Le grandi mazzette

Expo, Mose, a quando una bella retata anche per il Tav? Così almeno capiscono tutti, si spera in modo definitivo, che le grandi opere italiane servono soltanto a far ingrassare i grandi delinquenti di tutti i colori politici. Va bene che l’onestà non è più e da tempo la “condicio sine qua non” per fare politica, ad occhio però pare che qualcuno se ne sia approfittato oltremodo.   Il dramma è che ancora ci illudiamo che si possa fare una qualche differenza. Stiamo sempre ad insistere e a convincerci che no, non sono tutti uguali, ma la diversità purtroppo non la fa il nome.

La verità è che la politica dovrebbe stare lontana anni luce dai soldi di tutti.
Io non sono più garantista verso la politica, spiacente, ho terminato i bonus.
Noi gente un motivo per fare schifo lo abbiamo sempre, tutti dicono sempre che la colpa è nostra, di tutti, nessun distinguo così come si fa puntualmente per i politici: loro non sono tutti uguali ma noi sì.
E se quel motivo non c’è lo si inventa, ipotizza, un po’ come nella barzelletta del cinese che quando rientra la sera a casa picchia la moglie che sicuramente qualcosa per meritare la punizione l’ha fatta.
Ma va tutto bene. Dio salvi le regine e pure i re.

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L’INCHIESTA SUL MOSE: 35 ARRESTI, 100 INDAGATI, 40 MILIONI SEQUESTRATI
LE CARTE/1 – DOMICILIARI PER IL SINDACO DI VENEZIA ORSONI. “500MILA EURO PER LE ELEZIONI”
LE CARTE/2 – RICHIESTA DI CUSTODIA PER GALAN: ‘PER LUI UNO ‘STIPENDIO’ DI UN MILIONE ALL’ANNO’

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Ci dicono che i politici che rubano sono poche mele marce, la stessa cosa ce la raccontano a proposito delle forze dell’ordine violente. 
Non sono tutti ma sono tanti,  corruzione, ladrocini, anzi  “distrazioni”, come si dice ai piani alti e violenze si sono ripetuti con una cadenza pericolosamente frequente.
Digitando su google le parole pestaggio e polizia esce fuori un intero mercato di mele marce. 
Per conoscere il peso e la quantità delle mele marce in politica invece basta leggere i quotidiani tutti i giorni.
In entrambi i casi quelle mele non smetteranno di marcire finché non verrà curata la pianta, non verrà usato l’opportuno veleno che si chiama legge, giustizia, certezza della pena, lo stesso trattamento che si riserva al criminale quando è solo un cittadino. 
Ma finché il politico ladro sarà considerato come uno che non ha rubato e al poliziotto, al carabiniere violento si lascerà la divisa addosso come a chi violento non è, quegli alberi non guariranno. 
Chi tradisce lo stato, da politico o da funzionario va radiato, dal parlamento come da una caserma, da una questura, messo in condizioni di non nuocere e non tradire più.

Fassino, quello che “aveva una banca?” che garantisce per Orsoni, il sindaco di Venezia arrestato ma prontamente spedito ai domiciliari – ché non sia mai le eccellenze possano constatare “de visu” quali sono le condizioni delle carceri in Italia, per loro l’arresto è una semplice toccata e fuga da parte dello stato – è lo specchio della malattia endemica e virale di questo paese dove nella politica non si è delinquenti mai: nemmeno con le prove. berlusconi è la prova provata di uno stato che in materia di applicazione di legalità, giustizia e uguaglianza ha fallito, ceduto le armi democratiche alla disonestà e alla delinquenza nelle istituzioni.

Per tutte le altre categorie, invece, non ci sono Fassini garanti pronti a sputtanarsi per il collega che viene beccato a fare quello che non si fa.

Ed è anche la prova che quella casta che doveva modificare il suo assetto, mettersi al servizio del paese, abbassare la testa come da richieste napolitane di un paio d’anni fa non ci pensa minimamente a farlo. Da quando Napolitano sprecò un 25 aprile per illuminarci sui pericoli del populismo anziché riflettere sui motivi che hanno eroso e corroso fino ad annullarlo l’interesse dei cittadini per la politica. Come se il voltafaccia della gente fosse il frutto, il risultato di piccoli sgarbi e non di una politica che da quando esiste questa repubblica ha sempre messo l’interesse personale davanti a quello pubblico.

Inutile spiegare che se Renzi “non c’entra” è comunque la faccia di un partito che non può vantarsi di essere migliore di altri, e quando si entra a far parte di un’organizzazione così malconcia se non si è responsabili in prima persona delle malefatte avvenute prima un po’ complici lo si è.

Il pd è sempre quello delle larghe intese con Alfano [ancora e incredibilmente ministro dell’interno] che ieri si congratulava con la correttezza della procura di Venezia perché “gli arresti sono avvenuti dopo le elezioni”, verrebbe da chiedersi se anche gli elettori sono d’accordo con Alfano, se gli è andato bene votare “a babbo morto” un partito che ha dimostrato ampiamente di essere tal quale a quello che ha sempre fatto finta di ostacolare in parlamento, Renzi è quello che discute di legge elettorale e di riforme costituzionali con Verdini, indagato, inquisito varie volte sempre per gli stessi reati legati a truffe e corruzione e Renzi è sempre quello della profonda sintonia con un criminale, il magnifico rassemblement benedetto dall’anziano monitore che poi si commuove nelle occasioni importanti.

La Moretti, una delle vestali giovani del pd di Renzi che ieri sera dalla Gruber magnificava l’avventura di questa classe politica nuova è la stessa che un paio di giorni prima delle elezioni diceva che si potevano votare tutti, “anche Ncd e forza Italia ma non i 5stelle”.

Nardella, neo sindaco di Firenze mette già le mani avanti dicendo che “i sindaci sono persone sempre esposte”, come se l’esposizione dovesse comprendere per forza anche i legami con la criminalità e il malaffare. Non si può fare il sindaco di una grande città senza esimersi, evidentemente.

A margine di tutto c’è una grande percentuale di cittadini/elettori a cui le vicende di corruzione e tangenti non interessano. Il pd ha preso il 40,8% alle elezioni europee nonostante lo scandalo e gli arresti di Milano, l’arresto del ras di Messina Francantonio Genovese, cose accadute non un anno o dieci fa ma solo qualche giorno prima di votare, e l’IPSOS ci ha fatto sapere che il governo di Renzi gode del 68% dei consensi fra la gente.

Raffaele Fitto, ex presidente di regione in Puglia ed ex ministro di berlusconi, dunque condannato in primo grado a quattro anni ridotti ad uno grazie all’indulto per corruzione, finanziamento illecito ai partiti e abuso d’ufficio è stato l’eletto più preferito dagli italiani.

Tutto questo perché a margine del margine c’è stato il grande lavoro della cosiddetta informazione che, mentre glorificava gli splendidi scenari che si sarebbero aperti col governo di Renzi parlava d’altro, cosa che continua a fare, che ha sempre fatto da quando salvo rare eccezioni ha scelto di mettersi al servizio della politica, quale essa sia, dei governi, anziché svolgere quella funzione educativa e pedagogica qual è quella di informare correttamente i cittadini su cosa fa realmente la politica e come si comportano i politici.

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Idea, non punire più i delinquenti: lo dice la legge  – Beatrice Borromeo, Il Fatto Quotidiano

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#mazzettastaiSerenissima – Marco Travaglio, 5 giugno

Se esistesse ancora un minimo di decenza, milioni di persone perbene – elettori, giornalisti, intellettuali, eventuali politici e imprenditori – dovrebbero leggersi l’ordinanza dei giudici di Venezia sul caso Mose e poi chiedere umilmente scusa a Beppe Grillo e ai suoi ragazzi. Anni e anni sprecati ad analizzare il suo linguaggio, a spaccare in quattro ogni sua battuta, a deplorare il suo populismo, autoritarismo, giustizialismo, a domandarsi se fosse di destra o di centro o di sinistra, a indignarsi per le sue parolacce, a scandalizzarsi per le sue espulsioni, ad argomentare sui boccoli di Casaleggio e sul colore del suo trench, a irridere le gaffes dei suoi parlamentari, a denunciare l’alleanza con l’improbabile Farage (l’abbiamo fatto anche noi, ed era giusto farlo, ma in un paese normale: dunque non in Italia). Intanto destra, sinistra e centro – quelli che parlano forbito e non hanno i boccoli – rubavano. Rubavano e rubano tutti, e insieme, sempre, regolarmente, scientificamente, indefessamente, su ogni grande e piccola opera, grande e piccolo evento, appalto, consulenza, incarico.

Anzi, ogni grande e piccola opera, grande e piccolo evento, appalto, consulenza, incarico servono soltanto a far girare soldi per poterli rubare. Tutti i più vieti luoghi comuni del qualunquismo bar – sono tutti d’accordo, è tutto un magnamagna – diventano esercizi di minimalismo davanti alla Cloaca Massima che si spalanca non appena si intercetta un telefono, si pedina un vip, si interroga un imprenditore. Basta sollevare un sasso a caso per veder fuggire sorci, pantegane, blatte e bacherozzi maleodoranti con i nostri soldi in bocca, o in pancia (il Mose doveva costare 2 miliardi, ne costerà 6 e ora sappiamo perché). La Grande Razzia che ha divorato l’Italia e continua a ingoiarsene le ultime spoglie superstiti è sopravvissuta a Mani Pulite, agli scandali degli ultimi vent’anni e alla crisi finanziaria, nutrendosi dell’impunità legalizzata, dell’illegalità sdoganata e dell’ipocrisia politichese di chi vorrebbe ancora convincerci che esistono i partiti, le idee, i valori della destra, del centro e della sinistra. 

