Il governo della fiducia umanitaria

Detenuto morto a Poggioreale
​La madre: “Era malato, non doveva stare in carcere”

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LA CANCELLIERI SMENTITA DAI TABULATI: FU LEI A CHIAMARE LO ZIO DI GIULIA E NON VICEVERSA (Giustetti e Griseri)

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 Vorrei rileggere oggi tutti quelli che hanno difeso la Cancellieri perché secondo la procura di Torino era tutto a posto e la ministra non aveva affatto influenzato la scarcerazione della signora deperita, quella che per distrarsi va a fare shopping con le amiche nelle vie eleganti di Milano e partecipa al salotto notturno dell’insetto che striscia.
E mi dispiace, perché io stimo Caselli, ma a volte bisognerebbe applicare il motto dell’ “un bel tacer non fu mai detto”: il procuratore avrebbe dovuto evitare di correre in soccorso della Cancellieri, di trasformarsi lui stesso in quell’alibi che ha fatto straparlare mezza Italia di comportamenti corretti e istituzionali. Di un gesto normale che invece a quanto pare tanto normale non è stato.

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Sono stati una trentina i morti in carcere da quando la ministra Cancellieri è intervenuta amorevolmente per sollecitare l’intervento umanitario per la figlia degli amici: 139 nell’ultimo anno. Godiamocelo in diretta il terzo mondo Italia dove se muore un figlio in carcere sua madre lo viene a sapere non dallo stato che glielo ha ammazzato ma tramite un compagno di cella. Non si è ancora dimessa la ministra dell’umanitá un tanto al chilo? Chissá se riuscirá a sentire anche il dolore di questa madre su di sé. Quanto vale la vita degli sconosciuti che non possono vantare nessuna amicizia altolocata, ministro Cancellieri? Un cazzo come sempre, suppongo.

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In un paese dove vale tutto, dove ministri, presidenti del consiglio e della repubblica possono mentire spudoratamente al popolo e non succede niente, parole come democrazia, legalità, politica e Costituzione non valgono più niente.

E non vale niente nemmeno quel paese.

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SPUNTA UNA NUOVA TELEFONATA TRA IL GUARDASIGILLI E LA FAMIGLIA LIGRESTI
E Giulia partecipa alla puntata di Porta a Porta: “mi dispiace tantissimo per chi mi ha aiutato”.

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Napolitano: ‘Veleni e toni esasperati’

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Nel paese normale stamattina stessa Enrico Letta licenzierebbe la ministra bugiarda e un minuto dopo si dimetterebbe anche lui che alla ministra ha offerto la sua fiducia “a prescindere” prim’ancora che la Cancellieri spiegasse e riferisse alla camera e al senato. E nel paese normale anche Napolitano se fosse di parola metterebbe sulla sua scrivania una bella lettera di addio, visto che aveva promesso che qualsiasi cosa avesse pregiudicato la tenuta del bel governo delle larghe intese non avrebbe trovato il suo sostegno: ora, non so cosa ci può essere di più grave di un ministro che mente al popolo italiano e lo fa per proteggere l’amica colpevole di un reato.

Nel paese normale i presidenti di camera e senato convocherebbero il parlamento d’urgenza affinché quelli che hanno tributato la standing ovation alla ministra bugiarda si possano scusare con tutti gli italiani che non li pagano per giurare che una ladruncola marocchina è la nipote di un dittatore egiziano perché il capo dei capi ha deciso che così dev’essere, per prendere le difese di un vicepresidente del consiglio ministro dell’interno che acconsente alla deportazione di una madre e di sua figlia in un paese dove si rischia la vita e nemmeno per offrire la solita solidarietà di casta ad una signora diventata ministra per volontà di Napolitano e non del voto degli italiani.
Nel paese normale non passa l’idea che la raccomandazione sia un fatto normale solo perchè la si presenta come un gesto umanitario,  che una ministra che frequenta una famiglia come i Ligresti sia un fatto altrettanto normale; in un paese normale fatto di gente normale, di politici normali e di giornalisti normali una cosa del genere avrebbe dovuto destare almeno qualche sospetto, far alzare qualche sopracciglio, e invece niente, il dettaglio più importante, e cioè che una signora che ha lavorato a stretto contatto con lo stato prima da prefetto e poi da ministro abbia mantenuto dei rapporti di amicizia, a quanto pare pure piuttosto stretti e da decenni, che suo marito abbia avuto interessi in comune con una famiglia che da una trentina d’anni è al centro di scandali e reati di ogni tipo, più odiosi di altri perché danneggiano la collettività nel paese anormale è solo una coincidenza: chi non ha per amici truffatori e bancarottieri del resto?
Nel paese normale il presidente della repubblica non parlerebbe ogni due per tre dei troppi veleni che inquinano il paese ma avrebbe dovuto essere lui – in qualità di garante della democrazia e della Costituzione – l’antidoto e la cura evitando di fare da spalla più o meno occulta ai responsabili di quell’intossicazione.

Come si permette Napolitano di parlare di troppi veleni se uno degli inquinatori della democrazia è proprio lui, i suoi atteggiamenti ambigui, il suo non prendere mai una posizione, la sua arroganza di fronte a qualsiasi cosa si possa dire di decente e di sensato che a lui non va bene mai perché rovina le sue fantastiche larghe intese.
Ci facesse sapere Napolitano che ne pensa di un latitante da 106 giorni che secondo una legge dello stato ridicola e che non esiste in nessun altro stato civile doveva essere buttato fuori almeno dal parlamento IMMEDIATAMENTE, quanto veleno c’è in una sentenza definitiva non ancora applicata, in un delinquente pregiudicato ancora libero da senatore della repubblica e in grado di condizionare la vita politica e la democrazia. 
Chi e cosa ha garantito Napolitano da quando ha messo piede al Quirinale: gli editoriali di Scalfari?

L’idea di Napolitano non è quella di stato, di una politica che rispecchi le volontà del popolo: troppo stupido quel popolo che si riduce a votare per dei signori nessuno che male o bene ci stanno provando a fare quella “rivoluzione” di cui si è sempre sentito molto parlare da salotti e scrivanie. La sua idea è quella del tutor da asilo Mariuccia, quella del genitore severo che impone la sua “educazione” e a chi non sta bene, dietro la lavagna con le orecchie d’asino, sbertucciato dai “compagni”. Questo fatto che “o così o la catastrofe” è democraticamente inaccettabile. Questa gente se ne deve andare.

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Anna Maria Pinocchieri
Marco Travaglio, 15 novembre

Adesso, nel Paese dell’Embè, ci diranno che non fa niente se la ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri ha mentito sotto giuramento ai magistrati che la interrogavano come testimone il 22 agosto sulle telefonate con la famiglia Ligresti. Tutti, dal Pdl al Pd a Scelta civica, per non parlare del silenzio-assenso del Quirinale che nomina i ministri, avevano già detto “embè?” sulle bugie della Guardagingilli al Parlamento. Balla più, balla meno, che sarà mai. Il Parlamento, poi, figurarsi. Tre anni fa votò che Ruby era la nipote di Mubarak, o comunque B. ci credeva davvero. E quattro mesi fa s’è bevuto che il vicepremier e ministro dell’Interno Angelino Alfano non sapeva niente del sequestro a Casal Palocco e della deportazione in Kazakhstan di Alma Shalabayeva e della sua figlioletta di 6 anni, organizzati nel suo stesso ministero. Sono tutti (o quasi) uomini di mondo, con stomaci forti e moquettati.

