Quanti di quelli che oggi hanno partecipato al rito di san Pietro, che hanno viaggiato di notte, dormito per terra e per strada, che hanno trascinato in questo delirio anche figli bambini, sarebbero disposti a farlo anche per difendere i loro diritti in una manifestazione civile e senz’altro più utile per tutti? Domanda retorica.
I conduttori dei vari telegiornali potevano almeno risparmiarci l’espressione ebete dei rapiti dalla fede, cercando di alleviare la pesantezza delle cose che hanno raccontato e presentato con una seria professionalitá. Il tg3 di Roma e del Lazio delle 14 ha dato SOLO la notizia della santitá elargita. Altro non è successo. Ha ragione Odifreddi, e modestamente anch’io che lo scrivevo due giorni fa, per trovare un barlume di onestà informativa bisogna attraversare l’oceano dove se ne fottono allegramente di dare la precedenza a questi gran visir della menzogna.
L’unica certezza reale di questa magnifica giornata che ha rimesso Roma [che sta ancora pagando i danni del giubileo] al centro del mondo, è che la vera santificazione è stata ancora una volta quella dell’esaltazione massima della menzogna, della creduloneria popolare, gli ingredienti di base, fondamentali, senza i quali la struttura millenaria della chiesa non avrebbe avuto modo di esistere e di resistere da così tanto tempo. Qualcuno ha detto “beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”. Ecco, altrettanto si può dire a proposito dei santi, e beati quei popoli che sanno coltivare la propria fede senza che questa diventi motivo di divisioni, di affermazioni di superiorità, senza questi riti che riportano indietro nel tempo il mondo e senza, soprattutto, coinvolgere chi ha deciso che si può vivere benissimo lo stesso senza avere la necessità di affidare la propria esistenza ad un Dio qualsiasi. La fede è un fatto privato che riguarda solo le persone che credono, non va imposta a tutti né soprattutto vanno addebitati ai tutti i costi di questi riti sfarzosi, faraonici, fuori dal tempo e sicuramente anche dalla grazia di quel Dio al quale si fanno dire cose ma poi se ne fanno sempre altre.
Questa mania di ammantare di santità persone che in vita hanno avuto una reputazione tutt’altro che meritevole di aureola è rivoltante. Cirillo fu colui che ordinò la lapidazione di Ipazia d’Alessandria, Roberto Bellarmino è stato il cardinale che ordinò le torture e l’uccisione sul rogo, previo inchiodamento della mandibola, di Giordano Bruno. E si potrebbe continuare in un elenco infinito fatto di gente che ha usato la coercizione, la violenza, la tortura, l’eliminazione fisica per imporre la sua religione, che ha sempre osteggiato con la violenza chi metteva in dubbio, un dubbio più che legittimo peraltro visto che nessuno può dire di averlo conosciuto, visto, sentito parlare, l’esistenza di Dio. Su quali basi la chiesa possa aver deciso la santità di simili mostri nessuno ce lo ha mai spiegato.
L’unico modo per salvarsi dalla canonizzazione dei papi oggi è tenere spente radio e televisione, e forse anche internet. Non voglio ignorare l’impatto storico dell’evento così come avevo fatto riguardo le dimissioni di Ratzinger, però ugualmente penso che sia profondamente ingiusto e incivile far subire questa no stop mediatica iniziata da giorni e che si concluderà solo dopo altri e tanti giorni di un evento che servirà a riempire palinsesti televisivi e pagine di giornale ma che – parrà strano – non è di interesse nazional mondiale.
Nel mondo ci sono, e per fortuna, diversi miliardi di persone a cui la notizia di due papi che diventeranno santi non provoca il benché minimo sussulto.
E non vedo perché bisogna istigarli, indurli a quel sussulto.
In un paese civile si dedicherebbe un canale alla celebrazione e chi vuole se l’andrebbe a vedere su quel canale. Non sarebbe la notizia di apertura e di chiusura di tutti i telegiornali del servizio pubblico, delle radio e tv private né avrebbe così tanto spazio nel resto dei media.
