Sottotitolo: “Il prossimo governo sia in continuità con questo” dice Napolitano.
Io chiedo: perché? perché un presidente della repubblica deve invocare sfacciatamente, facendo inevitabilmente leva sulla pubblica opinione la continuità con un governo non scelto dal popolo e che ha preso decisioni senza consultare la volontà del popolo? quand’è che l’Italia è stata declassata a feudo medioevale, per non dire dittatura dove le decisioni del popolo non devono avere nessuna rilevanza, importanza? Napolitano la smetta di fare l’ultrà di Monti e si ricordi che lui è il presidente di tutti gli italiani, non di una parte di loro.
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La Suprema Corte deposita la sentenza con cui conferma il carcere per il direttore del Giornale. E’ una misura eccezionale, ma legittima, data la “spiccata capacità a delinquere”.
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Salva Sallusti, ora spunta la norma contro gli editori di libri-inchiesta.
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24 ottobre 2012 – Ernesto Lupo, primo presidente della Corte di Cassazione, risponde al direttore del Giornale.
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Preambolo: non si capisce quand’è che le sentenze “vengono rispettate”, in questo paese, a me pare che questo non succeda mai, salvo quando il politico delinquente viene prescritto perché è finito il tempo regolamentare per processarlo o quando viene assolto perché nel frattempo il reato di cui era accusato è stato opportunamente candeggiato e fatto sparire. Allora si chiudono tutti, politici in primis, in religioso silenzio e un certo giornalismo invita al rispetto per la Magistratura.
Non si capisce perché una pletora di giornalisti che nulla sa di dinamiche ambientali e scientifiche relative ai disastri debba definire una sentenza choc, anzi “shock” come l’ottima Repubblica che ormai veleggia in un mare tutto suo raccontando un paese dove accadono solo cose per dare dispiaceri al buon governo e al presidente della repubblica; dispetti e falsità seminati apposta per destabilizzare l’Italia nel suo momento migliore.
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“Su Twitter girava e ancora gira l’hashtag “Siamo tutti sallusti”. Ecco, mi piace precisare che io no, non sono sallusti. E che un giornalista che per motivi ideologici ha diffamato una persona fino a metterne in pericolo la vita, generando da parte di terzi ripetute minacce di morte, se ne deve giustamente andare in carcere. In silenzio. Altroché siamotuttisallusti.” [Aldo Nove]
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Il confine fra libertà di espressione, offesa, ingiuria, diffamazione e oltraggio non è poi così labile. Dopo la lettura delle motivazioni della sentenza si può tranquillamente e serenamente dire che sallusti meritava eccome la galera, altroché storie, non perché bisogna utilizzare gli stessi sistemi dei regimi ma proprio perché nelle democrazie non dovrebbe essere consentito a nessuno inquinare l’informazione, avvelenare la stampa e di conseguenza la pubblica opinione, scegliendosi poi un nemico da abbattere in carne ed ossa al quale bastava chiedere pubblicamente scusa e rettificare così come pubblicamente era stato diffamato per evitare di scatenare questa canea.
Cominciamo ad esempio a vietare che un giornalista RADIATO qual è l’ottimo betulla alias farina possa ancora scrivere da opinionista, anonimamente poi, solo perché un’istituzione fascista e ridicola qual è l’ordine dei giornalisti gli consente di farlo.
Ma sallusti essendo tutt’altro da un giornalista in una galera non ci andrà, così sarà contento tutto l’esercito bi e tri partisan dei liberali à la carte, Napolitano in testa, che si è speso per salvarlo da una giusta punizione.
Ché almeno in galera ci sarebbe andato lui, i soldi delle sanzioni invece ce li può continuare a mettere chi lo paga.
E quindi lui e chi per lui potranno continuare bellamente a diffamare come se niente fosse accaduto.
Per bilanciare una libertà di informazione che in questo paese non c’è e non c’è mai stata bisogna forse dare libero accesso alla calunnia e alla diffamazione?
La politica lavorasse per rendere libera l’informazione, non per difendere il diritto alla calunnia e alla diffamazione.
Ma di conflitto di interessi ormai non si parla più, non va più di moda, c’è la crisi.
Non essendo traducibile in inglese non è abbastanza “cool”.
La libertà di espressione e quindi anche quella di informazione non è libertà di diffamazione.
Se qualcuno diffama qualcun altro per fortuna lo decidono i giudici, non i politici né i colleghi del diffamatore.
Con buona pace di chi poi, sui giornali scrive di sentenze “shock”.
Il vero choc è vivere in una finta democrazia dove tutto si può fare quando si sta dalla parte dei potenti e del potere pensando di avere anche il diritto di farlo perché tanto al momento opportuno ci sarà sempre il santo protettore a mettere una pezza su errori e infamità. sallusti ha solo fatto male i conti perché non immaginava che il suo editore/pagatore, quello per conto del quale lui e chi per lui da anni diffamano e calunniano anziché dare le notizie, avrebbe dovuto ritirarsi per il bene del paese e cioè il suo.
