cominciare. Ogni strumento va affinato, corretto, messo a punto: il codice etico e lo Statuto sono da cambiare e soprattutto attuare”. Matteo aveva appena promesso il “Daspo” per i corrotti. Ma tutti avevano equivocato. Era solo l’acronimo di uno straziante appello a Silvio: dai sposami.

Punito per non aver commesso il fatto

Napolitano, un paio di giorni fa: “non si tratta coi facinorosi violenti”.
Coi delinquenti socialmente pericolosi però sì.
Se po’ ffà’.

***

 

Quello che ha punito Gennaro De Tommaso detto Genny [le carogne vere sono altre, come ci ricorda stamattina Marco Travaglio]  è un provvedimento discriminatorio e fascista fondato sul nulla, deciso da un ministro dell’interno che è andato per due volte, commettendo il reato di eversione, davanti e dentro i tribunali a chiedere libertà per berlusconi. In Italia circola ancora a piede libero un diffamatore seriale che ha messo a rischio l’incolumità fisica e la reputazione umana e professionale di un giudice oltraggiandolo con la menzogna per sei anni dalle pagine di un giornale che è stato graziato da Napolitano, lo stesso che due giorni fa invocava la legalità allo stadio. Alfano dovrebbe spiegare in base a quale reato ha interdetto gli stadi per cinque anni a De Tommaso. Quale sarebbe il reato e l’istigazione  nella frase “Speziale libero”.  In quale paese libero, democratico e con una Costituzione che chiede, ordina la libertà di espressione si può limitare la libertà di un cittadino solo per aver espresso un’opinione discutibile, odiosa quanto si vuole ma che non istiga a nessuna violenza, non richiama ad atti violenti con cui chiede la libertà di un detenuto condannato fra l’altro dopo un processo e una sentenza con molti punti oscuri tant’è che la Cassazione ha stabilito che il processo che ha condannato Speziale per l’omicidio Raciti è da rifare da capo.

De Tommaso, che ha mantenuto l’ordine dentro uno stadio evitando il peggio, ovvero si è sostituito allo stato che non lo sa fare,  ha pagato la figura di merda di uno stato che coi criminali di ogni ordine e grado ci ha sempre trattato salvo poi blaterare di lotte alle varie criminalità, organizzate e non.

Gennaro De Tommaso, alias Genny, è stato inibito per cinque anni dagli stadi mentre un criminale socialmente pericoloso se ne va ancora in giro a piede quasi libero, fatta eccezione che per poche ore di notte e può imperversare nelle televisioni a dire quello che gli pare. 
Francantonio Genovese non viene ancora estromesso dal parlamento perché non si riesce a trovare un attimo di tempo per decidere il destino di uno che dovrebbe stare in galera, altroché Daspo per cinque anni.
Io credo che finché non si metterà fine a questo corto circuito di inciviltà, di disuguaglianza nel metodo non ci saranno proprio gli estremi, gli ingredienti per qualsiasi discussione che abbia un senso.
Cinque anni di limitazione di libertà a De Tommaso, condannato per il reato di checazzoneso e berlusconi condannato alla galera vera invitato nei palazzi a fare le leggi e le riforme della Costituzione. Questo non è un paese, è un’arena in cui tanta gente vuole vedere il sangue degli ultimi.  A me non frega niente se De Tommaso va allo stadio o no ma m’interessa e molto che un criminale possa ancora decidere della vita di mio figlio.

In Italia e da sempre abbiamo la classe politica e dirigente peggiore al mondo ma anche una buona parte di cittadini peggiori del mondo se, per soddisfare l’esigenza di giustizia gli basta la punizione al tifoso violento, che poi mi piacerebbe sapere quale violenza avrebbe esercitato Gennaro De Tommaso detto Genny nei fatti di sabato sera all’Olimpico.
La maglietta con la scritta? E’ un’opinione, per molti discutibile, inaccettabile ma nessuno dovrebbe vietare a nessun altro di poter esprimere con una provocazione un proprio pensiero. In Italia, paese antifascista per Costituzione e dove il fascismo è stato messo al bando, fuori legge, si dà ancora la possibilità a gruppi di nazifascisti di riunirsi – occupando pezzi d’Italia, il paese antifascista – in simpatiche manifestazioni; ci sono esercizi commerciali, banchetti al mercato che possono esporre e vendere vessilli fascisti, bottiglie di vino e altre chincaglierie con frasi e immagini inneggianti al duce, a Predappio ogni anno va in scena l’orrido teatrino della commemorazione del capoccione ma nessuno ha mai pensato di fare una legge che lo vieti, di sanzionare l’amministrazione politica di Predappio né di far chiudere per cinque anni il negoziante che vende quegli oggetti.
Eppure, si potrebbe e si dovrebbe.

