“Vi vergognerete tutta la vita di avermi cacciato”. E per avercelo tenuto, chi si deve vergognare?

Se berlusconi può ancora vaneggiare a reti unificate di una sua onestà, così elevata al punto tale da fargli dire che Napolitano DEVE dargli la grazia anche senza che lui la chieda perché la sua dignità glielo impedisce, perché lui non ha fatto niente di male e niente di cui doversi pentire, quindi figuriamoci se un tribunale può condannarlo alla galera così come si fa con tutti i cittadini che commettono reati, è perché nessuno ha mai detto che il vero colpo di stato e allo stato di questo paese si chiama silvio berlusconi. Chi lo ha accolto a braccia aperte nonostante la legge e la Costituzione dicono di no, che uno così alla politica non si sarebbe dovuto accostare nemmeno per sbaglio  dovrebbe chiedere scusa agli italiani e sparire dalla circolazione, altroché la rottamazione di Renzi e i vaffanculi di Grillo. Il pd si accorge adesso dell'”orgia di affermazioni eversive” del delinquente? berlusconi non ha fatto nient’altro da vent’anni e ci vuole solo la gran faccia di culo di d’alema per riproporsi alla politica di oggi, perché lui dovrebbe essere proprio  il primo della lista di quelli che dovrebbero chiedere scusa e sparire. Che il finale sarebbe stato molto peggio di quello del Caimano di Moretti io lo dico da anni. Troppo spazio si è dato a questo spregevole individuo. L’informazione ha una grande responsabilità nel percorso di berlusconi di tutti questi anni. In un paese informato la gente sbaglia di meno. E non saremmo mai arrivati fino ad oggi.  La Rai, la televisione pubblica pagata coi soldi di tutti che dà tutto quello spazio ai deliri farneticanti di un condannato alla galera di chi fa il gioco? lo chiedo a tutti quelli che “Santoro e Travaglio hanno fatto un favore a b.” nella famosa puntata di Servizio Pubblico.

B: “Voto sulla decadenza è colpo di Stato
Napolitano mi dia grazia senza richiesta”

B. prepara discorso in stile Craxi: “Vi vergognerete”.

Marco Travaglio è una cura per la memoria di questo paese disgraziato e presuntuoso fatto anche di gente che dice di sapere tutto mentre, e invece, non sa nulla e quel poco che sa lo mette da parte, lo dimentica. E quando qualcuno osa ricordarglielo viene trattato molto italianamente a pesci in faccia. I suoi due ultimi articoli, quello di ieri e di oggi sono da incorniciare più di altri non solo per la loro consueta precisione e dovizia di particolari scritti col suo solito linguaggio magistralmente ironico, in grado di arrivare ovunque e a tutti quelli che vogliono capire ma perché denotano un suo scoramento personale. E se anche un guerriero come lui si fa fregare significa che la situazione è più grave di quello che appare.

Mentre il giornalismo considerato autorevole, quello del Corriere della sera ad esempio che tramite Polito ci racconta che la politica può essere immorale sì ma fino a un certo punto, disonesta sì purché non lo sia in modo troppo sfacciato, ma anche di Repubblica che tramite il suo fondatore ci sta raccontando da mesi tutta la magnificenza della grande opera di Giorgio Napolitano, quel governo che non può cadere perché chissà che succederebbe dopo, come se non fosse già sufficiente conoscere quel che sta succedendo mentre, di un’irriconoscibile e inguardabile Unità che ha scelto da tempo di dimenticare che si può morire anche per difendere un’idea di libertà come è accaduto ad Antonio Gramsci che quel giornale ha costruito,  mentre il caterpillar dell’informazione di regime travolge  tutti quelli che si permettono di disturbare questa splendida armonia delle larghe e oscene intese Travaglio ci ricorda tutti i giorni che da qualche parte c’è chi lotta e s’impegna per combattere sul serio – non con le chiacchiere enunciate urbi orbi et sordi scritte nelle segreterie dei partiti, di palazzo Chigi e del Quirinale – il vero cancro di questo paese che non è l’antipolitica, il populismo, la demagogia tanto declamati con disprezzo, come se fossero nati dal nulla, nei discorsetti ufficiali delle varie rappresentanze dello stato ma è, è stato e sarà finché a questa lotta non si uniranno davvero e sul serio la politica e le istituzioni, la pericolosa vicinanza fra lo stato e quella criminalità mafiosa di cui la politica e le istituzioni non hanno la capacità, forse perché non possono, di liberarsi e liberare così anche questo paese e noi.

