I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi.
Gino Strada
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Il pd non ha avuto paura di andare in piazza: NON C’E’ POTUTO ANDARE.
Così come non ha potuto dire mezza parola sulla manifestazione eversiva del pdl a Brescia.
Il pd si è consegnato spontaneamente a quello che avrebbe dovuto essere il nemico, l’avversario, l’antagonista, e questa è una delle conseguenze.

Se guardate dietro, ma dietro dietro, dovrebbe esserci anche bersani [che in quanto segretario dimissionato avrebbe potuto esserci davvero, per dire].
E’ meglio, molto meglio che la politica dei giorni nostri non si accosti nemmeno per sbaglio alla questione morale, quella di cui parlava Berlinguer trentadue anni fa.
Perché sarebbe molto complicato spiegare da un punto di vista morale, che non è uguale a quello moralista, o “moralisteggiante” come va di moda dire adesso, com’è stato possibile che un partito che diceva di essere l’alternativa al disastro economico, etico e, appunto, morale, prodotto da berlusconi in questi due decenni, sia rimasto a guardare dalla finestra uno spettacolo al quale non avrebbe dovuto partecipare come spettatore muto ma da protagonista principale.
Il pd non ha solo abbandonato l’idea di essere alternativa, ha proprio e definitivamente rinunciato all’idea di una politica onesta, al servizio della gente, dei suoi bisogni e necessità.
Non si abbandona il popolo e non si abbandonano i lavoratori a favore della risoluzione dei problemi di un delinquente.
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La pretesa che dei carabinieri si debbano occupare di insulti verbali dà l’esatta misura di quanto questa gente sia distante dalla realtà, quella di altra gente che è costretta a rubare per mangiare a causa delle loro politiche scellerate, hanno ridotto un paese in miseria e in ginocchio, l’hanno stravolto e deformato a immagine e somiglianza di un delinquente e in cambio pretendono il silenzio rispettoso?
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Preambolo: “ chi infiamma le piazze, chi alza i toni, chi insulta con disprezzo, dovrebbe riflettere e farsi un accurato esame di coscienza” .
Aristotele? no, brunetta a proposito di madonna carfagna insultata.
brunetta, se sbaglio mi corigerete, è stato quello che insultò una signora tre volte laureata dicendole che lei e quelle e quelli come lei erano “l’Italia peggiore”.
Allora io voglio dire a brunetta, alla carfagna, a schifani [!] che parla di episodi preoccupanti […], e per conoscenza anche a Laura Boldrini, che ancora non c’entra ma si è dimostrata assai sensibile al tema dell’insulto al politico ed è subito accorsa a dare la sua solidarietà di genere alla carfagna, forse per il timore che brunetta le potesse rifare lo stesso cazziatone di qualche giorno fa in parlamento, che forse bisognerebbe andare oltre la solita solidarietà pelosa e ricercare i motivi del disagio nei motivi, appunto, che ci sono, non sono il frutto di nessuna fantasia né dell’antipatia personale nei confronti di qualcuno.
Bisognerebbe chiedersi, seriamente, come mai c’è gente, nella fattispecie gente che fa politica per mestiere, che non può mettere piede in un negozio, in un ristorante, al supermercato senza essere presa di mira. All’estero i politici vanno in giro in bicicletta, coi mezzi pubblici, a piedi, qui no.
Ci sarà un motivo?
Non ne possiamo più, è diventato difficile e complicato anche pensare che esistono persone così, insopportabili, false, bugiarde, arroganti e questo al di là di tutti i privilegi, di tutto l’esercito di poliziotti e carabinieri con cui sono costrette ad andare in giro per evitare che le lincino, altroché insulti, e non è più tollerabile il tentativo reiterato ormai quotidianamente di reprimere il dissenso che loro stesse hanno prodotto in tutti questi anni.
Il clima di odio l’hanno costruito loro e ora se ne lamentano?
Questa ossessione dell’intervento repressivo, di censurare le voci contro è stomachevole.
L’odio è un sentimento, come l’amore, e nessuno può impedire a nessun altro di odiare qualcuno e di dirglielo, se ne ha voglia.
Noi, al contrario di loro una coscienza l’abbiamo, ed è proprio quella, che si ribella.
La carfagna non si offende di stare al fianco del puttaniere corruttore [sempre per sentenze, non per le opinioni mie o di qualcuno]? non lo trova violento?