   Invece esiste soltanto una gigantesca, trasversale, post-ideologica associazione per delinquere che si avventa famelica su ogni occasione per rubare, grassare e ingrassare a spese di quei pochi fessi che ancora si ostinano a pagare le tasse. A ogni scandalo ci raccontano la favola delle mele marce, la frottola della lotta alla corruzione, l’annuncio di regole più severe, la promessa del rinnovamento, della rottamazione. E intanto continuano a rubare, secondo un sistema oliato e collaudato di larghe intese del furto che precede e spiega le larghe intese di governo. E la totale mancanza di opposizione a sinistra negli anni del berlusconismo rampante e rubante. Anche l’art.27 della Costituzione, quello della presunzione di non colpevolezza, diventa una barzelletta se si leggono le carte delle indagini su Expo e sul Mose, dove i protagonisti delinquono in diretta telefonica, o a favore di telecamera: non c’è bisogno della Cassazione, e nemmeno della sentenza di primo grado, per capire che rubavano davvero. Politici, imprenditori, funzionari, generali della Finanza, giudici amministrativi e contabili. Il solito presepe di sempre, che avvera un’altra celebre battuta da bar: a certi livelli “non esistono innocenti, solo colpevoli non ancora presi”. Renzi non ruba, e i suoi fedelissimi sono lì da troppo poco tempo. Ma rischia di diventare il belletto per mascherare un partito marcio con cui – per prenderne il controllo – ha accettato troppi compromessi. Marcio nella testa prim’ancora che nelle tasche. Ieri, senz’aver letto un rigo dell’ordinanza, l’ineffabile Piero Fassino già giurava sulla leggendaria probità del sindaco Orsoni appena arrestato (“chi lo conosce non può dubitare della sua onestà e correttezza”), invitando i giudici ad appurarne al più presto l’innocenza per “consentirgli di tornare alla funzione di sindaco”. Perché, se ne appurassero la colpevolezza cosa cambierebbe? Fassino lo promuoverebbe a suo braccio destro, come ha fatto con Quagliotti pregiudicato per tangenti?

O il Pd gli restituirebbe la tessera, come ha fatto con Greganti pregiudicato per tangenti? La Cloaca Massima è così pervasiva che ogni strumento ordinario per combatterla diventa favoreggiamento. Ma davvero Renzi pensa di affrontarla con il povero Cantone e la sua “task force” di 25 (diconsi 25) collaboratori? O con qualche presunta riforma? A mali estremi, estremi rimedi: cancellare le grandi opere inutili ancora in fase embrionale, dal Tav Torino-Lione al Terzo Valico; cacciare ogni inquisito dai governi locali e nazionali; radiare dai contratti pubblici tutte le imprese coinvolte in storie di tangenti; introdurre gli agenti provocatori per saggiare la correttezza dei pubblici amministratori (come negli Usa); imporre a chi vuole concorrere ad appalti una dichiarazione in cui accettano di essere intercettati, a prescindere da ipotesi di reato (come fece Rudy Giuliani sindaco di New York); piantarla con le “svuotacarceri” (l’ultima è a pag. 7), costruire nuovi penitenziari e, nell’attesa, riattare caserme dismesse per ospitare i delinquenti che devono stare dentro; radere al suolo tutte le leggi contro la giustizia targate destra, centro e sinistra degli ultimi 20 anni. Tutto il resto non è inutile: è complice.

 

Not in my name

 Un pensiero stretto al cuore alla Sardegna, Terra bellissima, dunque come tante altre martoriata non solo dal tempo ma soprattutto da chi non l’ha mai amata e l’ha usata, devastandola, per i suoi luridi affari, per trasformarla in casini e casinò. I governi di un paese civile lavorano per migliorare, i nostri invece di preoccuparsi di sanare il dissesto dei territori si attivano per contribuire alla distruzione. Sul progetto delinquenziale del TAV sono tutti d’accordo, a destra come a centrosinistra, Fassino, sindaco di Torino è il primo sostenitore dello scempio.  Fassino è quello che disse che la legge sul conflitto di interessi non serve perché non dà da mangiare. Evidentemente il TAV sì, fa mangiare un sacco di gente. Poi chiedeteci perché non vi votiamo.

Se la gente non va a votare è colpa sua, della sua irresponsabilità, del suo non sentire più come un dovere civico andarci o è colpa del menù che offre la casa?
Io a febbraio a votare ci sono andata, e ricordo che i risultati elettorali dicevano tutt’altro da quello che poi ci è stato imposto, per il nostro bene, quello del paese ma soprattutto di berlusconi.

Se la gente va a votare e poi chi mandare in parlamento a “governare” lo decide Napolitano [su richiesta dei veri governanti degli stati membri della UE] saranno sempre meno le persone che vorranno rendersi complici di questo andazzo che rispecchia tutt’altro da una democrazia.

Per quale ragione i cittadini dovrebbero continuare ad andare a votare con una legge che poi manda in parlamento gente scelta dalle segreterie di partito [e che gente poi: i soliti indagati, i soliti inquisiti, i soliti imputati] e non da loro perché alla politica sempre in emergenza fa comodo così, perché è l’unico modo che ha per salvare il suo salvabile?

Per quale motivo i cittadini dovrebbero votare quei partiti che dopo aver sostenuto e tollerato in modo più o meno occulto, sfacciato, la presenza in parlamento di un impostore abusivo delinquente da mesi non riescono, non vogliono, non possono esprimere una posizione forte e chiara circa la sorte inevitabile che in qualsiasi paese normale tocca ad un condannato con sentenza definitiva ma, al contrario, si sono resi complici di quella che sembra una storia destinata a non finire come deve, con la cacciata con disonore di un traditore dello stato? E per quale motivo la gente dovrebbe votare chi mantiene in parlamento ministri, un vicepresidente del consiglio che hanno avuto comportamenti contrari al loro ruolo, in contrasto coi loro doveri istituzionali? 

Il segnale dato alle elezioni di febbraio è stato forte e chiaro: una maggioranza consistente di cittadini non vuole più questa politica, non vuole più inciuci sotto e sopra il banco, non vuole più quei partiti che già trent’anni fa Enrico Berlinguer aveva individuato quale causa della degenerazione nella e della politica.

Ma tutto questo alle alte gerarchie non è interessato, invece di cercare il modo migliore che si avvicinasse il più possibile alla scelta democratica degli elettori per rendere operative le decisioni prese in cabina elettorale il padre padrone e padrino ha battuto il pugno sul tavolo decidendo lui il da farsi sulla base di un’ipotetica catastrofe, e tutto ciò che è stato fatto in questi mesi a partire dalla porcheria immonda delle larghe intese in concorso col partito di un pregiudicato condannato alla galera e col condannato stesso è stato utile soprattutto alla politica, al mantenimento in essere dei partiti tanto cari a Napolitano e a berlusconi che ha potuto così postdatare all’infinito ricattando e minacciando lo stato la sua dipartita dalla politica ma assai meno, anzi niente per noi.  E questa oscena manovra di palazzo concordata e spacciata per ultima ratio è stata dipinta e mascherata come una necessità impellente e inderogabile pena chissà quali devastazioni.

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che i governi nazionali non contano più niente, che la politica degli stati agisce in nome e per conto di altre entità: l’Europa, le banche, quindi non si capisce quale valore e valenza possa avere il voto in un paese come il nostro sottomesso da sempre ad altri poteri. E non si capisce perché i cittadini italiani dovrebbero continuare a dare la loro fiducia alla stessa gente che ha portato l’Italia nel baratro, perché mai dovrebbero rendersi complici di chi non è chiamato più a lavorare per il bene comune ma è obbligato ad agire per il salvataggio e il mantenimento di un astratto che la maggior parte della gente nemmeno sa e capisce.

Ed ecco perché nessun governo, nemmeno questo pensato e voluto principalmente per realizzare questo obiettivo vuole fare l’unica cosa necessaria per evitare la catastrofe vera, quella dei cittadini di un paese che non sentono più loro la responsabilità di esercitare il diritto/dovere del voto, ovvero una legge elettorale in linea con una democrazia non dico compiuta, matura ma almeno decente e meno inguardabile di questa.

 Quando si sacrifica la democrazia ai soldi non è giusto far sentire in colpa chi invece di andare a votare occupa meglio il suo tempo: diversamente, non si rende complice di un abominio. Questa filastrocca del voto quale dovere perché c’è gente che è morta per consentirci questo diritto non è più applicabile alla politica di adesso che agisce ed opera in virtù degli interessi dei pochi a scapito dei molti, facendo credere che leggi liberticide, quelle che uccidono lo stato sociale siano l’unica cosa possibile. Io, la pistola in mano a chi mi vuole ammazzare non gliela metto.  I partiti tradizionali che tanto piacciono al re del nuovo millennio non contassero su di me. Non ci penso neanche, una complicità comprende un guadagno reciproco, non quello di uno solo e la distruzione dell’altro.

L’importante è non partecipare – Massimo Rocca

Basta una brevissima parentesi per accorgersi della miseria della discussione politica del nostro paese. La ripetizione coatta degli stessi futili argomenti, il personalismo insopportabile, la lamentazione querula, la dissimulazione continua. Basta potersi allontanare dal mondo, sempre più ristretto, di gente che parla di se stessa a se stessa, per capire perchè, per la seconda volta in pochi mesi, una elezione locale in Italia sia stata disertata della maggioranza degli elettori, perchè i votanti al congresso dell’unico, partito rimasto tale in Italia si siano quasi dimezzati. Partecipare. Ma a cosa? A cosa serve la mia, la vostra, partecipazione in un’epoca in cui perfino il parlamento è spossessato del suo potere costitutivo, decidere entità e destinazione del prelievo fiscale. Dopo aver blaterato per un ventennio di federalismo e sussidiarietà, chi è, chi ha eletto, a chi risponde, questo Cottarelli che ha individuato 32 miliardi di spese inutili da tagliare, sapendo lui, Saccomanni e Letta che quel taglio corrisponderebbe ad un calo del PIL di almeno 50 miliardi. Volete il mio voto? Dovrete sudare sangue.