Complimentissimi a tutti quelli che sono partiti lancia in resta nella difesa sperticata del delinquente recidivo e che oggi si lamentano della legge fascista in progetto sulla quale, spero, la Consulta si farà una grassa risata.
E i complimenti vanno estesi, ovviamente e naturalmente anche alla gloriosa “sinistra” italiana che non ha mai ritenuto necessario risolvere il conflitto di interessi perché poi avrebbe inevitabilmente toccato anche altri interessi, non solo quelli di berlusconi.
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Rischi per fiaschi
Marco Travaglio, 24 ottobre
A leggere i giornali e a sentire i politici, il giudice Marco Billi che ha condannato i sette membri della cosiddetta commissione Grandi Rischi a 6 anni di carcere per omicidio colposo, per aver disinformato la popolazione de L’Aquila sei giorni prima del terremoto che uccise 300 persone e ne ferì migliaia, è un matto. Ha emesso una “sentenza choc” (Messaggero ),anzi “shock”(Repubblica ) e fatto un “processo alla previsione” (Repubblica ), condannando gli esperti perché “non avevano sfere di cristallo” (Libero ). Poi c’è il Giornale dell’ottimo Sallusti, che non distingue il monocratico dal collegiale: “Giudici da pazzi: è tutta colpa dei sismologi” perché “non leggono il futuro”. La sentenza — sentenzia il noto giurista Cappellini sul Messaggero — “è una ferita alla logica, al buon senso e allo Stato di diritto”. Ed è pure “rischiosa” (Greco, l’Unità), “incomprensibile da un punto di vista scientifico e diseducativa” perché “d’ora in poi “sarà sempre allarme” (Tozzi, La Stampa). E ci lascia “soli di fronte alle emergenze” ( M e ldolesi, Corriere ). Schifani, altro insigne sismologo, parla di “sentenza strana e imbarazzante”, mentre il vulcanologo Casini di “follia allo stato puro”. Insomma, qui si pretende di “processare la scienza” e si condanna chi “non ha previsto il devastante terremoto d’Abruzzo” con una “singolare interpretazione del concetto di giustizia” che suscita “lo sconcerto planetario”, visto che notoriamente i terremoti non si possono prevedere. Chissà se questi commentatori del nulla (la sentenza non è stata ancora depositata, dispositivo a parte) hanno seguito una sola delle 100 udienze del processo o hanno almeno letto il capo d’imputazione. Perché basta leggere di che cos’erano accusati i sette imputati per capire che a nessun magistrato è mai saltato in mente di accusarli di non aver previsto il terremoto: semmai di aver previsto che il terremoto non ci sarebbe stato, dopo una finta riunione tecnica (durata 45 minuti) a L’Aquila, “approssimativa, generica e inefficace”, in cui non si valutarono affatto i rischi delle 400 scosse in quattro mesi di sciame sismico. E, alla fine, di aver fornito “informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie sulla natura, le cause, la pericolosità e i futuri sviluppi dell’attività sismica in esame”. Così rassicurati, almeno 29 aquilani non uscirono di casa, come sempre facevano negli ultimi mesi, la sera del 6 aprile: e furono sepolti vivi. Che lo scopo della riunione fosse tutto politico e per nulla scientifico, l’aveva confidato a una funzionaria Bertolaso alla vigilia: “Vengono i luminari, è più un’operazione mediatica, loro diranno: è una situazione normale, non ci sarà mai la scossa che fa male”. E, prim’ancora che i tecnici si riunissero, dichiarò: “Non c’è nessun allarme in corso”. Prima di entrare, Bernardo De Berardinis (un ingegnere idraulico che si vanta della totale incompetenza in materia sismica) già aveva stabilito che “la comunità scientifica conferma che non c’è pericolo: la situazione è favorevole”. Nessuno verbalizzò nulla (il verbale, debitamente ritoccato, fu firmato in fretta e furia sei giorni dopo, a sisma avvenuto). All’uscita De Berardinis si superò, dichiarando giulivo che gli aquilani potevano star tranquilli e “bersi un bicchiere di Montepulciano”. Eppure, nel verbale postumo, si legge: “Non ci sono strumenti per fare previsioni”. Bastava dirlo anche alla gente, magari aggiungendo che L’Aquila è la città più sismica d’Italia, e nessuno sarebbe stato processato. Perché, se non si può prevedere che un terremoto ci sarà, non si può prevedere nemmeno che non ci sarà. Invece proprio questo fecero i sette scienziati: dissero che non ci sarebbe stato alcun terremoto. Cioè non fecero gli scienziati. In perfetta coerenza col paese dei politici che non fanno i politici e dei giornalisti che non fanno i giornalisti.