Il presidente super partes, sì, ve piacerebbe [delle italiche miserie]

IL PATTO CON RE GIORGIO? “AVEVA PROMESSO L’INDULGENZA MOTU PROPRIO” (Fabrizio d’Esposito): questo è l’articolo che ha fatto inquietare tanto SM Giorgio Alla Seconda. 

UN PATTO CON SILVIO? PER IL COLLE NON C’È: “PANZANA ASSURDA” 

“IL COLLE HA FALLITO: LA VERA PANZANA E’ LA PACIFICAZIONE” 

Sottotitolo: sallusti onnipresente ovunque ha tragicamente rotto il cazzo. Uno che scrive e fa scrivere certe porcherie, anche su Napolitano che però coi giornali del pregiudicato delinquente non se la prende mai e chissà perché, un diffamatore seriale graziato proprio da Napolitano, dovrebbe essere emarginato, evitato anche dai vicini di casa, altroché invitato tutti i giorni in televisione. Floris, come Fabio Fazio, i suoi puttan tour li può organizzare se vuole in forma privata, non alla Rai, servizio pubblico pagato coi soldi di tutti.

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Panzane

Era una panzana anche la grazia al condannato per frode? Che significato dare alle parole “senza toccare la legittimità della sentenza, possono motivare un eventuale atto di clemenza”.

E una panzana anche legare assieme il voto del senato sulla decadenza e l’amnistia e la riforma della giustizia?

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Ma come si permette il presidente della repubblica di dare giudizi suoi personali sulla qualità delle notizie che dà un quotidiano?

Giudicare se Il Fatto Quotidiano scriva o meno panzane non spetta a Napolitano, in nessun paese normale un capo dello stato critica apertamente, con un comunicato ufficiale della presidenza della repubblica, la veridicità delle notizie che lo riguardano.

La santanché gli dà del traditore in diretta tv e lui se la prende coi giornalisti del Fatto? andiamo bene.

Le due spedizioni eversive di mezzo governo ai tribunali di Milano e Brescia per le quali Napolitano non ha speso mezza parola sono panzane?
L’ordine ai Magistrati di concedere la possibilità di partecipare alla “delicata fase politica” ad un condannato in primo grado a sette anni per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, sono panzane?
La richiesta di una riforma della giustizia, il discorso alle camere circa le condizione disumana delle carceri, che non lo è da una settimana, sei mesi o tre anni ma da sempre, dopo la condanna di b, sono panzane?
Gli appelli circa gli impellenti bisogni in materia di giustizia: amnistia, indulto, decreti svuota carceri, sono panzane?
Il colloquio avvenuto, sempre dopo la condanna di b, in forma privatissima con Confalonieri, presidente mediaset sono panzane? A che titolo Napolitano ha ricevuto Confalonieri, cosa si sono detti? in quel caso nessun comunicato ufficiale dalle quirinalesche stanze?
I continui attacchi del pdl, dello stesso berlusconi nel famoso videomessaggio registrato da pregiudicato contro la Magistratura e il silenzio di Napolitano, capo del CSM , sono panzane?
Napolitano che bacchetta i giudici invitandoli ad un maggior senso della misura dopo il discorso eversivo contro lo stato di berlusconi mandato in video, una cosa che non potrebbe succedere in nessun paese, sono panzane?

 Nel paese culla del conflitto di interessi, dove a un disonesto imprenditore, guarda caso proprietario di media, giornali, televisioni, fra le altre una casa editrice rubata, è stato permesso dalla politica di occupare il parlamento e farlo occupare dai suoi scherani a libro paga, un paese sempre fanalino di coda di tutte le classifiche internazionali circa la cultura e la libera informazione proprio in virtù di aver concesso la scalata politica ad uno che non ne avrebbe avuto il diritto per legge proprio per il suo mestiere – nei paesi normali il controllato non fa il controllore – ci mancava un presidente della repubblica che inveisce spazientito contro uno dei pochi giornali che ha dato sempre le notizie. 
Che è nato proprio per colmare un vuoto, per riabituare la gente al fatto che le notizie, tutte le notizie, si devono e si possono dare anche se qualche “eccellenza” poi si turba e si sturba.

E naturalmente la stampa quella cosiddetta indipendente, quella bella di Repubblica, il cui fondatore è un amico personale di Napolitano, quella del Corriere, dei buongiorni di Gramellini su La Stampa  e delle amache di Serra si guarda bene dal far notare la macroscopica invadenza di Napolitano in ambiti in cui non dovrebbe mettere bocca.