In un paese dove la politica e le istituzioni non avessero avuto niente da nascondere, nulla da cui doversi riparare coi silenzi, le omissioni e i segreti di stato uno come berlusconi non avrebbe mai potuto trovare tanto consenso, non gli sarebbe mai stato permesso di stravolgere un paese a sua immagine e somiglianza, non sarebbe mai stato considerato l’interlocutore da far sedere nelle stanze del potere.

In un paese libero dai ricatti il presidente della repubblica, del senato e della camera, il presidente fantoccio di un consiglio ridicolo oggi sarebbero al fianco della magistratura siciliana minacciata di morte, non sarebbero in silenzio a fare le controfigure di chi comanda davvero, non parlerebbero d’altro e molto spesso di niente di fronte alla tragedia di un’Italia martoriata dalla criminalità a tutti i livelli in grado di condizionare, minacciare, ricattare, impedendo quindi un normale decorso il più possibile democratico in questo paese.
Quindi io ringrazio e ringrazierò sempre Marco Travaglio e chi come lui mette la sua faccia davanti a parole pesantissime ma che descrivono, raccontano e spiegano perfettamente il perché questo paese è potuto cadere così in basso.

Alte discariche dello Stato – Marco Travaglio, 24 novembre

Perché Totò Riina è così inferocito contro Nino Di Matteo e gli altri pm del processo alla trattativa Stato-mafia? Secondo alcuni detrattori di quel processo, Riina dovrebbe esser grato ai pm per avere spostato l’attenzione dalle responsabilità di Cosa Nostra a quelle dello Stato. E allora perché l’ex (?) capo dei capi vuole ucciderli “come tonni”? Le possibili spiegazioni sono due. La prima: per ogni boss, il prestigio e la credibilità personali sono parte integrante del potere. La storia della trattativa dipinge invece un Riina feroce, ma anche – per così dire – ingenuo: mandato avanti a fare le stragi da chi – come disse Provenzano a Vito Ciancimino – “gli ha promesso qualcosa di veramente grosso”, poi coinvolto nella trattativa, poi indotto a eliminare Borsellino che la ostacolava e infine intrappolato dagli stessi Ros con cui aveva trattato, forse con la collaborazione di Provenzano. Non proprio una bella figura. La seconda spiegazione, peraltro sovrapponibile alla prima, riguarda l’oggi: finchè la trattativa fu una voce di pentiti perlopiù ignorata dalla grande stampa e dunque dai cittadini, lo scambio di favori fra Stato e mafia poteva continuare indisturbato. E infatti continuò fino a tre-quattro anni fa (il terzo “scudo fiscale” per il rimpatrio anonimo e quasi gratuito dei capitali sporchi è del 2009). Ma ora, complice la vasta eco suscitata dalle telefonate Mancino-Quirinale e dalla citazione di Napolitano come testimone, la trattativa è all’attenzione di tutti. Dunque è più difficile per la classe politica elargire altri regali alle mafie senza dare nell’occhio. Il che fa letteralmente impazzire i boss, specie quei pochi che marciscono al 41-bis da vent’anni, comprensibilmente stufi dei politici che li hanno usati “come merce di scambio” senza mantenere le promesse, non tutte almeno (lo ricordò Leoluca Bagarella nel 2002 dalla gabbia di un processo, leggendo un comunicato “a nome dei detenuti al 41-bis”, manco fosse un sindacalista). La revoca dei 41-bis a 334 mafiosi nel ’93, la legge “manette difficili” del ’95, la chiusura delle super carceri di Pianosa e Asinara nel ’97, l’abolizione dell’ergastolo (poi ritirata) nel ’99, la legge ammazza-pentiti Napolitano-Fassino del 2001 e i tre scudi fiscali dal 2001 al 2009 sono regali graditissimi. Ma l’aspettativa, nel ’92, era ben più pretenziosa: la posta in palio erano anche e soprattutto la revisione del maxiprocesso, il“fine pena forse”, la “dissociazione” a costo zero al posto del devastante pentitismo. Nonostante i generosi sforzi di destra e sinistra, questi obiettivi non sono stati raggiunti. B. pensava, sì, agli amici degli amici, ma soprattutto a se stesso. E oggi qualunque cedimento, anche se ammantato come sempre di “garantismo”, farebbe gridare alla nuova Trattativa, dunque viene stoppato sul nascere. Il tutto mentre la Seconda Repubblica sta declinando per cedere il passo alla cosiddetta Terza. Parte di Cosa Nostra vorrebbe infilarvisi alla solita maniera, quella delle stragi: ma il fatto stesso che le minacce si susseguano, finora fortunatamente a vuoto, indica che il fronte è spaccato: fra la vecchia guardia (alla Riina) che sa parlare solo con le bombe e quella nuova che (sulla scia di Provenzano) sa parlare anche altri linguaggi. Tra quell’incudine e quel martello, si muove Di Matteo con i suoi colleghi, in un processo che forse neppure lui immaginava così scomodo: non solo per lo Stato, ma anche per la mafia. Infatti, mentre la mafia lo minaccia, lo Stato lo processa davanti al Csm. Si dice sempre che un messaggio delle alte cariche dello Stato è come la sigaretta per il condannato a morte: non si nega mai a nessuno. Ma non è più così: in tanti mesi di minacce di morte, Di Matteo non ha mai ricevuto una riga di solidarietà, né pubblica né privata, da Napolitano (si chiama Di Matteo, mica Mancino), da Grasso, dalla Boldrini, dalla Cancellieri (si chiama Di Matteo, mica Ligresti). Silenzio di tomba. Almeno le urla belluine di Riina hanno il merito di farlo sentire un po’ meno solo.