Ex voti – Marco Travaglio, 19 novembre

Alle primarie nei circoli del Pd hanno votato meno di 300 mila iscritti, il 35% in meno del 2009: in quattro anni se ne sono persi per strada 160mila. Alle regionali in Basilicata, la maggioranza degli elettori è rimasta a casa: è andato a votare solo il 47,57%, 11 punti in meno del 2010. Fosse stato un referendum, non avrebbe raggiunto il quorum. La partecipazione popolare alla politica, che fino a qualche anno fa era un vanto per l’Italia nel mondo, precipita di elezione in elezione a rotta di collo. E i partiti, regolarmente, fanno finta di niente: si spartiscono un piattino sempre più striminzito, badando solo alle percentuali relative, senza mai alzare lo sguardo sui dati assoluti. Cioè sull’esodo biblico dei cittadini lontano da loro. Mai che si domandino il perché, se non per inventarsi giustificazioni autoconsolatorie e autoassolutorie, (l’antipolitica, la disaffezione, lo scarso “radicamento sul territorio”, la pesante eredità del passato e dei governi precedenti, la crisi mondiale, l’Europa cattiva, la Merkel culona, le cavallette, il fato, la sfiga).

Del resto, perché mai una persona normale dovrebbe andare a votare? Per dare una bella sferzata di entusiasmo alle primarie del Pd, D’Alema ha già fatto sapere che Renzi magari piace alla gente, ma nel politburo lo odiano tutti e, appena eletto, se le cucinano loro. Renzi, per elettrizzare chi sperava in qualcosa di nuovo, dopo Fassino, Franceschini, Veltroni, Latorre, Cozzolino e Morri, ha imbarcato pure Francantonio Genovese, ras di Messina, nei guai fino al collo con la giustizia; e persino Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno e viceministro incompatibile ma inamovibile, oltrechè plurimputato (infatti, a Delucaland, Renzi ha raccolto 2566 voti e Cuperlo 50). In Basilicata s’è votato perché la giunta De Filippo, era finita indagata in blocco per le ruberie sui rimborsi regionali. Dunque il centrosinistra chi candidava? Marcello Pittella, ex assessore dei De Filippo, dunque indagato. E naturalmente è in vantaggio, in una regione che vive di clientele dai tempi delle 80 mila preferenze di Emilio Colombo. Ma c’è anche chi non ci sta: e allora non vota o sceglie M5S (ancora debolissimo nelle elezioni locali).

Soltanto il 25-26 febbraio gl’italiani un segnale di cambiamento l’avevano lanciato eccome, premiando col 25% una forza anti-sistema come M5S e bastonando tutti i partiti che avevano governato sino a quel momento: il Pdl perse 6,5 milioni di voti, il Pd ne smarrì 3,5 e Scelta Civica non superò il 10%. Nessun elettore di destra, centro e sinistra voleva mai più vedere l’inciucio. Risultato: l’inciucio sotto l’alto patrocinio di un presidente di 88 anni, di cui 60 trascorsi in Parlamento, il più anziano del mondo dopo Shimon Peres (90) e alla pari con Mobutu. E fanno le stesse cose di prima: cioè nulla, a parte cambiar nome alle tasse fingendo di abolirle, regalare soldi alle banche e agli amici degli amici, e annunciare la ripresa “l’anno prossimo”. Così la gente impara e si rassegna: noi elettori siamo un optional, ci danno la libera uscita ogni cinque anni, poi quattro babbioni si riuniscono al Quirinale e decidono il contrario del nostro voto. Se gli elettori Pd, Pdl e Sc potessero decidere la sorte della Cancellieri, l’avrebbero già murata in un grattacielo di Ligresti. Invece Nonno Giorgio e Letta Nipote la difendono e nutrono fiducia perché conta balle, ma “non è indagata”. Come se questo cambiasse qualcosa: i viceministri De Luca e Bubbico sono imputati e restano al governo. Casomai qualche elettore del Pd avesse ancora qualche tentazione di andare a votare, il giovane vecchio di Palazzo Chigi ha fatto sapere che il divorzio-farsa di Alfano&Schifani dal Cainano è un balsamo per il governo: vuoi mettere la figata di avere alleati Angelino&Renato? Intanto gli elettori Pdl s’abbandonano a carnevali di Rio per la riesumazione del cadavere di Forza Italia. Se al prossimo giro andranno a votare in tre, lorsignori si feliciteranno per la sostanziale tenuta delle larghe intese.

Italia: un paese allergico all’uguaglianza

Lo stato biscazziere che con una mano dà e con l’altra toglie: mentre si inaspriscono leggi che trasformano tutti gli uomini in ipotetici mostri violentatori, assassini, meritevoli di un marchio perenne di disdoro sociale, si approva il decreto svuotacarceri per liberare chi delinquente lo è stato davvero e probabilmente tornerà a svolgere le sue attività consuete. C’è sempre un buon motivo per dispiacersi di essere nati in questo paese ridicolo e pietoso che è l’Italia.

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Prevenire è rieducare, Concita De Gregorio –  La Repubblica

Questa non è una legge per prevenire né per educare ma per reprimere.

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Il decreto (“sicurezza”) repressivo su femminicidi e #NoTav

Mauro Biani

In questo paese c’è chi vuole, pretende ed esige una legge  che  dica che uccidere una donna deve essere più grave  più grave di farlo ad un uomo. 

Che pretende ed esige un diverso trattamento per lo stesso reato in base al sesso del colpevole.

Mentre non deve essere il genere della vittima a stabilire la gravità del reato ma il reato. E uno o mille non fa differenza.

Nei numeri, che vengono diffusi dalla malainformazione italiana a proposito di “femminicidio”,  lo si è detto tante volte, viene inserito tutto, anche il figlio che ammazza la madre perché non gli dà i soldi per drogarsi: è “femminicidio”? no, però aumenta il bottino e viene usato anche quello per strumentalizzare l’emergenza che non c’è.

 Questo è il risultato dell’aver insistito per pretendere una legge “ad donnam” di cui un paese normalmente civile non ha bisogno. 

Le leggi contro violenze e omicidi [omicidi, non femminicidi] ci sono, bastava farle rispettare;  il risultato dell’aver manipolato e orientato l’opinione pubblica diffondendo dati allarmistici in merito ad un’emergenza che stando ai numeri, alle statistiche europee e internazionali non è mai esistita.

In Italia dopo le donne ma per altri motivi, legati alla posizione sociale prima di tutto,  gli omosessuali a cui si negano diritti normalissimi che tutti i paesi civili concedono si discrimineranno  anche i morti ammazzati.

Sarà felicissima anche Laura  Boldrini che si è fatta promotrice della norma contro il cyberbullismo, sacrosanto contrastare e punire con la legge  le minacce e lo stalking via web ma chissà perché finché le minacciate, molestate e perseguitate eravamo noi utentesse semplici di questo fenomeno non è mai fregato niente a nessuno e men che meno alla legge.

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Meno male che abbiamo questo bel governo delle larghe intese che pensa al nostro bene.
Come avremmo potuto fare senza una legge contro la violenza sulle donne con dentro, infilata un po’ come si fa con le cosiddette milleproroghe dove si può trovare l’incredibile, impossibile e inenarrabile, una norma che estenda il divieto di maltrattare e ammazzare le donne nei cantieri e allo stadio? questo, non sembra, ma è un governo all’avanguardia, previdente. 

Le donne devono smettere di farsi picchiare e ammazzare da sconosciuti carpentieri, manovali, ultrà e continuare a farselo fare nel comodo e nell’agio delle proprie case da mariti, compagni e fidanzati professionisti.

Le leggi speciali sono leggi fasciste: un paese che ha una Costituzione che pone i cittadini allo stesso livello, che siano bambini, donne, uomini, omosessuali, lesbiche e trans e che specifica che la legge è uguale per tutti non ha bisogno di leggi pro o contro una fascia particolare di persone come in questo caso.

Questa legge fa schifo, è anticostituzionale perché discriminatoria, non tiene conto della volontà delle donne, le mette in una condizione di minorate incapaci di intendere e di decidere  da sole, pone gli uomini a rischio denuncia anche per una banale lite come se ne fanno tante. 

Una donna che ha vecchi rancori e contenziosi da risolvere con il marito/compagno può inventarsi la violenza e il maltrattamento, succede tutti i giorni, e adesso sbatterlo anche  fuori casa [“alle forze di polizia viene data la facoltà di buttare fuori di casa il coniuge violento, se c’è un rischio per l’integrità fisica della donna”].
Oppure, qualora la donna decidesse di ritirare la denuncia non lo può fare; un uomo resta marchiato a vita come col peccato originale.

Naturalmente quando si parla di “coniuge violento” è scontato che sia il marito perché noi donne no, non siamo capaci di violenze.

Questa è una legge infame concepita da vigliacchi che hanno voluto inserire in un contesto dell’altro che non c’entra niente come l’inasprimento delle norme contro gli attivisti No tav e sfido chiunque, anche la femminista più vetero a trovare un’attinenza tra il fenomeno della violenza sulle donne che comunque, vale la pena ripeterlo non costituisce nessuna emergenza sociale e le proteste di chi da anni sta solo difendendo il suo territorio da un abuso gigantesco, inutile e che serve solo a far arricchire i soliti delinquenti amici dello stato.

