Aspettando il “severo provvedimento” di alfano. Che non arriverà

Il 25 aprile andrebbe sospeso fino a data da destinarsi, ripristinato solo quando si riuscirà a ricostruire una democrazia degna di quella Resistenza antifascista che molti ipocritamente commemorano ma poi non le riconoscono nessun valore. 

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Dell’uso sconsiderato del web e della leggenda della zona franca dove tutto è permesso io ne scrivo da molto prima di facebook.  Sono in Rete ormai da una ventina d’anni praticamente tutti i giorni e il modus, l’atteggiamento, il modo di porsi della maggioranza dei suoi frequentatori se possibile è perfino peggiorato dal suo esordio quando almeno ci si poteva giustificare con la curiosità del nuovo strumento di comunicazione.

In Rete non bisogna farsi “belli” raccontando balle ma nemmeno mostrare la parte peggiore di sé, quella che ci si vergognerebbe di esibire nel proprio quotidiano o costruita appositamente a beneficio della propria identità virtuale. 
Non si capisce, invece,  perché questo accada puntualmente, tutti i giorni e ovunque, non solo su facebook  dove almeno la maggior parte dell’utenza ci mette faccia e nome perché obbligata da un regolamento che altrove non c’è ma ovunque dove  in troppi approfittano [ancora!] dell’anonimato per scrivere quello che vogliono. 
Basterebbe considerare il web non un mondo a parte ma una parte del proprio mondo, esattamente come i contesti familiari, amicali, lavorativi, comportarsi nello stesso modo.
Ma evidentemente le frustrazioni, il bisogno di trovarsi il nemico da abbattere quotidianamente a parole perché probabilmente chi agisce così non riesce a liberarsi di quelli reali coi gesti concreti hanno il sopravvento anche sul semplice buon senso che dovrebbe appartenere a persone adulte non solo per data di nascita.

Un idiota è un idiota sempre e ovunque, un deficiente, un deficiente anche se pensa di essere simpatico, un violento fascista resta un violento fascista anche sotto mentite spoglie e in quel caso fa bene a nascondersi.

Non è il posto che fa la gente ma il contrario.  Basterebbe ricordarsi di essere persone serie sempre, ovunque e dimostrarlo. La Rete non è il salotto privato di nessuno, è una casa comune e il rispetto deve diventare obbligatorio e necessario come nella vita di tutti i giorni.  La provocazione tout court, le volgarità anche violente espresse contro le persone alla fine diventano noiose e non dovrebbero piacere a nessuno di quelli che si reputano intelligenti e ben disposti al dialogo e al confronto.  I diritti vanno conquistati, quando dietro l’alibi del diritto alla libera espressione si nascondono altre intenzioni, quando ci si fa scudo del diritto di parola per usare la violenza nel linguaggio, quando si esercita la violenza su chi non può difendersi,  quando  si zittisce l’opinione sana  lasciando spazio all’insulto, agli oltraggi, alle apologie fasciste e razziste con la censura come si fa  nei siti dei quotidiani che si dichiarano liberi  ma poi anche loro agiscono per interesse lasciando spazio alla rissa verbale perché “fa clic” quello non è più un diritto: è un abuso.

Se lo stato per primo premia i metodi fascisti utilizzati dalle forze dell’ordine, non punisce i mandanti ma anzi li premia con promozioni e carriere favolose, agli esecutori dà un’amichevole pacca sulla spalla, non gli toglie nemmeno la divisa, permette senza fare un plissè che un sindacato di polizia dopo aver minacciato e diffamato le famiglie di Federico Aldrovandi e di Stefano Cucchi faccia anche l’applauso a quattro assassini, se la politica stessa che nella figura di giovanardi e la santanchè è sempre lì  a dire che le forze dell’ordine svolgono correttamente e onestamente il loro mestiere “nel rispetto dei diritti umani e civili”  come si può pretendere il semplice rispetto delle persone che passa anche per la parola?

Presidente Boldrini,  forse c’è qualcosa di più urgente da fare prima di pensare di tradurre al femminile gli aggettivi che descrivono mestieri e professioni, ci sarebbe da cacciare i fascisti dalle istituzioni e dalla subcultura malata e criminale di questo paese. Questo dovrebbero fare la politica e le istituzioni serie  del paese antifascista.

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Diaz, le ‘mille volte’ di Tortosa: io non mi stupisco – Silvia D’Onghia – Il Fatto Quotidiano

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L’insostenibile leggerezza dei social network – Guido Scorza – Il Fatto Quotidiano

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Cos’è, niente “je suis Tortosa” stavolta?

Eppure, se vale il principio col quale molti hanno avvelenato la Rete dopo la strage fondamentalista di Charlie Hebdo scrivendo che “tutti hanno il diritto di esprimere la loro opinione, anche fosse la più spregevole” dovrebbe valere anche per Tortosa, orgoglioso di indossare la divisa e di difendere a mazzate i “nemici” della democrazia, impersonati da chi dormiva per terra una sera di luglio a Genova.
Così come lo stesso principio deve valere per la Saluzzi che deve sentirsi libera di dare dell’imbecille al campione di Formula uno, deve, dovrebbe valere per gasparri che sempre secondo quel principio ha eccome licenza di poter scrivere pubblicamente ad una ragazzina che siccome è grassa dovrebbe mettersi a dieta e di ipotizzare, interrogando i suoi fan, che le ragazze tornate dalla Siria sono due poco serie che la davano a tutti come fa anche salvini quando scrive le sue scemenze razziste sotto forma di domanda.
Così come io che non mi sono mai sentita né definita nient’altro che me sono libera di scrivere che se De Gennaro, il capo della polizia di allora non fosse stato premiato dallo stato probabilmente i suoi uomini in divisa avrebbero perso un po’ di quella sicumera che li autorizza a tutelare l’ordine con le botte, che in un paese dove i responsabili e i mandanti dei pestaggi e degli omicidi di stato pagano davvero non avremmo assistito all’osceno spettacolo dei rappresentanti di un sindacato di polizia che fanno la standing ovation a quattro assassini mai spogliati della divisa e che il segretario del sindacato non si permetterebbe di dire che una legge civile è frutto del furore ideologico. E il presidente del consiglio non si sarebbe mai permesso di ribadire la sua fiducia a De Gennaro mantenendolo al posto che gli è stato regalato in virtù della sua bravura e competenza.

Benché spregevoli quelle di gasparri e salvini sono opinioni proprio come quella di Tortosa che “rientrerebbe mille e mille volte in quella scuola” nonostante una sentenza della Cassazione che tre anni fa stabilì che i fatti accaduti alla Diaz hanno gettato discredito sull’Italia agli occhi del mondo intero, un’altra più importante di qualche giorno fa della Corte dei diritti umani europea che ha messo nero su bianco quello che sapevamo tutti ovvero che lo stato a Genova per mezzo del suo braccio armato fascista non si limitò a far rispettare l’ordine pubblico e tutelare la sicurezza dei cittadini ma esercitò violenze, tortura, ebbe comportamenti criminali e in quella occasione come tante, troppe altre fu lo stato il nemico della democrazia, non la gente che dormiva per terra in una scuola e che era andata a dire che non le piaceva questo paese, il mondo così com’era, come è ancora visto che da allora sono perfino peggiorati entrambi.

Dai che prima o poi ci arriviamo tutti alla semplice considerazione che no, non esiste quel diritto di poter dire quello che si pensa sempre, soprattutto se chi pensa di poter esercitare quel diritto è gente che per ruolo e mestiere rappresenta lo stato, quello democratico e dovrebbe dare l’esempio, non mettersi sotto il livello di ciò che dovrebbe contrastare.
Prima o poi capiremo tutti quanti che libertà e diritti non hanno niente a che fare con l’espressione della violenza, fosse anche solo scritta e detta a voce.

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Quando la mela è “sana” come minimo è omertosa, c’è una puntata di Presa diretta sui morti di stato che andrebbe trasmessa nella scuole già dalle medie inferiori.
Perché in questo paese la polizia che picchia è stata sempre autorizzata dai governi di tutti i colori, quando a Napoli durante il vertice Osce ci fu il preludio di quello che sarebbe accaduto quattro mesi dopo a Genova, quando i manifestanti furono portati nella caserma Raniero per essere pestati lontano da occhi indiscreti a palazzo Chigi c’era D’Alema: l’indignato de’ sinistra.
Quindi è inutile nascondersi dietro i propri paraventi dicendo che certe cose possono succedere solo coi governi di destra, ci sono metodi condivisi da tutta la politica che ha sempre autorizzato l’uso violento della forza anche quando non c’è nessun pericolo per la sicurezza nazionale come fu proprio a Genova dove la polizia si comportò come il peggiore dei vigliacchi e infami che colpisce alle spalle.
Ora la politica – nemmeno tutta – arriccia il naso perché dopo i processi farsa, le finte condanne e le promozioni vere, la sentenza della Cassazione che ha raccontato di una polizia che ha svergognato l’Italia agli occhi del mondo è arrivata l’ultima davanti alla quale non ci si può più nascondere, ma l’Italia delle istituzioni non si è indignata nello stesso modo quando a subire la tortura di stato sono stati cittadini singoli, fermati o trattenuti come Stefano Cucchi, Riccardo Magherini morti di botte e di sistemi coercitivi fuori dalle regole e da qualsiasi diritto, pestati a sangue perché si sentivano male come Federico Aldrovandi e come tutti coloro che nelle questure di tutta Italia da Bolzano a Palermo ricevono il benvenuto dai funzionari di stato in divisa a forza di botte, e quelli che non picchiano ma tacciono e non denunciano i colleghi criminali sono colpevoli esattamente come loro se non peggio.

 

Quante altre volte si dovrà parlare di “poche mele marce”, di “schegge impazzite?”

