Sottotitolo: Tre leggi per la Giustizia e i Diritti. Tortura, Carceri, Droghe.
Se il reato di tortura fosse stato già inserito nel nostro codice penale come ci chiede anche l’Europa che però in molti casi – soprattutto quelli che hanno a che fare con l’applicazione dei diritti civili – viene bellamente ignorata, molti processi a carico dei macellai in divisa avrebbero avuto tutt’altri esiti. Non sarebbe scattata la prescrizione proprio sul reato di lesioni al processo per i massacratori del G8, per esempio.
Non avere una legge che punisca la tortura nel paese delle mele marce e delle schegge impazzite significa dare altre possibilità a chi approfitta e abusa del suo ruolo perché sa che dopo non succede praticamente niente.
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Processo Mori, l’autodifesa del generale
è un attacco a stampa e politica
Il 31 ottobre del 1995, non arrestarono Bernardo Provenzano nonostante fossero al corrente della presenza del boss nei pressi di Mezzojuso. Con questa accusa il pm Nino Di Matteo ha chiesto la condanna del generale dei carabinieri Mario Mori a 9 anni di carcere e del colonnello Mauro Obinu, a sei e mezzo. I due carabinieri sono accusati difavoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. “Non importa la finalità di Mori e Obinu: non hanno aiutato Provenzano perché collusi o intimoriti da Cosa Nostra, ma per una scelta sciagurata di politica criminale, e cioè la prosecuzione della latitanza di Provenzano” ha spiegato Di Matteo nella sua lunga requisitoria davanti alla corte presieduta dal giudice Mario Fontana.
[Il Fatto Quotidiano]
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Il povero Pigì Battista sarà molto offeso per non essere stato inserito nella lista di proscrizione relativa ai giornalisti colpevoli di indagare e riferire circa le questioni di mafia elencata dal generale Mori durante il processo a suo carico.
In quella lista, oltre ai nomi di vari politici ci sono Concita De Gregorio, Sandra Amurri, Saverio Lodato, Giuseppe Lo Bianco e, ma che lo dico a fare, Marco Travaglio.
La scuola di berlusconi ha dato evidentemente i suoi frutti; dunque la colpa non è di uno stato che per mezzo di suoi funzionari alti e altissimi, evidentemente e non presuntamente – come vogliono farci credere quelli che poi non vanno a finire in nessuna lista dei cattivi [da punire? chissà] – scende a patti con la più grande organizzazione criminale mondiale anziché contrastarla con tutti i suoi mezzi ma di chi racconta i fatti, persone, professionisti che, secondo il generale avrebbero inaugurato una certa corrente di pensiero che ha favorito la cultura del sospetto contro lo stato.
Ovvero, informare, dire alla gente “guardate che chi deve lavorare per voi/noi non lo fa, non lo ha sempre fatto, non lo fa bene”, diventa un motivo di accusa, di rovesciamento della realtà, un tentativo di spostare le ombre da sé e gettarle su chi non c’entra.
E chissà perché ad un signore già condannato a nove anni per favoreggiamento aggravato alla mafia deve essere concesso, a sua discolpa, di accusare a sua volta chi non è colpevole di niente.
Forse se la politica e le istituzioni fossero meno omertose nei confronti della questione trattativa stato mafia, se fossero davvero al fianco di chi la mafia la combatte e la racconta, nessuno potrebbe permettersi certe dichiarazioni pubbliche così pericolose e che potrebbero indurre qualcuno a qualche cattiva azione tipo tacitare chi, appunto, combatte la mafia e la racconta.