Gli standard di moralità in politica di Polito

Ieri il Corriere della sera riportando le motivazioni della sentenza di primo grado che condanna berlusconi a sette anni per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile ha definito quelle motivazioni “accuse”. Come se fosse ancora tutto da stabilire, mentre l’unica cosa da stabilire e possibilmente fare è cacciare con disonore il più immorale di tutti. I parametri di Polito si rassegnino, e anche Polito.

I miei più sentiti complimenti a Polito che, dalle pagine del Corriere della sera, invece di augurarsi e auspicare una nuova stagione in cui non debbano più trovare spazio l’immoralità e l’indecenza in politica pensa che sia più utile trovare un compromesso; fissare l’immoralità ad una ipotetica cifra evidentemente decisa da lui [come se non bastasse quella già decisa e resa operativa dal Napo Capo] entro la quale il politico che seppur non commettendo nessun reato non si comporta come si conviene a uomini e donne di stato può essere tranquillamente perdonato e restare al suo posto. 

Si attende prossimamente la classifica stilata da Polito in persona che c’illuminerà su quali sono, secondo i suoi parametri, gli standard perfetti per concedere al politico di poter agire nel modo che vuole, anche facendosi beffe di legge e Costituzione senza dover rischiare nemmeno una critica.

Grazie a Polito che ha rimesso a posto le cose ricordandoci che l’ABC nella politica non è la trasparenza, l’azione favorevole al bene comune e non solo a quello di qualcuno [e qualcuna] ma il sottomettersi al ricatto del “se non mangi tutto cade il governo”. 

In un paese in cui fosse ben chiara la differenza fra pubblico e privato in politica, su quello che può fare il politico e quello che no, e quello che NO venisse sempre condannato, indipendentemente dallo schieramento a cui appartiene quel politico, nel quale non ci sia gente che pensa che tutto sommato sia giusto che chi può approfitti del suo ruolo, della raccomandazione, dei soldi di tutti; in un paese dove il desiderio di giustizia e di uguaglianza non viene confuso col giustizialismo e la sete di chissà quale vendetta, con l’invidia sociale,  uno come Polito [ma anche come molti dei suoi illustri colleghi al Corriere] che ha sempre fatto il pesce in barile arrivando anche a comprendere e giustificare le porcherie di berlusconi non farebbe nemmeno il giornalista. Polito fa parte di quel cerchiobottismo riverente a tutti i padroni e regimi di cui il Corriere è stracolmo che ha devastato questo paese. Dai giornali di b una se lo aspetta, anche se con una legge seria sul conflitto d’interessi berlusconi sarebbe finito in galera vent’anni fa e sallusti oggi chissà dove sarebbe e a fare che, invece di essere invitato ovunque come un giornalista vero. Ma dai giornali cosiddetti ‘indipendenti’ no. Noi non finanziamo i giornali per farci scrivere su che in una democrazia civile si può tollerare la modica quantità di disonestà e immoralità in politica.