Digeriranno anche le frottole della cosiddetta ministra della Giustizia. La quale, il 17 luglio, la sera della retata che aveva portato agli arresti l’amico Salvatore Ligresti e le due figlie (il maschio latitava in Svizzera), chiamò la compagna del patriarca, Gabriella Fragni. E il 22 agosto, davanti ai pm di Torino, spiegò, che l’aveva fatto solo per “darle la mia solidarietà sotto l’aspetto umano”. E non era vero, perché aveva pure criticato i giudici (“non è giusto, non è giusto, è la fine del mondo” arrestare tre magnager che hanno spolpato un’azienda scavando un buco di almeno 600 milioni: dove andremo a finire, signora mia) e si era messa a disposizione (“qualunque cosa io possa fare, conta su di me”). Poi, sempre nell’interrogatorio, aggiunse: “Dopo di allora non ho più sentito la Fragni né altri in relazione al caso Ligresti, ad eccezione della telefonata con Antonino Ligresti (fratello di Salvatore, pure lui amico di famiglia, ndr) di cui ho già riferito”. È la chiamata del 19 agosto, in cui Antonino le segnala che Giulia è malata di anoressia e in carcere rifiuta il cibo, insomma bisogna tirarla fuori. La ministra, sempre per ragioni umanitarie, si attivò telefonando ai due vicecapi dell’Amministrazione penitenziaria, Cascini e Pagano, che per sua fortuna la stopparono e la salvarono da un’accusa di abuso d’ufficio.

Purtroppo però non è vero nemmeno che, dopo il 19 agosto, l’Umanitaria non abbia “più sentito altri in relazione al caso Ligresti”. Infatti – come rivela Paolo Griseri su Repubblica – i tabulati della Procura di Torino registrano un’altra telefonata, partita la sera del 21 agosto dal cellulare della ministra verso quello di Antonino Ligresti e durata 7 minuti e mezzo. È la sera prima dell’interrogatorio davanti ai pm, dunque è difficile che la Cancellieri possa averla dimenticata nel breve volgere di una notte. E che non l’abbia dimenticata lo dimostra lei stessa, quando aggiunge a verbale: “Ieri sera Antonino Ligresti mi ha inviato un sms chiedendomi se avessi novità e gli ho risposto che avevo effettuato la segnalazione, nulla di più”. Una risposta a un sms, una cosetta.

E qui casca l’asino, perché ora al posto dell’sms salta fuori una conversazione di 450 secondi. Perché nasconderla? E che senso hanno le numerose chiamate, anch’esse risultanti dai tabulati, dal telefono del marito della ministra, Sebastiano Peluso, a quello del solito Antonino negli stessi giorni? Sarà stato davvero il consorte a usare quel cellulare? Davvero bastano il gran cuore e lo sconfinato empito umanitario della Guardagingilli, per spiegare quella mobilitazione generale da emergenza nazionale? Il 21 novembre, finalmente, la Camera dovrà votare la mozione di sfiducia individuale presentata dai 5Stelle contro la Cancellieri. Il Pd inghiottirà anche il nuovo rospo per non disturbare le larghe intese e coprirà tutto con il solito “embè”? La speranza è che la Cancellieri non abbia consumato tutta la sua umanità per fare scarcerare la povera Giulia. E ne conservi ancora un pizzico per liberare il Pd dai Ligresti domiciliari.

Italia: un paese a irresponsabilità illimitata

Riccardo Mannelli per Il Fatto Quotidiano

Quello che si evince da tutta questa triste vicenda che vede un ministro fare – more solito – un uso privato del suo ruolo pubblico è l’ipocrisia non solo della claque chiamata ad applaudire ma proprio di quel ministro che ieri ha bloccato il parlamento per esprimere il nulla, per non dare quelle risposte che ci si aspettavano da lei e per chiedere una inutile fiducia, visto che è stata lei stessa un paio di giorni fa a dire che è matto chi la accusa, che il suo comportamento è stato cristallino e che non si sarebbe mai dimessa. Nonostante i rumors nel paese dicessero altro, avrebbero preferito quel passo indietro utile a ridare alla politica anche il significato nobile di un gesto simbolico qual è quello di un ministro che si assume la responsabilità delle sue azioni non davanti ai suoi pari ma ai cittadini che è chiamata a servire con onore e disciplina come da Costituzione. Altroché quella correttezza istituzionale che altri ipocriti peggio di lei le hanno riconosciuto. Solo degli idioti o gente che crede davvero alla balla del governo di necessità, dunque in malafede – due categorie ben rappresentate all’interno di “questa zozza società” – avrebbero potuto pensare ad un gesto di responsabilità di un ministro che fa parte di un governo nato per volontà di Napolitano ma su richiesta di berlusconi.

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RIDATECI JOSEFA IDEM 

“In un Paese normale, per esempio la Francia, uno degli uomini più ricchi del Paese, proprietario di aziende e televisioni e squadre di calcio, fondatore di un partito ed eletto a furor di popolo in Parlamento, com’era Bernard Tapie, una volta condannato per frode fiscale decade il giorno stesso e finisce in galera. Qui invece blocca l’intera nazione e ricatta il governo da sei mesi.” [Curzio Maltese]

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E LIGRESTI CHIAMÒ B: “TROVATELE UN POSTO IN EMILIA ROMAGNA” 

“Parola di ministro: “In nessun modo la mia carriera è stata influenzata da rapporti personali”. Così Anna Maria Cancellieri ha solennemente dichiarato ieri in Parlamento, tra gli applausi. Eppure è Salvatore Ligresti a smentirla seccamente: “Sono intervenuto presso Silvio Berlusconi a favore della Cancellieri, quand’era prefetto a Bologna”. [Gianni Barbacetto]

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SISTEMA ANNA MARIA 

“Con la signora (l’unico vero uomo del governo Letta, avrebbe scritto Montanelli) che ieri alla Camera ha liquidato la pratica in una ventina di minuti, mentre intorno si spellavano le mani. Che spettacolo! Infatti l’unica verità politica di questa messinscena viene attribuita al costernato premier nipote che, inorridito dalla prospettiva di un rimpasto, avrebbe pigolato: “Se salta lei, salta tutto”. Proprio vero, poiché la tanto umana Anna Maria nelle telefonate con casa Ligresti rappresenta in realtà un solido e collaudato sistema di relazioni, al vertice del quale c’è il Quirinale con sponde a destra e a sinistra, nell’alta burocrazia ministeriale e nella finanza che conta. E un sistema non si dimette certo. Così come protetto dal sistema è quel ministro Alfano che consentiva ai kazaki del caso Shalabayeva di fare i loro porci comodi al Viminale, poiché se così non fosse da quel dì si ritroverebbe a prendere il sole nella natìa Agrigento. Si dirà che anche la Idem da ministro ebbe la sua scivolata. Ma non era nel sistema e infatti l’hanno sistemata.” [Antonio Padellaro]

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Si troveranno quattro o cinque volontari?