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LE LARGHE INTESE: STORIA GROTTESCA DI UN AUTOCOMPLOTTO
Furio Colombo, 19 maggio
Certo che c’è un complotto. Ci deve essere una ragione urgente, grave e pericolosa, se il nuovo segretario del Pd, già segretario della Cgil, è costretto a non andare al corteo e alla manifestazione della Fiom (Cgil) che difende accanitamente il lavoro. Per non turbare il governo delle larghe intese? Non può essere perché appena una settimana prima il collega di Letta dell’altro partito era andato in piazza in difesa di Berlusconi condannato due volte e in attesa di due sentenze. Lo aveva fatto contro i giudici, ovvero un leader dell’esecutivo contro un altro potere democratico della Repubblica. Lui risponde: “È la politica, bellezza”. Non vale per il Pd. Il Pd deve fingere di esserci e restare fermo, sottomesso, a obbedire. Questo è il complotto. Ecco le prove. Una sera in televisione compaiono fianco a fianco il presidente della commissione Giustizia del Senato, Nitto Palma (Pdl) e la presidente della commissione Giustizia della Camera, Ferranti (Pd). Sono due esperti, due magistrati. Rappresentano i due partiti che si contendono il governo in Italia. Viene buttata lì la domanda (Lilli Gruber, 16 maggio): “Secondo lei Berlusconi potrà essere senatore a vita?”. Il lettore immaginerà che il senatore del Pdl abbia detto con convinzione ed entusiasmo che certo, sì, Berlusconi è lo statista italiano che più di tutti merita questo onore. Giusto. Nitto Palma lo ha fatto. E che la presidente Ferranti, anche perché giudice, abbia respinto con un certo sdegno questa risposta. Invece, con un sorriso ha detto che “non saremo noi a dire se Berlusconi può diventare senatore a vita. Il privilegio di quella decisione spetta al presidente della Repubblica”. Gli spettatori – elettori (ormai le elezioni sono sempre imminenti) hanno constatato che una delle parti è attiva e occupa tutto lo spazio che può (molto, data la doppia disponibilità televisiva che è dono del conflitto di interessi) al punto da mandare in onda, in tempo reale, contro-inchieste televisive su processi in cui Berlusconi è imputato. L’ALTRA PARTE è immobile. E viene incoraggiata a disertare e disprezzare una grande manifestazione operaia per il lavoro. Non mancano i momenti in cui le conseguenze del complotto contro il Pd diventano ancora più chiare. Arriva Chiamparino, che lascerebbe tutto per diventare segretario del Pd dopo il Congresso d’autunno. La notizia sembra interessante, smuove le acque. Ma il complotto obbliga Chiamparino ad aggiungere una condizione non negoziabile: “Accetterei solo se il Pd facesse proprie le proposte di Pietro Ichino sul lavoro”. Come è noto, sono le stesse regole di condotta che hanno affondato il lavoro negli Stati Uniti, mettendo tutto il potere nelle mani delle imprese, fino a quando il presidente Obama ha strappato al Congresso più diritti e più lavoro per la parte di americani che lo ha votato, cioè i più poveri. Il Pd, invece è deciso (o costretto) a ignorare i suoi elettori. Eppure molti di loro cercavano, anche i meno sicuri, una sola qualità nel Pd: la certezza che non fosse il Pdl. Ma qui entra in funzione, potente e bene organizzato, il complotto. Centouno estranei si infiltrano nel partito che, in Europa, è parte del Pse (Socialisti europei) e prima abbattono Prodi, poi obbligano l’intero partito, dirigenza e deputati, a non vedere Rodotà. Votarlo voleva ridare istantaneamente identità e dignità a un intero partito immobilizzato e sotto assedio, avviare un nuovo governo e soprattutto restare dalla parte degli elettori. Ma la ferrea crudeltà del complotto non lo ha permesso. Forse per questo Beppe Grillo, leggero di mano come al solito, può dire in un suo comizio di questi giorni: “Non preoccupatevi, è tutto chiaro. A ottobre andremo alle elezioni perché così vuole il nano e allora saremo in due a misurarci, noi e il nano. E li spazzeremo via”. Non sappiamo se la previsione sull’happy end di Grillo sia fondata. Ma purtroppo la descrizione del paesaggio sembra realistica. Si vedono con chiarezza due protagonisti, non tre. VI DIRETE: ma il presidente del