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E, a proposito di disuguaglianze:

Malcostume, mezzo gaudio
Marco Travaglio, 9 agosto

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Caro Presidente Napolitano, sono un barista di Capri multato e denunciato dall’Agenzia delle Entrate per qualche scontrino non battuto nell’ultimo blitz del 2 agosto. Mentre gli agenti del fisco irrompevano nel mio locale, stavo leggendo le cronache sulla condanna di Silvio Berlusconi per una frode fiscale da 7 milioni di euro, residuo di un’evasione da 360 milioni di dollari falcidiata dalla prescrizione. 

E ci sono rimasto male, per la condanna ma soprattutto per la denuncia: gli avvocati del condannato e alcuni ministri del governo che ha disposto il blitz sostenevano che non si condanna chi ha versato all’erario miliardi, al cui confronto i 7 milioni dimenticati sono bruscolini, dunque B. è innocente. Ho provato a difendermi allo stesso modo, rammentando agli agenti del fisco che nella mia vita ho battuto migliaia di scontrini, al cui confronto quei 10 o 12 dimenticati sono quisquilie, dunque sono innocente. Ma non hanno sentito ragioni. 

Uno ha pure fatto lo spiritoso: “Guardi che la modica quantità per uso personale vale
solo per l’hashish e la marijuana, non per le tasse”. 

Però ho ripreso fiducia quando ho letto che Lei, appena condannato B., ha subito chiesto la riforma della giustizia (giusto: è scandaloso che qualche processo non vada in prescrizione). E che, appena Schifani e Brunetta sono saliti sul Colle a perorare l'”agibilità” del loro capo, s’è impegnato a “valutare e riflettere attentamente” come evitare che i gendarmi raggiungano pure lui per arrestarlo. Io sono un vecchio garantista e auguro al collega evasore tutto il bene possibile: se va bene a lui, buona evasione a tutti. 

Malcostume mezzo gaudio, diceva il nostro Totò. Però un filo di risentimento verso chi evade e poi manda i blitz ai colleghi confesso di nutrirlo: sono cose che non si fanno, dài. Non vorrei che alla fine l’unico evasore beccato con le mani nel sacco (e che sacco!) a farla franca fosse proprio lui. 

A quel punto m’incazzerei di brutto. Io non conosco Schifani e Brunetta e francamente non saprei chi mandarLe a perorare la mia agibilità. Posso chiedere a mio cognato di fare un salto al Quirinale. In alternativa Lei potrebbe passarmi il numero verde dell’Sos Colle per le vittime della malagiustizia: quello di Mancino, per capirci. 

L’importante è che Lei “valuti e rifletta attentamente” anche sulla condizione mia e di quanti, come me, evadono e vengono beccati. Perché, come dice il viceministro Fassina, lo faccio per sopravvivere; e soprattutto, come direbbero Scajola e Ghedini, a mia insaputa. Non le dico la faccia che han fatto gl’ispettori quando ho provato a convincerli che mi stavano denunciando in base al teorema del “non poteva non sapere” che tanto male ha fatto all’Italia con Mani Pulite cancellando un’intera classe politica. Ho buttato lì anche il caso Tortora, che si porta su tutto. 

E ho aggiunto che B. avrà pure avuto milioni di voti, ma anch’io mi sono candidato a presidente dell’assemblea del mio condominio e mi han votato tutti. 

Apriti cielo! 

C’è mancato poco che mi arrestassero: se non son finito subito al gabbio è solo perché li ho convinti — citando Corriere , Sole- 24ore e alcuni dirigenti Pd– che non è sportivo eliminare gli evasori per via giudiziaria: meglio batterli nelle urne. Infatti ho deciso di scendere in campo: tanto la legge Severino sull’ineleggibilità dei condannati era uno scherzo, vero? Non vorrei imbattermi in giudici come quell’Esposito che prima condanna Wanna Marchi e poi Berlusconi, dunque è prevenuto contro noi truffatori. Quello che legge il Fatto e Repubblica , e per giunta confessa di condannare i colpevoli: dove andremo a finire, roba da ricusazione immediata. 

Confido molto nel ritorno all’immunità parlamentare, voluta dai nostri padri costituenti per proteggere dallo strapotere delle toghe chi froda il fisco e si rifugia in Parlamento. Ora La saluto, perché qualche scontrino devo pur batterlo, ogni tanto. 

Ci vediamo alla Camera o al Senato: mi dicono che è pieno di colleghi.

Stabilizziamoci tutti

Legge di stabilità, posta fiducia al Senato.

Sbloccati oltre 2 miliardi per il Tav

Ok della commissione Bilancio. Governo battuto sulla restituzione delle tasse alle vittime di calamità naturali. Slitta al 2014 il quoziente familiare per l’Irpef e anche le esenzioni per lo scaglione di reddito più basso. Allentate le misure anti gioco d’azzardo. Balduzzi: “Sconcertato”[Il Fatto Quotidiano]

Arrivano le sale da poker controllate direttamente dallo stato, ameni luoghi dove ci si potrà continuare a rovinare e ammalare più di quanto già accada grazie a lotto, lotterie, gratta e vinci, slot machine e tutta la varietà dei giochi d’azzardo che lo stato, da vero e buon padre di famiglia mette a disposizione dei cittadini, ma naturalmente “con moderazione e responsabilmente”.
1000 sale da poker in funzione della “crescita” [?] del paese e altri due miliardi destinati al progetto criminale di sventrare una montagna per far viaggiare più velocemente cosa non è dato sapere. 
Il tutto infilato dentro una legge chiamata “di stabilità”. 

Uno stato e i suoi governi che lucrano sulle debolezze della gente mettendo   a disposizione il gioco d’azzardo che ha mandato e manderà in rovina un sacco di gente mentre ti dicono che il fumo fa male ma te lo vendono, mentre ti dicono che puoi bere ma moderatamente, e ti vendono anche l’alccol somigliano più ad associazioni a delinquere. Lo stato smetta di essere il braccio armato di malattie e morte come hanno fatto gli stati in altri paesi dove le multinazionali del vizio sono PRIVATE e poi ognuno potrà chiedere tutti i risarcimenti che vuole.

Ma finché lo vende non può, con una mano dare, con l’altra togliere e farti pure la morale.

Un paese europeo, una democrazia occidentale, per essere moderno ma soprattutto stabile ha bisogno del Tav e di 1000 sale da poker. 

Le coscienze dei cattolici – democratici e non – non si scuotono quando c’è da votare certe porcherie come quelle inserite nella legge cosiddetta di stabilità.
Mentre invece sui diritti si può soprassedere, come anche sul far pagare le tasse allo stato estero che manteniamo al pari del nostro: quelli sì che turbano le profondità coscienziose di chi fa le leggi e di quelli che approvano poi quelle leggi.
Piccolo inciso: 23 miliardi è la cifra che si ricaverà dal pagamento dell’IMU e 23 miliardi sono la spesa annua, costante, miliardo più miliardo meno che si spende per il mantenimento del carrozzone delle forze armate.
Per dire.
Epurazioni democratiche
Marco Travaglio, 20 dicembre

Fermo restando che Grillo è la reincarnazione del Duce perché ha espulso due consiglieri comunali e uno regionale, e che Casaleggio è peggio della Gestapo per aver querelato un ragazzotto che l’accusa di volersi intascare i soldi dei finanziamenti pubblici che fra l’altro ancora non esistono, e premesso che tutto ciò che fa il Partito democratico è democratico a prescindere, anche perché il partito si chiama così, sorge spontaneo un piccolo dubbio. Noi apprezziamo molto la decisione del Pd di sottoporre alle primarie anche i suoi aspiranti candidati. Ma ieri La Stampa riferiva queste testuali parole dell’onorevole Stefano Esposito, strenuo difensore del Tav Torino-Lione, reduce da un pellegrinaggio a Parigi per sponsorizzare l’immortale opera pubblica destinata a soppiantare la Muraglia Cinese e la Piramide di Cheope: “Se il partito accoglie 
in lista Sandro Plano, io non solo non partecipo alle primarie, ma esco pure dal Pd”. Chi è Plano? È il presidente della comunità montana della Val Susa, esponente del Pd e fiero avversario del Tav. Per carità, sul Tav come su quasi tutto, ciascuno è libero di pensarla come crede (solo, dovrebbe spiegare a chi s’è appena svenato a pagare l’Imu sulla prima casa — ideata dal governo Berlusconi per il 2014 e anticipata dal governo Monti al 2013 anche con i voti del Pd per racimolare 3 miliardi l’anno — perché mai l’Italia dovrebbe buttare 10 o 20 miliardi per far arrivare le merci qualche minuto prima da Torino a Lione, il tutto nel 2030). Ma il punto è proprio questo: Esposito, in quanto parlamentare uscente, nonché esponente fra i più influenti del Pd in Piemonte, non dovrà raccogliere firme per candidarsi alle primarie per entrare nelle liste del Pd: Plano invece sì, infatti in Val Susa il popolo No Tav si sta attivando per dargli una mano. Lo spirito delle primarie dovrebbe essere proprio questo: far emergere dal mitico “territorio” le figure più rappresentative e, piaccia o non piaccia, Plano è uno dei personaggi più amati dalla gente valsusina proprio per la sua intransigente ostilità al Tav. Ma il Tav, per il Pd, come pure per il Pdl, per l’Udc e per tutti gli altri partiti di centro, di destra e di sinistra, è diventato un dogma di fede: come la Santissima Trinità e l’Immacolata Concezione per la Chiesa. Chi esprime dubbi o contrarietà diventa un paria, un appestato: uno non solo da non candidare, ma addirittura da escludere dalle primarie. Democratiche, s’intende. Del resto, in zona, c’è il caso molto democratico di Avigliana, primo comune della Bassa Valsusa, nonché patria di Piero Fassino: alle ultime elezioni comunali il Pd si sciolse in un listone civico Pro-Tav con Pdl e Udc per combattere i suoi dirigenti contrari all’opera, candidati in una lista civica con Idv, Sel e 5Stelle. Purtroppo gli elettori punirono l’ammucchiata fassinian-casinian-berlusconiana e premiarono i No-Tav. Risultato: la Commissione di Garanzia del Pd, molto democraticamente, espulse i tre suoi eletti nella lista vincente per eresia dal dogma Calce & Martello (sanzione mai inflitta neppure a Penati). Cioè: la minoranza espulse la maggioranza. Se quelle di Grillo sono epurazioni, queste come si chiamano? Eppure nella Carta d’Intenti del Pd la parola Tav non è mai citata, mentre si legge che “per noi sanità, istruzione, sicurezza, ambiente sono beni indisponibili alla pura logica del mercato e dei profitti. Sono beni comuni — di tutti e di ciascuno — e definiscono il grado di civiltà e democrazia del Paese”. Sarà un caso, ma tra i fortunati ammessi nel listino bloccato di Bersani — per sottrarli molto democraticamente alle primarie e candidarli anche se non li vuole nessuno — non figurano i tre parlamentari ambientalisti del Pd: Realacci, Ferrante e Della Seta (quello entrato nel mirino dell’Ilva perché “rompe i coglioni”, tant’è che Riva scrisse a Bersani perché lo facesse smettere). Sono tutti e tre renziani, curiosamente.