“Perché, uno non può dire quello che pensa?”  Questo è il tenore dei commenti nei siti on line dei quotidiani relativi alla notizia dei poliziotti penitenziari che gioiscono perché un detenuto, un ergastolano, il rifiuto umano per definizione si è suicidato nonostante fosse sotto la loro tutela. I meschini e tapini invece di fare mea culpa sono andati a ridere nel social,  in Rete hanno suscitato più compassione che orrore come sempre accade quando dall’altra parte c’è il delinquente, il nemico, che sia il ladro, l’assassino, la madre sciagurata che perde la testa e ammazza il figlioletto non fa nessuna differenza. Sempre meglio che il nemico, il mostro sia altro da sé.

Se si togliesse la cronaca nera dai quotidiani molti commentatori del web non saprebbero che farsene delle loro paginette, bacheche dei social. E questo l’informazione ufficiale lo sa, ecco perché la nera viene usata come arma di distrazione di massa, finché la gente si occupa di infierire sul miserabile non ha occhi e attenzione per preoccuparsi di chi nel frattempo mette a soqquadro lo stato e il paese.

Però no, secondo me non sempre si può dire quello che si pensa, se tutti ci prendessimo la libertà di dire quello che pensiamo sempre e a tutti questa sarebbe una società di esiliati costretti a vivere in solitudine, di disoccupati perché immagino che tutti abbiano qualcosa di non piacevole da dire ai datori di lavoro, specialmente in questo periodo. E ai vicini di casa rompicoglioni non vogliamo dire niente? 
Il mondo della libertà di parola sempre sarebbe fatto di gente che proverebbe disgusto e anche odio solo a pensare che esistono gli altri solo perché gli altri dicono quello che pensano di tutti.
Bisognerebbe anche un po’ smetterla con questa leggenda della libertà di parola senza limiti e confini, con la licenza e l’autorizzazione di far dire tutto a tutti perché è meglio sapere che il contrario: non è così e non può mai essere così.
E a me personalmente non frega proprio niente di sapere delle tante miserie e malvagità che trovano residenza dentro cervelli bacati di gente che non si accontenta di ospitarle in silenzio ma vuole farle conoscere a tutti.

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Si può essere d’accordo come scrive Alessandro Gilioli  sulla funzione di valvola della Rete, ovvero finché le cose vengono scritte e non messe in pratica possiamo stare ancora tranquilli, ma non per questo si possono giustificare dei funzionari di stato così come non si dovrebbe coi politici quando assumono le sembianze dei cyberbulli. Il ruolo dovrebbe avere ancora una funzione di esempio, educativo. Qui invece è diventato un immondo carrozzone dove tutto viene ammantato del diritto alla libera espressione, anche quando non è espressione ma solo mera violenza e, tanto meno, manifestazione di libertà. La libertà di espressione la difendo con tutte le mie forze quando è vera libertà e vera espressione del pensiero, utile come può essere quello forte espresso dalla satira che ridimensiona e ridicolizza tutte le forme di potere, anche quello religioso, quando è nobile e invita a riflessioni sulle cose importanti che ci riguardano tutti, quando quel pensiero insegna e invita al miglioramento, non la difendo più né mai la potrei considerare un diritto quando diventa violenza che poi contamina, si fa virale come succede sistematicamente in Rete, ecco perché non credo che i liberi pensatori che un tempo venivano messi sul rogo abbiano sacrificato la loro vita per consentire la libertà di insulto, oltraggio e diffamazione che le leggi degli stati civili considerano reati proprio perché nessuno può considerare un diritto irrinunciabile l’offesa alla persona, il cui diritto quello sì inalienabile di non essere oltraggiata viene prima di qualsiasi presunto diritto alla libertà di espressione.

 

Il risvolto più interessante che fa capire lo stato di degrado irreversibile del concetto di libertà di parola e della considerazione dello stato per gli ultimi, i miserabili circa la squallida vicenda dei commenti pubblicati dai cosiddetti agenti di custodia del carcere di Opera dopo il suicidio del detenuto romeno sono le motivazioni usate per rimuoverli dalla pagina facebook.
Tolti non perché violenti, perché un funzionario di stato preposto alla tutela dei cittadini certi pensieri in testa non dovrebbe proprio averli così come non dovrebbe avere il pregiudizio razzista, nemmeno perché quei funzionari hanno mancato di rispetto non solo ad un morto che ormai non può più danneggiare nessuno ma soprattutto allo stato che ha conferito loro l’onere di svolgere un servizio importante ma per “evitare strumentalizzazioni che avrebbero potuto danneggiare il corpo di polizia penitenziaria”.

Per una questione di immagine, di reputazione, non per vergogna. Ecco perché questa gente va fermata, perché non ha capito che ogni suicidio che avviene nelle carceri, ogni morte che sopraggiunge a maltrattamenti che le forze dell’ordine non sono tenute a dispensare mentre dovrebbero occuparsi della tutela delle persone non sono solo un crimini contro l’umanità ma è soprattutto un fallimento  dello stato che non sa delegare la responsabilità di settori importantissimi delle istituzioni, quelli che si occupano direttamente delle persone, a gente adatta, adeguata al ruolo. L’esistenza di un sentimento forte come l’odio o di frustrazione per le condizioni in cui si è costretti a lavorare non possono né devono mai giustificare le espressioni più violente anche limitatamente a degli scritti come l’augurio di morte o il compiacimento per una morte. La semplificazione rispetto a fatti che meriterebbero la riflessione più profonda da parte nostra che assistiamo ai fatti che accadono e la prevenzione di chi dovrebbe fare in modo che chi svolge una professione delicata possa farlo in condizioni ottimali è violenta e  brutale. Sarebbe più facile per tutti dire “uno di meno” in riferimento a chi ha dimostrato di non avere rispetto per la vita degli altri, però così non funziona, così si scende ancora più in basso di chi commette un reato e di chi commenta un suicidio come un evento da festeggiare, mentre la coscienza civile deve impedirci di metterci allo stesso livello di chi non rispetta la legge e nemmeno le persone.

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La gabbia (Massimo Gramellini)

La galera in Italia non è un centro di recupero, ma una soffitta orrenda dove stipare rifiuti umani che almeno metà della popolazione vorrebbe vedere sparire per sempre, non fosse altro perché teme che qualche garbuglio legale riesca a rimetterli in libertà molto prima del meritato e del dovuto. Le statistiche urlano che il carcere riesce a cambiare soltanto chi lavora, possibilmente in un luogo sano. Eppure nella pratica comune i condannati vivono da parassiti e la pena viene espiata in ambienti fetidi e brutali, tranne per chi è abbastanza ricco e mafioso da potersi permettere un trattamento privilegiato. Rendere civili le carceri e dare un senso alla galera non porta voti, quindi è considerato uno spreco. La politica ci risparmi almeno la sua indignazione per la beceraggine di certi immondi carcerieri. È lei ad averli disegnati così.

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“Si è ucciso? Bene, uno di meno” l’ultima vergogna del carcere (Michele Serra)

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In uno stato di diritto anche i detenuti hanno diritto a vedersi riconosciuti i diritti di persona. 

Da vivi e soprattutto da morti, credo fra l’altro che l’ingiuria ai morti costituisca proprio un reato, non una volgare caduta di stile.
Invece di citare Voltaire ad cazzum circa cose che non ha mai detto sul “morire per” e bla bla bla si potrebbe ad esempio ricordare che l’illuminato filosofo disse, davvero, che la civiltà di un paese si riconosce dalle condizioni delle sue carceri.
Nessuno ci chiede di commuoverci, preoccuparci per la sorte di sconosciuti che hanno violato la legge, di chi ha ucciso, rubato, causato del male, di chi ha usato violenza a delle persone, questa è appunto una faccenda di cui si deve occupare lo stato, il nostro dovere di cittadini è pretendere che lo stato assolva a questa funzione in modo civile.
Che lo faccia per mezzo di persone che non dimentichino mai di avere a che fare con altre persone, anche fossero, spesso lo sono, miserabili, gente che ha commesso delitti efferati, azioni che incutono paura e scatenano una umanissima rabbia solo a pensarci.
Che penseremmo se in un asilo lavorassero persone che odiano i bambini e lo dicono, lo vanno a scrivere sul social?
O se in un ospedale operasse gente a cui fa schifo occuparsi dei malati e lo dice, lo scrive nella pagina social del sindacato di appartenenza?
Saremmo giustamente preoccupati, la stessa cosa a maggior ragione deve valere per chi si occupa di persone costrette dalle loro azioni in una condizione di privazione di libertà, una condizione che li pone in una situazione di inferiorità rispetto a chi sta dall’altra parte del muro di una cella, la loro parola o quella dei loro familiari contro quella del tutore della legge: lo abbiamo visto con Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini, Giuseppe Uva e tutto l’angosciante elenco delle persone morte mentre erano sotto la tutela dello stato che poi quando deve prendere provvedimenti contro i suoi funzionari, le cosiddette mele marce, le schegge impazzite si mette il guanto di velluto, non usa gli stessi parametri di giudizio e di condanna come quelli applicati alle persone a cui toglie la libertà.
Non è sicuro un ambiente dove chi si deve occupare dei detenuti per conto dello stato ha in testa i pensieri violenti manifestati dagli agenti del carcere di Opera. Perché se pensiamo che quello esercitato da loro sia un diritto derivante dalla libertà di pensiero, parola ed espressione è inutile poi sbraitare contro lo stato carnefice al prossimo morto per colpa di nessuno mentre era sotto tutela dello stato.

Di Rete, di social, di odio e di balle [soprattutto, le balle]

Preambolo, off topic ma mica tanto: sta facendo più Anonymous contro l’Isis oscurando siti e account jihadisti –  rendendo quindi difficile la comunicazione – di tutte le varie concertazioni diplomatiche parolaie mondiali.
L’informazione mainstream prendesse esempio da loro invece di diffondere l’orrore usando l’alibi del diritto/dovere di informazione, mentre in realtà si tratta solo di pubblicità ai macellai che poi ne traggono altra esaltazione salvo poi inchinarsi davanti all’opportunità di non pubblicare la satira che “turba le sensibilità religiose”.

