Scontri un cazzo, reloaded

 

Quando la polizia armata picchia dei manifestanti disarmati non si chiama scontro: si chiama repressione violenta dello stato.
Bisogna sempre ripetere le stesse cose qui.

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Quelli che vanno in piazza a manifestare contro una legge dello stato come la 194 che consente e regola l’interruzione di gravidanza, oppure vanno ad istigare e fomentare violenza e razzismo come la lega e l’omofobia come le sentinelle, tutta gente puntualmente appoggiata e sostenuta da associazioni fasciste dunque fuori legge come casapound non vengono mai sfiorati nemmeno per sbaglio dai manganelli di stato.
Mentre chi difende il diritto allo studio e al lavoro sì.

Nel paese sano e democratico davvero lo stato e la politica stanno dalla parte dei diritti, non di chi li nega, qui no, lo stato e la politica guardano senza particolare preoccupazione agli estremisti, razzisti, integralisti e fascisti che in piazza vanno quanto e quando vogliono e tornano a casa sempre sani e salvi nascondendo il tutto dietro l’alibi della libertà di manifestare, di espressione e rispondono con la repressione violenta alla richiesta dell’applicazione dei principi costituzionali quali sono lo studio e il lavoro.  Le forze dell’ordine vengono istruite dalla politica, e quando picchiano è perché qualcuno dà un ordine preciso.
La polizia ha picchiato i manifestanti sotto maggioranze e  governi di tutti i colori.
E lo continua a fare anche col governo dei non eletti.
Durante i governi di berlusconi le cosiddette forze dell’ordine hanno dato il meglio, l’apoteosi della violenza di stato al G8 di Genova, ma anche con d’alema a palazzo Chigi se la sono cavata bene, per chi ha memoria di quello che accadde al vertice Osce a Napoli del 2001 che fu una specie di anteprima di quello che avvenne poi a Genova.
Quando le forze dell’ordine picchiano uomini, donne, ragazzi e studenti la politica e i governi sono sempre d’accordo, polizia e carabinieri non prendono iniziative proprie, non serviva la genialità di Susanna Camusso per capirlo e saperlo. E non serve nemmeno un’intelligenza particolare per capire che uno stato che si serve della forza pubblica, quella che dovrebbe tutelare i cittadini, per picchiare gente disarmata, in difficoltà, è uno stato che non si è mai liberato del fascismo.

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IL LAVORO NELL’ERA RENZI: PRIMA TI CACCIO, POI TI MENO (Salvatore Cannavò)

Maledetta colla. Sono mesi che prova a gettare la maschera ma resta incollata. Che deve fare per liberarsene, povero cristo? Ha cominciato con due bugie interne, stai sereno Enrico e mai più larghe intese. Poi è corso in soccorso dello sponsor interdetto dai pubblici uffici, riabilitandolo come interlocutore e addirittura ammantandolo da pseudocostituente. Dopodichè mance da 80 euro pro-europee nell’ottica di “non insegnare a pescare, regala il pesce che così il pescatore affamato resta in debito per sempre”, tagli al welfare come e con più entusiasmo di Berlusconi, tagli alla scuola pubblica e doni alla privata, pubblica umiliazione degli avversari (di centrosinistra, quelli di centrodestra sono tutti contenti), pieno sostegno alle vecchie pratiche di confindustria (ormai da quelle parti lo chiameranno “Babbo Natale”), qualche annuncio mirato per tenere buoni gli omosessuali senza far nulla e in definitiva una scelta precisa e da tea party: senza se e senza ma contro i lavoratori e senza se e senza ma in difesa dei poteri forti. Che – per inciso – sono quelli che in tempo di crisi si arricchiscono (come in un giallo se “segui i soldi”, trovi il colpevole). Come se non bastasse, oscura la manifestazione della CGIL con una kermesse di corrente ossessivamente vuota di contenuti, attacca l’articolo 18 e e fa picchiare gli operai e i sindacalisti. Che deve fare di più, povero? Il saluto romano? [Andrea Marinucci Foa]

Quando si fanno accordi politici con uno che per tornaconto e opportunismo ha riempito il parlamento di feccia fascista poi succede che non si può tirare indietro la manina.
Quando si fa il patto con uno che ha trasformato la russa, gasparri e alemanno in ministri della repubblica se ti obbligano a tenerti alfano poi lo devi fare.
Questo dovrebbero dire certi giornalisti, quelli del bersaglio grosso sempre uguale, che non è solo berlusconi il problema, che lo scandalo non è solo il patto con un pregiudicato cosa inimmaginabile in qualsiasi altrove e ovunque ma è tutto quello che poi il pregiudicato impone, ad esempio alfano ministro dell’interno.
alfano che coordina le forze dell’ordine.
alfano, responsabile della sicurezza nazionale.