La strage senza fine

Sottotitolo: Caro Bersani, prova a dirlo tu, per primo, una volta tanto.
Prova a dirlo tu di non fare la parata del 2 giugno, e di risparmiare su quel che è inutile. Tipo anche  la visita del papa a Milano che costerà un bel po’ di milioni di euro. Se  il papa anziché andare in tournée a Milano rimanesse nelle segrete stanze del vaticano a meditare su corvi e talpe, farebbe un favore a tutta l’Italia, non solo ai milanesi.
Perché fra poco lo dirà Grillo, Diliberto lo ha già detto attraverso la sua pagina di facebook e su twitter c’è il delirio: migliaia di persone che chiedono la stessa cosa,  e allora non potremo più essere d’accordo, giusto?
Dai, attacca l’ambaradan e dì una cosa di sinistra.

                                           In questi momenti tutto il resto di quel che succede assume una rilevanza pari a zero. Compresa questa politica parolaia capace solo di dire due stronzate “di assestamento” ma poi, nei fatti, incapace di mantenere la benché minima parola.
Si parlava di buon senso poco fa, altrove, ecco: se venisse davvero messo in pratica anche dalla politica che generalmente non l’ha mai fatto, oggi i rappresentanti alti (…) delle istituzioni dovrebbero dire altro, non limitarsi a un “ce la faremo anche stavolta”, oppure invitare a non perdere la speranza; frasi che risultano quasi sconce, se associate alla disperazione, alla morte, alla distruzione. Perché quelli che ce l’hanno fatta non ci sono riusciti certamente grazie alla retorica del ce la faremo di Napolitano né alle parole  di speranza di Monti, uno più abituato a spegnerle, le speranze,  né tantomeno a questo stato che non sa fronteggiare tre giorni di pioggia che diventano alluvione, terremoti che lasciano gente per decenni in abitazioni di emergenza.

E tornare con la memoria a chi  parla di costruzioni maestose, costose quanto inutili e dannose come fosse quella l’urgenza è qualcosa che ferisce nel profondo anche chi non è stato colpito da un dramma.
In questo paese non servono Tav né aereoplani da guerra ma serve, e quella sì che è l’urgenza, la messa in sicurezza di tutto il territorio. Non è più possibile tollerare che nel terzo millennio, in un paese occidentale considerato “avanzato” si debba morire sotto macerie evitabilissime se le costruzioni fossero messe a norma, così come si fa nei paesi normalmente civili, quelli dove anche la politica usa l’arma del buon senso anziché far prevalere sempre la logica dei profitti.
Napolitano, anziché banalizzare quest’ennesima tragedia con frasi fatte e noiose vada in tv, ora, a reti unificate a dire che la parata militare del 2 giugno, quell’inutile spreco di soldi, quell’ormai inconcepibile fiera della retorica desueta e ridicola non si farà perché quei soldi servono a sostenere i nuovi sfollati di questa era “moderna”.
E a seguire Monti ci dica che il governo rinuncia definitivamente al Tav perché questo paese non si può più permettere che i suoi territori vengano violati e stuprati a beneficio e vantaggio degl’interessi dei soliti pochi eletti.

Allora forse si potrà ricominciare a credere in qualcosa, e anche a sperare.

Non penso che alla gente colpita dalla tragedia del terremoto interessi poi così tanto che la Lega calcio abbia annullato la partita di stasera della Nazionale.

Forse, non basta.

Almeno quelli.

Alta voracità

SERVIZIO PUBBLICO, RIVEDI TUTTI I VIDEO DELLA PUNTATA DEDICATA ALLA TORINO-LIONE

GLI ESPERTI: “E’ LA PEGGIORE INFRASTRUTTURA POSSIBILE (di Luca Mercalli)

Marco Travaglio ripercorre la storia della ferrovia Torino-Lione e illustra le conseguenze del progetto Tav. Il Tav è dannoso: lo è per le casse dello Stato e per le tonnellate di rifiuti (tra cui l’amianto) che verranno prodotti durante i lavori di costruzione.

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Questo pezzo di  Marco Travaglio sulla Tav è uno dei migliori che lui abbia mai scritto,  un discorso, chiaro, esplicativo, lucido, rigoroso, appassionato, definitivo che va oltre il superbo giornalismo al quale ci ha abituati:  è una vera e propria orazione civile.
Quest’uomo è un patrimonio nazionale, una memoria storica che in un paese normale, dunque non in Italia,  tutti si terrebbero da conto.
Non c’è nessuno in Italia che fa giornalismo così come lo sa fare lui.

Ognuno è libero di pensare quello che vuole, ma se non ci fosse Servizio pubblico e l’informazione  sua e di Santoro questo paese sarebbe molto peggio di quello che è:  le sue trasmissioni sono un faro nella nebbia.
 La faccia di Bersani, la sua reazione, e di volta in volta tutte le reazioni che hanno avuto e che hanno le persone chiamate in causa dalla sua  precisione chirurgica nel raccontare i fatti – perlopiù orribili –  che sono accaduti  e che accadono in Italia da venti, venticinque anni a questa parte sono lì a dimostrare quanto sia efficace il suo lavoro e quanto la politica, ordinaria e straordinaria abbia ormai raggiunto un livello di miserabilità e arroganza  insostenibile per un paese che vuole definirsi democratico e civile. 

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“Il primo studio di fattibilità stimava un aumento dei passeggeri tra Italia e Francia. Invece sono un decimo del previsto. Hanno detto allora che se la Tav non poteva servire per i passeggeri allora poteva servire per portare soprattutto le FAVE”

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L’Eroe

 Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano – 2 marzo

A dispetto delle barzellette sui carabinieri, abbiamo finalmente al comando della Benemerita un plotone di fini umoristi. Solo dei generali dotati di spiccato sense of humour potevano conferire un encomio solenne al carabiniere in Val Susa per “la fermezza e la compostezza dimostrate” davanti alla “grande provocazione” del barbuto No Tav che lo chiamava “Pecorella” e lo sfidava a levarsi il casco e la proboscide antigas, o magari a sparare. L’eroico soldato avrebbe così “evitato ad una situazione delicata di degenerare “. Dev’essere uno scherzo, una barzelletta sui carabinieri raccontata da se medesimi. Solo che i politici, categoria molto più allergica all’umorismo, l’han presa sul serio.
Le cronache segnalano che al milite ignoto “è giunto il plauso di tutte le forze politiche e di governo, dai presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani al ministro Cancellieri, da Berlusconi a Bersani: ‘Lui rappresenta l’Italia migliore'”. E meno male che poi ha parlato l’encomiato: “Ho fatto solo il mio dovere: anche altri colleghi avrebbero fatto lo stesso”. Come a dire: ma siete
tutti matti? Ma cosa vi aspettavate che avrei fatto? Che, di fronte a un contestatore esasperato che mi sfotte, avrei potuto estrarre il manganello e fracassargli il cranio? Forse avete visto troppi film, o troppi documentari sulla Diaz e Bolzaneto. Siete abituati all’anormalità perché siete anormali pure voi. Vi sembrerà strano, ma io sono una persona normale, e come me ce ne sono tante, nell’Arma. Ma è stato tutto inutile. Per la stampa di regime, il giovanotto è già un eroe.
“Sembra una storia tratta dalle pagine del libro Cuore di De Amicis”, tromboneggia il Messaggero. Il Giornale festeggia
perché “le azioni dell’orgoglio patrio sono risalite”.

La pseudosenatrice Finocchiaro vorrebbe “stringere la mano al carabiniere insultato da uno pseudomanifestante “.

E tutti a scomodare Pasolini che, tra sessantottini figli di papà e poliziotti figli di proletari, stava coi secondi. Ma qui sono tutti figli di nessuno, mandati allo sbaraglio in una guerra fra poveri da una classe politico-affaristica che lancia il treno e nasconde la mano. Il Giornale segnala che “l’oltraggio a pubblico ufficiale è punito fino a 3 anni di carcere”.

Se è per questo, la corruzione giudiziaria è punita fino a 8 anni.

