Se berlusconi può ancora vaneggiare a reti unificate di una sua onestà, così elevata al punto tale da fargli dire che Napolitano DEVE dargli la grazia anche senza che lui la chieda perché la sua dignità glielo impedisce, perché lui non ha fatto niente di male e niente di cui doversi pentire, quindi figuriamoci se un tribunale può condannarlo alla galera così come si fa con tutti i cittadini che commettono reati, è perché nessuno ha mai detto che il vero colpo di stato e allo stato di questo paese si chiama silvio berlusconi. Chi lo ha accolto a braccia aperte nonostante la legge e la Costituzione dicono di no, che uno così alla politica non si sarebbe dovuto accostare nemmeno per sbaglio dovrebbe chiedere scusa agli italiani e sparire dalla circolazione, altroché la rottamazione di Renzi e i vaffanculi di Grillo. Il pd si accorge adesso dell'”orgia di affermazioni eversive” del delinquente? berlusconi non ha fatto nient’altro da vent’anni e ci vuole solo la gran faccia di culo di d’alema per riproporsi alla politica di oggi, perché lui dovrebbe essere proprio il primo della lista di quelli che dovrebbero chiedere scusa e sparire. Che il finale sarebbe stato molto peggio di quello del Caimano di Moretti io lo dico da anni. Troppo spazio si è dato a questo spregevole individuo. L’informazione ha una grande responsabilità nel percorso di berlusconi di tutti questi anni. In un paese informato la gente sbaglia di meno. E non saremmo mai arrivati fino ad oggi. La Rai, la televisione pubblica pagata coi soldi di tutti che dà tutto quello spazio ai deliri farneticanti di un condannato alla galera di chi fa il gioco? lo chiedo a tutti quelli che “Santoro e Travaglio hanno fatto un favore a b.” nella famosa puntata di Servizio Pubblico.
B: “Voto sulla decadenza è colpo di Stato
Napolitano mi dia grazia senza richiesta”
B. prepara discorso in stile Craxi: “Vi vergognerete”.
Marco Travaglio è una cura per la memoria di questo paese disgraziato e presuntuoso fatto anche di gente che dice di sapere tutto mentre, e invece, non sa nulla e quel poco che sa lo mette da parte, lo dimentica. E quando qualcuno osa ricordarglielo viene trattato molto italianamente a pesci in faccia. I suoi due ultimi articoli, quello di ieri e di oggi sono da incorniciare più di altri non solo per la loro consueta precisione e dovizia di particolari scritti col suo solito linguaggio magistralmente ironico, in grado di arrivare ovunque e a tutti quelli che vogliono capire ma perché denotano un suo scoramento personale. E se anche un guerriero come lui si fa fregare significa che la situazione è più grave di quello che appare.
Mentre il giornalismo considerato autorevole, quello del Corriere della sera ad esempio che tramite Polito ci racconta che la politica può essere immorale sì ma fino a un certo punto, disonesta sì purché non lo sia in modo troppo sfacciato, ma anche di Repubblica che tramite il suo fondatore ci sta raccontando da mesi tutta la magnificenza della grande opera di Giorgio Napolitano, quel governo che non può cadere perché chissà che succederebbe dopo, come se non fosse già sufficiente conoscere quel che sta succedendo mentre, di un’irriconoscibile e inguardabile Unità che ha scelto da tempo di dimenticare che si può morire anche per difendere un’idea di libertà come è accaduto ad Antonio Gramsci che quel giornale ha costruito, mentre il caterpillar dell’informazione di regime travolge tutti quelli che si permettono di disturbare questa splendida armonia delle larghe e oscene intese Travaglio ci ricorda tutti i giorni che da qualche parte c’è chi lotta e s’impegna per combattere sul serio – non con le chiacchiere enunciate urbi orbi et sordi scritte nelle segreterie dei partiti, di palazzo Chigi e del Quirinale – il vero cancro di questo paese che non è l’antipolitica, il populismo, la demagogia tanto declamati con disprezzo, come se fossero nati dal nulla, nei discorsetti ufficiali delle varie rappresentanze dello stato ma è, è stato e sarà finché a questa lotta non si uniranno davvero e sul serio la politica e le istituzioni, la pericolosa vicinanza fra lo stato e quella criminalità mafiosa di cui la politica e le istituzioni non hanno la capacità, forse perché non possono, di liberarsi e liberare così anche questo paese e noi.
In un paese dove la politica e le istituzioni non avessero avuto niente da nascondere, nulla da cui doversi riparare coi silenzi, le omissioni e i segreti di stato uno come berlusconi non avrebbe mai potuto trovare tanto consenso, non gli sarebbe mai stato permesso di stravolgere un paese a sua immagine e somiglianza, non sarebbe mai stato considerato l’interlocutore da far sedere nelle stanze del potere.