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Qualche giorno fa Corrado Augias ha annunciato la sua dipartita da twitter perché, ha detto, non si ritrova nei 140 caratteri e comunque non è il modo di comunicare che preferisce. Solo però ha aggiunto qualcosa di troppo che poteva evitarsi quando ha paragonato il metodo di comunicare del social al pizzino mafioso. E chissà perché la scelta personale di uno deve essere motivo di discredito per chi continua a fare qualcosa che quell’uno ha deciso di non fare più. Un po’ come quelli che smettono di fumare e poi passano la vita a molestare i fumatori.
E’ normalissimo che un uomo di ottant’anni, sebbene di cultura come il dottor Augias non si ritrovi nel modo di comunicare stringato e veloce di twitter ma è altrettanto normale che i figli di oggi, i nati nell’era delle tecnologie avanzate non abbiano nessuna difficoltà a farlo.
Paragonare il tweet al pizzino mafioso è una pessima caduta di stile che l’uomo di cultura avrebbe dovuto evitare.
Sarebbe bastato dire semplicemente di non gradire, di non ritrovarsi appunto nei 140 caratteri come molti, me compresa che non ho mai amato la sintesi nella scrittura, non dire che milioni di persone ogni giorno usano il social per scambiarsi messaggi cifrati o che sono sempre e tutti lì per insultare e insultarsi. 

Se c’è qualcuno che fa un uso sconsiderato di twitter e dei social sono proprio quelli che dovrebbero dare il buon esempio, a partire dai politici e certi giornalisti: i veri cyberbulli sono loro.

Indro Montanelli diceva più di vent’anni fa che se mussolini avesse avuto le televisioni sarebbe ancora qui, ovvero lì, in quell’epoca. La stessa cosa vale oggi per i politici a cui non bastavano le praterie immense dell’informazione asservita, oggi la propaganda se la fanno in casa aiutati  amorevolmente dai giornalisti della stampa amica tipo quelli alla Zucconi che potendo contare sulle migliaia di followers sanno bene cosa devono scrivere e quali temi toccare e come Lerner che la  scorsa settimana ha scritto che chi si è indignato per la presenza di berlusconi al Quirinale lo ha fatto perché “animato da pulsioni vendicative” e non perché un delinquente abbia ancora libero accesso nei palazzi istituzionali. Questo non è comunicare e non è esprimere un’opinione: è terrorismo semantico finalizzato alla propaganda utile al sistema, significa trasformare una sacrosanta repulsione per uno che dovrebbe stare in galera e invece viene pure invitato alla festa a palazzo in una questione personale di simpatia e antipatia, di cattiveria e bontà, odio e amore: le stesse argomentazioni di berlusconi. 

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La satira, ha detto Dario Fo da Fazio ieri sera non solo infastidisce il potere ma lo angoscia, la capacità di saper portare alla luce contraddizioni, difetti ed errori di persone a cui qualcuno ha dato l’autorità, l’autorevolezza, la possibilità di avere fra le mani la gestione di un paese, del mondo, saperlo fare poi in un linguaggio semplice e alla portata di [quasi] tutti effettivamente è molto “spaventevole”.
C’è il rischio che i vari giochini del potere possano sgretolarsi in un punto qualsiasi e provocare devastanti effetti domino, per il potere.
Ma non è solo il potere della politica ad essere angosciato da linguaggi diversi, un altro settore che risente molto dell’uso della parola semplice, disinvolta e spesso esplicita, chiara è il giornalismo dei professionisti che con l’avvento della Rete, dei social ha perso l’egemonia, l’esclusiva della diffusione di notizie e informazioni.
Da quando i social network, molti blog amatoriali sono diventati punti di riferimento per lo scambio di punti di vista ed idee, della libera circolazione delle notizie, spesso sostituendosi felicemente all’informazione ufficiale il giornalismo, specie quello che ha rinunciato alla sua funzione e deontologia a beneficio del potere ha cominciato ad attaccare l’utenza web, gli articoli che trattano della violenza del linguaggio web, dell’odio veicolato da certi commenti aumentano in maniera esponenziale.
Perfino Rampini, l’inviato di Repubblica, ha sentito l’impellente necessità di occuparsi del problema “dell’anonimato del web che scatena i peggiori istinti”, ieri Zucconi ha twittato che “l’anonimato su un social è la negazione dell’essere social”, concetti sui quali si potrebbe anche essere d’accordo se non fosse che sia Rampini che Zucconi sanno che l’anonimato in Rete è qualcosa di molto effimero, che in presenza di fatti e situazioni che lo richiedono i gestori delle varie piattaforme hanno la possibilità di risalire all’identità reale degli utenti quando e come vogliono.
Lo scettro del preoccupato dalla “violenza web” ce l’ha comunque Michele Serra che ha iniziato da un bel po’ e ciclicamente sente il dovere di mettere sull’avviso circa il pericolo derivante dalla troppa libertà di espressione incontrollata che circola in internet.
Ora io non ho mai fatto mistero dell’inutilità dannosa delle molte volgarità violente spesso al limite, oltre la diffamazione che vengono scritte specialmente nelle pagine pubbliche dei politici, delle trasmissioni televisive ma anche rivolte all’utenza “semplice” nei contraddittori che si sviluppano nelle varie discussioni però, ugualmente, non ho mai creduto alla buona fede di chi sale sul pulpito per avvertire, in special modo se lo fa da giornalista, quindi da persona che pensa di essere autorizzata a farlo, di avere una qualche autorità che gli suggerisce di farlo “a fin di bene”. Esattamente come gli influencers sguinzagliati in Rete dal regimetto di turno appositamente per impedire il dibattito civile, per inserire nel dibattito la propaganda pro o contro quel partito ci sono giornalisti che provano a sminuire le possibilità che offre la Rete  facendo credere che i social non siano poi così utili ma addirittura pericolosi per violenza espressa, tutto questo perché il sistema e il potere non devono essere disturbati da altri punti di vista, opinioni e conoscenza che i frequentatori di internet mettono a disposizione degli altri senza il filtro dell’opportunità circa quello che si può e non si può dire. Non è un caso se i regimi totalitari adottano un controllo severissimo sul web fino ad impedire la circolazione delle notizie e la politica sia da sempre terrorizzata dal fatto che internet non è così facilmente controllabile come i media ufficiali.
Credo, invece, che il giornalista professionista dovrebbe smetterla di considerare l’utenza web un nemico capace solo di offendere, che gli toglie il lavoro o mette in discussione quella bella esclusiva di una volta che consisteva nell’articolo sui giornali che si poteva leggere e basta perché non c’erano i mezzi per far sapere al giornalista, ad esempio, che quello che aveva scritto non era corretto.
Parlare poi dell’odio che viaggia in Rete, della necessità di ripulire i social come se il sentimento negativo relativo alla realtà infame con cui moltissima gente deve fare i conti quotidianamente fosse circoscritto solo qui, che solo qui dentro la gente esprima il suo malcontento è una solenne cazzata, basta farsi una passeggiata per sapere che quel malcontento, le preoccupazioni hanno volti e voci, non corrispondono soltanto ad un account.
Per questo penso che gli addetti ai lavori, che siano politici o giornalisti dovrebbero benedire e ringraziare questo mezzo che “tiene”, ha la capacità di frenare istinti che se messi in pratica fuori dal social sarebbero molto più pericolosi di quanto lo sia la parola scritta, anche la più spregevole, quella che non si può condividere mai.

ImageShock

Penso che quello che sta succedendo a Gaza sia un orrore senza fine che dura da troppo tempo per considerare ancora questo un mondo civile.

Penso che sia utile e necessario far viaggiare le informazioni in Rete e non la propaganda che serve solo a sminuire la gravità degli accadimenti, alla fine succede come nella favoletta di “al lupo, al lupo”, e quando il lupo è quello vero ci si crede di meno o per niente.

Penso che ognuno debba fare ciò che sente senza sentirsi in qualche modo obbligato se qualcuno fa di più avendo capacità, conoscenza e possibilità.  E lo fa bene rendendo un servizio utile a chi legge.

Penso anche che sia inutile esagerare fino a farsi sospendere l’account di un social;  non  bisognerebbe mai perdere di vista il semplicissimo concetto che la libertà è qualcosa che si ottiene soltanto rispettando quella altrui; non siamo a casa nostra, e se esistono delle regole anche qui nel web, insufficienti, non sempre giuste perché spesso permettono delle cose a discapito di altre finché siamo qui dentro siamo tenuti a rispettarle.   Bisognerebbe smetterla di considerare censura tutto quello che invece dovrebbe essere relativo solo al buon senso di ognuno.

Qui dentro c’è un mucchio di gente che non ha ancora capito che un social non serve per metterci dentro ogni cosa che ci passa per la mente. Che anche il post su facebook va ponderato, scritto in una certa maniera, che i nostri link non vanno fatti subire visto che poi altra gente è costretta a vederli.

E non ci si può giustificare sempre con l’alibi che l’informazione mainstream non fa il suo dovere.

Il social non è una discarica pubblica dove ognuno può rovesciarci quello che vuole.
Mischiare corpi e corpicini dilaniati dalle bombe coi gattini, fotografie sorridenti di gente in vacanza e tutte le idiozie inutili che passano ogni giorno per facebook è il miglior modo di mancare di rispetto a quei morti e di non sostenere alcuna giusta causa. C’è gente che non sapeva nemmeno fosse la striscia di Gaza però sta lì a cliccare in modo compulsivo solo perché lo vede fare ad altra gente, nello stesso modo ce n’era altra che non sapeva dove fosse il Costarica finché non ha battuto l’Italia ai mondiali. Per combattere l’ignoranza servono le parole, e ne servono tante, solo dopo, eventualmente, si è pronti anche per le immagini. Ma deve essere una scelta suggerita da una vera urgenza, diffondere le immagini di quello che accade in Ucraina ad esempio  diventa urgenza perché in questi casi l’informazione generalista non lo fa davvero, perché non può spiegare con parole semplici alla gente che anche l’Italia è parte in causa nei massacri,  e allora sì, diventa necessario colmare il vuoto creato scientemente intorno ad una situazione insostenibile e inaccettabile. Ma della Palestina e di Israele se ne parla, e non è la fotografia di oggi ad essere rilevante per spiegare una strage di sopraffazione di un popolo nei confronti di un altro che continua da decenni. Non è una guerra quella che accade alla striscia di Gaza ma il tentativo di un popolo di sterminarne un altro, il tutto nell’indifferenza pressoché totale della comunità internazionale perché uno dei due popoli non si può disturbare, semplicemente ricordandogli il rispetto delle regole e della vita umana, anche con le sanzioni che vengono comminate ad altri stati quando se lo dimenticano.
Di tutto  quello che viene diffuso in  Rete non mi fa effetto quasi più niente, ma dover sopportare di continuo l’esasperazione altrui diventa irritante.