***

Lo Stato Carogna
Marco Travaglio, 7 maggio

Chi pensava che i peggiori pericoli per i magistrati antimafia venissero dalla mafia, soprattutto dopo le condanne a morte pronunciate da Riina, si sbagliava. Le minacce più insidiose arrivano sempre dal Palazzo. Il Csm – l’organo di autogoverno della magistratura che dovrebbe garantirne l’autonomia e l’indipendenza – ha inviato una circolare a tutte le Dda, cioè ai pool antimafia delle varie procure per raccomandare che ai pm che si sono occupati per 10 anni di mafia, camorra e ‘ndrangheta non vengano assegnate nuove inchieste in materia. Il diktat calza a pennello sulla Dda di Palermo, dove i principali pm titolari delle nuove indagini sulla trattativa Stato-mafia (rivolte al ruolo dei servizi segreti e della Falange Armata) hanno potuto finora occuparsene perché “applicati” dal procuratore Messineo. Nino Di Matteo è “scaduto” dopo i 10 anni canonici nel 2010, trasferito dalla Dda al pool “abusi edilizi” e da allora “applicato” per proseguire il lavoro sulla trattativa; Roberto Tartaglia l’ha seguito qualche tempo dopo; fra un mese scadrà anche Francesco Del Bene. La norma demenziale è contenuta nell’ordinamento giudiziario Castelli-Mastella del 2007, che appiccica ai pool specializzati delle procure (mafia, reati fiscali e finanziari, ambientali, contro la Pubblica amministrazione, contro le donne e i minori, ecc.) un bollino di scadenza come agli yogurt: appena raggiungono 10 anni di esperienza, cioè diventano davvero capaci ed esperti su una materia, devono smettere e occuparsi d’altro. Una mossa geniale: come se un’azienda, dopo aver impiegato tempo e risorse per formare un dirigente, lo spedisse a fare altre cose perché è diventato troppo bravo. Vale sempre il detto di Amurri e Verde: “La criminalità è organizzata e noi no”. Se la legge fosse stata già in vigore nel 1992, Cosa Nostra avrebbe potuto risparmiare sul tritolo evitando le stragi di Capaci e via D’Amelio, visto che quando furono uccisi Falcone e Borsellino indagavano sulla mafia da ben più di due lustri. Negli anni scorsi il bollino di scadenza ha falcidiato i pool antimafia di Palermo, Bari e Napoli, quello torinese creato da Raffaele Guariniello sulla sicurezza, la salute e l’ambiente (processi Thyssen, Eternit, doping…), quello milanese coordinato da Francesco Greco sui crimini economici (Parmalat, scalate bancarie, Enel, Eni, San Raffaele, grandi evasori). P
er non disperdere enormi bagagli di esperienza e memoria storica, i procuratori capi tentavano di limitare i danni “applicando” i pm scaduti a singole indagini. Ora, con la circolare del Csm, cala la mannaia anche su quella possibilità. Col risultato che una materia delicata e intricata come la trattativa, che richiede conoscenze ed esperienze approfondite, sarà affidata a pm che mai se ne sono occupati, privi dunque di qualunque nozione sul tema e magari ammaestrati da tutti gli attacchi (mafiosi e istituzionali) subìti dai colleghi che hanno osato scoperchiarla. Il fatto che Di Matteo sia il nemico pubblico numero uno tanto di Riina quanto del Quirinale non lascerà insensibile chi dovrà raccoglierne l’eredità. Magari toccherà a qualcuno dei neomagistrati che Napolitano ha arringato l’altroieri col solito fervorino alla “pacatezza”, al “rispetto”, addirittura all’“equidistanza” (testuale), contro il “protagonismo” e gli “arroccamenti”, per “chiudere i due decenni di scontro permanente” e “tensione” (fra guardie e ladri, fra onesti e mafiosi).
Non contento, il presidente più incensato e leccato del mondo (dopo Mugabe) ha poi evocato fantomatiche “aggressioni faziose” ai suoi danni, che il Corriere – sempre ispirato – attribuisce proprio a Di Matteo&C. per “intercettazioni illegali nell’inchiesta sulla trattativa”. Naturalmente le intercettazioni erano perfettamente legali, disposte da un giudice sui telefoni dell’indagato Mancino che parlava con il Quirinale. Ma anche questa ignobile calunnia sortirà prima o poi l’effetto sperato. Nessuno s’azzarderà mai più a intercettare un indagato per la trattativa: potrebbe parlare con il capo dello Stato.