E il punto è proprio questo: nessun partito è credibile per andare in Valle a spiegare le ragioni del Tav, sempreché ne trovi.
L’ex sottosegretario all’Interno Mantovano (Pdl) invoca manette ai manifestanti per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale: e allora che ci fa a piede libero il suo ex ministro Maroni, condannato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale? E come si chiama il reato di un politico (sempre Mantovano) che paragonò ai “nazisti in fuga” i giudici che avevano condannato Dell’Utri? E di un altro, tale B., che paragonò i giudici alle Br e alla Uno Bianca? Che si fa, si dà l’encomio solenne pure ai giudici che non hanno ancora spaccato la faccia ai politici che li insultano? Il delirio sull’eroe carabiniere ricorda quello sull’eroe De Falco che ordina a Schettino di tornare a bordo. E sull’eroina, durata un paio d’ore , Manuela Arcuri che due anni fa, dai verbali del caso Tarantini, pareva aver respinto le avances del Cainano e solo per questo era pronta per la leadership della sinistra.
Lei giustamente tenne la bocca chiusa.

Infatti, dalla telefonata intercettata di un’amica, si scoprì subito l’eroico motivo del gran rifiuto: “Manuela dice che, se non vede ‘sto cammello, fino a quando non ha una certezza… non fa nulla per lui” (il “cammello”, per la cronaca, era presentare il Festival di Sanremo). Gli unici che, sul concetto di eroismo, hanno sempre avuto le idee chiare sono B. e Dell’Utri: l’eroe è Vittorio Mangano, punto e basta. Per il resto, nel Paese di Sottosopra, diventano eroi una ragazza che forse non si prostituisce, uno della Capitaneria di Porto che intima a un comandante in fuga di tornare sulla nave e un carabiniere che non spara a un ragazzo che gli parla.

Come cantava Lucio Dalla, “l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”.

Tecnici ad alta voracità

Chi oggi lotta, è una persona. È uno che ha compreso che nonostante tutto si ha il dovere morale e civile di non rendersi complici di questo sistema famelico, che tutto vuole e nulla ridà indietro. Chi lotta è l’unico che continua imperterrito ad andare avanti, guardando al futuro, avendo contezza di ciò che potrebbe diventare se fossimo tutti fermi, idioti e schiavi.
(Rita Pani)

 

 

 

Sottotitolo: Nel paese che non sa condannare un delinquente, che gli consente di aggiustarsi la legge per non finire in galera, che gli permette di prendersi gioco di quella legge e della Costituzione, che gli fa fare il cazzo del comodo suo da più di vent’anni, nel paese che premia con la promozione a “dirigente superiore della polizia di stato”, ovvero a questore un condannato in appello a 3 anni e 8 mesi per aver coperto la mattanza, la macelleria messicana  nella Scuola Diaz di Genova e a 1 anno e 2 mesi per induzione alla falsa testimonianza, nonché interdetto dai pubblici uffici, nel paese che chiama a giudizio in un tribunale la madre di un ragazzino ammazzato a calci e botte da quattro poliziotti invece di scusarsi con lei a vita, nel paese dove è successo questo e molto, troppo altro ancora,  NON SI SALE SUI TRALICCI, ché poi ci si fa male.

Capito?

In fin dei conti perché mettere la propria vita in pericolo per la propria comunità, per quello in cui si crede, per il bene di tutti quando si possono correre dei rischi su un’autostrada con la  macchina del papi magari dopo essersi ubriacati e strafatti in discoteca, oppure correre dei rischi per guadagnare di più? non è moderno, ‘sti ragazzi  dovrebbero correre meno rischi… sennò poi potrebbero perfino convincerne altri a pensare che le cose possono cambiare.

La Tav potrebbe essere anche la cosa veramente più urgente e indispensabile da fare in questo paese, anche se tutti sanno che non lo è, anche quelli che pur di difendere le scelte di questi (s)governanti da strapazzo, che siano politici o tecnici ormai abbiam capito che cambia poco e niente, sarebbero disposti a dire qualsiasi cosa. Il problema è che gli italiani non si fidano più di chi decide per sé e per tutti. Non ci fidiamo più di un sistema che la mattina promette di impegnarsi per tutelare le fasce deboli e la sera dice che un’opera costosissima quanto inutile “si DEVE fare”. Non ci fidiamo più di chi ha detto no alle Olimpiadi di Roma ammantando la decisione con la falsa preoccupazione dei soldi che si sarebbero dovuti spendere e poi dice sì all’acquisto di 90 aerei da guerra e alla Tav.
Non ci fidiamo più: e non per colpa nostra.

La violenza, oltre a essere sempre sbagliata, è il miglior regalo che i No Tav possano fare al partito trasversale Pro Tav: che aspetta soltanto il morto per asfaltare l’intera Valsusa e farne tre, di Tav, non solo uno. Per fortuna la manifestazione di sabato è stata l’ennesima presa di distanze del movimento dalla violenza. Non a parole (anche se qualche parola dei leader non guasterebbe, per rimediare al danno fatto con gli assalti al procuratore Caselli), ma nei fatti. Detto questo, c’è un però: gli ordini che il partito trasversale Pro Tav impartisce alle forze dell’ordine. Non sta scritto da nessuna parte che queste debbano cingere d’assedio un’intera valle, braccare i contestatori fin sui tralicci situati a casa loro (infatti si vogliono espropriare i terreni), accogliere nelle stazioni in assetto antisommossa i manifestanti reduci da un corteo pacifico. Chi dà questi ordini compie una scelta precisa: quella di provocare. La provocazione non giustifica la violenza, ma ne attenua le responsabilità: infatti il codice penale prevede l’attenuante della provocazione. Qualche settimana fa alcuni cittadini accolsero una manifestazione secessionista della Lega a Milano srotolando un tricolore: subito intervenne la Digos intimando loro di ritirarlo per non provocare i leghisti. Il mondo alla rovescia, visto che, fra la bandiera nazionale e i vessilli secessionisti, sono i secondi a essere illegali e non la prima. Però si può capire il gesto della Digos, per evitare inutili incidenti. Ora la domanda è: il dovere della polizia è evitare gli incidenti, o provocarli? Nel caso della Lega, li ha evitati. Nel caso del movimento No Tav, sembra volerli provocare. E non per colpa dei singoli poliziotti, che (eccetto quelli che aggiungono gratuitamente condotte violente, difficili da individuare e punire perché nascosti sotto i caschi) obbediscono agli ordini. Ma per colpa di chi dà gli ordini. Cioè della politica. La militarizzazione della Valsusa, a protezione di un cantiere che non esiste, dura da almeno dieci anni e accomuna centrodestra e centrosinistra. Governi politici di segno opposto, ma non sul Tav, che ha sempre messo tutti d’accordo (compresi i grandi costruttori e le coop rosse, già noti alle cronache giudiziarie). Ora però c’è un governo tecnico. Formato cioè, almeno sulla carta, da “esperti”. La domanda è semplice: con quali argomenti tecnici hanno deciso di continuare a finanziare quell’opera? Da anni si attende che qualche autorità spieghi ai valsusini e a tutti gli italiani perché mai imbarcarsi in un’opera da megalomani, concepita negli anni 80, quando ancora il modello di sviluppo si fondava su una gigantesca invidia del pene e inseguiva la grande muraglia e la piramide di Cheope. Oggi tutti i dati descrivono la Torino-Lione come una cattedrale nel deserto, inutile per il traffico merci e passeggeri, anzi dannosa per l’ambiente e le casse dello Stato.

Il governo tecnico, con motivazioni tecniche, ha respinto l’assalto dei forchettoni olimpici di Roma 2020: operazione che sarebbe costata ai contribuenti almeno 5 miliardi. Il Tav, anche nell’ultima versione “low cost”, dovrebbe costarne 8: ma i preventivi, in Italia, sono sempre destinati a raddoppiare o triplicare (il Tav Torino-Milano è costato 73 milioni di euro a km, contro i 9,2 della Spagna e i 10,2 della Francia). Il gioco vale la candela, a fronte di un traffico merci e pesseggeri Italia-Francia in calo costante? Gli economisti de lavoce.info, l’appello di 360 docenti universitari e persino il Sole 24 Ore rispondono che no, l’opera non serve più a nulla. Sono tecnici anche loro, anche se non stanno al governo: tutti cialtroni? Se i tecnici di governo han qualcosa di serio da ribattere, lo facciano, dati alla mano: altrimenti i cialtroni sono loro. Rispondere, come l’ineffabile Passera, che “i lavori devono continuare” punto e basta, in omaggio al dogma dell’Immacolata Produzione, è roba da politicanti senz’argomenti. E, per come si sono messe le cose, è la peggiore delle provocazioni.

Marco Travaglio, 29 febbraio – Il Fatto Quotidiano

Maurizio Crozza – Ballarò del 28/02/12

22 miliardi per un cantiere che durerà 15 anni, i conti son giusti, li ha fatti la mafia quindi mi fido!

C’è il paese degli operai  e impiegati tra i meno pagati  d’Europa e c’è un’Italia dove il presidente dell’Autorità Energia e Gas guadagna più del Presidente degli Stati Uniti. E sulla Tav l’inevitabile domanda:”Ma che cazzo ci vai a fare da Torino a Lione? E’ come andare da Parigi a Cuneo”.


Con Luca e coi NO-TAV

Luca Abbà resta folgorato e cade da 15 metri. E’ grave. VIDEO1: l’arrampicata sul traliccio. VIDEO2: Dopo la caduta (da Servizio Pubblico).

Cortei in molte città. A Roma occupata la stazione Termini 

CRONISTORIA DELLA TORINO-LIONE, VENT’ANNI DI ACCORDI INTERNAZIONALI E PROTESTE

L’obbedienza non è una virtù: è proprio il contrario.