Nessuno ci legge di più se urliamo col maiuscolo, se alla foto aggiungiamo il turpiloquio pesante, a nessuno credo piace l’insulto sistematico come modo di relazionarsi. E a nessuno piacerebbe entrare in un posto e ricevere uno sputo in faccia al posto del buongiorno, perché questa è la sensazione che si prova rispetto all’aggressione virtuale.

Ho visto minacce estese alla vita personale, gente che invita altra gente a farsi viva per regolare conti proprio a proposito di ciò che qualcuno ha scritto e postato sulla tragedia palestinese. Poi magari ci si meraviglia e ci s’incazza se vengono sospesi account.
Non si combatte la violenza con altra violenza, anche fosse solo quella verbale o espressa con una foto.

La Rete non può funzionare così, se non s’impara a filtrarsi da soli. E a non credere che ogni cosa che noi pensiamo sia utile lo deve essere poi per tutti. E quello che non lo è deve essere necessariamente censura.  Ho sempre detto che sarei rimasta a fare Rete finché all’utile avrei potuto unire anche il dilettevole, non sopporto chi ha un solo modo per stare qui dentro, quale che sia, anche la troppa serietà, l’interesse verso un solo tipo di problema mi infastidisce, penso che non si perdano dignità né reputazione mostrando anche le nostre debolezze, fragilità, essere anche leggeri ogni tanto è necessario; non si cambia il mondo su facebook, anzi, per come stanno le cose in Rete che viene usata così male, lo possiamo solo peggiorare attraverso il continuo peggioramento di noi stessi.

Per me facebook è anche leggerezza, la battuta, il post d’amore, il video musicale, la condivisione di foto simpatiche, è anche un posto dove faccio conversazione quando scrivo post sui fatti miei ma non dimentico mai che ho una responsabilità nei confronti delle persone che mi leggono. Ed è quella che manca a troppa gente, non solo qui ma in tutto il web dove c’è ancora troppa gente che pensa di dover dare un segno della sua esistenza virtuale solo con l’esagerazione, la provocazione continua. No, non va bene così. Anche la provocazione è un’arte e bisogna saperla dosare. Altrimenti diventa assuefazione, ci si abitua anche all’orrore. La Storia ci ha rimandato le immagini dell’olocausto nazista, è servito forse ad interrompere le spirali di violenza? No, anzi, molti hanno preso spunto da quello per produrne e commetterne altre. La violenza ha anche un fascino perverso, e le menti deboli possono trarne spunto per emularle.

Quindi, sì all’informazione, no però al tentativo di agitare emotivamente le persone costrette a guardare corpi mutilati, dilaniati, spezzettati anche se non hanno scelto di farlo.

Non trovo giusto che la propria libertà e il diritto di passare qualche ora in Rete senza essere aggrediti possano essere tutelati soltanto eliminando gente che non capisce che esistono modi più civili di convivenza anche qui dentro, ma stando così le cose credo sia necessario imparare a difendersi. 

La Rete non è esente da regole, non esiste il diritto all’anarchia totale in un posto dove ci sono milioni di persone e ognuna col suo sentire, la sua sensibilità personale e il suo vissuto che può essere anche complicato e doloroso e che non necessita quindi di un surplus di argomenti che possono provocare ansie e turbamenti.

La Rete non garantisce nessun diritto all’insulto, all’istigazione violenta, all’odio razziale, omofobo, alle varie apologie che si fanno, alla minaccia, anche di morte.

Ma nemmeno quello di mettere all’attenzione della gente tutto quello che noi riteniamo interessante, se quell’interesse poi non è di carattere generale, questo è proprio l’ABC del comportamento che si dovrebbe tenere nella pubblica piazza.
E darsi una regola anche qui non ha niente a che fare con quella censura di cui tutti hanno paura, perché poi quando la censura interviene davvero bisognerebbe domandarsi se è stato fatto tutto quello che si doveva per evitarla.

Il fatto che qualcuno, molti, troppi, abbiano l’insana convinzione che sia necessario guardare per capire anche le ovvietà – se lo fanno in proprio è già un problema – ma che pensano di avere un diritto di mostrare, e che solo così gli altri possano rendersi conto di quello che succede nel mondo penso che sia un modo di fare e di pensare molto presuntuoso, significa avere un’opinione molto bassa della gente che sta dentro un social, ci si arroga il diritto di pensare che non sappia, non abbia un’opinione, non conosca e che sia necessario il supporto di un’immagine per spiegare che ogni persona di buon senso deve stare sempre altrove dalle ingiustizie e dalla violenza.
Ma c’è chi i suoi altrove li ha già trovati anche prima del social, quindi sarebbe meglio non costringere nessuno a fare a meno di chi considera gli altri, i tutti, dei perfetti deficienti. 

– Conflitto israelo-palestinese, la violenza ai tempi di Facebook –

F. Sbandi, Il Fatto Quotidiano

Piccoli corpi martoriati da una brutalità troppo più grande di loro. Sono le tante, troppe, vittime del conflitto israelo-palestinese. Ecco, un articolo (o post che sia) non dovrebbe mai iniziare con un contenuto simile. E mi scuso per il tipo di foto, alla cui violenza visiva ho cercato di sopperire sfocando a dovere l’immagine. Ma era necessario far capire da subito di che tipo di contenuto si stesse parlando, per creare nel lettore familiarità con quanto esperito quotidianamente su Facebook, Twitter e su tutti gli altri aggregatori sociali di violenza indiscriminata.

Nonostante Facebook (in particolare) propagandi delle rigide policy in materia di contenuti più o meno censurabili, lo strazio visivo a cui sono sottoposti quotidianamente gli internauti getta un campanello d’allarme in casa Zuckerberg: Facebook ha perso il controllo dei post e non riesce – o non vuole – bannare contenuti che non hanno ragione di esistere. Sì alla censura di una mamma col seno scoperto che allatta amorevolmente il figlio e no alla censura di un minorenne dilaniato dalla bomba di turno? Criteri quantomeno curiosi.

Non si tratta di essere a favore di Israele o della Palestina, di parteggiare davvero una causa o l’altra. Si tratta di ammettere un limite tecnico delle piattaforme di social networking più diffuse al mondo, che in alcun modo stanno tutelando la sensibilità degli utenti. Facebook in testa.

I più faziosi potrebbero sostenere che, senza Facebook e colleghi, allo stato attuale, l’utenza mondiale sarebbe digiuna di informazioni una volta irraggiungibili. Sia per quantità che per qualità. Giusto. Ma la questione è che l’immagine straziante di turno – con l’uomo decapitato, la donna fucilata, il bimbo squartato, o tutte queste brutalità insieme – non aggiunge niente alla questione israelo-palestinese, perché non fornisce un’informazione e non si rivolge alla razionalità delle persone.Non documenta, sconvolge. Si rivolge al loro cuore, al loro disagio, al loro disgusto. E un utente solleticato sull’emotività non è un utente migliore, né un cittadino più documentato sulla vicenda. È solo una persona che viene scossa e spinta a schierarsi, acriticamente.

Un test cui tutti i lettori potranno sottoporsi? Contare il numero di “amici” e “followers” che si sono apertamente schierati sulla questione negli ultimi giorni, e che fino a poche settimane fa non sapevano neanche lontanamente individuare la striscia di Gaza sulla cartina geografica. Il perché di questo dirottamento dell’attenzione è presto detto: i social network. L’informazione tradizionale ha, come sempre, relegato la questione israelo-palestinese ad un servizio lampo del Tg o a qualche riflessione trascendentale a metà giornale. Perché tanto i giornalisti quanto i lettori hanno mediamente, in Italia, uno scarso interesse a volgere lo sguardo oltre i confini nazionali. Ma questo lo sappiamo. La vera scossa informativa ha avuto come epicentro homepage e diari, timeline e deck. E di informativo ha avuto poco e niente, mentre a scuotere ha scosso eccome. L’agenda di Facebook si è imposta su quella ufficiale, e in parte possiamo esserne lieti. Il punto è chiedersi quanto la deregolamentazione totale dei social network costituisca davvero un valore aggiunto allo sviluppo democratico della coscienza dei cittadini.

Una sorta di rivisitazione 2.0 della vecchia – e apocalittica – teoria dell’ago ipodermico: a un dato input dei media corrisponde un output dei fruitori mediali. L’input è costituito dalla sovracopertura fotografica delle violenze perpetuate in quelle terre lontane. L’output, ad altissimo tasso di emotività, è rappresentato dai tweet furiosi e dagli aggiornamenti di stato al veleno pubblicati a furor di popolo (del web) da quel segmento di utenza più suscettibile a questo tipo di contenuti. Della cui veridicità, tra parentesi, si può spesso sospettare, non essendo quasi mai indicata la fonte.

Se l’art. 8 del codice deontologico dei giornalisti ci ha insegnato qualcosa è che non esiste solo il diritto del cittadino ad essere informato. A monte, esiste il diritto del cittadino ad essere tutelato da pubblicazioni impressionanti e raccapriccianti – come per l’appunto foto e video di estrema violenza – e il diritto del soggetto rappresentato a veder tutelata la propria dignità. Pubblicare la foto di un neonato deturpato non rispetta né la sensibilità dell’utente che dovrà fruirne inconsapevolmente – reo, magari, di aver messo mesi addietro un semplice like a una pagina Facebook che aspira alla chimera di fare contro informazione – né la dignità umana del neonato stesso, il quale nonostante sia deceduto merita comunque il rispetto della dignità della memoria.

