“Vent’anni fa non ci lasciammo intimidire”: oggi sì

Preambolo: 400 mila euro l’anno più 250 mila  di indennità di carica per il nuovo direttore generale della Rai: un’azienda praticamente al fallimento, e meno male che Monti ha scelto quelle persone, Gubitosi e la Tarantola con l’obiettivo di risanare l’azienda sotto l’aspetto economico. Non oso pensare a che sarebbe successo se la Rai fosse stata un’azienda in attivo.

Anche queste cose indeboliscono lo stato, in un momento in cui c’è gente che non ha neanche il necessario per vivere.

E allora ci tolgono tutto: dignità, stato sociale, legalità, diritti, giustizia, verità, con la pretesa poi di essere anche riconosciuti come stato.

Chi rappresenta, ma più che altro si arroga il diritto di rappresentare lo stato in realtà lo usa a discapito di tutti gli altri, noi.

Ed ecco perché io non mi riconosco in questo stato, non in questa gente  priva del benché minimo senso della misura, del rispetto, e, appunto, dello stato.

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Sottotitolo: ”bisogna trarre le dovute conseguenze dalle vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituiscono reato, ma li rendevano inaffidabili nella gestione della cosa pubblica. Questo giudizio non è mai stato tratto perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza.”

 Il solito giustizialista grillino? No, Paolo Borsellino.

Il 19 luglio, i politici rimangano a casa a meditare.

[Marco Travaglio]

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Chi indebolisce le istituzioni?

Con che coscienza si potrà dire nei discorsi ufficiali che lo Stato vuole continuare nell’impegno contro la mafia con l’intransigenza che fu di Falcone e Borsellino? Con che coscienza si potrà  riaffermare che lo Stato vuole davvero tutta la verità su quella trattativa ormai accertata, ed evidentemente indecente, se altissimi funzionari coinvolti continuano a negarla, e in ogni accenno di telegiornale viene pudicamente derubricata a “presunta”?

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Ingroia: “Io pazzo? Sì, perché credo possibile una verità sulle stragi ed i misteri d’Italia”

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Il 19 luglio di 20 anni fa morivano nell’attentato mafioso di via D’Amelio Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Borsellino stava indagando sulle trattative tra Stato e mafia. L’agenda rossa che portava con sé, sulla quale annotava tutto, non è stata mai trovata. Il giudice Ayala testimonia di avere raccolto la borsa del magistrato ucciso sul luogo dell’attentato pochi minuti dopo l’esplosione e di averla consegnata ad un ufficiale dei carabinieri.

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Gli ultimi attentati di mafia risalgono a venti anni fa: segno evidente che la mafia ha trovato altri sistemi di suggestione, più moderni, meno evidenti e meno rumorosi di un’autostrada e un palazzo che saltano in aria.

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Quelli che si stracciarono le vesti quando Grillo disse che equitalia è peggio della mafia sono gli stessi che oggi attaccano chi si ostina a chiedere verità sulle stragi di mafia che è proprio la mafia.
Quelli che – nella politica – non hanno né potranno mai trovare il coraggio e una faccia meno indecente della loro [specie quando parlano appunto di indecenze, cose “agghiaccianti” e di volgarità così, giusto per darsi un tono] per rispondere a Rita Borsellino e a tutto il popolo italiano ma in compenso trovano entrambi quando c’è da difendere gli indifendibili; quelli che hanno messo in croce berlusconi ogni volta che tentava [e spesso c’è riuscito grazie a collaborazioni vive & vibranti] di sovvertire leggi e Costituzione pro domo sua ma oggi che la stessa cosa la fa il capo dello stato che pare ignorare quell’articolo 3 che ci fa tutti uguali indipendentemente dal ruolo e dal mestiere, non fanno un plissé.
E non lo fanno neanche dinanzi al fatto che il capo dello stato dava udienza ad un indagato per falsa testimonianza come se fosse consuetudine, normalità per un capo dello stato offrire ascolto a chi ha mentito in un processo, e guai se si sapesse in giro quello che si sono detti.
Sono anche giornalisti, quelli dei quotidiani delle domande, dei post-it, delle Grandi Battaglie per la Libertà che poi però non trovano tempo e spazio per occuparsi di un vicesegretario di partito che auspica il ritorno di berlusconi perché lui sì, a differenza di Grillo, mantiene gli equilibri, molto spesso mantiene e basta ed è un motivo più che sufficiente per chiedergli di tornare.
Quelli che continuano imperterriti a scrivere e a parlare di conflitti fra Magistratura e stato quando la Magistratura cerca di fare chiarezza su chi ha gestito e gestisce lo stato non sempre [anzi, quasi mai se dobbiamo dirla bene e tutta] in modo corretto ma poi non parlano di conflitti fra stato e giustizia quando si condannano a niente poliziotti assassini e a molto, troppo, persone che hanno sì sbagliato ma non hanno ammazzato nessuno.
In quel caso non c’è nessun conflitto ma solo normale amministrazione della legge.
E la legge, chi la fa?
Appunto.