Un presidente della repubblica serio non si mette a battibeccare a distanza con un quotidiano col fine di intimidire, di dare un segnale, di pretendere il silenzio sui fatti che lo vedono protagonista, il primo attore di una sceneggiata indecente e cioè quella che riguarda la condanna di silvio berlusconi, una sentenza che proprio non si deve applicare, evidentemente. 

Nei paesi normali i quotidiani scrivono tutto a proposito di chiunque senza il permesso di nessuno. Se l’Italia è al 57esimo posto nel mondo per libertá di stampa e informazione non è colpa di Travaglio, Gomez e Padellaro ma degli autorevoli ballisti di regime, quelli cosiddetti moderati, non divisivi che si sperticano per sostenere ogni porcheria voluta, ordinata e imposta da questo nuovo re d’Italia che Napolitano non lo disturbano mai.

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Le larghe fraintese
Marco Travaglio, 23 ottobre

Il presidente della Repubblica è molto nervoso, eppure non ne avrebbe davvero di che. Dopo sette anni e mezzo trascorsi a impartire ordini e moniti a tutti, dal Parlamento ai governi, dai premier ai ministri, dai partiti di maggioranza a quelli di opposizione, dai magistrati al Csm, dalle tv ai giornali, dai sindacati agli elettori, dagli storici ai giuristi, dai movimenti di piazza persino a qualche produttore e regista di film, ha trasformato l’Italia in una monarchia assoluta dove non muove foglia che Lui non voglia. Ogni critica, anche la più timida e pallida, diventa vilipendio e lesa maestà, infatti quasi nessuno ne azzarda più. La libera stampa (si fa per dire) è letteralmente sdraiata a zerbino, commentatori e giureconsulti e intellettuali si consumano le ginocchia e sfiniscono le ghiandole salivari con peana imbarazzanti per magnificare e giustificare ogni stranezza del Re Bizzoso. Ma, come il Divo Giulio Cesare nei fumetti di Asterix , sopravvive un piccolo villaggio che non si arrende al pensiero unico e continua a giudicare Napolitano come se fosse soltanto il presidente di una Repubblica democratica e parlamentare, sprovvisto di divina investitura e di sacra infallibilità, dunque criticabile quando sbaglia, come accade a ogni essere umano imperfetto e fallace. È l’esistenza di questo villaggio che, al Divo Giorgio Cesare, fa saltare quasi ogni giorno la mosca al naso. Spingendolo, anche a causa dei cattivi e mediocri consiglieri che lo circondano, a gesti inconsulti come quello di ieri. “Solo il Fatto Quotidiano – ha comunicato il suo incauto ufficio stampa – crede alle ridicole panzane come quella del ‘patto tradito’ dal Presidente Napolitano. La posizione del Presidente in materia di provvedimenti di clemenza è stata a suo tempo espressa con la massima chiarezza e precisione nella dichiarazione del 13 agosto scorso”. Sorvoliamo per carità di patria sull’autoelogio per la “massima chiarezza e precisione” dei suoi moniti, che un presidente dall’ego un po’ meno smisurato lascerebbe ad altri, evitando di autorecensirsi. E cerchiamo di spiegare quel che è accaduto. Ieri, sul Fatto , Fabrizio d’Esposito ha raccontato che i falchi del Pdl sono tornati alla carica per spingere B. alla crisi di governo in quanto convinti che B. sia stato ingannato dal capo dello Stato con la promessa di un salvacondotto per i suoi processi che poi non si è avverata. I giornalisti politici questo fanno di mestiere: ascoltano tutte le voci dei politici e poi le riferiscono ai lettori, per spiegare quel che accade nel mondo politico. Non tutto ciò che dicono i politici può essere verificato, specie in Italia dove gli accordi – tipo quello che a fine aprile originò il governo di larghe intese – vengono stretti nelle segrete stanze, lontano da occhi e orecchi indiscreti (in Germania le larghe intese vengono concordate da Cdu ed Spd in lunghe trattative che si concludono con protocolli regolarmente sottoscritti ed esplicitati agli elettori alla luce del sole). Capita però che qualche protagonista, ogni tanto, racconti ciò che sa o dice di sapere di quegli accordi segreti. Ed è dovere della libera stampa prenderne atto e riferirne all’opinione pubblica, senza per questo sposare o credere a ciò che viene detto. Specie quando si tratta di fatti almeno verosimili: quando Libero ipotizzò la grazia a B., Napolitano s’infuriò; poi però, 13 giorni dopo la sua condanna, diramò una nota con il bugiardino, la posologia e le istruzioni per l’uso della grazia a B. E da quando B. è stato condannato in Cassazione, non passa giorno senza che i giornali, tutti i giornali, raccontino della rabbia di B. e dei suoi fedelissimi contro Napolitano per il mancato salvacondotto. E mai il Quirinale si era permesso di smentirli, perché riferivano un fatto vero: non che Napolitano avesse davvero promesso il salvacondotto, ma che B. & C. se lo aspettassero e ancora se lo aspettino. Il 1° ottobre, nell’annunciare la sfiducia al governo Letta prima della retromarcia in extremis, B. inviava una lettera al settimanale Tempi per accusare Letta jr. e Napolitano di “distruggere la loro credibilità” e “affidabilità” e di “minare le basi della democrazia parlamentare” perché rifiutavano di “garantire l’agibilità politica al proprio fondamentale partner di governo” e consentivano “il suo assassinio politico per via giudiziaria?”. E il 26 agosto vari giornali rivelavano che B. minacciava di rivelare ”tutte le promesse che Napolitano mi ha fatto quando abbiamo acconsentito a far nascere il governo Letta”. I giornali, tutti i giornali, riportarono quelle parole senza che il Colle li accusasse di credere alle “ridicole panzane come quella del ‘patto tradito’ dal Presidente Napolitano”. E fece bene, perché semmai avrebbe dovuto smentire B., non chi aveva riportato le sue parole sull’inaffidabilità del presidente e del premier che l’avevano tradito. Stavolta, come spesso gli accade con le cronache del Fatto e non con quelle di altri giornali che scrivono le stesse cose, Napolitano l’ha fatto. Evidentemente ci legge con particolare attenzione e passione, o forse dà per scontato che gli altri giornali credano alle panzane ma non si dà pace che lo facciamo proprio noi. Ringraziandolo per la considerazione, ci permettiamo però di fargli notare che ha sbagliato indirizzo. Se vuole smentire i falchi del Pdl, si rivolga ai falchi del Pdl. E se un giorno, non sia mai, volesse smentire B. che l’ha appena fatto rieleggere e sostiene il suo governo (pardon, il governo di Letta jr.), dovrebbe smentire B. Quanto a noi, è vero: ogni tanto crediamo a ridicole panzane. Pensi, Presidente, che ci eravamo persino bevuti quella della sua irriducibile indisponibilità alla rielezione. Per dire.