La contro-argomentazione potrebbe essere semplice: Facebook non è Reuters o Al-Jazeera e le pagine Facebook non sono amministrate da giornalisti. Ma di questa brutalità fotografica qualcuno deve rispondere. E quel qualcuno non può che essere il proprietario di casa, che come in ogni dimora ha il diritto e il dovere di far rispettate alcune regole di fondo, per la civile convivenza di tutti gli ospiti.

Proprio in questi giorni Facebook ha difeso il suo esperimento sociale del gennaio 2012, in cui ha testato su 700mila ignari utenti l’influenza dei singoli contenuti sul loro stato d’animo. Ebbene, se è vero che a un sentimento negativo dei post proposti in homepage corrisponde un significativo crollo di positività del loro umore, a rigor di logica è nell’interesse dello stesso Facebook che questo tipo di contenuti vengano censurati. Ne va del clima della sua stessa piattaforma, perché un utente insoddisfatto è un utente che rende di meno. Non lo vuole fare per questioni morali? Lo faccia allora per ragioni economiche, che evidentemente gli sono più congeniali.

La strumentalizzazione politica di quei corpi irriconoscibili non rende un servizio alla comunità. Dunque, si ponga un freno a questa pornografia social-e della violenza. Tra la sana informazione e il becero voyeurismo c’è di mezzo il rispetto di chi, questo conflitto, lo sta vivendo davvero sulla sua pelle. Facebook lo faccia per i suoi ospiti, gli ospiti lo facciano per se stessi. Perché prendere atto di una guerra non significa denudarla e metterla in vetrina. 

Di mostri, sciacalli e iene: reali e virtuali

Ottimo Mentana che per criticare lo sciacallaggio mediatico sul caso di Brembate ha ritenuto di doverne aggiungere un altro po’ anche lui: un rinforzino. Ieri sera  Bersaglio mobile sembrava la dependance di Porta a Porta: mancavano solo il plastico e il criminologo. La potenza dei media e della Rete è  far diventare il peggio anche peggio di quello che già è.  Se i media evitassero di dare tanta enfasi ai fatti di cronaca più cruenti forse si eviterebbe di dare la stura a tutto quel che avviene dopo: compresi i commenti idioti degli imbecilli necrofili  da web. In un mondo normale, fatto di gente normale e non di voyeurs malati,  con l’occhio sempre nei buchi delle serrature a guardare le vite altrui per non pensare alla loro di merda,  si limiterebbero a dare la notizia di un fatto e della sua conclusione. Non ci sarebbe il “mentre” che contiene tutto l’orribile che non si può evitare nemmeno a volerlo.

Pensiamo alla nostra giornata di ieri, alle cose che abbiamo fatto e immaginiamo, a chiusura di quella giornata i carabinieri a casa nostra per arrestarci con l’accusa di omicidio. Immaginiamo la nostra vita stravolta nel giro di poche ore, i nostri figli che leggono di un padre violento, un assassino solo sulla base di una prova, quella del dna, che in America è costata la vita a decine di innocenti finiti con un’iniezione letale o sulla sedia elettrica perché quella prova è stata poi ritenuta inaffidabile. Immaginiamo una donna, una madre che deve giustificare non al padre dei suoi figli, quello che li ha cresciuti ma al mondo, un “peccato” di gioventù, un particolare privato della sua vita non perché lo abbia deciso lei ma perché la sua vita privata è andata in pasto ai lupi famelici di un’informazione criminale.

 

I mostri, servono.

Perché mentre noi ci distraiamo, ci trasformiamo in psicologi, giudici, analisti del crimine l’anziano proprietario del paese continua ad agitare lo scettro e l’informazione ben felice che il popolo abbia di che occuparsi evita di mettere sull’avviso.
Mentre il nuovo pentito della camorra racconta che con 250.000 euro in questo paese è possibile modificare, anzi cancellare sentenze [omicidio] e, considerato il paese niente può far dubitare che non sia vero che ci siano giudici facilmente corruttibili, ai piani alti si continuano a fare accordi politici con un corruttore frodatore, più che probabile prossimo condannato anche per concussione per costrizione e sfruttamento della prostituzione minorile, or ora incriminato anche per oltraggio, l’ennesimo, alla magistratura, permettendogli addirittura di poter fare conferenze stampa alla camera dei deputati e di riscrivere la Costituzione.
Come se fosse tutto normale.
Nel paese dilaniato dalla corruzione ovunque si mettono in mano le riforme politiche ad uno che con la corruzione ci ha tirato su un impero coi risultati che sappiamo, e che subiamo.
Perché al gioco della politica  di Renzi partecipa chi c’è, non chi se lo merita.

 

facebook è diventato un rischio per chiunque abbia la sventura di andare a finire sui giornali per motivi seri o gravi.
Si dovrebbe intervenire, e anche in modo tempestivo, negli account delle persone coinvolte nei fatti di cronaca, impedire alla moltitudine di imbecilli, i soliti, quelli che se non vomitano la razione quotidiana di insulti su qualcuno non sanno dare un senso al loro tempo passato nei social di poterlo fare, solo per il gusto di potersene poi vantare con altri imbecilli come e peggio di loro.
Le maestranze  della piattaforma di solito  così solerti nel bloccare profili di gente colpevole di niente, così attente a far rispettare la policy della community salvo poi lasciare pagine che fanno chiare apologie di tutti i tipi perché quelle non violano, si vede,   possibile che non abbiano pensato a mettere in sicurezza le pagine di chi è impossibilitato a gestirle? 

Gestire la vita “virtuale” è diventato un problema, un pensiero in più. A leggere quello che sono stati capaci di scrivere questi idioti che non avendo un cazzo di meglio da fare in Rete si divertono così verrebbe da augurarsi che capitasse qualcosa di serio anche a loro, in modo tale che i loro familiari possano godere dello stesso trattamento riservato da loro a chi non c’entra, visto che i diretti interessati non possono leggere né rispondere. Un dolore finché non diventa proprio non si capisce, non si riesce a sentirselo addosso. Se i figli del presunto assassino della ragazzina di Brembate hanno letto le cose che sono state scritte sul padre avranno sicuramente subito un trauma dal quale non guariranno più.

Incredibile quanta malvagità abbiamo intorno e ce ne accorgiamo solo quando la vediamo.

Per non parlare poi di quelli del “se capitasse a te”. Cervelli a brandelli che non riescono a capire che tutti saremmo capaci di qualsiasi vendetta nei confronti di chi facesse male ai nostri figli, alle persone che amiamo; mettersi nel dolore degli altri non significa interpretarlo in modo vendicativo ma educativo, affinché si riesca a trasmettere l’idea che la violenza è sempre sbagliata. Se si fosse fatto sempre questo, se gli stessi stati che dovrebbero applicare la legge, una legge giusta, severa ma giusta e rispettosa degli stessi principi che che le leggi obbligano, uno su tutti: “non uccidere” e non avessero invece esercitato la violenza della pena di morte forse questo sarebbe un mondo migliore. A nessuno oggi verrebbe in mente di intasare il web con le sue idiozie criminali.

E sarebbe bene che tutti prendessero atto, anche gli stupiti dell’ultimo momento, quelli che ogni volta cascano dal pero come se “prima” non fosse mai successo niente, non una ragazzina che ammazza madre e fratello, non una madre che spacca la testa di suo figlio a martellate – di esempi come questi se ne potrebbero fare centomila –  che la violenza cesserà di esistere solo quando non ci saranno più donne né uomini sulla faccia della terra.

Cronaca nera: oggi le indagini (e i processi) si fanno sui social network

Maurizio Di Fazio

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Delitti e commenti sul web: il peggio degli italiani –  

Delitti. L’Italia peggiore , l’Italia del dalli all’untore. Quella che spia dalle finestre. Dai buchi della serratura. Che magari se sente un grido d’aiuto arrivare dalla strada alza il volume della televisione per non ascoltare o si volta dall’altra parte per non guardare. Quella dei vicini di casa che sanno ma non dicono. Del pettegolezzo, della noia, della pavidità, della paura. Quella che sprofonda ogni sera davanti alla tv. Che si perde dietro storie d’amore inventate da autori sapienti. O annega persa dietro a casi di cronaca nera in cui a perdere la vita sono reali creature innocenti e non attori da telefilm che interpretano questo o quel personaggio.

Quella che, puntuale come un orologio svizzero, arriva a far finta di indignarsi e che adesso usa la rete per dar spazio alle sue repressioni più perverse.  Basta dare uno sguardo ai profili Facebook di Carlo Lissi, l’assassino che ha sterminato la moglie e i due figlioletti o a quello di Massimo Bossetti, accusato di aver ammazzato Yara Gambirasio.  Sono tantissimi i mitomani che vogliono lasciare una firma. Apparire. Per regalarsi un secondo di notorietà alla faccia dei morti e dei vivi (i tre figli di Bossetti, ad esempio, quali colpe hanno da espiare?).

“Cosa ti farei, non in isolamento, in mano agli altri carcerati”, scrive Elena dopo aver condiviso sul proprio profilo la foto di Lissi, dopo aver quindi condotto nella propria dimora virtuale il volto di un assassino. E ancora, prosegue David: “Pregherei per averti sotto alle unghie, e tu pregheresti per crepare in fretta”. Insiste Remigio: “Sai quanti amanti ti troverai ora in galera, camminerai tante volte zoppo”.

Sarò strano io, ma ho terrore di questi forcaioli improvvisati. Giustizieri della notte davanti a una tastiera oppure aspiranti leoni, ma solo mentre i carabinieri e la polizia scortano via questo o quel criminale ormai inerme.  Mai prima. Mai.

