Not in my name

 Un pensiero stretto al cuore alla Sardegna, Terra bellissima, dunque come tante altre martoriata non solo dal tempo ma soprattutto da chi non l’ha mai amata e l’ha usata, devastandola, per i suoi luridi affari, per trasformarla in casini e casinò. I governi di un paese civile lavorano per migliorare, i nostri invece di preoccuparsi di sanare il dissesto dei territori si attivano per contribuire alla distruzione. Sul progetto delinquenziale del TAV sono tutti d’accordo, a destra come a centrosinistra, Fassino, sindaco di Torino è il primo sostenitore dello scempio.  Fassino è quello che disse che la legge sul conflitto di interessi non serve perché non dà da mangiare. Evidentemente il TAV sì, fa mangiare un sacco di gente. Poi chiedeteci perché non vi votiamo.

Se la gente non va a votare è colpa sua, della sua irresponsabilità, del suo non sentire più come un dovere civico andarci o è colpa del menù che offre la casa?
Io a febbraio a votare ci sono andata, e ricordo che i risultati elettorali dicevano tutt’altro da quello che poi ci è stato imposto, per il nostro bene, quello del paese ma soprattutto di berlusconi.

Se la gente va a votare e poi chi mandare in parlamento a “governare” lo decide Napolitano [su richiesta dei veri governanti degli stati membri della UE] saranno sempre meno le persone che vorranno rendersi complici di questo andazzo che rispecchia tutt’altro da una democrazia.

Per quale ragione i cittadini dovrebbero continuare ad andare a votare con una legge che poi manda in parlamento gente scelta dalle segreterie di partito [e che gente poi: i soliti indagati, i soliti inquisiti, i soliti imputati] e non da loro perché alla politica sempre in emergenza fa comodo così, perché è l’unico modo che ha per salvare il suo salvabile?

Per quale motivo i cittadini dovrebbero votare quei partiti che dopo aver sostenuto e tollerato in modo più o meno occulto, sfacciato, la presenza in parlamento di un impostore abusivo delinquente da mesi non riescono, non vogliono, non possono esprimere una posizione forte e chiara circa la sorte inevitabile che in qualsiasi paese normale tocca ad un condannato con sentenza definitiva ma, al contrario, si sono resi complici di quella che sembra una storia destinata a non finire come deve, con la cacciata con disonore di un traditore dello stato? E per quale motivo la gente dovrebbe votare chi mantiene in parlamento ministri, un vicepresidente del consiglio che hanno avuto comportamenti contrari al loro ruolo, in contrasto coi loro doveri istituzionali? 

Il segnale dato alle elezioni di febbraio è stato forte e chiaro: una maggioranza consistente di cittadini non vuole più questa politica, non vuole più inciuci sotto e sopra il banco, non vuole più quei partiti che già trent’anni fa Enrico Berlinguer aveva individuato quale causa della degenerazione nella e della politica.

Ma tutto questo alle alte gerarchie non è interessato, invece di cercare il modo migliore che si avvicinasse il più possibile alla scelta democratica degli elettori per rendere operative le decisioni prese in cabina elettorale il padre padrone e padrino ha battuto il pugno sul tavolo decidendo lui il da farsi sulla base di un’ipotetica catastrofe, e tutto ciò che è stato fatto in questi mesi a partire dalla porcheria immonda delle larghe intese in concorso col partito di un pregiudicato condannato alla galera e col condannato stesso è stato utile soprattutto alla politica, al mantenimento in essere dei partiti tanto cari a Napolitano e a berlusconi che ha potuto così postdatare all’infinito ricattando e minacciando lo stato la sua dipartita dalla politica ma assai meno, anzi niente per noi.  E questa oscena manovra di palazzo concordata e spacciata per ultima ratio è stata dipinta e mascherata come una necessità impellente e inderogabile pena chissà quali devastazioni.