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L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI LIGRESTI: FAVORI NON SOLO A GIULIA. MA ANCHE A JONELLA E PAOLO 

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Per bocca di Edward Luttwak [niente meno] e con la consueta sobrietà che lo distingue sappiamo cosa pensano della vicenda Cancellieri nei gloriosi States. 
E se anche un reazionario fascista come lui può dare lezioni di democrazia significa che la situazione non è solo grave ma gravissima e mette, anzi lascia l’Italia al solito posto da peracottara zimbello del mondo che le spettava prima con berlusconi e che le compete anche adesso col bel governo larghinciucista, quello che ieri ha tributato la standing ovation ad Anna Maria Cancellieri considerando evidentemente impeccabile il suo comportamento nei riguardi degli amici di famiglia.

Luttwak parla inoltre di Letta come un traditore che davanti a Obama dice delle cose e poi quando torna qui ne fa altre, alcune, aggiungo io, proprio non riesce a farle, tipo favorire l’uscita ad un ministro che non si comporta esattamente da funzionario di stato qual è. 

E immagino come ci si possa sentire gratificati e soddisfatti ad essere difesi da gente come brunetta, santanchè e schifani [un indagato per mafia], quanto da questa brillante esperienza ne possa trarre un vantaggio il proprio valore umano e professionale. 

L’America ha un mucchio di difetti fra cui anche Luttwak, ma gli americani sono meno sportivi, meno disposti a comprendere, giustificare e perdonare come invece hanno fatto tanti italiani che in questi giorni, anche fra la gente semplice, la stessa che a berlusconi e a chi gli ha reso la vita facile non ha perdonato [giustamente] nulla, ha invece apprezzato il solito, squallido e tipicamente italiano intervento ad personam pro personam della ministra Cancellieri. Sfido chiunque ci tenga a mantenersi il posto di lavoro a resistere alla tentazione dell’obbedienza se un ministro chiede DI SUA INIZIATIVA , anche con cortesia, anche senza imposizione, anche se il fatto non costituisce un reato di fare qualcosa nel particolare, non nell’usuale e nel consueto dei doveri di un ministro e di chi lavora per quel ministro. 
Gente pagata per servire lo stato, non qualcuno nel particolare.

I diritti sono quelli di tutti e per tutti.
Quando sono solo per qualcuno si chiamano privilegi, ed è in ragione di uno stato che ha sempre favorito i privilegi per i pochi rispetto ai diritti per i tutti che questo paese è ridotto in macerie. E quei pochi sono sempre gli stessi fra l’altro, componenti di un’élite che sta bene soprattutto alla politica che dovrebbe annullare le differenze sociali come Costituzione comanda quando dice che i cittadini sono tutti uguali, invece le promuove e se le tiene da conto. Se riforme costituzionali devono essere ne voglio una fatta bene. Non per aggiungere cose ma per toglierle. Noi viviamo ormai in un corto circuito permanente dove il buon senso e la ragione non trovano più spazio e residenza. Non è possibile che si guardi di traverso chi propone un’idea onesta della politica e si lascino immense praterie a quel vecchio, rancido e marcio che ha distrutto questo paese.  Tutto mi sarei aspettata fuorché la difesa della Cancellieri da parte di gente che a berlusconi non gli faceva passare nemmeno la verdurina in mezzo ai denti. Gente che non capisce che la politica non va difesa mai perché la fregatura è sempre in agguato, e bisogna stare pronti a schivarla, o quanto meno ad accorgersene.

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Tengo ministra
Marco Travaglio, 6 novembre

Ieri Massimo Fini ha scritto sul Fatto un articolo in dissenso con i miei sul caso Cancellieri- Ligresti. Il pezzo si basa sull’assunto che io abbia equiparato le due chiamate fatte dalla ministra ai vicecapi del Dap Cascini e Pagano per raccomandare Giulia Ligresti alle sette telefonate di Berlusconi alla Questura di Milano per raccomandare Ruby “nipote di Mubarak”. In effetti penso che quelle telefonate abbiano almeno un denominatore comune: l’intenzione del potente di turno di usare la carica di governo per assicurare un trattamento privilegiato a un’amica tramite la solita scorciatoia all’italiana. Ma l’analogia finisce qui e ha ragione Fini nel sottolineare le differenze. Che sono tre. 1) B. abusava di una funzione che non aveva, perché non era il diretto superiore della Questura (era premier, non ministro dell’Interno), infatti è imputato per concussione; mentre la Cancellieri ha tentato di abusare di una funzione che ha, in quanto massimo responsabile dell’amministrazione penitenziaria. 2) B. ha ottenuto il suo scopo, grazie alla remissività dei funzionari della Questura; la Cancellieri invece ha incontrato la resistenza dei due vicecapi del Dap, che non hanno dato seguito alle sue pressioni e così l’hanno salvata da una possibile accusa non di concussione, ma almeno di abuso d’ufficio (figurarsi l’imbarazzo dei magistrati di Torino, quando decisero motu proprio di scarcerare Giulia Ligresti per le sue condizioni di salute, se avessero saputo che il ministro era intervenuto a raccomandarla). 3) La responsabilità di B. è penale, infatti è già approdata a condanna di primo grado, mentre quella della Cancellieri è politico-morale, anche se lei nega, dà di matto, farfuglia di “metodo Boffo” (ma basta!) e pretende gli applausi che ieri puntualmente una maggioranza indecente le ha tributato lasciandola sulla poltrona. Non sarei invece così sicuro, come lo è Fini, che solo B. volesse “ricavare un vantaggio, cioè che Ruby non spifferasse quanto succedeva nelle notti di Arcore”, mentre la Cancellieri “non riceveva alcun vantaggio, se non sentimentale”. Temo che, anche per la signora ministra, i sentimenti c’entrino poco. Basta inquadrare le sue telefonate intercettate (e anche quelle purtroppo non intercettate con Antonino Ligresti, fratello di Salvatore) nel contesto della sua trentennale amicizia con una delle famiglie più malfamate del capitalismo italiano. I fratelli Salvatore e Antonino Ligresti sono due pregiudicati per corruzione. Antonino, proprietario di cliniche private, è amico del marito farmacista della ministra, a sua volta arrestato nel 1981 per uno scandalo di fustelle false. Salvatore, costruttore e assicuratore, è anche lui amico della Cancellieri (come pure la sua compagna Gabriella Fragni), nonché proprietario della casa dove vive il figlio della ministra, Piergiorgio Peluso, che è stato per un anno direttore finanziario della Fonsai uscendone con una generosa liquidazione di 3,6 milioni. Don Salvatore dichiara ai magistrati di aver favorito, con un intervento presso l’amico B., la carriera prefettizia della Cancellieri (lei smentisce). Giulia Ligresti dice in una telefonata intercettata che la buonuscita di Piergiorgio a dispetto dello scarso rendimento in azienda si deve al suo cognome (lei rismentisce). È questo il contesto che spiega perché la ministra della Giustizia, appena vengono arrestati Ligresti e le due figlie (mentre il terzo figlio latita in Svizzera), sente l’impellente bisogno di chiamare la Fragni per solidarizzare con gli arrestati contro i magistrati (“non è giusto”, “c’è modo e modo”), scusarsi di non aver chiamato prima (quando la Dinasty siculo-milanese era già indagata per gravi reati finanziari) e mettersi a disposizione (“Qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me”). Nessun accenno alle condizioni di salute di Giulia, che entreranno in scena solo un mese dopo con le telefonate ai vicecapi del Dap. Telefonate che, a questo punto, sono forse l’aspetto meno grave di una vicenda che vede un ministro (non della Marina mercantile, ma della Giustizia!) soggiogato dal rapporto preferenziale con due noti pregiudicati che da almeno vent’anni entrano ed escono dalle patrie galere. Un ministro la cui condotta autorizza addirittura a ipotizzare che sia ricattabile, almeno nella mente turbata e nelle parole malate dei Ligresti sui presunti doveri di riconoscenza che la Cancellieri e la sua famiglia dovrebbero avere nei loro confronti. Altrimenti non si spiega perché, prima da prefetto della Repubblica, poi da ministro dell’Interno e infine da Guardasigilli, la Cancellieri non abbia interrotto i rapporti con due condannati definitivi e, anzi, li abbia riagganciati dopo la nuova retata. Giustizia, nella Costituzione e nei dizionari, è sinonimo di imparzialità, eguaglianza, pari opportunità. C’è bisogno d’altro per affermare che questa signora può fare tutto fuorché il ministro della Giustizia?