Non me ne vogliano, ma sono una rappresentanza di un Paese marcio, di una comunicazione malata, come più volte teorizzato da Chomsky così come i giornalisti sciacalli dell’orrore, quelli che improvvisano servizi lacrimevoli per fare un po’ di ascolti, gli stessi che si vantano degli ascolti boom per le edizioni straordinarie targate terremoto o vanno in giro a chiedere agli sfollati come mai dormano in macchina (sapendo bene che una casa non ce l’hanno più).

Sciacalli. Sciacalli di emozioni. Incapaci ormai di viverne sulla propria pelle. Di sorprendersi, innamorarsi. Arrabbiarsi. Provano un brivido solo col telecomando o la tastiera tra le mani. Concentrati su un caso, finché ne parlano i giornali.

Fino al prossimo reality dell’orrore. Fino a quando la morbosa attenzione del guardone andrà a scomparire. E tutto finirà, come nel Truman Show, con un “Cambia canale, guarda cos’altro danno”.

Se la regola è sbagliata significa che è sbagliato il regolamento

Preambolo: la critica a Grillo per il suo atteggiamento nel famoso “confronto” con Renzi non è costata solo l’espulsione dei quattro parlamentari 5stelle. Basta partecipare ad un social network come me per accorgersi di come cambino i rapporti con le persone che si frequentano abitualmente ogni volta che si osa criticare quel che avviene all’interno del Movimento. Quando si va a toccare il tasto 5stelle anziché quelli della critica comune dove si è sempre d’accordo,  berlusconi, il vaticano. Renzi, per fare un esempio,  improvvisamente cambiano atteggiamento, spariscono, non le vedi più condividere i tuoi link né partecipare alle varie discussioni come fanno di solito. Emarginano, escludono, cancellano gente da una lista facebook  perché non  gradiscono  il dissenso  espresso nemmeno da una persona come me che non ha mai fatto mistero di non stare dalla parte di nessuno ma semplicemente, come faccio e ho sempre fatto, di osservare i fatti volta per volta e criticarli volta per volta. Questo blog e la mia bacheca facebook traboccano di post, stati nei quali ho sollevato questioni di principio anche quando andavano a favore dei 5stelle, quando ho fatto notare la parzialità dei giudizi, quando la stampa e certo, molto giornalismo  anziché svolgere la  funzione di informare diventa house organ dei partiti terrorizzati dalla presenza in parlamento dei 5stelle. E quindi non penso di dovermi giustificare né di dover dimostrare quotidianamente ai miei interlocutori, quali essi siano,  la mia assoluta buona fede e il mio disinteresse. Io qui in Rete non faccio il gioco di nessuno, non parteggio,  non per questioni di indifferenza altrimenti non sarei qui tutti i giorni ad incazzarmi per la politica  ma semplicemente perché politicamente non mi sento rappresentata da nessuno. E questo mi dà la libertà di potermi esprimere su tutti e su tutto senza dover essere poi sottoposta a nessun giudizio di merito. Chi esclude ed emargina per la diversità di pensiero dovrebbe lavorare molto su se stess*, riflettere su  quanto la filosofia di Grillo che esclude chi non si allinea abbia invaso oltremodo il suo modo di pensare e di agire. Perché escludere, emarginare, negare la parola, pensare che esista una categoria di intoccabili da non criticare mai, impedire il dissenso quando è civile, espresso coi dovuti modi, cancellare il pensiero e chi lo esprime  quando non nuoce ma è – appunto – solo un pensiero diverso è quanto di più antidemocratico si possa fare. Io non mi faccio lobotomizzare da nessuno, non scrivo per riscuotere consensi e applausi ma per esprimere esclusivamente ciò che penso, giusto o sbagliato che sia. Sono e resto una persona intellettualmente libera anche se questo a qualcuno non piace e non ha nemmeno il coraggio di venirmelo a dire.

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Un regolamento non è un dogma religioso, le tavole dei dieci comandamenti che gli aderenti alla religione devono rispettare senza poter dissentire perché glielo ha detto Dio per mezzo di referenti terreni ai quali si permette di far dire a Dio ogni sciocchezza che torna utile ai suoi uomini. Un regolamento, qualsiasi regolamento, da quello condominiale a quelli di un club, un circolo sportivo, è fatto da uomini e donne che in quanto tali sono fallibili, ovvero possono sbagliare, e per questo si può rivedere quante volte si vuole, modificarlo, correggerlo, perfezionarlo, ottimizzarlo, modernizzarlo. Quindi il fatto che si possa cacciare qualcuno dal Movimento 5stelle solo perché ha osato dissentire dalla voce del padrone e che questo sia scritto in un regolamento  è una sciocchezza pari a quella di chi crede pedissequamente ai regolamenti di una religione e non si pone mai un dubbio sulla loro effettiva correttezza, applicabilità anche quando rispettarli significa rischiare molto di più che facendo il contrario. Regolamenti che, a dargli retta, impedirebbero di vivere una vita anche e solo semplicemente normale.

Quello che accade all’interno del M5S purtroppo, e lo sottolineo mille volte, riguarda tutti, perché i 5s non sono un gruppo di persone a se stante che può prendere tutte le decisioni che vuole per mezzo del solito referendum[ino] on line e poi pretendere che quello che scaturisce dalla decisione dei suoi iscritti non sia sottoponibile alle critiche di nessuno. Della serie “è così e basta” che non si dice nemmeno a un bambino di due anni senza spiegargli perché deve essere così. Quello che succede all’interno dei 5s riguarda, purtroppo, tutti perché fa parte della politica di tutti. E se un Movimento che in precedenza agiva al di fuori della politica è riuscito ad entrare nei palazzi della politica perché chi lo compone ha pensato e pensa di poter dare un contributo utile nella politica,  dunque di riflesso al paese, e se qualcuno ci  crede e ci ha creduto, si è fidato, ha votato quel Movimento tutto quel che avviene dentro quel Movimento riguarda per forza tutti. Quelli che ne fanno parte e anche chi invece è rimasto fuori  ad osservare la loro azione, magari interessato perché sperava che la loro energia avesse potuto realmente dare una spinta positiva verso le decisioni giuste non solo per gli aderenti al Movimento ma per tutti.  Ecco perché non si può accettare che un Movimento estrometta persone solo perché esprimono un dissenso, e quelle persone  non si estromettono  nemmeno se quel dissenso si ripete, perché se si ripete il dissenso significa che qualcuno ripete gli errori che provocano il dissenso. 

Grillo va ringraziato per molte cose, per la sua opera di sensibilizzazione di tutti questi anni, per aver contribuito a scoperchiare l’orrendo vaso di Pandora degli scempi della politica, per aver permesso a gente comune di avere voce in capitolo nella politica da sempre alla mercè delle varie caste, élites, lobbies per nulla intenzionate a fare gli interessi di tutti ma esclusivamente i propri. Va ringraziato per aver spalancato l’armadio delle vergogne degli sprechi, dei privilegi, del marcio che soffoca e opprime, impedisce a questo paese di potersi rialzare. Ma se oggi qualcuno proponesse un referendum analogo per estromettere lui dal M5S io voterei sì.  Perché  quelle che estromettono gente sulla base della diversità di opinione, perché dicono cose che al capo non piacciono saranno pure le loro regole ma io non le condivido, perché sulla libertà di opinare, parlare, dissentire, io non derogo, non concedo, non sono accomodante né comprensiva.

Chi insulta ha sempre torto

Mauro Biani

“Tra l’avallare l’operato di una presidente della camera e augurarle uno stupro di massa, ci sono diverse sfumature, anche più di cinquanta, financo per coloro che hanno le suddette sfumature come unica lettura nell’ultima decade, e parlo della copertina, ovviamente.” Fabio

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Che in Rete si debba dare la parola a tutti e che non si possa togliere a chi ne fa un uso improprio, sconsiderato e violento è una leggenda metropolitana. Perché in Rete valgono le stesse regole del quotidiano reale, come ha spiegato benissimo il professor Rodotà. E a nessuno penso fa piacere essere preso a sberle e sputi in faccia appena apre la porta di casa per uscire. Perché la sensazione che vive sulla pelle, e in modo nient’affatto virtuale l’insultat* sistematicamente, puntualmente, quello che io chiamo il bersaglio grosso è esattamente questa. A Grillo nessuno augura che sua moglie venga stuprata e che i suoi figli vengano picchiati, gli si muovono critiche sull’operato spesso sbagliato, su un linguaggio spesso esagerato, e su questi temi si dovrebbe limitare la critica, la replica. Non andare oltre diventando poi più grave e pesante di quello che si vuole sottolineare ed evidenziare. Oggi esistono tutti i mezzi e i sistemi per tutelare i propri spazi web, strano che chi ha fatto di un blog il centro nevralgico della sua azione politica non ne abbia trovato nemmeno uno.

Rispetto all’imbecillità  di chi pensa che si possano portare avanti delle istanze serie riempiendo pagine web e social network di insulti, molti dei quali pesantissimi, a carattere sessista, minacciosi, coi quali si augura la morte violenta a qualcuno, si  riempie di parole indecenti una donna che avrà pure tanti difetti ma insomma, non è che si possono ammazzare tutti quelli antipatici o che agiscono in contrasto al nostro sentire, non basta il rimprovero bonario, la dissociazione o, come si fa coi bambini estorcere la promessa di non farlo più. E invece di stare ore a ripetere i ritornelli difensivi su chi c’entra e chi non c’entra, perché qualcuno c’entra ed è proprio Grillo che ha sciolto i cani e non ha nessuna intenzione di rimetterli a cuccia, sarebbe meglio per chi sta dentro il movimento, impegnarsi da dentro. Il mio obiettivo è e resta quello di far capire che, sebbene con modalità diverse tollerare, appropriarsi di un’inciviltà anche verbale significa non lottare ma mettersi al fianco di chi più o meno direttamente ha motivato certe reazioni. E in momenti come questi bisogna usare tutto il nostro equilibrio. Non pensare che in fin dei conti la parola è poca cosa rispetto all’affronto. Sono la prima a riconoscere che fra un gesto violento e la parolaccia c’è una differenza, ma questo non vuol dire approvare chi fa un uso sbagliato, pessimo delle parole.