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che i governi nazionali non contano più niente, che la politica degli stati agisce in nome e per conto di altre entità: l’Europa, le banche, quindi non si capisce quale valore e valenza possa avere il voto in un paese come il nostro sottomesso da sempre ad altri poteri. E non si capisce perché i cittadini italiani dovrebbero continuare a dare la loro fiducia alla stessa gente che ha portato l’Italia nel baratro, perché mai dovrebbero rendersi complici di chi non è chiamato più a lavorare per il bene comune ma è obbligato ad agire per il salvataggio e il mantenimento di un astratto che la maggior parte della gente nemmeno sa e capisce.

Ed ecco perché nessun governo, nemmeno questo pensato e voluto principalmente per realizzare questo obiettivo vuole fare l’unica cosa necessaria per evitare la catastrofe vera, quella dei cittadini di un paese che non sentono più loro la responsabilità di esercitare il diritto/dovere del voto, ovvero una legge elettorale in linea con una democrazia non dico compiuta, matura ma almeno decente e meno inguardabile di questa.

 Quando si sacrifica la democrazia ai soldi non è giusto far sentire in colpa chi invece di andare a votare occupa meglio il suo tempo: diversamente, non si rende complice di un abominio. Questa filastrocca del voto quale dovere perché c’è gente che è morta per consentirci questo diritto non è più applicabile alla politica di adesso che agisce ed opera in virtù degli interessi dei pochi a scapito dei molti, facendo credere che leggi liberticide, quelle che uccidono lo stato sociale siano l’unica cosa possibile. Io, la pistola in mano a chi mi vuole ammazzare non gliela metto.  I partiti tradizionali che tanto piacciono al re del nuovo millennio non contassero su di me. Non ci penso neanche, una complicità comprende un guadagno reciproco, non quello di uno solo e la distruzione dell’altro.

L’importante è non partecipare – Massimo Rocca

Basta una brevissima parentesi per accorgersi della miseria della discussione politica del nostro paese. La ripetizione coatta degli stessi futili argomenti, il personalismo insopportabile, la lamentazione querula, la dissimulazione continua. Basta potersi allontanare dal mondo, sempre più ristretto, di gente che parla di se stessa a se stessa, per capire perchè, per la seconda volta in pochi mesi, una elezione locale in Italia sia stata disertata della maggioranza degli elettori, perchè i votanti al congresso dell’unico, partito rimasto tale in Italia si siano quasi dimezzati. Partecipare. Ma a cosa? A cosa serve la mia, la vostra, partecipazione in un’epoca in cui perfino il parlamento è spossessato del suo potere costitutivo, decidere entità e destinazione del prelievo fiscale. Dopo aver blaterato per un ventennio di federalismo e sussidiarietà, chi è, chi ha eletto, a chi risponde, questo Cottarelli che ha individuato 32 miliardi di spese inutili da tagliare, sapendo lui, Saccomanni e Letta che quel taglio corrisponderebbe ad un calo del PIL di almeno 50 miliardi. Volete il mio voto? Dovrete sudare sangue.

Ex voti – Marco Travaglio, 19 novembre

Alle primarie nei circoli del Pd hanno votato meno di 300 mila iscritti, il 35% in meno del 2009: in quattro anni se ne sono persi per strada 160mila. Alle regionali in Basilicata, la maggioranza degli elettori è rimasta a casa: è andato a votare solo il 47,57%, 11 punti in meno del 2010. Fosse stato un referendum, non avrebbe raggiunto il quorum. La partecipazione popolare alla politica, che fino a qualche anno fa era un vanto per l’Italia nel mondo, precipita di elezione in elezione a rotta di collo. E i partiti, regolarmente, fanno finta di niente: si spartiscono un piattino sempre più striminzito, badando solo alle percentuali relative, senza mai alzare lo sguardo sui dati assoluti. Cioè sull’esodo biblico dei cittadini lontano da loro. Mai che si domandino il perché, se non per inventarsi giustificazioni autoconsolatorie e autoassolutorie, (l’antipolitica, la disaffezione, lo scarso “radicamento sul territorio”, la pesante eredità del passato e dei governi precedenti, la crisi mondiale, l’Europa cattiva, la Merkel culona, le cavallette, il fato, la sfiga).