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei

CASO LIGRESTI, UNA GUARDASIGILLI CHE E’ RICATTABILE?

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Una persona che frequenta da trent’anni una famiglia di disonesti truffatori faccendieri ha paura che venga applicato il metodo Boffo anche su di lei; chi altro conosce la Cancellieri?

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Ha ragione D’Alia quando dice che ricordare i principi costituzionali  è demenziale.

Qui ormai siamo arrivati talmente oltre il punto del non ritorno che se non c’è il reato, l’azione penalmente rilevante non ci deve stare nemmeno la critica. E spesso e volentieri non ci può stare nemmeno in presenza del reato. Da novantasei giorni un pregiudicato condannato è ancora libero ma non si può dire: bisogna aspettare i tempi della democrazia per applicare una sentenza a un delinquente. Perché quel delinquente fa parte della casta protetta e privilegiata alla quale tutto è concesso, anche violare la legge e avere un trattamento diverso da quello riservato ai cittadini comuni.
Non ci sono solo i comportamenti illegali, ci sono anche quelli in contrasto con quell’etica a cui si richiama la Costituzione ispirata soprattutto dal buon senso lungimirante della prevenzione. Pensata specialmente per evitare di sbagliare. C’è scritto tutto, e c’era scritto anche che una persona come il delinquente ancora a piede libero non avrebbe potuto accedere alla carriera politica per evidenti contrasti fra i suoi interessi e la gestione delle cose pubbliche, ma questo non ha impedito che al delinquente siano state aperte lo stesso le porte del parlamento. Perché questo sia potuto accadere non ce lo ha mai spiegato nessuno; nessuno che si sia cosparso il capo di cenere per scusarsi di aver dato il permesso ad un personaggio che, se prima si poteva definire discutibile oggi si può addirittura dire di lui che è un pregiudicato condannato, di poter stravolgere un paese fin nelle sue fondamenta che risiedono proprio in quella Costituzione divenuta ormai un fastidio. Anzi, tutti si sono attivati per rendergli la permanenza nelle istituzioni il più confortevole possibile continuando a sfregiare quella Costituzione con leggi fatte apposta per lui e convalidate da chi viene definito “garante”: delle istituzioni e della Costituzione ma che in realtà l’unica cosa che ha difeso è proprio e solo quella casta di privilegiati di cui nulla si può dire senza essere tacciati di essere antipolitici, populisti antistato e demagoghi. E l’ha talmente difesa bene da volerla riunire tutta nell’abbraccio nelle larghe intese il cui operato non si deve discutere pena la stabilità del paese. Ora io non so se nel governo della stabilità del paese è prevista la presenza di un ministro che non pensa di aver fatto nulla in contrasto con quell’etica costituzionale occupandosi personalmente di segnalare con urgenza il caso di una persona amica che fa parte di una famiglia da sempre al centro di inchieste giudiziarie. Non c’è bisogno che nelle frequentazioni e nel comportamento del ministro ci sia qualcosa di penalmente rilevante per pensare che chi svolge una professione delicata che ha a che fare principalmente con l’applicazione della legge e della Costituzione non dovrebbe avere niente a che fare con gente abituata a violare la legge. E che non sta bene un ministro che pensa e dice che non sia stato giusto il trattamento riservato agli esponenti della famiglia fuorilegge dicendo di essere solidale con la famiglia e non con lo stato che rappresenta mettendosi a disposizione non dello stato ma dei fuorilegge.
Quello che so è che in un paese appena un po’ normale, uno di quelli dove presidenti e ministri si dimettono appena l’ombra del sospetto aleggia su di loro una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere. In questo invece quel ministro non solo trova il sostegno e la solidarietà della politica, del presidente della repubblica che non ha detto una sola parola nel merito della questione quindi è facile immaginare quale sia il suo pensiero, del presidente del consiglio la cui fiducia nei confronti del ministro è “a prescindere” ma anche di tanta gente comune che in questi giorni si è appellata all’impossibile e all’inenarrabile per difendere quel ministro in spregio non solo della Costituzione, della legge e del rispetto di quelle regole che vorrebbe che ognuno stia al suo posto: i ministri a fare i ministri e i delinquenti a fare i condannati quando li scoprono ma soprattutto in virtù di quella demenza diffusa che ha fatto perdere di vista il semplicissimo concetto di quello che è giusto, sbagliato, di quello che si può fare e quello che non si deve mai fare. Soprattutto quando si rappresenta lo stato, la qual cosa prevede anche il rispetto di quella Costituzione pensata proprio per difendere lo stato, non gli amici delinquenti dei ministri.

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Quello che mi dà fastidio, un enorme fastidio, sempre in base a quel concetto di demenza diffusa, sono le accuse di giustizialismo, di essere persone che umanamente non valgono niente rivolte a chi non pensa che difendendo la Cancellieri si sostenga qualche giusta causa. 
Men che meno quella della condizione disumana delle carceri che non si risolve occupandosi di pochi fortunati prescelti né liberando delinquenti a grappoli ogni tot di anni perché nelle galere si sta stretti. 

Chi tocca temi come amnistia e indulto verrà sbranato finché la politica non si libererà del più delinquente di tutti, se la politica non lo fa, se non elimina quelle leggi barbare che mandano in carcere chi non ci deve andare, significa che non le interessa minimamente la realtà drammatica dei detenuti in Italia ma le interessa che il dramma continui ad esistere in modo tale da poter giustificare poi i provvedimenti straordinari che non risolvono i problemi di chi in galera ci deve purtroppo stare ma aiutano a non entrarci chi non ci vuole proprio andare anche se la merita. 

E la Cancellieri per prima ha dimostrato che non le interessano i casi di tutti ma solo quelli di qualcuno, con buona pace di chi da giorni va impestando bacheche pubbliche ripetendo la litania che “la ministra ha agito secondo quelli che sono i suoi doveri”: e non è affatto così. 

E la domanda da fare non è la solita scemenza del “se capitasse a te” ma proprio quella opposta e cioè “se capitasse a ME”, e francamente l’idea di dovermi trovare in una situazione difficile e dover essere io quella che resta fuori dall’interessamento personale di un ministro non mi affascina particolarmente. Ecco perché il ministro si deve occupare di tutti e non solo di qualcuno. 

E dà fastidio anche la supponenza, quella presunta superiorità intellettuale benaltrista di chi pensa che ci si stia occupando troppo della vicenda rispetto ad altre realtà come se guardare una cosa impedisse di osservarne altre. 