Se tutti i popoli avessero accettato passivamente le decisioni che qualcuno prendeva in loro nome o perché legittimato da un voto popolare oppure perché come nei regimi qualcuno il potere se lo prendeva da sé, non so in che termini oggi si potrebbe parlare di cose giuste e cose che giuste non sono.  
La democrazia può anche imporsi con l’illegittimità.

 Quando la democrazia viene calpestata, insultata ed offesa, difenderla dovrebbe essere l’imperativo di tutti: un dovere non solo morale.
E mi piacerebbe sapere, specialmente da quelli che…”la violenza nonnonnò” in che modo i cittadini di un paese, di una città e di una nazione dovrebbero potersi ribellare a quello che non ritengono giusto che si faccia in casa loro e molto spesso sulla loro pelle.
Come se non fosse violenza il dover sottostare a scelte che non si condividono.
Come se non fosse violenza mandare le forze dell’ordine a picchiare e intossicare illegalmente uomini, donne e bambini.
Sono trent’anni che quella valle viene devastata in nome e per conto del business e del denaro e bene fa la gente a difendere la sua terra.
Opporsi alla costruzione di uno scempio costoso quanto inutile è il gesto più democratico che un popolo attaccato alla sua terra possa fare.
E gli unici facinorosi violenti in questa situazione sono i politici che – more solito – in modo assolutamente bipartisan come ogni volta che c’è da fare qualche porcata –  ne condividono la realizzazione.

Le Grandi Opere in Italia si sono sempre e puntualmente trasformate in occasioni per speculare e gli unici ad averne tratto tutti i vantaggi sono coloro che le hanno ideate e successivamente costruite: se l’opera in sé è stata o è davvero utile (come arrivare in un’ora e mezza da Roma a Milano) i progetti sono sempre stati  ideati e realizzati  dalle varie cricche degli amici degli amici del potente e del politico.

Tutto ciò che è stato fatto in questo paese, strade, autostrade, ferrovie eccetera è diventato sempre, sistematicamente e puntualmente un affare di famiglia con enormi danni al territorio e un altrettanto enorme sperpero di denaro pubblico.

Per le minoranze, cioè per tutti coloro che si trovano a dover subire le scelte spesso scellerate di altri è naturale e giusto NON fidarsi.

Se i professori hanno tanto a cuore il risparmio, così tanto da aver pensato che per risanare il bilancio dello stato fosse giusto saccheggiare pensioni e stipendi della povera gente dicano NO a questo scempio così come hanno detto NO alle Olimpiadi di Roma. Dimostrassero che è vero che l’obiettivo del governo tecnico è quello di aggiustare e non, invece, finire di sfasciare anche quello che in questo paese è riuscito a sfuggire alle grinfie di una politica  disonesta, avida e ingorda.

Non c’è bisogno d’eroi

 

Luca Abbà non è un eroe. Non è nemmeno un “cretinetti” come scrivono quei servi tristi del giornale. Luca Abbà è una vita umana prima di tutto, poi un combattente. Un vero credente. Sì perché questo mondo è cambiato al punto che ormai, i credenti, sono quelli che ancora combattono per un ideale, per qualcosa in cui credono, e non – come hanno insegnato gli ultimi anni di devastazione culturale – quelli che sperano che il loro Dio ci metta una pezza, anche rimondando le coscienze svendute in cambio di danaro.

 

Luca Abbà, semplicemente crede che un territorio non debba essere devastato per favorire l’arricchimento della solita mafia, quella che scava, quella che smaltisce i materiali tossici o inquinanti, quella che gonfia i prezzi dei binari, quella che ricicla vecchi treni da demolire e li vende per nuovi. La mafia del marketing, degli spot da rilanciare nelle televisioni appese nelle stazioni, e tutte le mafie di stato o private, che sulla pelle dei cittadini si arricchiranno ancora. Per credere che tutto questo non debba essere favorito non c’è bisogno di essere eroi; semplicemente bisogna essere possessori di una coscienza, meglio ancora se anche civile.

 

Si è eroi in Italia quando ogni mattina prendi un treno regionale o locale per andare a lavoro. Un treno che si riempie di neve, d’acqua, di polvere e sole, a seconda del tempo che fa. Un treno che ti porta a lavoro – se arriva – con ore di ritardo. O si ferma in mezzo alle campagne innevate d’inverno o assolate d’estate. Si è eroi quando si sceglie di andare dal centro al sud, col treno. O quando scegli di usare il treno per sportati nel sud, o nelle isole – che se vai a piedi, sei sicuro che se non muori almeno arrivi, là dove stai andando.

 

Chi lotta è un eroe per quelli che vorrebbero essere a sinistra, un coglione per quelli di destra. Questa è storia, anche se una volta forse anche a destra si rispettava l’idea dell’ideale. I giornali, anche di destra erano veri giornali, con gente pagata per scrivere. Una volta i giornali di destra avevano giornalisti che non si sono piegati al mafioso, che non lo hanno servito per garantirgli di mangiarsi il paese intero, e le sue valli, e le sue coste, e le bellezze naturali che potrebbero farci ricchi più dei paesi produttori di petrolio, con il vantaggio che nessuno ci avrebbe mai bombardato per potercele rubare.

 

Chi oggi lotta, è una persona. È uno che ha compreso che nonostante tutto si ha il dovere morale e civile di non rendersi complici di questo sistema famelico, che tutto vuole e nulla ridà indietro. Chi lotta è l’unico che continua imperterrito ad andare avanti, guardando al futuro, avendo contezza di ciò che potrebbe diventare se fossimo tutti fermi, idioti e schiavi.

 

La lotta in nome di un ideale, è la base della civiltà. È l’unico modo per uscire dallo stato di imbarbarimento che troppo a lungo abbiamo dovuto sopportare.

 

Eroico sarebbe per gente come quella merda di feltri o quell’ebete di belpietro, quel coglione di castelli o un leghista pezzente qualunque, comprendere il senso di quel che ho scritto.

 

Rita Pani (APOLIDE)

Monti ha detto NO

 Monti ha fatto benissimo a dire NO alle Olimpiadi di Roma.
Ora aspettiamo lo stesso  NO agli F35,  alla TAV,  alla Gronda, all’Expò…eccetera, eccetera.

  Monti boccia le Olimpiadi di Roma
‘Non rischiamo il denaro dei cittadini’

A me delle olimpiadi non frega nulla, ma nullanulla, epperò perché le Olimpiadi secondo l’esimio dott. prof. S.E. il sobrissimo che fa benissimo nonché presidente del consiglio Mario Monti sarebbero tutta questa robina qui e la TAV (per esempio eh?), no?

«Non vogliamo che chi governerà l’Italia nei prossimi anni si trovi in una situazione di difficoltà», ha aggiunto Monti. «Non vogliamo che la situazione possa essere compromessa da improvvisi dubbi circa la finalità di risanamento finanziario del Paese». Di una cosa è sicuro il presidente del Consiglio: «L’Italia non deve rinunciare ad avere mete ambiziose, il nostro governo è concentrato anche sulla crescita, ma in questo momento non pensiamo che sarebbe coerente impegnare l’Italia in questo impegno finanziario che potrebbe mettere a rischio denaro dei contribuenti».

Bisognerebbe smetterla di pensare che le olimpiadi, i mondiali di calcio e ogni grande evento sportivo e non siano l’occasione per dare prestigio ad una città.

Succede altrove forse, ma non Italia.

Perché sappiamo benissimo chi guadagnerebbe dall’enorme movimento di soldi che le gare di appalto spostano e che lievitano di minuto in minuto per far arricchire le solite cricche di delinquenti.

A me il prestigio interesserebbe averlo per le cose importanti e durature: strade e marciapiedi senza buche, asili, scuole, ospedali meno fatiscenti di quelli che si vedono in ogni città italiana, una metropolitana che funzioni, una rete di mezzi pubblici che sia degna di una Capitale del mondo, oltreché d’Italia. Il prestigio dei tutti i giorni insomma, quello che fa funzionare le cose come devono, non quello di una volta “ogni morte di papa”.

E sarebbe bastato  vedere – appunto –  da chi è composto il comitato promotore per le Olimpiadi a Roma per rendersi conto che far organizzare qualcosa a questa gente qui sarebbe stata una follia, il presidente ONORARIO, è Gianni Letta, e, a cascata Pescante, Alemanno: gente di cui sappiamo non tutto ma abbastanza per capire che non sono adatti nemmeno per custodirci la gabbia dei canarini.
Però le motivazioni del NO di Monti se non facessero pena farebbero ridere.
Il metro di giudizio non può essere Monti che dice no ad alemanno e giù,  tutti a dirgli bravo.

Il metro dovrebbe essere, doveva essere  quello della riflessione su tutto quell’altro a cui Monti non ha detto e non dice no per gli stessi motivi per i quali ha detto NO alle Olimpiadi. Dai privilegi mantenuti alla Tav che invece si farà passando per i caccia da guerra che invece si compreranno sennò l’ammiraglio s’incazza. Per dire soltanto le prime tre cose che mi sono venute in mente.

Il presidente del consiglio non  si può ricordare di essere morigerato solo per quello che vuole lui. Perché anche la Tav e gli aereoplani da guerra significano  soldi, molti,  buttati e in più finalizzati a produrre solo danni, dunque addurre motivi finanziari e di risparmio in previsione dello stesso futuro di cui questo governo sta dissolvendo anche e solo l’immagine  mi sembra solo  una gigantesca presa per il culo.

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Viva la Quaresima (ma chi è davvero GIANNI LETTA?) – di Marco Travaglio, 15 febbraio

Ci sono diversi modi per ricordare il ventennale di Mani Pulite.