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Il suicidio Borsellino
 Marco Travaglio, 19 luglio

Ringraziamo vivamente, senz’alcuna ironia, il senatore Marcello Dell’Utri per aver commemorato come meglio non si poteva il ventennale di via D’Amelio: senza ipocrisie.

Lui in fondo in questi vent’anni è stato uno dei pochissimi politici a dire sempre la verità. “La mafia non esiste”. “È uno stato d’animo”. “Le risponderò con una frase di Luciano Liggio: se esiste l’antimafia, esisterà pure la mafia “. “Mi processano perché sono mafioso”. “Silvio non capisce che se parlo io…”. “Vittorio Mangano era un eroe”.

Ieri, bontà sua, ha aggiunto: “Vent’anni dopo ancora non si sa chi è stato (il mandante del delitto Borsellino, ndr)… Io sono stato, io e Berlusconi. Ma in che paese viviamo?”. Dell’Utri, almeno, eviterà di inviare corone di fiori e messaggi ipocriti ai familiari di Borsellino e degli uomini di scorta: “Bisogna andare fino in fondo”, “senza guardare in faccia nessuno”, “cercare tutta la verità”, “mai abbassare la guardia”.
Sono vent’anni che sentiamo ripetere, a ogni 23 maggio e 19 luglio, queste penose giaculatorie da parte di chi, fra il lusco e il brusco, lavora per insabbiare, occultare, deviare, depistare, inquinare, seppellire la verità. E fino a qualche tempo fa l’operazione era perfettamente riuscita.

Ex ministri, soprattutto dell’Interno e della Giustizia, alti carabinieri, alti poliziotti, alti spioni, alti e bassi politici hanno fatto carriera tramandandosi la scatola nera dei segreti inconfessabili su stragi e trattative.
Poi purtroppo i mafiosi come Brusca e Spatuzza e figli di
mafiosi come Ciancimino jr. hanno violato il patto
dell’omertà, che gli uomini del cosiddetto Stato avevano religiosamente rispettato. Politici muti come tombe hanno ritrovato improvvisamente la memoria e la favella, costretti ad ammettere almeno quei pezzi di verità che i mafiosi e i figli di mafiosi li obbligavano a sputare fuori, tra mille contorsioni e contraddizioni. I pm di Palermo e Caltanissetta, eredi e in molti casi allievi di Falcone e Borsellino, e tanti cittadini perbene hanno visto in quegl’improvvisi e inattesi squarci altrettanti varchi per lumeggiare il buio. E han lavorato sodo per due anni, pubblicamente incoraggiati dalle massime autorità dello Stato che invece, sottobanco, trescavano ancora una volta per insabbiare, depistare, deviare. E quando si erano illuse di averla fatta franca
un’altra volta, un caso, il meraviglioso caso di un telefono intercettato ha illuminato l’osceno fuori-scena e messo a nudo le loro vergogne: il presidente della Repubblica, il suo consigliere giuridico (un magistrato che sa molte cose sulla trattativa, ma ne parla solo conMancino, mentre davanti ai pm fa scena muta), procuratori generali della Cassazione e chissà quantialtri statisti si adoperano per avocare o almeno devitalizzare l’indagine di Palermo. E poi, una volta beccati col sorcio in bocca, invocano inesistenti”prerogative ” e “doveri istituzionali”, amorevolmente assistiti da giuristi e commentatori di chiara fama,
ma soprattutto fame.

Alla fine il capo di quello Stato che
trattò, e forse ancora tratta, con la mafia spedisce i pm
che indagano sulla trattativa davanti alla Consulta con
l’accusa, sanguinosa quanto infondata, di aver violato
norme costituzionali e processuali inesistenti.

