Sottotitolo: I politici su cui gravano accuse di vicinanze strette, collusioni e connivenze con mafia e criminalità devono dimettersi, tornare ad essere cittadini comuni e aspettare che la giustizia faccia il suo corso.
Il parlamento non è la succursale delle patrie galere, la suite dove trascorrere serviti e riveriti, con la pretesa di essere pure rispettati in virtù del ruolo il decorso di un processo.
Pensare di potersi continuare a nascondere dietro l’immunità, proteggersi con leggi e leggine fatte in fretta e furia per fare in modo di difendersi non NEI processi ma DAI processi e aspettare, da parlamentari regolarmente stipendiati dai contribuenti i tre gradi di giudizio che potrebbero significare quindici, vent’anni durante i quali scatta quasi sempre l’opportuna prescrizione è disonestà fraudolenta.
Un’ammissione di colpevolezza.
Solo così è possibile evitare quella che molti definiscono ‘guerra’ fra poteri, conflitto fra Magistratura e politica ma che in realtà non è niente di tutto questo.
La vera riforma della Giustizia non consiste nel processo breve o morto [nel senso che non si farà mai] che interessa berlusconi, nell’allungamento e nell’accorciamento dei tempi di prescrizione a seconda delle sue esigenze, che anzi dovrebbe essere proprio abolita affinché un processo che inizia possa anche finire con una regolare sentenza, ma significa fare in modo di non dover aspettare anche venti, venticinque anni per la conclusione dei processi.
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“La politica antimafia siciliana è stata soprattutto una politica di contenimento della mafia. Anzi, è stata una politica di salvaguardia della classe dirigente, che ha paura di finire come Lima. Così, spaventata, la classe dirigente delega, e manda avanti Falcone e Borsellino. Che però diventano più pericolosi dei mafiosi, per loro. Ecco perché non sono arrivati fino in fondo”.
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“Il rapporto tra mafia e Stato non è mai stato una guerra tra guardia e ladri: è una mafia che ha avuto dei rapporti permanenti con la classe dirigente e in questa ricontrattazione ogni tanto la mafia batte i pugni sul tavolo e quando succede lo fa a colpi di bombe”.
[Antonio Ingroia]
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”Bisogna trarre le dovute conseguenze dalle vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituiscono reato, ma li rendevano inaffidabili nella gestione della cosa pubblica. Questo giudizio non è mai stato tratto perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza. Il solito giustizialista grillino? No, Paolo Borsellino.
Il 19 luglio, i politici rimangano a casa a meditare”.
[Marco Travaglio]
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“Vent ‘anni fa non ci lasciammo intimidire”.
[Giorgio Napolitano]
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Spiacente, caro presidente, perché a noi quaggiù risulta altro. Ci risulta che lo stato si fece intimidire eccome, invece, e che è stato fatto parecchio per rendere la vita facile a chi con la mafia, le mafie ha avuto molto a che fare.
Non si può stare “umanamente” vicini ai mafiosi (come casini per esempio) e “fisicamente” dentro il parlamento (come casini, per esempio).
E come ho scritto ricordando Falcone se il ricordo non viene accompagnato con le azioni non serve a niente, è stato perfettamente inutile riempirsi la bocca ogni anno da vent’anni ricordando gli Eroi mentre nel frattempo nulla si faceva per non rendere vane quelle morti, semmai ci possa essere una qualche utilità nella morte orribile di uomini e donne perbene.
E proprio lei, presidente Napolitano, ha nominato ministri Saverio Romano accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e Aldo Brancher che era stato appena condannato a due anni per ricettazione e appropriazione indebita. E non ha mai rimesso la penna nel taschino, neanche di fronte a leggi che definire oscene e antidemocratiche è dire poco e che poi la Corte ha dovuto respingere perché manifestamente incostituzionali.
Nicola Cosentino è stato salvato dalla galera grazie al voto compatto di chi davanti agli altari dice di voler combattere le mafie ma poi per mandare in galera un delinquente ci vuole un parlamento “libero di coscienza” che decida se un mafioso, un camorrista, ci deve andare o no.
Questo è potuto accadere perché lo stato, quello che non si lascia intimidire, non è mai stato in grado di opporsi con fermezza alle richieste dell’impostore della politica. E, nel frattempo che il delinquente abusivo, l’amico dei mafiosi faceva scempio di leggi e regole democratiche pro domo sua e dei suoi amici di merende e bunga bunga qualcuno voleva convincerci, e lo fa ancora, che l’unico modo per sconfiggere il malaffare nella politica è il voto democratico, ma ci hanno impedito pure quello grazie a una legge che ha ridotto la politica ad un affare privato fra segreterie di partito e amici, parenti e conoscenti.
Le cosiddette regole democratiche che permettono a dei condannati anche con sentenza passata in giudicato di restare in parlamento le hanno confezionate su misura i molto onorevoli parlamentari.
Forse perché si conoscono molto bene fra loro?
In nessuna democrazia infatti sarebbe stato consentito a una persona con svariati capi di imputazione pesantissimi di diventare presidente del consiglio perché l’altra opzione per lui sarebbe stata San Vittore.
E, a cascata, non sarebbero mai dovute accadere anche un mucchio di altre porcherie fra cui “ruby è la nipote di mubarak”: il primo caso di alto tradimento da parte dello stato e archiviato come una burletta su cui farci anche delle battute di spirito; i 314 traditori dello stato sono ancora tutti in parlamento.