E la solita insopportabile categoria di idioti nel profondo di quelli che, manco a dirlo, danno la colpa a certi giornali [uno nella fattispecie: il solito Fatto Quotidiano], e a certi giornalisti [uno nella fattispecie: il solito Marco Travaglio] di quella profonda insensibilità forcaiola di noi che vorremmo vivere in un paese dove le sentenze definitive si applicassero anche al prepotente delinquente nei tempi previsti dalle leggi, dove un ministro non telefonasse a casa di famiglie non al di sopra di ogni sospetto ma molto al di sotto di un’idea di onestà senza per questo doverci sentire noi dei fuori legge disumani.

La ministra giusta al posto giusto

QUANDO NELL’87 FACEVA PUBBLIC RELATION PER I LIGRESTI

Di Cancellieri, dame di carità, regine e di politica

DAL CAVALIERE ALLA CANCELLIERI IL ROMANZO DEL POTERE AL TELEFONO 

TELEFONATE TUTTI ALL’AMICA CANCELLIERI 

L’INCREDIBILE PERIZIA MEDICA PER LA LIGRESTI: SE ANCHE IL CARCERE DIVIDE I RICCHI DAI POVERI 

IL TELEFONO AMICO DEI LIGRESTI? SCOPERTO CON LE INTERCETTAZIONI 

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Il ministro della giustizia dovrebbe vigilare su come agiscono i suoi subalterni, le persone che lavorano nell’ambito che lei dovrebbe far funzionare. Non esaminare uno, dieci, trenta o cento casi su quasi 70.000. E casualmente occuparsi personalmente solo di uno perché la riguarda personalmente. E nel caso in cui lo ritenesse davvero più grave di altri dovrebbe farlo alla luce del sole. Non farsi scoprire dalle intercettazioni.

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“Mi dimetto se lo vuole Letta”.
Letta naturalmente non vuole, ci ha già fatto sapere che Cancellieri gode della sua fiducia “a prescindere” e dunque tutto va bene così.

Tutto è bene quel che finisce bene: nessuna responsabilità, nessuna risposta, niente di niente. Domani il governo ribadirà la sua stima per la grande donna delle istituzioni che ha trovato tempo e modo per attivarsi per un caso umano su 67.000, poco importa se era quello che riguardava una sua amica di famiglia, degli altri “almeno 110” di cui si sarebbe occupata la ministra non c’è riscontro né una prova. 

E né tanto meno nessuno che, stupefatto di essere stato contattato telefonicamente dalla Cancellieri in persona così com’è avvenuto con la famiglia di Giulia Ligresti abbia pensato che, dato il valore umano e istituzionale del gesto valeva la pena renderlo pubblico. 

Come al solito la politica risponde col consueto due di picche dell’arroganza, e ad esprimerlo è una signora che ufficialmente non fa nemmeno parte della politica essendo stata scelta dal professor Sborone in loden per formare la squadra dei tecnici che avrebbero dovuto salvare l’Italia dalla crisi. 

Cancellieri è uno dei prodotti della politica fallimentare, quella che non occupandosi dei problemi del paese perché troppo interessata a risolvere i suoi ogni tot di anni deve abdicare al suo ruolo, cedere il passo ai tecnocrati, che poi esprimono solo quella politica dove l’unica cosa importante è che i conti tornino, a discapito di chi non è importante. 

Fra tutti quelli che si sono sperticati nella difesa della ministra tanto umanitaria non c’è nessuno che abbia evidenziato l’enorme e gigantesco conflitto di interessi che la coinvolge personalmente, che poi è il motivo principale per cui la Cancellieri dovrebbe dimettersi proprio in qualità di amica della famiglia presso la quale è intervenuta, tutti hanno espresso solo frasi e parole ripetute a martello che si possono riassumere nel patetico concetto che la ministra non poteva lasciar morire Giulia Ligresti. 

Ora, il compito di un ministro non è di esaminare e valutare 111 casi su 67.000 ma fare in modo che fra quei 67.000 residenti nelle carceri italiane non ci sia nessun caso umano, grave, di gente in pericolo di vita. 

Perché nessuno dovrebbe esserlo quando è sotto tutela dello stato. E quando succede significa che lo stato ha fallito. Ed ecco perché Cancellieri non può dimettersi: perché sarebbe come mettere il sigillo sull’ennesimo fallimento dello stato.

E il governo, quello bello delle larghe intese è talmente attorcigliato su se stesso, sulla sua impossibilità a risolvere uno solo dei problemi per cui Napolitano lo ha voluto che non si è nemmeno accorto che questo caso è già stato strumentalizzato dal partito del delinquente ancora a piede libero che, difendendo la Cancellieri chiede esplicitamente che si difenda anche berlusconi che per un caso analogo, simile, di abuso di potere – quando lui telefonò alla questura di Milano chiedendo che venisse rilasciata una ladra, una prostituta millantando che fosse la nipote di uno dei suoi tanti amici dittatori è stato condannato in primo grado a sette anni per concussione. E quei 314 traditori dello stato che hanno riconfermato nel parlamento della repubblica che Ruby era davvero la nipote di Mubarak fanno ancora parte dello stato e delle istituzioni. Ecco perché la morale di tutto,  anche di questa brutta storia di familismo, personalismo, conflitto di interessi, abuso d’ufficio e di potere si può riassumere nel semplicissimo concetto che, chi oggi parla di antipolitica, populismi e demagogia, preferisce fare come Scalfari che ammonisce dalle pagine della sua Repubblica che se vince Grillo l’Italia va a rotoli – come se la politica, quella bella e tradizionale non ce l’avesse già mandata da un pezzo –  o è cieco e sordo, o interessato che tutto resti com’è o ha un’incommensurabile faccia come il culo.

«Sono Annamaria, sono mesi che ti voglio telefonare per dirti che ti voglio bene»

Sottotitolo: visto che si continuano a mandare in giro maleparole nel circuito dell’italica disinformazione ci terrei che si sapesse che la sorella di Stefano Cucchi NON HA DIFESO proprio per niente la Cancellieri. Ha solo detto che nelle due volte in cui l’ha incontrata le è sembrata umana e che se ci fosse stata lei al ministero durante il calvario di suo fratello probabilmente, forse, si sarebbe occupata anche del caso umano di suo fratello, un ragazzo portato in un carcere con le sue gambe e poi morto ufficialmente di fame e di sete in un ospedale nonostante gli evidenti segni del pestaggio subito che portava addosso. La qual cosa è ben diversa dal dire nei tiggì, notiziari radiofonici e scrivere sui giornali che Ilaria ha dato ragione alla ministra, che ha fatto bene, è stata istituzionalmente corretta. Bisognerebbe smetterla anche con questa disinformazione, a prescindere.

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Per tutti quelli che non possono telefonare alla Cancellieri

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La Cancellieri che si vanta di essersi occupata di altri 110 detenuti in difficoltà, elargendo anche a loro la sua infinita umanità non ha però chiamato di persona parenti e amici degli arrestati lo stesso giorno in cui sono stati trasferiti nelle patrie galere, non si è detta dispiaciuta né ha detto che non era giusto che fossero stati arrestati. Ha detto che erano persone che pur non avendo rapporti con lei [di amicizia intima] e che per questo non potevano conoscere i suoi recapiti telefonici hanno potuto usufruire lo stesso della sua doverosa umanità. 
Invece brunetta, come anche Letta e Napolitano dubbi non ne hanno, mai, né l’espressione di un’incertezza, c’è sempre la corsa alla giustificazione, alla copertura, all’appoggio e alla solidarietà d’accatto.