Consiglio è del Pd. Inevitabile rispondere. Sì, ma da lontano non si vede. E questo è il capolavoro del complotto che sta togliendo di mezzo il Pd: quel partito, da lontano, dal punto di vista degli spettatori-elettori, non si distingue. Avrete notato il tono padronale del vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno (carica non da poco in caso di imminenti elezioni). Avrete notato il tono padronale dei loro giornali, delle loro televisioni. Ti parlano con la contenuta indignazione di chi comanda, e includono un evidente disprezzo per chi ha detto o scritto ciò che non vogliono. Anche l’uso del governo – che offre al ridicolo la reputazione di uno dei partiti per segnare i punti dell’altro – dovrebbe far riflettere. Esempio, l’Imu. Letta rischia tutto con l’Europa, un bravo banchiere gli fa da notaio. Ma è Berlusconi che si presenta al pubblico per l’incasso. Lo ottiene perché, per forza, credono a lui. Nessuno farebbe spontaneamente, contro se stesso e la propria credibilità e immagine, ciò che il Pd ha fatto e sta facendo. Come Pasolini, devo dire – del complotto contro il Pd – che “io so, ma non ho le prove”. A differenza di Pasolini mi tormenta un dubbio. Che si tratti di un folle autocomplotto che punta a un risultato inevitabilmente distruttivo? Altrimenti come spiegare che un solo senatore (Luigi Zanda) ha chiesto al Pd di dichiarare l’evidente ineleggibilità di Berlusconi? Gli altri sono minacciati?
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LA SOLITUDINE DEGLI ELETTORI
Antonio Padellaro, 19 maggio
Di bandiere del Pd ce n’era una soltanto, ma siamo convinti che di elettori del Pd ce ne fossero davvero molti, forse la maggioranza tra i centomila di piazza San Giovanni a Roma dove, ieri, intorno alla Fiom-Cgil di Maurizio Landini, c’erano con la sinistra del lavoro, della legalità e della dignità, Stefano Rodotà, Sergio Cofferati, Gino Strada, Antonio Ingroia, Nichi Vendola e i 5Stelle. Lavoro e diritti che teoricamente dovrebbero stare a cuore al Pd dell’ex leader della Cgil Epifani, così come a Bersani e agli altri esponenti del sinedrio democratico che, sempre molto teoricamente, di sinistra dovrebbero sentirsi. È un caso unico, quello di un gruppo dirigente che, come paralizzato da una forza potente quanto misteriosa, abbandona i propri militanti nella solitudine politica anche a costo di perderli per sempre. Una coazione a ripetere gli stessi errori che dura guarda caso da un decennio, da quando (era il 2002) sempre in quella piazza San Giovanni un milione di cittadini dissero: basta con Silvio Berlusconi. Sembrò la volta buona, ma poi furono lasciati soli dai Ds, e si è visto come è finita. Oggi la situazione si presenta ancora più grave. È comprensibile che, dopo il vergognoso tradimento del contratto con gli elettori, quei dirigenti che firmando la resa nelle mani di Napolitano sono andati al governo con il Pdl non abbiano più il coraggio e la faccia per mostrarsi a un popolo che forse non li riconosce più. Solo in due non hanno avuto paura di andare in piazza: Fabrizio Barca e Matteo Orfini. Gli altri sono o ministri o sottosegretari. Esiste anche il problema opposto, poiché farsi vedere accanto a Landini e Rodotà potrebbe scatenare le ire dei Brunetta e dei Cicchitto, e ciò per i colonnelli delle larghe intese pd è oltremodo disdicevole. Michele Serra sull’Espresso ha narrato da par suo la triste condizione dei deputati e senatori democratici, costretti a convivere nella stessa maggioranza con i berluscones: “Le inventano tutte, dai sedativi alla cannabis, e i più audaci tagliano la testa al toro e diventano di destra”. C’è poco da ridere: con il sesto senso della satira, Serra ha colto nel segno. È il destino di chi, a furia di arretrare sui principi e di fare compromessi con la propria storia, non si ricorda più chi era e da dove veniva. Del resto, la classe operaia è dispersa e anche il lavoro si va estinguendo. Non è meglio allora “fare spogliatoio” con Alfano e Quagliariello?
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Abbracci fra il presidente della repubblica e il ministro della sanità. In un paese normale sarebbe stato così.