I partiti commemorano l’anniversario offrendo ogni giorno qualche
ladro alle manette (ieri è toccato all’Umbria). Il Comune di Firenze
discute di una via da dedicare a Bottino Craxi.

Il Tribunale di Torino condanna a 16 anni due potentissimi dirigenti dell’Eternit.

E il governo Monti decide che l’Italia, per com’è messa, non può
permettersi le Olimpiadi a Roma nel 2020: uno scherzetto da 5
miliardi, destinati, secondo le prassi italiote, a diventare 15 o 20.
Se ne riparlerà un’altra volta, se e quando avremo una classe
dirigente capace e onesta. Cioè chissà quando.

Quest’anno niente Carnevale: si passa subito alla Quaresima.

Finalmente una decisione saggia e sobria, tanto più meritoria quanto
possenti erano le pressioni del partito trasversale del magnamagna
(cioè di tutti i grandi partiti e delle retrostanti cricche).
Forse, fra qualche mese o anno, salteranno fuori le intercettazioni di questo o quel magnager o prenditore con questo o quel politico per garantirsi, fra una risata e un furto, appalti milionari, magari da
affidare alla Protezione civile con la scusa dell’urgenza e da
assegnare, come ai bei tempi dei bertoladri, a trattativa privata,
brevi manu, senza controlli della Corte dei Conti, tutto in famiglia,
in cambio di favori, mazzette, massaggi alla cervicale e anche un po’
più in giù.

I protagonisti della politica e dell’impresa sono sempre gli stessi.
Quelli che hanno scavato un debito pubblico da 2 mila miliardi di
euro.

Quelli che hanno portato i costi dell’alta velocità ferroviaria al
record europeo (da 20,3 a 96,4 milioni a km, a seconda delle tratte,
contro i 10,2 della Francia e i 9,8 della Spagna).

Quelli che ancora tre anni fa moltiplicavano la spesa per il G8
fantasma della Maddalena (poi spostato all’Aquila): dal preventivo di 295 milioni al conto finale di 476 (e meno male che scattarono le
manette, altrimenti si sarebbe arrivati a 594 milioni).

Quelli che rubavano pure sulle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità
d’Italia (solo per il Parco della musica a Firenze, i costi
lievitarono dagli iniziali 80 milioni a 236).

Il grande protettore del sistema Bertolaso era Gianni Letta.

Bene, sapete chi è il presidente onorario del Comitato promotore di
Roma 2020, a braccetto col sindaco Alemanno, quello che non distingue
la neve dalla pioggia? Gianni Letta.

Il presidente effettivo invece è un altro giovine virgulto della
politica e dello sport: Mario Pescante. Letta e Pescante, due nomi due garanzie.

Letta, nel 1980, incassò 1 miliardo e mezzo di lire dai fondi neri
dell’Iri e nel 1993 confessò a Di Pietro di aver pagato una mazzetta
Fininvest di 70 milioni di lire al segretario del Psdi Antonio
Cariglia (“La somma fu da me introdotta in una busta e consegnata
tramite fattorino”): si salvò per amnistia.

Poi sponsorizzò galantuomini come Guarguaglini, Pollari e
naturalmente Bertolaso.

Chi meglio di lui per garantire trasparenza negli appalti olimpici?

L’ottimo Pescante, nato ad Avezzano come Letta, fu ai vertici del Coni ai tempi dei mondiali di Italia 90 e delle spese folli per gli stadi:
memorabile la ristrutturazione dell’Olimpico di Roma, costata quanto due o tre stadi nuovi (preventivo 80 miliardi, spesa finale 206).

Poi  dovette dimettersi da presidente del Coni per lo scandalo del
doping nel calcio: il pm Guariniello scoprì che il cosiddetto
“laboratorio antidoping” dell’Acquacetosa cercava tutto fuorché il
doping: le provette con le urine degli atleti venivano gettate anzichè
analizzate. Il laboratorio truffa fu chiuso dal Comitato olimpico
internazionale e l’antidoping affidato a laboratori esteri, che
guardacaso scoprirono un sacco di italiani dopati.
Già vicino ai Ds, Pescante si riciclò prontamente come deputato di An e sottosegretario allo Sport, poi vicepresidente del Cio e numero uno delle Olimpiadi di Roma 2020. Che, per fortuna, resteranno un sogno.

Anzi, un incubo.

Brevissimo, avvelenato

Scontri No Tav
Blitz in tutta Italia
Ventisei arresti

L’Italia è bloccata dai camionisti che impediscono la circolazione delle merci, dai tassisti che picchiano i “crumiri”, dai pescatori che si picchiano con la polizia, dai forconi che hanno messo in ginocchio la Sicilia, mentre navi da crociera naufragano e uccidono e inquinano. E come reagisce lo stato?
Arresta i No Tav.

Le agenzie riferiscono di almeno 32 arresti su tutto il territorio nazionale e undici denunce.

Complimenti.

Il potere, che sia tecnico o politico cambia poco, anzi niente, ci tiene sempre a mostrare il suo vero volto attraverso il suo braccio armato. Qualcuno ce le avrà mandate, e a chi rispondono oggi le forze cosiddette dell’ordine quando fanno azioni di questo tipo?

 

Nel frattempo…

L’orgettina – di Marco Travaglio, 26 gennaio

Nascosti dietro i tecnici, in uno dei loro più riusciti
travestimenti, i politici autonominati vivono una stagione di libidine
sfrenata.

In Parlamento non vanno mai (le aule sono deserte, tanto non c’è
niente da votare). Qualunque porcata facciano non se ne accorge
nessuno. E hanno un sacco di tempo libero per dare sfogo alla
perversione più inconfessabile: l’inciucio, sogno proibito di una
vita, che negli anni passati li costrinse a spericolati e clandestini
Kamasutra per non farsi notare dagli elettori.
Ora invece, dietro il trompe l’oeil montiano, sono come topi nel
formaggio: possono scatenarsi, come quei sadomasochisti repressi che
trovano finalmente il coraggio dell’outing in gita premio a Sodoma e
Gomorra.

E allora vai con l’orgia, anzi al momento l’orgetta, sulla giustizia.
Ad apparecchiare il talamo a tre piazze Pdl-Pd-Udc è Il Messaggero,
quotidiano del gruppo Caltagirone, con la scusa della solita “riforma
della giustizia” (non bastando le cento e più varate, con i risultati
noti a tutti, negli ultimi 18 anni). L’idea l’ha lanciata sul
Messaggero un osservatore neutrale: Casini, che incidentalmente di
Caltagirone è il genero.
L’indomani gli ha risposto, sempre sul Messaggero, il presunto
segretario del Pdl Alfano.

Poteva mancare a questa soave corrispondenza di amorosi sensi il
contributo di Violante? No che non poteva. Infatti ieri è arrivato
anche lui: “Per anni siamo vissuti fra due opposti giacobinismi”, ha
detto, mettendo sullo stesso piano i magistrati che tentano di far
rispettare le leggi e i politici che le violano o le cambiano a
proprio uso e consumo. Ma ora “basta alibi, cambiare la giustizia si
può”, anche perché ora “abbiamo la fortuna di avere un ministro
competente, capace, onesto e stimato”. Cioè l’avvocato Paola Severino,
casualmente fino a due mesi fa difensore di Caltagirone, condannato in
primo grado a 3 anni e 6 mesi per la scalata Unipol-Bnl (insider
trading e ostacolo alla Consob). Il genero Piercasinando propone sul
giornale del suocero di “chiudere vent’anni di contrapposizione tra
potere giudiziario e potere legislativo”. Lui i processi ai politici
che rubano e mafiano (in gran parte amici suoi) li chiama
“contrapposizione”.
E vorrebbe chiuderli col disarmo bilaterale: dei politici ladri e
mafiosi, ma anche dei giudici che li hanno scoperti (“La politica deve
fare autocritica, ma pure il mondo della magistratura deve riflettere
su certi eccessi”). E poi con una bella legge contro le
intercettazioni, “su cui si deve raggiungere un equilibrio di
civiltà”. Violante, sul disarmo bilaterale, concorda: “Il magistrato
non è il custode della moralità… Molte volte la magistratura,
esercitando un compito improprio, è stata costretta a intervenire
sulla politica”, mentre è “l’elettore il selezionatore della classe
politica”. Cioè: se un magistrato scopre un politico a rubare o a
mafiare, deve ritirarsi in buon ordine perché non è compito suo
indagare: deve lasciarlo fare agli elettori, che naturalmente non
sanno nulla. In più, a giudicare i magistrati in sede disciplinare,
non dovrà più essere il Csm, ma un’“alta corte di giustizia” nominata
dal Parlamento, cioè dai politici, che così potranno processare i
magistrati. Invece i magistrati che processano i politici “esercitano
un compito improprio”.

E, se questa è la posizione del Pd, siamo a cavallo.

Al confronto, Angelino Jolie è una mammoletta: sulle intercettazioni
teme che “il testo da me proposto non potrà ottenere la convergenza
del Pd”. Uomo di poca fede: con i Violante tutto è possibile. Del
resto, sulla svuotacarceri Severino, il Pd s’è già rimangiato la
richiesta di abolire l’ex-Cirielli (il Pdl non vuole) e ha digerito
senza un ruttino la trovata del Pdl di escludere dai benefici
scippatori, ladri e rapinatori: cioè quelli che davvero affollano le
carceri, mentre restano compresi i colletti bianchi, che in carcere
non ci sono ma potrebbero presto finirci. Compreso Caltagirone, che in
caso di condanna definitiva, rischiava di finire dentro. Invece
scampato pericolo, grazie alla legge firmata dal suo ex avvocato
divenuto ministro.

Libidine pura.