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Finirà come al solito.
Pagherà, forse, l’ultima ruota del carro ma i veri responsabili no.
Quando in un paese democratico – non nel regimetto che piace agli estimatori di questo fascistello amico dei finanzieri e degli imprenditori che sfruttano i lavoratori – la polizia carica gli operai che protestano per difendere il loro diritto al lavoro il governo non chiede scusa: si dimette per manifesta inadeguatezza.
Gli operai volevano occupare la stazione Termini? A parte che le immagini dicono di no,  ma anche se fosse? Che azione dimostrativa è quella che non disturba nessuno? In questo paese i governi sono abituati male, abituati a vedere la manifestazione fatta di bandierine e canzoncine di sabato quando non si dà fastidio a nessuno.
Mentre la protesta vera è quella che dà fastidio a tutti, a chi non c’entra ma soprattutto a chi non sa.
La protesta vera è quella che fa aprire gli occhi: porta l’attenzione su un problema, senza discrezione..
Come sono fastidiosi gli scioperi che poi non fanno passare gli autobus, non mandano maestri e professori a lavorare, fanno saltare gli appuntamenti di lavoro al cretinetti amico di Renzi, vero?
Quanta gente si lamenta quando i cortei si fanno nei giorni di lavoro perché non trova la strada aperta, perché fa tardi al lavoro, a scuola, dal parrucchiere?
Questo succede perché in questo paese c’è un sacco di gente incapace di fare suo il problema di altri.
Quando la sua piccola vita è al sicuro va tutto bene, ed ecco che diventano un fastidio i problemi degli altri: alterano gli equilibri, le sicurezze, l’organizzazione della propria vita.
Tranquilli, adesso ci toglieranno anche da questo imbarazzo: il divieto al dissenso è uno dei punti del piano di rinascita di Gelli: niente scioperi, niente manifestazioni, e a chi si ostina a far valere i suoi diritti le botte, quelle materiali e quelle finalizzate al discredito mediatico, ed ecco che i Notav diventano terroristi e il governo in carica fa una legge per rendere più difficile la protesta di piazza, trasformando una richiesta di ascolto in una questione di ordine pubblico da redimere con le botte e la galera.
Il governo di Renzi è solo uno dei tasselli del mosaico di un progetto antico, non fa nulla di sua iniziativa: esegue.

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Cosa fare quando picchiano un operaio (e altri consigli utili) – Saverio Tommasi

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QUANDO LA CORDA ALLA FINE SI SPEZZA – Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano

Ai tempi di Scelba, quando la celere caricava (e ammazzava) i lavoratori in sciopero, i ruoli apparivano chiari: per il sindacato erano le manganellate del governo dei padroni e per i comunisti col pugno chiuso era quello lo sbocco dell’insanabile conflitto tra la classe proprietaria e il lavoro dipendente. Quando la polizia di Berlusconi fece del G8 di Genova una macelleria messicana, la sinistra all’opposizione spiegò che la destra al potere aveva in fondo mostrato la sua sostanziale natura fascista. Ma non è affatto nell’ordine delle cose che nell’autunno 2014, sotto il governo guidato da Matteo Renzi e dal Pd, gli operai delle acciaierie di Terni, colpiti da licenziamenti di massa e giunti in corteo pacifico a Roma, vengano picchiati a sangue dai reparti antisommossa e ciò dopo altri pestaggi pretestuosi avvenuti in altre città.

Ciò accade quando per la prima volta, nella storia repubblicana, un premier eletto dalla sinistra cerca lo scontro frontale con il sindacato di sinistra tra gli applausi della destra. Nessuno pensa che l’ordine di attaccare i manifestanti sia arrivato dal presidente del Consiglio. Ed è evidente che le frasi inconsulte della pd Picierno contro la leader della Cgil Camusso “eletta con le tessere false” appartengano soltanto alla Picierno, un’altra senza arte né parte catapultata in situazioni assai più grandi di lei. Semplicemente, lo statista di Rignano sta raccogliendo i frutti di ciò che ha seminato, o meglio rottamato. La sgangherata lotta di classe contro le conquiste sociali e le tutele del lavoro. O la crociata contro il posto fisso da sostituire con un sistema di precariato permanente e a basso costo. Il tutto espresso in qualche Leopolda con disarmante lingua banalese dove milioni di persone con redditi da fame si sentono paragonati a gettoni del telefono nell’epoca dell’iPad, scampoli del passato da gestire senza tanti problemi. Anche se non fosse arrivato a Palazzo Chigi “per volere dei poteri forti e di Marchionne” (Camusso), Renzi fa di tutto per farlo sembrare. E a furia di scherzare col fuoco, nel giorno più brutto della sua scalata, ha assaggiato la rabbia della gente. Dei tanti stufi di prendere legnate, mentre altri si apparecchiano il pranzo di gala. La corda si sta spezzando.