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Mentre scrivo, in piazza San Pietro si tiene la grande sceneggiata della canonizzazione di due papi morti, concelebrata da due papi vivi. La folla accorre in massa per presenziare alla versione moderna dell’apoteosi che, nella stessa città di Roma, veniva riservata agli imperatori deceduti: al grido di “santo subito”, esattamente come avvenne alla morte di Giovanni Paolo II, quando gli ignari fedeli chiesero a gran voce per il papa ciò che gli altrettanto ignari sudditi chiedevano un paio di millenni prima per il sovrano.
La fastosa e oceanica cerimonia è officiata dal Grande Sceneggiatore, il papa che ha preso il nome di san Francesco. Il papa che a ogni occasione ricorda che vorrebbe una chiesa povera e umile, senza trovare nessuna contraddizione con lo sfarzo e la solennità dell’odierno spettacolo, trasmesso in mondovisione e in tridimensionalità. Il papa che la gente proclamerebbe santo già ora da vivo, e che qualcuno dei co-officianti di oggi si affretterà a proclamare santo appena morto, all’insegna del motto “oggi a te, domani a me”.
I nostri media rintontiti rimbombano l’agiografia dei nuovi santi, senza alcun apparente imbarazzo o pudore. Per trovare un barlume di lucidità e onestà bisogna varcare l’oceano e approdare in Nord America, dove il New York Times ci ricorda di ricordare che Giovanni Paolo II ha convissuto per tutto il suo lungo pontificato con la pedofilia ecclesiastica, coprendola fino ai massimi livelli: quelli dei pervertiti padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, e del cardinal Bernard Law, arcivescovo di Boston.
In Sud America si ricorda invece l’ignobile piazzata che Giovanni Paolo II fece a padre Ernesto Cardenal all’aeroporto di Managua, nel 1983, per non essersi dimesso da ministro della Cultura del governo sandinista. Collaborare con un governo rivoluzionario di sinistra era antievangelico, per il papa polacco che non trovava invece niente da ridire sul fatto che il cardinal Pio Laghi giocasse a tennis con il dittatore argentino di destra Jorge Videla. E nemmeno sul fatto di visitare lui stesso il dittatore cileno di destra Augusto Pinochet, facendosi fotografare sorridente con lui al balcone del palazzo presidenziale.
Questo è l’uomo che papa Francesco porta oggi solennemente ad esempio ai fedeli. Un uomo che, secondo le mediorientali e medievali favole ecclesiastiche, avrebbe compiuto miracoli: come tutte le altre migliaia di “beati” e “santi” che gli ultimi tre papi hanno sfornato, e continuano a sfornare, a getto continuo.
I fedeli e i media rimangono a bocca aperta di fronte a questa taumaturgia generalizzata e diffusa. Anche se poi rimangono a bocca chiusa quando, con macabra ironia, il caso sbeffeggia i due neo santi facendo crollare una croce di Cristo dedicata a Giovanni Paolo II su un povero disabile, che abitava in via Giovanni XXIII ed era andato in pellegrinaggio in vista della canonizzazione di oggi, uccidendolo.
Ma si sa che così succede anche con le malattie, per i cattolici: se guariscono, è merito di qualche santo o di qualche madonna, e se non guariscono, è colpa dei medici o delle medicine. Da oggi, avranno altre due persone a cui attribuire ciò che la vita regalerà loro di positivo, riservando ovviamente le lagnanze per il negativo al destino cinico e baro.
Santissimi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, pregate per loro, che ne hanno bisogno. E pregate anche per i politici cattolici, di nome o di fatto, che oggi affollano il sagrato di san Pietro: fareste veramente un miracolo, se ce li toglieste di torno. Se poteste far crollare, oltre alla croce della val Camonica, anche la cupola di Michelangelo, provocando un’ecatombe di papi e cardinali, oltre che presidenti e politici, vi saremmo veramente grati. Ma temo che questa preghiera non la esaudirete: d’altronde, avete cose ben più elevate su cui intervenire, come guarire i fremiti o i mal di testa di qualche signora. Buon lavoro, dunque, e al vostro prossimo e spettacolare miracolo.