Io trovo GRAVISSIMO che dalle pagine di un quotidiano come il Corriere della sera, il giornale dell’alta finanza, della borghesia e dell’élite dei privilegiati ma finanziato dai contribuenti, dalle vittime dell’indecenza, dell’immoralità e della disonestà politica vengano diffusi messaggi di questo tipo.

È il momento delle scuse  – Marco Travaglio, 23 novembre

È il momento delle scuse. Ci perdonino Josefa Idem e Micaela Biancofiore , defenestrate dal governo Napoletta l’una per un’evasioncella di 3 mila euro su una casa-palestra, l’altra per una sparata omofoba: visto che dello stesso governo continuano a far parte Anna Maria Cancellieri in Ligresti e Angelino Kazako Alfano, le due signore vogliano accettare le nostre più sentite scuse.

Ci perdoni anche Corrado Carnevale, da noi per anni attaccato, criticato e addirittura chiamato “Ammazzasentenze” perché annullava in Cassazione le condanne dei mafiosi per vizi di forma (un timbro saltato, una pagina mancante), riceveva a casa sua i loro avvocati e sparlava al telefono di Falcone e Borsellino. Ieri il Pg della Cassazione Gianfranco Ciani, quello che convocò Grasso su ordine di Napolitano e Mancino per parlare dell’avocazione dell’inchiesta sulla Trattativa, ha avviato l’azione disciplinare contro Antonio Esposito: la scusa è l’intervista rilasciata il 6 agosto al Mattino in cui il giudice avrebbe anticipato la sentenza Mediaset, ma la colpa vera è la sentenza Mediaset, cioè la condanna di B. Infatti Esposito non anticipava le motivazioni della sentenza Mediaset, anzi diceva il contrario di quel che avrebbe scritto nella sentenza Mediaset. E di B. non parlava proprio (è l’intervistatore che l’ha fatto credere appiccicando una domanda su B. a una risposta generica). Ma, anche se avesse parlato di B. e anticipato le motivazioni, Esposito non avrebbe commesso illecito disciplinare lo stesso, perché la legge punisce solo i giudici che parlano di un processo “non definito”, e il processo Mediaset era già definito dal dispositivo della sentenza letto in aula il 1 agosto. Dunque, caro Carnevale, ci scusi tanto: nell’Italia delle larghe intese, il modello di giudice auspicato fin dai colli e dai palazzacci più alti è il suo: quello di chi le condanne eccellenti non le conferma, ma trova il modo di annullarle.

Mille scuse, infine, al giudice Renato Squillante, anche lui da noi ripetutamente attaccato soltanto perché, vicecapo dell’ufficio Istruzione e poi capo dell’ufficio Gip di Roma, faceva in modo di non arrestare o rinviare a giudizio i potenti, e aveva un conto in Svizzera comunicante con quello dell’avvocato Previti, insomma era a libro paga della Fininvest. Inezie, minuzie, quisquilie, pinzellacchere. Avevamo ingenuamente pensato che la sua condotta fosse incompatibile, non solo col Codice penale, ma anche con la Costituzione che vuole la legge uguale per tutti e tutti i cittadini uguali davanti a essa. Ci sbagliavamo: eravamo rimasti alla Costituzione del 1948, cioè alla versione non ancora aggiornata dai saggi ricostituenti. Ora è ufficiale: non tutti sono uguali davanti alla legge. Aveva ragione lei, caro Squillante. Guardi quel che sta accadendo in Sicilia ai suoi colleghi (ci scusi per l’indebito apparentamento) Di Matteo e Gozzo, isolati dallo Stato e minacciati dalla mafia perché si ostinano a cercare, a vent’anni e più dalle stragi, i mandanti occulti, i depistatori e i traditori che trescavano sottobanco con la mafia che aveva appena ucciso Falcone, Borsellino, le loro scorte e tanti altri cittadini innocenti, mentre pubblicamente fingevano di combatterla. L’altro giorno, nell’aula del processo Trattativa, a testimoniare solidarietà a Di Matteo c’erano soltanto il suo capo, Messineo, e un prete, don Luigi Ciotti. Le alte discariche dello Stato che si mobilitano in assetto di guerra e scatenano la forza pubblica non appena compare sul web una frasetta non proprio encomiastica sul loro conto, hanno altro a cui pensare. Il nostro pensiero deferente e un po’ nostalgico corre dunque a lei, caro Renatino, che negli anni 80 e 90 precorse le larghe intese, evitò ogni “guerra fra giustizia e politica”, infatti non subì neppure un procedimento disciplinare né un monito presidenziale. Si conservi in buona salute: presto – eliminati gli Esposito, i Di Matteo, i Gozzo e le altre mele marce in toga – ci sarà ancora tanto bisogno di lei.