Del resto, perché mai una persona normale dovrebbe andare a votare? Per dare una bella sferzata di entusiasmo alle primarie del Pd, D’Alema ha già fatto sapere che Renzi magari piace alla gente, ma nel politburo lo odiano tutti e, appena eletto, se le cucinano loro. Renzi, per elettrizzare chi sperava in qualcosa di nuovo, dopo Fassino, Franceschini, Veltroni, Latorre, Cozzolino e Morri, ha imbarcato pure Francantonio Genovese, ras di Messina, nei guai fino al collo con la giustizia; e persino Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno e viceministro incompatibile ma inamovibile, oltrechè plurimputato (infatti, a Delucaland, Renzi ha raccolto 2566 voti e Cuperlo 50). In Basilicata s’è votato perché la giunta De Filippo, era finita indagata in blocco per le ruberie sui rimborsi regionali. Dunque il centrosinistra chi candidava? Marcello Pittella, ex assessore dei De Filippo, dunque indagato. E naturalmente è in vantaggio, in una regione che vive di clientele dai tempi delle 80 mila preferenze di Emilio Colombo. Ma c’è anche chi non ci sta: e allora non vota o sceglie M5S (ancora debolissimo nelle elezioni locali).

Soltanto il 25-26 febbraio gl’italiani un segnale di cambiamento l’avevano lanciato eccome, premiando col 25% una forza anti-sistema come M5S e bastonando tutti i partiti che avevano governato sino a quel momento: il Pdl perse 6,5 milioni di voti, il Pd ne smarrì 3,5 e Scelta Civica non superò il 10%. Nessun elettore di destra, centro e sinistra voleva mai più vedere l’inciucio. Risultato: l’inciucio sotto l’alto patrocinio di un presidente di 88 anni, di cui 60 trascorsi in Parlamento, il più anziano del mondo dopo Shimon Peres (90) e alla pari con Mobutu. E fanno le stesse cose di prima: cioè nulla, a parte cambiar nome alle tasse fingendo di abolirle, regalare soldi alle banche e agli amici degli amici, e annunciare la ripresa “l’anno prossimo”. Così la gente impara e si rassegna: noi elettori siamo un optional, ci danno la libera uscita ogni cinque anni, poi quattro babbioni si riuniscono al Quirinale e decidono il contrario del nostro voto. Se gli elettori Pd, Pdl e Sc potessero decidere la sorte della Cancellieri, l’avrebbero già murata in un grattacielo di Ligresti. Invece Nonno Giorgio e Letta Nipote la difendono e nutrono fiducia perché conta balle, ma “non è indagata”. Come se questo cambiasse qualcosa: i viceministri De Luca e Bubbico sono imputati e restano al governo. Casomai qualche elettore del Pd avesse ancora qualche tentazione di andare a votare, il giovane vecchio di Palazzo Chigi ha fatto sapere che il divorzio-farsa di Alfano&Schifani dal Cainano è un balsamo per il governo: vuoi mettere la figata di avere alleati Angelino&Renato? Intanto gli elettori Pdl s’abbandonano a carnevali di Rio per la riesumazione del cadavere di Forza Italia. Se al prossimo giro andranno a votare in tre, lorsignori si feliciteranno per la sostanziale tenuta delle larghe intese.

La dittatura conclamata

Sottotitolo: Dimissioni vuol dire DIMISSIONI. E di solito, chi si dimette lo fa subito, non fra un mese, un anno o mai più. Quello non vuole solo gli otto giorni, vuole l’immunità/impunità eterne e la possibilità di salvare come al solito ‘la robba’. La sua, naturalmente. E Napolitano, come diciamo a Roma, “je l’ha data calla” un’altra volta ché sennò il pupo s’innervosisce e poi fa il colpo di stato vero. Come se non avesse fatto altro in tutti questi anni. Ma la gente finché non vede i carriarmati in piazza non capisce.