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Cancellieri: “Sono intervenuta oltre 110 volte”
E da Letta arriva la fiducia a prescindere
Brunetta: “Niente dimissioni, Pdl la sosterrà”

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La fiducia “a prescindere” non si concede proprio a nessuno. 

E’ qualcosa che va guadagnata e confermata tutti i giorni anche fra persone legate da rapporti privati, intimi, affettuosi e d’amore.

Letta jr però ci fa sapere che Anna Maria Cancellieri può godere della sua e che è assolutamente sicuro che la signora potrà fugare ogni dubbio sul suo agire. Napolitano intanto, arroccato nel fortino che gli hanno assicurato le larghe intese continua a tacere non ritenendo opportuno dire due parole nel merito di un comportamento istituzionale non usuale.

Comportamenti e atteggiamenti quelli dei presidenti della repubblica e del consiglio che confermano, semmai ce ne fosse bisogno, quanto la casta continui a chiudersi nella sua autoreferenzialità ogni volta che qualcuno dei suoi privilegiati appartenenti viene colto a fare qualcosa che non si dovrebbe fare.
Ora, che lo facciano quelli del pdl è anche comprensibile visto che i Ligresti sono roba loro, ma gli altri? possibile che nessuno abbia alzato un sopracciglio, nessuno che abbia sentito il bisogno di dire e di ricordare a questa signora e a chi la difende – per il bene e la stabilità del paese e del governo, s’intende – da istituzione o da politico che quello che ha fatto la ministra non rientra affatto nei doveri di un ministro? 

Di tutta questa storia quello che  dà più fastidio, oltre alla conferma che questo è il paese dei figli e dei figliastri è la presa in giro. 

Il fatto che ai vertici dello stato ci sia gente che pensa che tutto si può fare senza la benché minima conseguenza. Senza che ci sia un’assunzione di responsabilità forte e chiara e una risposta altrettanto forte e chiara.

Tutti difendono tutto e tutti come se il loro fosse l’unico modo, ancorché quello giusto e corretto, di gestire e condurre un paese.

 

Umanità a corrente alternata

Sottotitolo: se la Cancellieri non si dimette perché pensa di stare nel giusto anch’io vado avanti a oltranza, perché penso di essere nel giusto. Anzi, pensando ai tanti e non al singolo o ai pochi penso proprio di stare più di lei, nel giusto. E non faccio nemmeno il ministro della giustizia.

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Se in questo paese le carceri sono troppo piene non significa necessariamente che ci siano troppi delinquenti, potrebbe, può anzi voler dire che non sono fatte bene le leggi, che i governi continuano ad attivarsi per infilare gente – quella comune, povera, diseredata che non ha la fortuna di avere ministri per amici –  nelle patrie galere,  non pensano a delle alternative all’extrema ratio della privazione totale della libertà,  rendendo de facto l’ambiente carcerario ostile e assolutamente contrario a quel dettato costituzionale che prevede il trattamento umanitario e la riabilitazione sociale anche per quelle persone che hanno violato la legge. Magari non per frodare lo stato o falsare i bilanci delle proprie aziende ma semplicemente per sopravvivere. 

Anna Maria Cancellieri ha commesso un’ingerenza entrando a gamba tesa in una procedura che si stava già svolgendo nel modo opportuno,  previsto anche senza la sua collaborazione umanitaria, per di più richiesta in via privata e non ufficializzata. Un abuso che in un paese normale, in una democrazia civile le istituzioni non avrebbero tollerato né liquidato con la stessa nonchalance con cui lo fanno le nostre.  Perché nei paesi normali ognuno sta al suo posto, e se un ministro riceve una richiesta in via privata, tanto più da suoi amici personali  [e che amici!] risponde che non può, perché è un ministro che rappresenta lo stato, la repubblica e che il suo dovere è quello di occuparsi di tutti i cittadini, non solo di qualcuno, nel particolare  di una. Altroché umanità doverosa.  In Italia ci sono migliaia di detenuti che vivono in condizioni indegne. La ministra dimostrasse, prove concrete e tabulati alla mano, di aver ascoltato le richieste per  ognuno di loro, altrimenti se non può, se non ha le prove vada a casa la  Cancellieri, lasciasse il posto a qualcuno meno umanamente sensibile per qualcuno ma più interventista per tutti.  Come dovrebbe essere un ministro della repubblica.

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Se un ministro della giustizia è costretto, nel 2013, ad intervenire per porre rimedio ad una delle tante situazioni di disagio che si verificano nelle carceri italiane non da ieri o ieri l’altro ma da decenni significa che allo stato e ai governi di questo paese non interessa che la giustizia e la sua applicazione anche nelle norme detentive e punitive  funzionino come si deve, e che fino ad ora – praticamente da che esiste la repubblica – l’ambito della giustizia è stato affidato ad emeriti incapaci che non hanno operato, non si sono impegnati per migliorare la condizione delle carceri in Italia e, facendo parte come prevede l’alternanza democratica dei vari partiti che hanno composto gli esecutivi significa che la politica tutta si è impegnata per l’esatto contrario. Affinché poi per risolvere le urgenze si prendessero provvedimenti straordinari come amnistie, indulti o nel caso di specie l’intervento diretto del ministro. L’intervento straordinario è tale proprio perché definisce un provvedimento che si è costretti a prendere in situazioni e condizioni di emergenza; un paese normale non può essere sempre in quell’emergenza che giustifica ogni manciata d’anni la richiesta di indulti e amnistie necessari e nel lasso di tempo che intercorre fra una richiesta e l’altra, fra una concessione e l’altra nessuno fa nulla ma anzi, come è accaduto nel ventennio berlusconiano lo stato è andato sempre nella direzione opposta favorendo tutto ciò che andava contro una normale applicazione della legge uguale per tutti così come vuole la Costituzione. Ed essendo i governi sempre molto occupati a cercare, e purtroppo trovare ogni espediente utile per non rendere esecutive le leggi che c’erano e a stravolgerne altre pro domo berlusconi  si sono dimenticati di quelle persone verso cui la legge invece si applica ogni giorno. Ogni giorno c’è gente che entra nelle carceri e ci resta, a dispetto della sua situazione personale, delle sue condizioni di salute e di chi lascia a casa.

Gente che non suscita la compassione di nessuno né può mai chiedere l’intervento umanitario doveroso eccellente.

Se come afferma la ministra Cancellieri, rifarebbe quelle telefonate per andare in soccorso dell’amica sarebbe corretto e molto più istituzionale che le facesse in modo tale che si vengano a sapere senza l’ausilio delle intecettazioni.  Perché senza quelle della vicenda di un ministro che pensa che non ci sia nulla di anomalo nel chiedere un trattamento di riguardo verso una detenuta su oltre 67.000 perché la famiglia della detenuta  casualmente in rapporti di amicizia con la ministra Cancellieri le chiede direttamente di farlo, nessuno avrebbe mai saputo niente. E non mi pare carino che non si pubblicizzi un intervento umanitario doveroso da parte dello stato verso uno o più cittadini in difficoltà [anche se non sono amici di famiglia], se è davvero tale. E visto che è così raro che lo stato si occupi realmente dei bisogni della gente perché non dare il giusto risalto ad un gesto così doverosamente umanitario?