Le trait d’union

Quando il dissenso provocato dalla negazione dei diritti viene annullato con la repressione violenta dello stato, la protesta si organizza. 
Questa non è nemmeno storia: è matematica. 
Gli scandalizzati, quelli che vorrebbero vedere regnare l’ordine dove non c’è pace – senza diritti, casa, lavoro, assistenza medica, istruzione che uno stato civile DEVE garantire non c’è pace – se ne facessero una ragione. Trenta, quaranta, cento criminali infiltrati [forse] appositamente per creare disordini non sono la voce del popolo. Manifestare è un diritto democratico che deve continuare ad esistere.

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Video – Il poliziotto calpesta la ragazza

40 FERITI, UNO GRAVE: “SOCCORSO IN RITARDO, FAREMO DENUNCIA”
“MENO DI MILLE EURO AL MESE, NON CI RESTA CHE OCCUPARE”
DAL CORTEO: “CHIEDIAMO DIRITTI, RISPONDONO CON PIÙ POLIZIA”

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Cambiano i governi ma le botte sono sempre le stesse. 
Le trait d’union fra i disagi, le necessità, i bisogni della gente e chi è chiamato a risolvere, ovvero la politica, è come sempre la repressione violenta da parte del braccio armato fascista del potere. Del resto, avere un tetto sulla testa ormai è diventato un privilegio. C’è chi ne può avere una, elegante e lussuosa a sua insaputa, c’è chi se la vede mettere a disposizione quale favore dall’amico industriale e che male c’è, e chi invece è costretto a ricordare a questo stato infame che la casa non è un privilegio ma un diritto. 

E per  ricordare inoltre, che quelli fra gente armata e chi un’arma non ce l’ha non sono scontri: è repressione, ma i giornalisti, tutti, non hanno ancora imparato a definire questa non sottile differenza. Lo scontro prevede un conflitto ad armi pari. E fra l’imbecille col petardo e il funzionario di stato regolarmente armato, non di bombe carta ma di armi realizzate per ammazzare e adeguatamente protetto da una divisa speciale, ha ragione sempre l’imbecille col petardo. Quando le forze dell’ordine, altrimenti dette tutori dell’ordine si presentano ad una manifestazione abbigliati in assetto da guerra e irriconoscibili perché prive di un numero che permetta la loro identificazione, le loro intenzioni sono più che evidenti.  I cittadini, su richiesta del tutore della legge sono obbligati a mostrare i documenti e a rivelare le loro generalità: non si capisce perché al cittadino pestato dal poliziotto venga invece impedito di poter sporgere una regolare denuncia perché mancano i presupposti, una faccia, il nome e il cognome dell’aggressore. Va ricordato che polizia e carabinieri rispondono ad ordini precisi, dunque esistono persone ancora più responsabili della manovalanza in divisa che commette violenze. Gente seduta comodamente nel suo ufficio a cui la politica, la stessa che l’ha scelta fa i complimenti – dopo – per l’ottimo lavoro svolto.

Non è tanto la violenza della polizia alla quale ci siamo purtroppo tristemente abituati a dover preoccupare quanto quella di chi approva le botte, le violenze, e pensa che siano sempre troppo poche. Che non capisce che chi rappresenta lo stato non può avere comportamenti violenti.

Che un poliziotto non dovrebbe passeggiare sul corpo e sulla testa di una persona inerme e disarmata.

 
Mi piacerebbe affacciarmi un attimo nei cervelli bacati di queste persone, per vedere in che modo si forma un’idea bestiale.

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 E mi piacerebbe anche sapere chi è questo vigliacco pezzo di merda che viene pagato anche coi miei soldi. E io non pago gente per mandarla a massacrare altra gente.  Non mi va di essere il mandante di criminali picchiatori.