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Piccoli Pigi crescono
Marco Travaglio, 8 giugno
I giornalisti che non sanno nulla ma parlano di tutto sono un genere letterario sconosciuto nelle democrazie, dunque molto diffuso in Italia. Uno dei pulcini più promettenti della scuola di Pigi Battista è Claudio Cerasa. Siccome vive in clandestinità (scrive sul Foglio ) ed è molto pettinato, è richiestissimo dalle tv. Negli ultimi giorni ha scoperto la trattativa Stato-mafia. Non ne sa niente, eppure, anzi proprio per questo, le ha dedicato due articolasse sul Foglio e nel suo blog col tipico zelo del neofita. Quella del Foglio è intarsiata da una vomitevole vignetta di Vincino, che definisce Nino Di Matteo (il magistrato in maggior pericolo di vita) “il pm del depistaggio dei primi processi Borsellino” (naturalmente Di Matteo non c’entra coi depistaggi su via D’Amelio, essendo arrivato a Caltanissetta a cose fatte). Per Cerasa invece la “presunta trattativa” e il relativo processo sono uno “spettacolo comico” e una “grottesca messinscena”. Ecco: lui ride molto; i parenti dei morti ammazzati nelle stragi un po’ meno. Purtroppo però esistono anche persone che sanno. Mori le ha additate ieri in tribunale: “Repici, Genchi, Travaglio, Pardi, Concita Di Gregorio, Amurri, Lo Bianco, Lodato” (nella black list c’è pure don Gallo, ma Mori si rassicuri: almeno il Don è morto). Il Cerasa, giustamente risentito con questa gentaglia che si permette di sapere, parla di “circo mediatico-giudiziario, pappagalli delle Procure, avvoltoi da talk show, pataccari”. Il sottoscritto poi “spara schizzi qua e là”. Invece il cocorito di Mori spara balle e basta. Sostiene che il papello di Riina è falso perché l’ha portato Ciancimino in fotocopia, non in originale, e poi Ciancimino ha fornito anche un documento taroccato su De Gennaro: non sa che la stessa Scientifica che ha smascherato il falso su De Gennaro ha periziato l’autenticità del papello. Certo, sarebbe meglio avere l’originale e magari anche la foto di Riina che lo detta: magari la prossima volta che i Ros lo arrestano, potrebbero gentilmente perquisirgli il covo, vedi mai che salti fuori qualcosa. Ma Cerasa crede che il covo sia stato perquisito perché Mori è “stato prosciolto nel 2006 dalla Procura di Palermo dall’accusa di favoreggiamento per non aver perquisito il covo”. Ora, a parte il fatto che le Procure non prosciolgono (semmai i gup, ma qui il gup rinviò a giudizio Mori e De Caprio, poi assolti dal Tribunale), Cerasa potrebbe sforzarsi di leggere almeno 2-3 righe della sentenza: scoprirebbe che ha stabilito che i due ufficiali non perquisirono il covo, lasciandolo svuotare dalla mafia e ingannando la Procura, ma non c’è prova che l’abbiano fatto per favorire la mafia. In compenso — scrive il Tribunale — andrebbero puniti disciplinarmente per l’incredibile svarione investigativo: in un altro paese li avrebbero mandati a dirigere il traffico, da noi furono entrambi promossi. Poi c’è la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso nel ’95: ma lì,assicura Cerasa restando serio, “l’operazione era stata organizzata per fare solo dei rilievi fotografici”. Mica scemi, i ragazzi: invece di arrestare il boss più ricercato del mondo, gli han fatto delle foto e se le sono appese in ufficio. Furbi, loro. Ora non vorremmo procurare al Cerasa un’ernia al cervello con troppe notizie vere tutte insieme, ma se ci riesce dovrebbe leggere queste poche righe sull’estate ’92: “Iniziai a parlare con Ciancimino: ‘Cos’è questo muro contro muro? Da una parte c’è Cosa Nostra dall’altra lo Stato. Ma non si può parlare con questa gente?’… Lui disse: ‘Si può, sono in condizioni di farlo’… Restammo d’accordo che volevamo sviluppare questa trattativa… Al quarto incontro mi disse: ‘Guardi, quelli (Riina e Provenzano, ndr) accettano la trattativa’…”. Tieniti forte, Cerasa, e fai un bel respiro: chi parla è il tuo amico Mori davanti ai giudici di Firenze.
Vabbè, dai, ti andrà meglio un’altra volta. E comunque tranquillo: farai carriera.