La ministra Cancellieri oltre a non conoscere quei dettami costituzionali citati da Marco Travaglio nel fondo di oggi dimostra di aver perso di vista anche la nobile arte dell’applicazione della questione di principio che dovrebbe valere per tutto e tutti. Come scrive Maso Notarianni su Micromega “nel 2012 ben 1.300 detenuti hanno tentato il suicidio, sono stati 7.317 gli atti di autolesionismo, 56 i suicidi e 97 le morti per cause naturali. Oltre 1.500 le manifestazioni su sovraffollamento e condizioni di vita intramurarie”, secondo un rapporto del sindacato di polizia penitenziaria.

E di fronte a queste cifre la ministra della giustizia  ci racconta che oltre ad essersi occupata personalmente di Giulia Ligresti lo ha fatto per almeno altri 110 casi. E allora chiedo: chi ha valutato la gravità e l’urgenza? secondo quale principio lo stato si attiva e secondo quale fantasiosa teoria la ministra si autoassolve perché – dice – essendosi occupata di altri casi ha ritenuto normale farlo anche con l’amica di famiglia? cosa c’è di umano e meritorio nell’occuparsi di un centinaio [più una] di persone e lasciarne altre migliaia nel degrado, nella sofferenza e nella malattia che opprime fino al suicidio? si vergogni, la Cancellieri, che con la conferenza stampa di ieri ha soltanto ribadito la sua arroganza, non solo istituzionale ma  che definisce quella casta a cui tutto viene concesso semplicemente perché se lo autoconcede.  

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LE ASSOCIAZIONI DEI DETENUTI: “DA MINISTRO FAVORITISMO INACCETTABILE” (di T. Mackinson)

Cancellieri-Ligresti, le associazioni dei detenuti: “Favoritismo inaccettabile”.

Il Guardasigilli è intervenuto in decine di altri casi. Ma spuntano casi in cui, sollecitata a un intervento, ha risposto picche. E intanto il numero dei suicidi in cella è cresciuto del 300% in dieci anni, una quarantina dall’inizio del 2013: “Non avevano il cognome e il numero giusto”.

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Scancellieri – Marco Travaglio, 3 novembre

È ufficiale: il ministro della Giustizia non conosce o non capisce il dovere di imparzialità a cui è tenuto ogni membro del governo e della Pubblica amministrazione. Non conosce o non capisce l’art. 97 della Costituzione: “I pubblici uffici sono organizzati… in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. E neppure l’art. 98: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. Sicuramente conosce, ma non capisce (come la gran parte dei suoi colleghi di Casta), l’art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ma anche Napolitano e Letta jr., per non parlare dei partiti della maggioranza, hanno idee molto confuse in materia. Infatti il primo tace (e meno male, visto quel che riuscì a dire per difendere un altro ministro da cacciare, Alfano). E il secondo biascica che la ministra “chiarirà tutto”: come se non fosse tutto abbastanza chiaro. Lei intanto ha capito che la farà franca e ripete che sparlare con la moglie di un arrestato – a sua volta padre di tre arrestati – dei magistrati che hanno disposto gli arresti, e poi raccomandare presso i sottoposti una delle persone arrestate, è cosa assolutamente normale per un ministro della Giustizia. Anzi, “doverosa”. Anzi, non farlo sarebbe “colpevole omissione”. Non le passa neppure per l’anticamera del cervello che intercedere per una detenuta amica sua, figlia di un amico suo, fra l’altro datore di lavoro di suo figlio, significa tradire i doveri di imparzialità e di servizio all’intera Nazione. Ed è ridicolo affannarsi a citare altre analoghe “segnalazioni” come prova che lei tratta tutti i detenuti allo stesso modo. Se la famiglia Ligresti non possedesse il numero di cellulare dell’amica ministra, questa non avrebbe mai potuto “segnalare” il caso di Giulia, malata di anoressia, ai vicedirettori del Dap. E questo non fu soltanto un trattamento privilegiato, ma anche un atto superfluo (la Procura di Torino, motu proprio, aveva subito disposto una perizia sulle condizioni di salute della reclusa, giudicate incompatibili con il carcere). Peggio: un attestato di somma sfiducia nell’amministrazione penitenziaria e giudiziaria che la Cancellieri dirige. Il messaggio che lancia con queste scriteriate dichiarazioni è terrificante: la ministra della Giustizia pensa che i magistrati e i funzionari delle carceri siano dei sadici aguzzini che se ne infischiano abitualmente dei detenuti a rischio, al punto che senza, le sue personali segnalazioni per questo o quel detenuto, nelle carceri italiane sarebbe una strage quotidiana. Sul sito del ministero, in alto a sinistra, c’è una frase in grassetto: “Percorsi chiari e precisi: un tuo diritto”. Ritiene la ministra Cancellieri che quello seguito per Giulia Ligresti sia un “percorso chiaro e preciso”? O non somiglia piuttosto alla classica scorciatoia, alla solita corsia preferenziale di cui troppo spesso godono gli amici degli amici nel Paese che punisce la conoscenza e premia le conoscenze? La questione è tutta qui. Altro che “critiche da matti”, altro che “attacchi falsi”, altro che “paese di Cesare Beccaria”. Quello della Giustizia è il solo ministro ad avere rilievo costituzionale: l’art. 110 della Carta gli affida il compito di curare “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”. Se la Guardasigilli ritiene che quei servizi siano così mal organizzati da lasciar morire come le mosche i detenuti malati, li riformi. Lasci perdere, per decenza, le citazioni di Stefano Cucchi, i cui familiari purtroppo non conoscevano nessun ministro. E pubblichi subito il suo numero di cellulare sul sito del ministero, affinché tutti gli altri detenuti malati possano chiamarla, con pari opportunità rispetto a Giulia Ligresti e famiglia. Ma, per favore, non parli più di “dovere d’ufficio” e di “coscienza a posto”. In quale posto: a casa Ligresti? 

A trovarla, una coscienza

Sottotitolo: fra una settimana esatta berlusconi potrà festeggiare i primi cento giorni della non applicazione della sentenza che lo ha condannato a quattro anni per frode fiscale. Insieme agli altri casi umani di cui si è occupata la ministra Cancellieri bisognerebbe indagare su quanti condannati in Italia abbiano potuto vedersi garantire una situazione analoga dopo una sentenza di condanna definitiva.

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Un ministro della repubblica che si comporta come Anna Maria Cancellieri dice di sentirsi a posto con la sua coscienza perché lei è talmente [e fantozzianamente] umana che si occupa proprio di tutti quelli che la interpellano [chi sono però non è dato saperlo: è un segreto di stato] e tutti si affannano a difenderla. Perfino la santanché che ha detto che siccome la vicenda è molto simile a quella di berlusconi, Ruby e la questura di Milano la Cancellieri non ha fatto niente di male. Lo stato, per bocca della ministra della giustizia, dice ad una pregiudicata condannata per uno dei reati più odiosi in ambito economico/finanziario “conta pure su di me” mentre abbandona al proprio destino quelle persone in difficoltà, alla disperazione per problemi finanziari causati soprattutto da un’economia nazionale portata allo sbando e al fallimento da faccendieri disonesti come i Ligresti che hanno le mani in pasta ovunque ci sia da razziare, sottrarre e rubare risorse allo stato.
Chi parla di solidarietà e compassione o come Lerner non capisce cos’abbia la Cancellieri da farsi perdonare chissà se ha mai sentito parlare di etica istituzionale. 