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Nella mia bacheca di facebook ogni giorno discuto con qualcuno di quelli della critica tout court ai 5stelle, perché la critica pubblica, quali che siano le ragioni e il contesto in cui si fa bisogna che abbia delle basi concrete, altrimenti quelle critiche appaiono, come spesso sono, solo il pretesto per aprire polemiche, per rovesciare altri insulti, altre parole sbagliate, esagerate nella pubblica piazza della Rete. E siccome a me più della politica, di chi ha torto o ragione interessano le questioni di principio, che quando sono giuste devono valere anche per il mio peggior nemico, vorrei poter continuare a sostenere le cose che ritengo importanti senza dovermi sentire una complice di chi avalla e minimizza gli imbecilli che insultano e minacciano. Vorrei non dovermi pentire di essermi impegnata a restare coerente con le mie idee e non prendere mai le parti di nessuno ma di aver criticato solo quello che bisognava criticare. Di non aver interpretato come una mission contro questo o contro quello la mia presenza nei social network e nella Rete tutta.

Perché non è sbagliato dire che nei confronti dei 5stelle c’è stato un attacco arrivato da più fronti, soprattutto dall’informazione cosiddetta ufficiale, quella che dovrebbe permettere alla gente di potersi formare un’opinione il più possibile sana e riferita a fatti realmente accaduti ma che invece, data la sua non indipendenza dalla politica non può assolvere alla sua funzione ma deve, come si usa dire “attaccare l’asino dove vuole il padrone”.

Alla politica nel suo momento peggiore fa paura un movimento di gente estranea alla politica ma che finalmente parla con un linguaggio comprensibile e molte delle iniziative che si propone di rendere concrete sono quelle che la politica non ha mai affrontato. E siccome molte delle iniziative che i parlamentari 5stelle portano avanti sono giuste, una su tutte denunciare pubblicamente ciò che avviene in parlamento, sarebbe opportuno che si dissociassero dagli imbecilli anche quei sostenitori/elettori che coi delinquenti da tastiera non hanno niente a che fare. Che si emarginasse chi usa la Rete come un cesso pubblico.

E nemmeno è sbagliato dire che non sono stati Grillo e i 5stelle il motivo dell’innalzamento dei toni ma una situazione/condizione diventata nel tempo insostenibile, soprattutto per colpa di una politica scellerata che non ha mai risposto alle esigenze dei cittadini ma si è trasformata in quella macchina del potere citata da Enrico Berlinguer nella ormai leggendaria e purtroppo dimenticata intervista sulla questione morale. E lo ha fatto senza distinzioni fra destra, sinistra e centro.

Tutti i partiti, con modalità differenti ma uniti dal comune denominatore del mantenimento e della crescita del potere hanno fatto cose che noi cittadini non abbiamo gradito per il semplice motivo che ci hanno danneggiato. E non è sbagliato dire che in presenza di un’altra politica, seria e composta di gente seria in questo paese non ci sarebbero stati berlusconi [che non poteva proprio starci: per legge] né il movimento 5stelle in parlamento.

E non è sbagliato ricordare ciclicamente quali sono stati gli errori della politica.

MA

Tutto questo non giustifica nulla di quello che è avvenuto e avviene tutti i giorni fra le pagine di social media, siti on line dei quotidiani dove, in virtù di una presunta libertà di espressione c’è una stragrande quantità di persone che pensa che sia lecito trasformare la sua rabbia in violenza verso chi ritiene sia il responsabile del suo disagio, pensa che sia più costruttivo l’insulto che un’argomentazione pensata. Si convince, perché spalleggiata da altra gente, che l’insulto sistematico sia utile, che possa produrre chissà quale risultato positivo.

E non mi unisco al coro di chi pensa che  non si debba dare troppa importanza a quello che si scrive in Rete, che in fin dei conti che sarà mai, son parole e nei social network non bisogna prendersi troppo sul serio.

Io prendo TUTTO sul serio invece, a maggior ragione quando so di avere una responsabilità PROPRIO perché so che quello che scrivo sarà poi letto da altra gente che si farà poi un giudizio su di me prim’ancora che sulle cose che scrivo.

E a me non va  di essere accomunata all’imbecillità dilagante, quella che viene poi descritta da “autorevoli” opinionisti/giornalisti che criticano una cosa dimenticandosene altre diecimila, oppure quella che presta il fianco alla politica quando ogni tanto, ciclicamente s’inventa l’idea di di regole nuove che vogliono limitare la libertà di esprimersi nel web.

Perché poi in mezzo alla melma poi ci andiamo a finire tutti. Quando poi i giornaloni e le televisioni riportano le dichiarazioni indignate di quelli lì che fanno accordi col delinquente ma poi vengono a farci la morale e ce la impongono per legge non fanno il distinguo.

Parlano dei social network pieni solo di gente ignorante e pericolosa. Gente da fermare e impedire, e io non voglio essere impedita né fermata da questi imbecilli che pensano di essere bravi perché vengono a postare insulti in Rete. E gente più imbecille di loro pensa davvero che lo siano. Non mi va di essere associata a quelli che ritengo dei veri criminali che ogni giorno si connettono alla Rete scegliendosi il proprio bersaglio e su quello rovesciano la loro subumanità, inciviltà, andando a impiastrare pagine dove il fine non è discutere ma esclusivamente quello di unirsi in un’orda di barbari incivili che sono tutto il giorno e tutti i giorni a prendere di mira qualcuno, soprattutto una, in modo volgare, al limite – ma spesso anche oltre – della denuncia penale [che in qualche caso, anzi molti, sarebbe bene che arrivasse almeno qualcuno la pianta], pensando di fare qualcosa di utile o, peggio ancora divertente.

Perché questa non è più libertà: è violenza. 

 

Quando non basta nemmeno la vergogna

Mauro Biani

L’Italia non è un paese che fa schifo solo per colpa della politica ma lo è soprattutto perché abitata da un sacco di gente che non ha le idee ben chiare su tante cose, soprattutto su quel che significa la parola diritto. 

Gente che pensa che rientri nella sfera del diritto anche dire ogni scempiaggine che passa nei cervelli a brandelli di chi non riconosce più certe differenze che sono invece fondamentali per sviluppare un pensiero civile. Non esiste nessun diritto all’insulto né quello che permette di augurare a qualcuno di morire. 

Sono almeno quindici anni che scrivo delle malefatte di berlusconi e non sono stata tenera con lui, ma mai, mai e poi mai l’ho fatto augurandogli un problema di salute o la morte. Perché ci sono talmente tanti argomenti da usare contro berlusconi che vengono le vertigini solo a metterli tutti in fila. E semmai avessi pensato delle cose non ho avuto la presunzione di credere che fosse un mio diritto quello di renderle pubbliche, non per ipocrisia ma per educazione. 

Ho criticato duramente anche Bersani e il suo partito, ma c’è un momento in cui la contrapposizione politica andrebbe messa da parte, in cui non bisognerebbe approfittare per infierire. 

Un momento in cui certe differenze fanno la differenza.  Bersani e berlusconi non sono uguali, non hanno le stesse responsabilità circa il decadimento di questo paese. Anzi, forse Bersani è il politico che ha meno responsabilità anche all’interno del suo partito,  forse ha lasciato che le cose andassero in un certo modo per evitare di mettere la sua faccia, di  collaborare allo scempio voluto e ordinato dall’Europa e forse è stato proprio questo che lo ha fatto ammalare. Bersani è un uomo perbene, troppo per questa politica.

Che Guevara diceva che ogni vero uomo deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato ad un altro uomo. Pertini che il nemico va combattuto quando è in piedi, non quando giace a terra. Gramsci odiava gli indifferenti. 

E forse fra quelli che in queste ore hanno augurato a Bersani di morire, quelli che esultano delle disgrazie altrui come se in questo modo risolvessero le proprie e quelli che non hanno pensato fosse utile mettersi di traverso di fronte all’oltraggio verso una persona indebolita dalla malattia ci sono persone a cui piace citare, fare loro le parole di questi Giganti della Storia. Il consiglio che mi sento di dare a queste persone è di scegliersi altri punti di riferimento, perché questi non fanno pendant con gente così.

Tra il silenzio indifferente, la malvagità e la disumanità ci sarebbe la via di mezzo della decenza.

In questo paese vive gente che io avrei paura di conoscere e frequentare, se sapessi che quando sta davanti a un computer si esprime con la violenza delle cose che ho letto.

Poi quando la politica vuole allungare le mani sulla Rete per zittire i violenti [e con loro anche chi violento non è], quando certi politici si mettono in cattedra e inorridiscono riguardo quello che si scrive nei social network è inutile lamentarsi della censura. 

Perché l’unico modo per evitare di far chiacchierare i politici e i soliti opinionisti alla Michele Serra che per loro magari internet chiudesse subito sarebbe quello di smetterla di usare il web come una latrina a cielo aperto. Nella questione relativa al malore di Bersani e agli insulti che gli sono stati rivolti in Rete lo schifo è da distribuire equamente fra quelli che hanno espresso parole irricevibili sulla persona in difficoltà ma anche quelli che hanno approfittato per strumentalizzare, per far credere che l’oltraggio arrivasse solo da una parte. Io ho letto insulti ovunque, sul Fatto Quotidiano ma anche su l’Unità e su Repubblica, siti non frequentati abitualmente dai 5stelle. E nel conto vanno messi anche quegli idioti che qualcuno sguinzaglia nel web appositamente per creare casini di cui poi si parlerà per settimane. E se non apriamo il cervello rischiamo davvero che qualcuno ci tolga questa libertà di poter condividere le nostre idee. Internet è l’ultimo baluardo e l’unico strumento che permette di veicolare delle idee che quando sono buone, espresse civilmente, possono contribuire in modo utile alle giuste cause; non permettiamo agli imbecilli di prendere il sopravvento.