Ed è troppo facile oggi, per calmare le acque e tentare di arginare il malcontento che, unito alla crisi può trasformarsi davvero in un mix micidiale, ventilare ipotesi di nuovi terrorismi, instillare nuove paure ma poi all’atto pratico non fare nulla per mettere al riparo e al sicuro lo stato da nuove “tentazioni eversive”.
Perché a nessuno piace farsi intimidire: neanche a noi.
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Chi portò Cuffaro in Parlamento? Casini, che disse, dopo la condanna, “rispettiamo la sentenza, ma non rinneghiamo l’amicizia”.
Marco Travaglio prova a delineare il perimetro d’azione dei mafiosi nelle loro relazioni parlamentari. Passando dal leader Udc a Berlusconi, fino ad arrivare all’immancabile Giulio Andreotti.
E intanto Alfano parla del Partito dell’onestà.
Schifani a Rosy Mauro: “te ne devi andare, ne va del decoro del senato”.
Ecco: questo decoro del senato spiegato da Schifani, Rosy Mauro non lo capisce.
(Marco Travaglio)
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Capaci di tutto
Marco Travaglio, 25 maggio
Tre anni fa, alla notizia delle indagini di Palermo, Caltanissetta e Milano sulla trattativa Stato-mafia e sui mandanti occulti delle stragi del 1992-’93, l’allora premier S.B. strillò terrorizzato: “So che ci sono fermenti nelle Procure di Palermo e Milano che ricominciano a guardare a fatti del ’92, ’93 e ’94. È follia pura e quel che mi fa male è che facciano queste cose coi soldi di tutti, cospirando contro di noi che lavoriamo per il bene del Paese”. La prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo. Ora, per fortuna, nel ventennale di Capaci e via d’Amelio, c’è un altro premier, Monti, che dice esattamente l’opposto: “Non esiste nessuna ragion di Stato che possa giustificare ritardi nella ricerca della verità: i pezzi mancanti vanno cercati fino in fondo”. Dunque, se le parole hanno un senso, il governo non aggredirà i pm quando depositeranno gli esiti delle loro indagini sulle responsabilità istituzionali nelle trattative che, anziché fermare le stragi, le moltiplicarono e incoraggiarono. Vedremo se i partiti che sostengono il governo faranno altrettanto, o replicheranno gli ennesimi attacchi e insulti ai magistrati antimafia (quelli vivi che, a differenza di quelli morti, non vanno mai bene a nessuno). L’altro giorno a Palermo c’era anche il presidente Napolitano che, insieme a parole di circostanza e di buonsenso sul rischio di un nuovo stragismo a partire da Brindisi, ha dichiarato: “Non ci facemmo intimidire vent’anni fa, tantomeno cederemo ora”. Eh no, presidente: se il livello di intransigenza che ha in mente lo Stato è lo stesso del 1992-’93, stiamo freschi. Non è affatto vero che “non ci facemmo intimidire vent’anni fa”: i politici e le istituzioni si fecero intimidire eccome. Com’è ormai noto a chiunque non abbia gli occhi foderati di prosciutto, dopo la sentenza della Cassazione (30 gennaio 1992) che confermò le condanne ai boss nel maxiprocesso, Riina decise di vendicarsi coi politici che non avevano mantenuto l’impegno di farli assolvere o comunque avevano tradito le aspettative. E stilò una lista nera, che comprendeva Lima, Andreotti, Mannino, Martelli, Vizzini, Andò e Purpura. Lima fu ammazzato il 12 marzo. Il 16 il capo della Polizia Parisi avvertì riservatamente della minaccia i politici in lista. Quel che accadde subito dopo non è dato sapere, ma immaginare sì. Sta di fatto che Riina risparmiò i politici, cestinò la lista e virò su Falcone (alla vigilia della prevista elezione al Quirinale di Andreotti, che si fece da parte). Facile ipotizzare che la trattativa sia partita prima di Capaci per risparmiare i politici dalla mattanza. Sicuro che entrò nel vivo subito dopo, con le prime avances dei vertici del Ros con Vito Ciancimino, trait d’union con Riina e Provenzano. Martelli lo seppe e fece avvertire Borsellino, che si oppose a ogni cedimento e fu tolto di mezzo. Sempre per salvare i politici. Molti fra questi si lasciarono intimidire e ancor oggi balbettano, si contraddicono, mentono e tremano. Pochi altri, Martelli e Scotti, tennero duro. Ma Scotti, al cambio di governo in giugno, fu impallinato dalla Dc e rimpiazzato con Mancino. Intanto Riina consegnava il papello con le richieste allo Stato per metter fine alle stragi. Nel dicembre ’92 Ciancimino fu arrestato e uscì di scena.
Nel gennaio ’93 fu arrestato anche Riina, forse consegnato da Provenzano, che inaugurò la linea del dialogo, mentre Bagarella e i Graviano preparavano nuove stragi per lubrificarlo. E lo Stato si calò le brache. A febbraio saltò anche Martelli, indagato a Milano. E il neo-guardasigilli Conso, mentre nuove stragi insanguinavano Roma, Firenze e Milano, tolse il 41-bis a ben 480 mafiosi in pochi mesi, come da papello. Le stragi s’interruppero, mentre i nuovi referenti politici della mafia marciavano su Roma, pronti a esaudire il resto del papello.
I colpevoli della vergognosa resa dello Stato a Cosa Nostra saranno presto, si spera, alla sbarra.