IL LATO PORNO DELLA CASTA 

Chissà questi qui dove li metterebbe Polito. Bisognerebbe chiederglielo.

Caso Cancellieri: ‘diversamente morali’: l’Europa ci vede così

L’eversore [re_reloaded]: ovvero, l’orrido déjà vu

Anche  il Milan di berlusconi ha rotto definitivamente gli argini del benché minimo senso di decenza, del tanto abusato esempio per i giovani mettendosi al fianco di un presidente corruttore e condannato per frode fiscale.
Ognuno ha la squadra che si merita.

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IL PRESIDENTE DELLA FIERA DI MILANO PERINI: “SEGNIAMO LE CASE DEI GIUDICI”. POI LE SCUSE

C’è stata gente che per molto meno, una battuta scritta in bacheca contro il capoufficio o la professoressa è stata licenziata, sospesa da scuola.
Questi che facciamo, li teniamo al loro posto vero? perché naturalmente si sono scusati dopo l’offesa e la minaccia quindi è tutto a posto. 
Da un certo livello in poi tutto si può dire ché poi tanto bastano le scuse e che problema c’è.

Queste sono minacce fatte in pubblico da gente che ha dei ruoli pubblici. Proprio come calderoli quando insulta la Kyenge istigando al razzismo qua si istiga al gesto violento, di stampo nazista addirittura, ci si augura che un giudice debba vivere soffrendo perché ha fatto il suo dovere.

E gli autori pensano di potersela cavare con delle semplici scuse perché sanno che non gli succederà nulla.

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La nebbia all’erto Colle caliginando sale – Massimo Rocca

Ovviamente, in un paese serio, il capo dello stato sarebbe già andato in televisione a reti unificate per denunciare il tentativo di sovvertimento dell’ordine democratico. Un delinquente condannato in via definitiva che ricatta i poteri politici legittimi del paese, né più né meno quello che facevano le brigate rosse con Moro prigioniero o Totò o curtu con le stragi dei magistrati, inviando i suoi messaggi dal covo di Palazzo Grazioli affidandoli a personaggi che vogliono salire le scale del Quirinale per depositare l’ultimatum sulla scrivania del garante del patto di pacificazione che ha, evidentemente, mancato alla sua parola. Ci sarebbero le sezioni del partito di governo allertate e il presidente del consiglio chiuso in riunione permanente con l’ambasciatore kazako o col ministro degli interni, che tanto è uguale. Invece non potendo chiedere, questa volta, alla rai di bruciare le bobine del suo discorso di insediamento, temo che riceverà i messaggeri, cui del resto ha già promesso la riforma della giustizia, proprio il giorno dopo in cui ha dimostrato di funzionare.

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Berlusconi, il Pdl ricatta sulla grazia
E la Questura gli revoca il passaporto

Il pregiudicato: “Riforma della giustizia o voto”. Il partito a Napolitano: “Clemenza o ci dimettiamo
tutti”. Letta: “Il governo deve continuare”. Notificato dai carabinieri il decreto di esecuzione pena
EPIFANI: “PRESSIONE INDEBITA SUL COLLE. E NO A RIFORMA GIUSTIZIA CHE VUOLE IL PDL”

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Berlusconi condannato? “Riformate la giustizia!”

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Se non fosse vero ci sarebbe da ridere da qui all’eternità: Napolitano che riesce ad anticipare pure berlusconi riguardo una riforma della giustizia che, se abbiamo imparato un po’ a conoscere i nostri polli sappiamo benissimo dove vuole andare a parare e a riparare soprattutto.

Però mi raccomando, non nominiamolo, non tiriamolo in ballo sennò Lauretta e l’ex superprocuratore s’incazzano.

A proposito: la presidentessa candida non si è espressa ancora sulla condanna? c’è da difendere la sacralità del parlamento che ospita un fuorilegge e la sua teppa, da offrire solidarietà spicciola all’insultato di turno o cosa? e per noi, quando arrivano le scuse?