Credo di conoscere almeno le basi di quel rispetto delle regole sul quale dovrebbe essere fondata una vera democrazia. E, nelle vere democrazie chi perde va a casa, non detta lui le condizioni. Altri 15 giorni significano altre grandi manovre, significa dare a quell’uomo la possibilità di agire, di trovare l’ennesimo modo per salvare di se stesso e della sua “robba” tutto il salvabile e continuare a fregare gli italiani preservando se stesso. A me, questo clima da dittatura conclamata non piace per niente. E non mi piace un presidente della Repubblica che offre sempre il fianco al figlio discolo, che usa la comprensione anziché una giusta severità, per non farlo incattivire oltremodo. Ai capricci di un figlio qualche volta bisognerebbe saper rispondere anche con una sonora sculacciata e una giusta punizione. E io, alla mediocrità della via di mezzo ho sempre preferito il rischio di una scelta precisa e decisa.
B. fa benissimo a non dimettersi, perché nessuno lo costringe a farlo, ma cos’altro deve fare quell’uomo per dimostrare ciò che è e quali sono le sue reali intenzioni: commettere un omicidio in diretta televisiva? la proroga gli era già stata offerta il 14 dicembre scorso, e tutti sanno cosa è successo. Ma, dopo il 14 dicembre Napolitano c’è cascato ancora. Significa che nelle prossime 24-48 ore saremo nel caos più totale con lo spread che salirà ancora e renderà più probabile e certo il default (fallimento) dell’Italia; nel frattempo il cavalier pompetta metterà mano ai suoi tesoretti per “convincere” (comprandoli come ha sempre fatto) i traditori a rientrare nelle righe e, ancora una volta, a farne le spese saranno tutti gli italiani.

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Gli ultimi giorni di Pompetta, Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano, 9 novembre (Qualcuno dovrebbe cacciare Travaglio, almeno due o tre volte: ha scritto cazzi, cazzo, testa di cazzo e ha pure confermato. E, se lo conosco un po’ non chiederà nemmeno perdono.Quindi si tratterà sicuramente di diffamazione, e, nella peggiore delle ipotesi di un cattivo uso di uno spazio pubblico qual è un giornale. Io invidio chi non capisce niente, perché vive meglio, specialmente in questo brutto periodo. Nota di RL)