Borsellino usava dire che se un politico frequenta un mafioso il fatto in sé non costituisce nulla di penalmente rilevante ma magari dovrebbe rendere quel politico amico del mafioso meno affidabile [se per niente ancora meglio così non c’è nemmeno il rischio di trovarselo poi in parlamento a fare leggi per quelli che non hanno mafiosi per amicii]. 

Qui abbiamo una signora in carriera la cui attività, prima prefetto poi ministro è sempre stata a stretto contatto con la legge e col rispetto delle regole, e una famiglia come quella di Salvatore Ligresti che da tre decenni occupa la cronaca nera e quella giudiziaria può vantare un’amicizia di vecchia data con lei. E la cosa è talmente reciproca che la ministra rassicura, dice a gente così “conta pure su di me”. 

E questa signora, oggi ministro della giustizia non trova, non pensa di aver fatto nulla di strano nell’intercedere a favore di una che di cognome fa Ligresti per favorirle gli arresti domiciliari.
Sul figlio di Anna Maria Cancellieri liquidato proprio dai Ligresti con tre milioni e seicentomila euro [ma che potrebbero essere anche cinque] per un anno di lavoro naturalmente anche Lerner e tutti i difensori d’accatto stendono il solito velo pietoso ché non sia mai si debba rischiare di pregiudicare il bel clima delle larghe intese e la stabilità del governo e del paese. Anna Maria Cancellieri non dovrebbe dimettersi solo per il gesto da lei ritenuto doverosamente umanitario mentre altro non è che il solito squallido abusare di un potere, ma soprattutto per scusarsi con tutte le persone che dallo stato nel momento del bisogno hanno trovato solo porte chiuse in faccia. Non hanno potuto contare su nessuno. Quelle abbandonate al proprio destino solo perché non hanno un cognome “blasonato”.

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DA CRAXI AL CAVALIERE, LA FAMILY AL POTERE 

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La figlia di Mubarak
Marco Travaglio, 2 novembre

Quando Anna Maria Cancellieri diventò ministro dell’Interno, poi fu candidata al Quirinale, infine divenne ministro della Giustizia, il Fatto — come sempre — segnalò i suoi potenziali conflitti d’interessi familiari legati alla vecchiaamicizia con la famiglia Ligresti, cliente da tempoimmemorabile di procure, tribunali e patriegalere; e al ruolo del figlio Piergiorgio Peluso,alto dirigente prima di Unicredit, poi di Fonsai, infine di Telecom. 
In particolare ci occupammodella tragicommedia dei “braccialetti elettronici”per controllare i detenuti in libertà, un appaltodi sette anni per centinaia di milioni rinnovatodal Viminale sotto la Cancellieri alla Telecomin cui andò a lavorare il pargolo. 
Ma laparola conflitto d’interessi, dopo vent’anni di mitridatizzazione berlusconiana, suscita noia, fastidio, sbadigli. E morta lì. Ora il conflitto d’interessi, da potenziale, diventa effettivo, concreto, reale: la ministra della Giustizia Cancellieri, amica dei Ligresti, telefona alla compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, appena arrestato per gravissimi reati finanziari insieme alle due figlie e a vari manager, per darle la sua solidarietà contro un provvedimento della magistratura che definisce “la fine del mondo”, “sono veramente dispiaciuta”, “c’è modo e modo”, “non è giusto”, “qualsiasi cosa io possa fare conta su di me”. 
Insomma, si mette a disposizione.
Ma non abbastanza per i gusti della Fragni, che si sfoga con la figlia: “Gli ho detto: ma non ti vergogni di farti vedere adesso? Tu sei lì perché ti ci ha messo questa persona… Ecco, capito? ‘Ah, son dispiaciuta’… No, non si è dispiaciuti! Sono stati capaci di mangiare tutti”.
Fra questi anche il rampollo Peluso. Almeno secondo Giulia Ligresti, che prima dell’arresto lo accusava di aver “distrutto la compagnia” nei pochi mesi di permanenza ai vertici di Fonsai: solo che “invece di chiedergli i danni”, “in consiglio nessuno ha fiatato” quando si decise di liquidarlo con 3,6 milioni (lei dice addirittura 5) di buonuscita dopo appena un anno, “approvato all’unanimità, che se fosse stato il nome diqualcun altro…”. Resta da capire chi sia “la persona” che “ha messo lì” la ministra. Chi siano i “tutti” che hanno “mangiato”. E in che senso il “nome” di Peluso gli abbia garantito tutti quei milioni. Basterebbe questo per consigliare alla ministra di andarsene. Ma c’è molto di più, perché il 17 agosto, quando la richiesta di scarcerazione di Giulia Ligresti per motivi di salute (anoressia e rifiuto del cibo) viene inizialmente rigettata dal gip di Torino, la Fragni chiama il
quasi-cognato Nino perché mobiliti “quella nostra amica”. 
Che è la ministra della Giustizia.
Lui la chiama, lei risponde. Poi telefona ai vicedirettori delle carceri, Cascini e Pagano, perché intervengano. Infine avverte via sms Nino Ligresti: “Ho fatto la segnalazione”. La scena ricorda parecchio le telefonate di B. da Parigi alla Questura di Milano per far liberare Ruby, appena fermata per furto, e affidarla a Nicole Minetti. E le chiamate di Nicola Mancino al consigliere di Napolitano, Loris D’Ambrosio, per influenzare o spostare l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Ma stavolta — diversamente dai funzionari della Questura e dal duo D’Ambrosio- Napolitano — Cascini e Pagano rispondono che non si può fare niente, se non affidarsi alle normali procedure giudiziarie. 
E stoppano sul nascere le pressioni della ministra, che per questo unico motivo non giungeranno mai sul tavolo dei magistrati di Torino. I quali decideranno autonomamente di scarcerare Giulia Ligresti per motivi di salute, come prevede la legge, dopo il suo patteggiamento, mentre tengono tuttora in carcere la sorella Jonella, che non è malata e non ha patteggiato: la prova che nessun favoritismo è stato fatto dalla Procura e dal gip ai Ligresti amici della ministra. La quale, due giorni dopo l’uscita della notizia, ancora finge di non cogliere lo scandalo e dice di aver fatto “il mio dovere” a scopo “umanitario”.
Ma il dovere di un ministro, quando riceve una segnalazione, è quello di dirottare il segnalatore alle autorità competenti: che, essendo la legge uguale per tutti non sono l’amica ministra ma i giudici attraverso gli avvocati difensori. Che queste cose finga di non saperle la signora Cancellieri è comprensibile: difende la poltrona e se ci riesce la reputazione. Ma che non le capiscano i politici, almeno quelli del Pd che giudicano un abuso di potere le telefonate di B per Ruby è sconcertante. Pigolano “richieste di chiarimenti” e balbettano giaculatorie sulla trasparenza, come se la lettura delle intercettazioni non fosse abbastanza chiara e trasparente. Si trincerano dietro il fatto che la Cancellieri non è indagata ( e chi se ne frega: oltre alla responsabilità penale c’è anche quella politica e morale). Sventolano il comunicato della Procura di Torino che nega di aver subito pressioni dalla ministra: ma non perché non ci siano state bensì soltanto perché furono stoppate prima. Finirà che, per salvare la madrina di Ligresti crederanno pure al padrino della nipote di Mubarak.