L’unica riforma della giustizia da fare è quella per vietare una volta e per tutte ai criminali di poter mettere bocca negli affari di stato.

Di ricattare le istituzioni.
berlusconi non è più nella condizione di poter pretendere nulla, quindi tutto quello che riuscirà ad ottenere significa che è stato concordato, che fa parte del pacchetto larghe intese napoletane.

Mi chiedevo quanto si può sacrificare di se stessi per difendere, rendere accettabile, meno grave quello che non lo è.
In special modo chi proprio per ruolo e per mestiere è chiamato a raccontare, spiegare all’opinione pubblica quello che succede.
Com’è possibile dimenticarsi di essere una persona per mettersi spudoratamente al servizio di un delinquente, scrivere su un quotidiano che l’attacco allo stato è aver condannato quel delinquente e non invece avergli permesso di demolirlo con la compiacenza e benevolenza, vive e vibranti, di chi avrebbe dovuto impedirlo.

Le sentenze di berlusconi non devono interferire con la vita politica, col cammino del bel governo dei grandi imbroglioni, dicono quelle e quelli bravi, nella politica come nel giornalismo: quanto ancora dovranno prenderci in giro con questa menzogna? le sentenze di berlusconi, i comportamenti di berlusconi, i reati di berlusconi, l’immoralità amorale e indecente di berlusconi diventano politica nel momento in cui si permette a berlusconi di far diventare tutto questo arma di ricatto politico. 

Di essere se stesso quel ricatto avendo consentito, prolungando oltremodo e contro il benché minimo senso dello stato la presenza dell’abusivo impostore fuorilegge in parlamento.

Un ricatto al quale lo stato si è piegato e si piega concedendo a berlusconi quello che sarebbe impossibile chiedere e pretendere ma anche e solo immaginare di farlo, per qualsiasi altro cittadino.

In nessun paese un appena condannato in primo grado per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile viene ricevuto, e  su invito di entrambi,  dal capo del governo e da quello dello  stato, e in nessun paese un condannato in ultimo grado, quello definitivo, può andare in tv a reti unificate a dichiararsi un innocente perseguitato dai giudici comunisti.

 E la tragedia nella tragedia è che ci sia ancora  gente che non si accorge nemmeno che da vent’anni usa lo stesso linguaggio, le stesse parole, fa le stesse accuse e si difende dalle stesse accuse.
Un déjà vu vivente che non si può più sopportare, non se ne sopporta il nome, la faccia, la voce ma che può continuare a invaderci la vita perché nessuno ha il coraggio di fermarlo, di dirgli che è scaduto il tempo: il suo. 

La litania del berlusconi che andava – va – andrebbe sconfitto politicamente la ripetono da anni tutti e solo quelli che non ne hanno mai avuto la benché minima intenzione.
Una politica gobba e sottoposta ai voleri del papi padrone quanto un’informazione serva: quella alla polito ad esempio, che intravvede il colpo per lo stato nell’applicazione della legge e non nel suo contrario. Ovvero aver fatto il tutto e l’oltre per non averla applicata prima e non aver fatto nulla prima per il conflitto d’interessi in cui finalmente è caduto anche il suo proprietario, e per evitare la mole gigantesca di leggi ad personam di cui si è potuto avvalere berlusconi dopo essersele fatte fare e aver trovato un parlamento che le ha rese operative.

Diverso è invece trasformare in una questione politica i reati di berlusconi, ma se un politico commettesse un omicidio chi se ne deve occupare: la legge, gli elettori che hanno votato quello che poi è diventato un assassino o la politica? perché è la stessa cosa.

Un reato è un reato, poche storie, e quelli di berlusconi sono reati pesantissimi, non consistono nel furto del portafoglio sul metrò o del pezzo di formaggio al supermercato compiuti da chi non sa come arrivare al giorno dopo, e lo stato non può continuare a tutelare chi come berlusconi ha scelto di vivere e agire oltre la legge pensando che questo gli sia dovuto.

***

Giusto ieri mi stavo chiedendo come si sentissero i Pigì Battista, i Polito,  il senatore Scalfari e tutto il corazzierume scelto che ha sostenuto con la forza della nuda lingua il bel governo dei larghi imbrogli, qui di seguito Travaglio mi rassicura sullo stato di salute del solito giornalismo embedded, stazionario come al solito: un sussulto manco a parlarne.