Giorgio Almirante, il fascista, quello del giornalino della razza, andò a Botteghe Oscure ad inchinarsi davanti alla bara di Enrico Berlinguer. Anche Almirante in quell’occasione dimostrò di saper andare oltre la sua ideologia e riconoscere il valore dell’uomo Berlinguer.
Nilde Jotti e Giancarlo Pajetta andarono a rendere omaggio ad Almirante morto in presenza di gente che faceva il saluto romano. 
Tutti lo fecero in rispetto agli uomini, alle persone. 
Anche se erano avversari politici.
Conoscere la Storia significa prendere esempio e imparare da chi ha fatto la Storia. 

Repubblica 2.0

Sottotitolo: il Presidente della Repubblica trova il tempo per condannare «le ingiurie provenienti dalla Rete» [non quelle dai bar o da qualsiasi altro luogo, ma quelle «dalla Rete», spazio demoniaco e metafisico] nei confronti della Boldrini, ma non per condannare il discorso eversivo di Berlusconi. [Pasquale Videtta]

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NAPOLITANO: “TURPI INGIURIE DALLA RETE”

Eccolo qua, il presidente della loro repubblica.
Ieri aveva il televisore rotto, si vede.

Eggià; è tutta colpa di feisbùk, di twitter no, ché 140 caratteri non bastano per dire alla duchessa Tumistufi che le sue simpatie e antipatie dovrebbe tenersele per sé.

 La Boldrini non può continuare a infilare questioni che riguardano lei nel dibattito pubblico, se la minacciano, la diffamano, denunciasse, e la piantasse di veicolare attenzione su di sé al solo scopo di ispirare leggi liberticide e censorie per punire la Rete, ché poi per colpa dei peccatori pagano anche i giusti.

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Mi ha un po’ scocciato ‘sta filastrocca che ogni cosa che succede ai piani alti è frutto dell’istigazione che arriva da internet, dai social network e da ipotetici estremisti/eversori/eversivi travestiti da cittadini/utenti della Rete che grazie a questi strumenti hanno almeno la possibilità di alleggerire le frustrazioni a cui ci sottopone questa classe politica indecente senza far danni.
Napolitano prima di accusare il web e i social media farebbe meglio a guardare quanto estremismo e quanta eversione c’è nel parlamento della sua repubblica, che perché è la sua non può mai essere anche mia. 

Perché nella mia repubblica, democratica, occidentale, leggi e giustizia verrebbero onorate, rispettate e fatte rispettare da tutti, il presidente della mia repubblica avrebbe detto altre cose ieri in presenza dell’ennesima violazione, dell’oltraggio allo stato e ai cittadini, alla Magistratura di cui lui è il capo supremo, non sarebbe andato in soccorso di una signora permalosa e altezzosa, di questa Madame, a cui non si può dire nulla senza scatenare le ire dei moderati tout court, che fa errori a ripetizione e s’incazza se qualcuno glielo fa notare. 

Nella mia repubblica i condannati alla galera non avrebbero la possibilità di organizzarsi lo show in casa e vederselo trasmettere dalle televisioni nazionali. 

Nella mia repubblica lo stato non getterebbe via enormi quantità di denaro per comprare armi, aerei, navi da guerra, l’Italia  non sarebbe una delle prime produttrici di altre armi usate per uccidere incolpevoli innocenti.

 Nella mia repubblica nessun bambino resterebbe senza mangiare perché i suoi genitori sono troppo poveri per pagargli una retta scolastica, E lo stato non penserebbe a sovvenzionare i paffuti bambini benestanti i cui genitori potrebbero pagare la retta anche a chi non ce la fa.

Nella mia repubblica oggi, non ci sarebbero berlusconi, Napolitano né tutte le loro conseguenze che ricadono su gente a cui poi si vorrebbe impedire, dopo avergli inibito la possibilità di scegliere le persone dalle quali farsi governare, bene, male, non importa ma in linea col sentimento democratico di una repubblica, anche di lamentarsi.

 Io con gente che si professa e si proclama cristiana e poi continua a guardare le pagliuzze e non la trave non voglio avere niente a che fare.

La cristianità laica applicata ai comportamenti è l’apoteosi della civiltà giusta. Il miglior antidoto contro quest’ipocrisia che opprime e soffoca.

Se questa fosse una democrazia con tutte le carte in regola oggi berlusconi sarebbe in galera e noi in pace, a guardare un paese che cresce, non uno fossilizzato da vent’anni sulle questioni giudiziarie private di uno a cui è stato concesso tutto, compreso lo stravolgimento e la deformazione della benché minima idea di paese e di stato civile.

“Chiudiamo Facebook e Twitter. In Cina lo fanno, perché noi no?”


 

Giuliano Ferrara attacca il segretario del Pd e si lancia in una controversa proposta: 

“Chiudiamo Facebook e Twitter. In Cina lo fanno, perché noi no?”

Bersani ha riempito il partito di ragazzotti terrorizzati da chi la spara su Twitter e Facebook, gente che è cresciuta a pane e manette”: Giuliano Ferrara attacca, nel corso della trasmissione Omnibus, il segretario del Pd, dopo l’abbandono della candidatura condivisa di Franco Marini alla presidenza della Repubblica.

Ma “l’elefantino” va oltre: “Siamo in mano a dei pazzi che twittano, io prendo solo insulti”. E infine la (anacronistica) proposta: “Chiudiamo Facebook e Twitter.  In Cina lo fanno, perché noi no? Siamo una democrazia, facciamolo”. 

In Cina lo fanno forse perché non è una democrazia e noi ancora poco e forse  per poco sì?

Ferrara imbecille un tanto al chilo, quindi un bel po’. Ecco perché lo insultano sui social, dicesse meno stronzate non lo farebbe nessuno.

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E ancora:

Tutta colpa vostra [dal blog di Pippo Civati]

“Care e-lettrici e cari e-lettori,
il Pd ha deciso: è tutta colpa vostra. Dei vostri tweet e dei vostri commenti. Siete il «popolo della rete», quello che fa sbagliare (!) i parlamentari con le sue indicazioni. Non ci interessa sapere se abbiate una vita o un lavoro (o non l’abbiate). Ci interessa solo poter dire che i vostri tweet (e anche gli sms) sono eversivi.
Non è un problema di età: il gruppo dirigente del Pd la pensa così. Lo pensa Speranza, lo pensa Bersani, lo pensa il segretario regionale della Lombardia, lo pensano gli altri leader. Lo pensa anche Renzi, a suo modo (dice elegantemente: «a ogni cinguettio, c’è qualcuno che se la fa addosso»).”


Insomma  gli eversivi siamo noi, con i nostri post, stati e cinguettii, mica chi viola la Costituzione al ritmo del suo respiro, e lo fa non da cittadino comune che eventualmente da  un computer può scrivere anche scemenze che però non danneggiano in modo irreversibile nessuno, tanto meno possono deviare e modificare le sorti di un paese, ma da persone che hanno la responsabilità di uno stato e  nelle cosiddette sedi istituzionali. 

Penso che un bel po’ di gente dovrebbe baciare la terra dove camminano i creatori della Rete e dei suoi servizi utilizzati da tante persone che hanno almeno questi canali per sfogare le loro tensioni, confrontarsi ogni giorno con altra gente, invece di andare a prendersela fisicamente coi responsabili delle tensioni.

Se davvero twitter e facebook avessero la potenzialità di “dettare l’agenda”, l’Italia sarebbe il paese più bello del mondo.

Il più invidiato politicamente.

E’ lì che passano le idee migliori, non certo nelle redazioni di certi quotidiani e nemmeno in molti studi televisivi.

Se ne facciano una ragione, i lorsignori, in Rete c’è gente che ragiona con la sua testa, non ha interessi da difendere né patrimoni da tutelare, che ogni giorno con costanza e pazienza si mette a disposizione cedendo, gratis, un po’ del suo sapere, della sua capacità di guardare, analizzare e criticare i fatti, in grado di fare delle proposte molto più serie di quelle che si sviluppano negli ambienti preposti.

Ad esempio in parlamento.

Ecco perché l’elefantiaco li vorrebbe chiudere, come in Cina.

Quelli che twittano e feisbùccano, poi vanno anche a votare.
Sarebbe il caso di piantarla con questa incommensurabile scemenza secondo cui noi che frequentiamo i social network apparteniamo ad una razza diversa, magari antropologicamente, come direbbe il delinquente  zippato.

Se c’è qualcuno che abusa del suo ruolo, di parole, azioni, sono proprio i politici e certi – molti – giornalisti: quelli che generalmente difendono e appoggiano il potente prepotente di turno e, nello specifico, da quasi vent’anni servono un unico padrone, silvio berlusconi  che oltre ad essere il leader abusivo, un impostore, di un partito azienda è casualmente anche il proprietario dell’ottanta per cento dei mezzi di comunicazione di questo paese.
Ed è proprio questo il motivo per cui la legge gli avrebbe impedito di svolgere l’attività politica, ma si sa, in questo paese la legge per i nemici si applica e per gli amici s’interpreta.
Il vero problema, per il potere e per un certo giornalismo è sapere che dei comuni cittadini li possano smentire e ridicolizzare in qualsiasi momento e a proposito della qualunque.
Noi che facciamo blog, abbiamo i nostri account nei social network non traiamo nessun profitto dalla nostra attività, scriviamo per il gusto di farlo e perché pensiamo che sarebbe sciocco non valorizzare uno strumento di fondamentale importanza come la Rete non sfruttandolo per un fine utile.
E il fatto che normali cittadini mettano il loro sapere, la loro creatività al servizio degli altri gratuitamente, per passione e non per denaro, dovrebbe essere un valore aggiunto in una democrazia, non un pericolo da contrastare con ogni mezzo, non dovrebbe spaventare un giornalista, perché sa che la sua professionalitá non viene messa in discussione se non nasconde niente all’opinione pubblica e nemmeno il politico che, al contrario, dal sentire della gente dovrebbe trarre un vantaggio, un insegnamento, un aiuto per poi agire correttamente come il ruolo gl’impone.