***

Il legale degli ultrà: “Legittime le magliette” 

«Da sempre tifoso della Roma e frequentatore della curva dell’Olimpico», Lorenzo Contucci ha cominciato a occuparsi di Daspo per caso, sollecitato da conoscenti. Dopo centinaia di casi seguiti in tutta Italia, è diventato l’avvocato italiano più esperto in materia, tanto che una nota casa editrice gli ha chiesto di scrivere un compendio giurisprudenziale con i ricorsi che ha trattato. 

 

Quale fu il primo caso?  

«Un tifoso aveva ricevuto un avviso di procedimento per un Daspo alquanto vago, senza alcuna indicazione su quando, come, perché… Andammo al Tar, che lo annullò, stabilendo un primo principio di garanzia». 

 

Il caso più strano?  

«Quello dei tifosi della Roma a cui arrivò un Daspo per non aver pagato il biglietto del treno. Naturalmente il Tar annullò». 

 

Che cosa pensa dell’evocazione del modello inglese, che ha sconfitto gli hooligans?  

«Magari! In Inghilterra il Daspo viene deciso da un giudice, non dalla polizia. È un modello molto più garantistico». 

 

Quali sono i punti più critici in Italia?  

«Si sono succedute molte modifiche legislative pessime. La peggiore quella del governo Prodi nel 2007: prima il Daspo richiedeva una condanna o almeno una denuncia, ora si può fare anche senza». 

 

Qual è la conseguenza?  

«A me non è mai capitato un Daspo successivo a condanna. In genere arriva dopo una denuncia. Nel 50 per cento dei casi, il tifoso viene poi assolto nel processo, ma nel frattempo ha già scontato il Daspo: un’ingiustizia. Ma se non c’è nemmeno una denuncia alla base del Daspo, il tifoso non può sperare di ottenere un’assoluzione da un giudice penale. Il Daspo gli resta addosso senza possibilità di difendersi: un’ingiustizia al quadrato». 

 

E la durata?  

«All’inizio il limite massimo era un anno, poi fu portato a tre, ora sono cinque anni. Nei processi a rapinatori e spacciatori non mi è mai capitato un obbligo di firma così lungo. Ma evidentemente la pericolosità dei tifosi è ritenuta dal Parlamento superiore».  

 

Che ne pensa dell’idea di Alfano del Daspo a vita? 

«Incostituzionale. Le misure di prevenzione si basano su un giudizio di pericolosità attuale. Non è ammissibile una presunzione di pericolosità a vita, tanto è vero che non esiste la sorveglianza speciale a vita nemmeno per i mafiosi».

E della proposta di Daspo collettivo? 

«Non capisco che cosa voglia dire, ma forse è il caso di riparlarne dopo le elezioni. I politici italiani, anche con responsabilità di governo, parlano spesso di cose che non conoscono. Compresa la Costituzione».

Che cosa pensa del Daspo per chi indossa la maglietta pro Speziale? 

«Appunto che non si conosce la Costituzione. La libertà di manifestazione del pensiero, quando non diventa apologia di reato, è protetta dall’ombrello dell’articolo 21. Quella maglietta non inneggia all’uccisione di Raciti, ma sostiene l’innocenza di Speziale. Cosa che è legittimo fare anche se c’è una sentenza contraria. Ci sono già diverse pronunce di Tar e giudici ordinari che affermano questo principio, annullando Daspo a tifosi per striscioni di solidarietà a Speziale, ma si finge di ignorarle».

Perché, secondo lei? 
«Perché io difendo il quisque de populo. Ma se si stabilisse il principio che chi contesta una sentenza merita un Daspo, come farebbe Berlusconi ad andare ancora allo stadio?».