Lo spettacolo degli ultimi giorni di Pompetta, come lo chiama Dagospia, è un bignamino di questi 17 anni di “rivoluzione liberale”. Lui, tanto per cambiare, si fa i cazzi suoi. Incontra i figli e Confalonieri per sistemare quanto ha di più caro al mondo: le aziende e il portafogli. Poi vede Ghedini per parlare di processi. Poi, nottetempo, riceve un paio di squinzie in vista del “governo di scopo”. Intanto, tutt’intorno a lui, politici e giornalisti, alte e basse cariche dello Stato fanno finta di non vedere, e scrivono e parlano e consultano come se la questione fosse politica. Come se la sua strenua resistenza nel bunker fosse mossa da ragioni economiche, finanziarie, istituzionali. E strologano di governi tecnici, di larghe intese, di responsabilità, di tregua, di transizione, di decantazione, di scopo (ma nell’altro senso). E discettano di cosa sia meglio per rassicurare i mercati e le borse, mentre lui si occupa del solito mercato (quello delle vacche) e della solita borsa (la sua). Così la grande tragedia nazionale finisce immancabilmente in commedia, anzi in farsa. Minzolingua minaccia i traditori del Capo col solito editoriale criminoso del Tg1 pagato con i soldi di tutti: “Voi credete di evitare le elezioni, invece le state provocando”. Ferrara, che non ha mai avuto una notizia in vita sua, fa il primo scoop della carriera e naturalmente è una patacca: “Il piduista B. si dimette”. I mercati internazionali, non conoscendolo, abboccano e impazziscono di gioia, poi però scoprono chi è Ferrara e tornano in depressione. Franco Bechis manda in rete la telefonata con voce taroccata di un dirigente Pdl che annuncia la dipartita del premier chiamandolo “testa di cazzo” (dunque è uno che lo conosce bene), ma è un’altra patacca (le dimissioni, non la testa di cazzo). Poi su Internet smascherano la voce vera e dicono che è Crosetto, allora Bechis dice che non è Crosetto, poi Crosetto dice che non è Crosetto, poi Crosetto dice che è Crosetto e si lamenta perché hanno violato la sua privacy, ma aggiunge che non deve scusarsi di nulla perché “io parlo sempre così” (ogni volta che incontra il premier, lo saluta festosamente con un “ehi Silvio, testa di cazzo, come va la vita?”). Il partigiano Squaquadanio entra a Palazzo Grazioli dopo lunga anticamera (c’erano le squinzie) e ne esce a bordo di una camionetta dei Carabinieri che evidentemente, disorientati dal toupet moquettato, han preso il tizio sbagliato. Accade persino che il padano Bossi chieda bofonchiando e sputacchiando al brianzolo Pompetta B. di fare “un passo di lato” (per distinguersi dal Pd, che chiede “un passo indietro”) per essere rimpiazzato dal siciliano Alfano, ma Al Cafone B. rifiuta e annuncia “un passo avanti”. E che è, una quadriglia? Una mazurka? Bella svolta, bella discontinuità, non c’è che dire, un governo Jolie: esce il padrone ed entra il segretario. Esce il capocomico ed entra la spalla. Ma, siccome siamo nati per soffrire, si parla pure di un frizzante governo Schifani (indagato per mafia, garantirebbe la necessaria continuità). Oppure Letta, il fratello maggiore di Oetzi, l’uomo del Similhaun (nonché il protettore di Bertolaso e Bisignani), per un bel governo Cricca-P4 da arresti domiciliari. Oppure Amato o magari Pisanu (147 anni in due), per un adeguato rinnovamento generazionale. Alternative davvero elettrizzanti. Tutte riedizioni della famosa barzelletta. Lo stregone fa due prigionieri e domanda al primo: “Bunga bunga o morte?”. Quello, ignaro di tutto, risponde: “Bunga bunga” e viene violentato. Stessa domanda al secondo che, ammaestrato dalla fine del primo, risponde “Morte”. E lo stregone: “Ok, prima bunga bunga e poi morte”. Oggi, per non farci godere troppo, la domanda è: “Cainano o Alfano?”.Così alla fine ci convinceremo che forse, magari, tanto vale tenerci il Cainano. Che fra l’altro garantisce sia bunga bunga sia morte.

L’ultima risata, di Massimo Rocca per Radio Capital

Con tutto il dovuto rispetto ma la soluzione sembra dettata dal marasma senile. Un governo che ha perso la maggioranza parlamentare si riserva di morire al rallentatore, non prima però di aver disposto nei particolari il proprio testamento politico. Testamento che, è nei fatti il programma in 39 punti, secondo lettera della Unione europea, della prossima legislatura. Pretendendo che gli eredi firmino la rinuncia alla loro autonomia indipendentemente da quali saranno i futuri assetti elettorali. Eredi che, di fronte alle ultime volontà che il de cuius balbetta tra una barzelletta e un delirio sul letto di morte, si aggrovigliano. E’ meglio dichiararlo incapace di intendere e di volere subito, consentendo al notaio di stilare solo un elenco degli attivi, pochini, e dei passivi, una marea, oppure chiedere ai medici un trapianto di cervello per gestire con il frankenstein faccia di Alfano e cervello di berlusconi la futura eredità. Mentre l’unica soluzione che ciascuno di noi adotterebbe in famiglia è quella di accettare con beneficio di inventario, affrettando il più possibile le esequie, vulgo le elezioni, tanto il nonno non ci era mai stato simpatico.