La dignità è una cosa seria che possono avere a cuore solo le persone serie.

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Poveretti, come s’offrono
Marco Travaglio, 3 agosto

Dopo la lunga veglia funebre nella Camera ardente e nel Senato al dente, dopo la processione a Palazzo Grazioli dei vedovi e delle vedove inconsolabili immortalati in una foto tipo Quarto Stato anzi Quinto Braccio, dopo il monitino sfuso di Sua Maestà re Giorgio I opportunamente villeggiante in Val Fiscalina (si trattava pur sempre di frode fiscale), dopo il coro di prefiche e il torneo di rosari allestiti nella cripta di Porta a Porta da un Bruno Vespa in gramaglie prossimo all’accascio, dopo la faticosa ricomposizione della salma imbalsamata in una colata di fard e cerone modello Raccordo Anulare per il videomessaggio serotino a reti unificate con smorfiette di finta commozione, sono finalmente usciti i giornali del mattino. Da leggersi rigorosamente con i guanti, per non macchiarsi le mani di un ributtante impasto di lacrime, salive e altri liquidi organici. 

Il Polito nella piaga. Estratto a sorte da un bussolotto che comprendeva anche i nomi di Ostellino, Galli della Loggia, Panebianco e Pigi Battista (quest’ultimo ammutolito dal giorno della condanna di Del Turco), Antonio Polito ha vinto l’editoriale sul Pompiere della Sera. 

Avrebbe potuto cavarsela con una sola riga: “Ragazzi, non ci ho mai capito un cazzo. Scusatemi, ora mi ritiro in convento a leggermi i pezzi di Ferrarella, che almeno sa le cose”. Invece, impermeabile ai fatti e perfino al ridicolo, ha partorito tre colonne di piombo all’interno per ricicciare la solita lagna sulle “due troppo forti minoranze che si sono aspramente fronteggiate in questo ventennio”, cioè i berlusconiani e gli antiberlusconiani, che secondo lui sarebbero uguali e avrebbero addirittura impedito all’Italia di “riformarsi”: e pazienza se i berlusconiani han sempre difeso un delinquente e gli antiberlusconiani han sempre detto ciò che l’altroieri la Cassazione ha confermato. El Drito dimentica i berlusconiani mascherati e nascosti nella cosiddetta sinistra “riformista” che han sempre fatto finta di nulla e sponsorizzato ogni inciucio, e ora si meravigliano se la condanna del delinquente (naturalmente frutto dell'”accanimento degli inquirenti”) ha un'”influenza sul governo”. 

Poi dipinge un paese immaginario, dove la maggioranza degli italiani tifa per il governo Letta che ci sta facendo “tornare con la testa fuori dall’acqua” ed è terrorizzata dal “nuovo attacco del partito giustizialista”. Il finale è una lezione di “separazione dei poteri”: che a suo avviso non significa difendere l’indipendenza della magistratura dagli assalti della politica, ma prendere la sentenza che dichiara B. frodatore fiscale e metterla in un cassetto, onde evitare il terribile rischio di “una crisi di governo”. Lui dice “tracciare una linea nella sabbia”, ma vuol dire mettere la testa sotto la sabbia. Che del resto è lo sport preferito di tutti i Politi d’Italia. Tipo il pompierino in seconda Massimo Franco, che ci spiega come “la sentenza della Cassazione regali a Berlusconi un ultimo, involontario aiuto”. Ma certo, come no: gli han fatto un favore da niente. Se lo gusterà tutto dagli arresti domiciliari. 

Ah, dimenticavo: il pezzo di Polito s’intitola “Siate seri, tutti”. Lo dice lui, a noi.
Fiat voluntas Napo. Anche sulla Stampa impazzano i manutentori del governo Napoletta. Mario Calabresi teme che “a pagare il conto della condanna di Berlusconi” sia “il Paese”: forse dimentica che il conto delle frodi fiscali di Berlusconi l’han già saldato con gli interessi quei fessi di italiani che pagano le tasse. Ma per Calabresi il problema non è un governo sostenuto da un pregiudicato, bensì che Letta possa arrivare incolume “al semestre di presidenza italiana della Ue che inizierà il 1° luglio dell’anno prossimo”: quella sarà la nostra “unica salvezza”, e anche un discreto figurone, visto che potremo finalmente esibire in tutto il mondo un governo appoggiato da un monumentale evasore fiscale.