Nella speranza di bloccare, o almeno screditare, l’indagine che li ha messo tutti a nudo.

E ancora una volta il coro
unanime dei laudatores , salvo un paio di eccezioni, scioglie inni all’abuso di potere.

Potrebbero ammettere, papale papale: sì, abbiamo trattato con la mafia, eravamo tutti d’accordo, tranne quell’ingenuo di Borsellino che non aveva capito come va il mondo, pace all’anima sua. Invece continuano la farsa dell’ipocrisia. Perciò la famiglia Borsellino invita i rappresentanti del cosiddetto Stato ad astenersi dall’invio di messaggi e corone di fiori in via D’Amelio. Perciò Dell’Utri va ringraziato per la franchezza.
Non è affatto vero che Stato e mafia siano la stessa cosa: la mafia è molto più seria.

Ferdinando Imposimato: ‘L’art. 3 della Costituzione riguarda anche il Presidente della Repubblica’

Spero che domani la politica, tutta, diserti in massa la solita e ipocrita passerella in ricordo di… che tutti  trovino una scusa, una qualsiasi, magari un legittimo impedimento causa simposio come ha fatto silvio per non andare, ma che lo dico a fare? a conferire coi Giudici di Palermo visto che poi nei fatti, come avevo già scritto il 23 maggio per Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta trucidati a Capaci non fa nulla affinché la verità possa essere onorata. Anzi, a quanto pare l’obiettivo è proprio non arrivarci mai, a certe verità.

Trattativa, parla Rita Borsellino
“Da Napolitano uno schiaffo agli italiani”

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Trattativa, il procuratore Messineo: “Ci fu davvero e l’inchiesta continua”

Se oggi dell’utri [e ho detto dell’utri] può dare del pazzo ad Ingroia è anche grazie alla delegittimazione della Magistratura da parte dello stato. Ma del resto nessuno ai piani alti, molto alti, fiatava quando i Magistrati venivano definiti “antropologicamente diversi dalla razza umana, cancro, metastasi”; a maggior ragione non si fa oggi, ora, un momento delicato nel quale è meglio non difenderli, certi Magistrati, c’è il rischio poi di dover prendere le parti di qualcuno, magari dello stato. Non è bello, non si fa.

Dell’Utri: “Cosa mi aspetto da questo processo? Un cazzo”

Il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge sancito dall’art. 3 della costituzione riguarda anche il presidente della Repubblica.
La legge consentiva alla Procura di Palermo di disporre le intercettazioni telefoniche delle conversazioni che avvenivano sull’apparecchio di Nicola Mancino.
Per Mancino c’è stata una legittima intercettazione diretta disposta dal Giudice con decreto motivato. Non esiste alcuna legge che imponga o permetta di distruggere al Pubblico Ministero le telefonate senza sentire le parti interessate nel processo e cioè il Pubblico Ministero, il difensore dell’imputato o indagato e il difensore della parte civile.

La ragione è semplice: Mancino potrebbe ricavare dal colloquio con il Presidente della Repubblica elementi a proprio favore,  per esempio se il Presidente Napolitano avesse detto:
“Sta tranquillo… so bene che tu non sei stato scelto come Ministro per favorire i mafiosi abrogando il 41 bis. Noi ti abbiamo voluto perché sei un combattente antimafia”.
Il Pubblico Ministero, a sua volta, potrebbe ricavare elementi a favore dell’esistenza di una trattativa tra lo Stato e la mafia ed elementi di colpevolezza a carico di Mancino in ordine al reato di falsa testimonianza se l’ex ministro, parlando con il Presidente Napolitano, avesse minacciato di tirare in ballo il Presidente Scalfaro o il Capo della Polizia o di rivelare cose importanti sul coinvolgimento di terze persone come uomini dei servizi del ROS o uomini di Governo.
Anche la parte civile e cioè i familiari di Paolo Borsellino hanno interesse a conoscere la verità da qualunque parte venga comprese le intercettazioni indirette che riguardano il Presidente della Repubblica.
Se fossi il difensore dei familiari di Paolo Borsellino mi opporrei con tutte le mie forze alla distruzione delle intercettazioni.Il principio di legalità e di sicurezza stabilito dalla costituzione art. 25 è un bene primario che prevale sul bene delle privacy e vincola anche il Presidente della Repubblica. Uno Stato può esistere senza benessere, non può esistere senza Legalità e Giustizia.

Ferdinando Imposimato