 

 

Quella “tentazione” di trasformare la protesta sociale in questione di ordine pubblico

Sottotitolo: la notizia è che a Roma e nel resto d’Italia i facinorosi, scesi in piazza per spaccare la testa ai poliziotti fossero i soliti tre o quattrocento per città dei centri sociali. E che le decine di migliaia di ragazzi, genitori, lavoratori e disoccupati che stavano loro attorno fossero, ancora una volta, allegri, ironici, disperati, ma tranquilli. Niente a che vedere con i greci di piazza Syntagma o con gli spagnoli di puerta del sol. E’ il segno che in Italia c’è ancora la fiducia di poter sopravvivere a questa crisi che si trascina da 5 anni e di cui solo Mario Monti, neppure più Francesco Giavazzi, vede la fine. Per questo non le legittime cariche della polizia contro chi inalbera scudi e caschi ma la solita caccia all’uomo successiva, nell’epoca dei telefonini e dei social network, sono un macroscopico errore politico. I cortei in 23 paesi europei di ieri non si vedevano dai tempi del movimento contro le guerre di Bush, quando qualcuno esagerando parlò dell’opinione pubblica come superpotenza mondiale. E sono anche questi cortei contro la guerra al modello sociale europeo che, grazie alla crisi è stata dichiarata e che i popoli europei stanno perdendo. Bloccare la valvola della protesta rischia solo di far esplodere la pentola. [Massimo Rocca]

Un ministro dell’interno che solidarizza ed esprime ammirazione per le forze dell’ordine anche dopo le immagini  delle guerriglie avvenute in varie città italiane e che insieme a quelle delle manifestazioni negli altri 22 paesi aderenti all’euro  – e dunque vittime dell’austerity dovuta ad una crisi di cui non è certo responsabile la gente che scende in strada a prendersi le botte –  immagini che hanno fatto il giro del mondo non è soltanto una chiacchierona inopportuna; un bel tacer non fu mai detto, ma in un paese dove polizia e carabinieri  sprangano, manganellano ad cazzum, in un paese dove ogni tanto ci scappa il morto ‘per caso,  per sbaglio e per eccesso’, in un paese dove i responsabili di quelle morti per sbaglio per caso e per eccesso  non pagano mai il giusto tributo per il loro agire ma al contrario vengono perfino promossi con avanzamenti di grado, incarichi politici prestigiosi, nel peggiore dei casi gli può capitare di non perdere nemmeno il posto di lavoro è perfino pericolosa.
Non si solidarizza né si esprime ammirazione per chi esercita violenza, brutale, immotivata, gratuita verso gente disarmata, ragazzini, gente che rivendica solo il suo diritto di avere un posto in questa società ingiusta, settaria, oligarchica dove sono i pochi a gestire le vite e il destino dei molti.
In un paese dove lo stato funziona non c’è bisogno di scioperi, di manifestazioni né si assisterebbe a scene dove due ministri sono costretti a scappare in elicottero perché non sono in grado di dare risposte a chi ha perso tutto ma non vuole rinunciare alla sua dignità.

E nei periodi di difficoltà dovrebbero essere proprio i rappresentanti dello stato a dare l’esempio, a rinunciare loro per primi ad una parte dei privilegi che il ruolo gli permette di avere.

Chiedere sempre non può produrre niente di buono.

Specialmente se mentre si chiede si toglie.

Uno stato dove la politica ordina di picchiare i  suoi figli, ragazzi che chiedono solo di potersi istruire, di avere un lavoro che gli consenta di avere una vita un po’ decente non merita di essere chiamato stato e non può essere rispettato da nessuno.

Alla violenza si dice no, sempre, in un paese civile.
Anche se si fa il ministro dell’interno, anzi, soprattutto.

Sempre sangue niente fragole, Massimo Rocca per Radio Capital


Chissà se un giorno il post di Beppe Grillo, Soldato blu, sarà ricordato come l’immagine speculare delle parole di Pasolini su Valle Giulia. Oggi come allora, la nostra polizia ha molto da farsi perdonare. E’ la polizia di Genova, della Diaz, depurata dei suoi capi, che sui pestaggi costruirono la loro carriera, solo grazie all’azione della magistratura, certo non dei

 nostri ministri degli interni, politici o tecnici che fossero. E’ per questo che, al netto della più che legittima autodifesa, non la vorremmo mai più vedere manganellare gente ormai inerme a terra, o cercare di assassinarla colpendo alle spalle, alla base del cranio, un ragazzo che cammina apparentemente pacifico. Anche perchè questo paese ha sopportato e sopporta l’insopportabile con una tranquillità che, paragonata alle altre capitali del malessere europeo, qualcuno potrebbe perfino definire rassegnazione. Non è momento di cariche. Ci vuole niente a trasformare quei poliziotti e i ragazzi che hanno fronteggiato in votanti di Alba dorata. Cito: Soldato blu, ci hanno messi uno contro l’altro, non lo capisci?
Da un’intervista rilasciata al Quotidiano Nazionale, 
22 ottobre 2008
(audio: Cruciani, La Zanzara, Radio24)”Maroni dovrebbe fare quello che feci io quando ero ministro dell’Interno. 
In primo luogo lasciare perdere gli studenti dei licei, perche’ pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito…””Lasciar fare gli universitari. 
Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città””Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri”

”Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale”

“Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano”. 

”Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì.
Francesco Cossiga