In un paese libero dai ricatti il presidente della repubblica, del senato e della camera, il presidente fantoccio di un consiglio ridicolo oggi sarebbero al fianco della magistratura siciliana minacciata di morte, non sarebbero in silenzio a fare le controfigure di chi comanda davvero, non parlerebbero d’altro e molto spesso di niente di fronte alla tragedia di un’Italia martoriata dalla criminalità a tutti i livelli in grado di condizionare, minacciare, ricattare, impedendo quindi un normale decorso il più possibile democratico in questo paese.
Quindi io ringrazio e ringrazierò sempre Marco Travaglio e chi come lui mette la sua faccia davanti a parole pesantissime ma che descrivono, raccontano e spiegano perfettamente il perché questo paese è potuto cadere così in basso.
Alte discariche dello Stato – Marco Travaglio, 24 novembre
Perché Totò Riina è così inferocito contro Nino Di Matteo e gli altri pm del processo alla trattativa Stato-mafia? Secondo alcuni detrattori di quel processo, Riina dovrebbe esser grato ai pm per avere spostato l’attenzione dalle responsabilità di Cosa Nostra a quelle dello Stato. E allora perché l’ex (?) capo dei capi vuole ucciderli “come tonni”? Le possibili spiegazioni sono due. La prima: per ogni boss, il prestigio e la credibilità personali sono parte integrante del potere. La storia della trattativa dipinge invece un Riina feroce, ma anche – per così dire – ingenuo: mandato avanti a fare le stragi da chi – come disse Provenzano a Vito Ciancimino – “gli ha promesso qualcosa di veramente grosso”, poi coinvolto nella trattativa, poi indotto a eliminare Borsellino che la ostacolava e infine intrappolato dagli stessi Ros con cui aveva trattato, forse con la collaborazione di Provenzano. Non proprio una bella figura. La seconda spiegazione, peraltro sovrapponibile alla prima, riguarda l’oggi: finchè la trattativa fu una voce di pentiti perlopiù ignorata dalla grande stampa e dunque dai cittadini, lo scambio di favori fra Stato e mafia poteva continuare indisturbato. E infatti continuò fino a tre-quattro anni fa (il terzo “scudo fiscale” per il rimpatrio anonimo e quasi gratuito dei capitali sporchi è del 2009). Ma ora, complice la vasta eco suscitata dalle telefonate Mancino-Quirinale e dalla citazione di Napolitano come testimone, la trattativa è all’attenzione di tutti. Dunque è più difficile per la classe politica elargire altri regali alle mafie senza dare nell’occhio. Il che fa letteralmente impazzire i boss, specie quei pochi che marciscono al 41-bis da vent’anni, comprensibilmente stufi dei politici che li hanno usati “come merce di scambio” senza mantenere le promesse, non tutte almeno (lo ricordò Leoluca Bagarella nel 2002 dalla gabbia di un processo, leggendo un comunicato “a nome dei detenuti al 41-bis”, manco fosse un sindacalista). La revoca dei 41-bis a 334 mafiosi nel ’93, la legge “manette difficili” del ’95, la chiusura delle super carceri di Pianosa e Asinara nel ’97, l’abolizione dell’ergastolo (poi ritirata) nel ’99, la legge ammazza-pentiti Napolitano-Fassino del 2001 e i tre scudi fiscali dal 2001 al 2009 sono regali graditissimi. Ma l’aspettativa, nel ’92, era ben più pretenziosa: la posta in palio erano anche e soprattutto la revisione del maxiprocesso, il“fine pena forse”, la “dissociazione” a costo zero al posto del devastante pentitismo. Nonostante i generosi sforzi di destra e sinistra, questi obiettivi non sono stati raggiunti. B. pensava, sì, agli amici degli amici, ma soprattutto a se stesso. E oggi qualunque cedimento, anche se ammantato come sempre di “garantismo”, farebbe gridare alla nuova Trattativa, dunque viene stoppato sul nascere. Il tutto mentre la Seconda Repubblica sta declinando per cedere il passo alla cosiddetta Terza. Parte di Cosa Nostra vorrebbe infilarvisi alla solita maniera, quella delle stragi: ma il fatto stesso che le minacce si susseguano, finora fortunatamente a vuoto, indica che il fronte è spaccato: fra la vecchia guardia (alla Riina) che sa parlare solo con le bombe e quella nuova che (sulla scia di Provenzano) sa parlare anche altri linguaggi. Tra quell’incudine e quel martello, si muove Di Matteo con i suoi colleghi, in un processo che forse neppure lui immaginava così scomodo: non solo per lo Stato, ma anche per la mafia. Infatti, mentre la mafia lo minaccia, lo Stato lo processa davanti al Csm. Si dice sempre che un messaggio delle alte cariche dello Stato è come la sigaretta per il condannato a morte: non si nega mai a nessuno. Ma non è più così: in tanti mesi di minacce di morte, Di Matteo non ha mai ricevuto una riga di solidarietà, né pubblica né privata, da Napolitano (si chiama Di Matteo, mica Mancino), da Grasso, dalla Boldrini, dalla Cancellieri (si chiama Di Matteo, mica Ligresti). Silenzio di tomba. Almeno le urla belluine di Riina hanno il merito di farlo sentire un po’ meno solo.