Per quel che può servire, la mia solidarietà incondizionata al giudice Esposito

Quello che provo è sgomento, raccapriccio, rabbia e impotenza.

Mentre un pregiudicato, condannato, uno che non ha nemmeno più bisogno di essere rappresentato, descritto, del quale non dovrebbe servire sapere più niente ormai per destinarlo alla categoria cui si merita di appartenere che è quella dei fuori legge, dei delinquenti viene difeso dalle istituzioni e dalle istituzioni e dalla politica viene accolto, ascoltato, gli viene concesso di imperversare ovunque, lui e chi per lui perfino nei cieli d’Italia per continuare a mentire sulla sua innocenza, c’è un giudice che viene lasciato solo a dover affrontare persone, fra cui gente delle istituzioni – quelle stesse che dovrebbero difendere gli uomini e le donne dello stato – che lo diffamano, lo insultano, permettono che sui giornali di proprietà del condannato berlusconi si scrivano infamità sul suo conto. 

Nessuna voce, di quelle solite che sono sempre pronte ad offrire solidarietà a chiunque, anche a gente che sostiene il condannato delinquente e che solo per questo non la meriterebbe affatto si è levata per far sentire la sua vicinanza al giudice Esposito, non Piero Grasso, l’ex procuratore antimafia che dovrebbe conoscere bene il clima in cui sono costretti ad operare ed agire i giudici, la magistratura italiana da quando in questo paese si è concesso ad un fuori legge, a un delinquente per natura come recita il primo grado della sentenza di uno dei processi che lo riguardano, di potersi intromettere nelle faccende di stato.

Non la presidentessa della camera sempre pronta a bacchettare chi alza i toni, chi osa ricordare agli italiani lo scempio politico di cui sono vittime; non il presidente della repubblica che ha scelto il silenzio, non ritiene di dover spendere due parole nel merito delle vicende che riguardano il pregiudicato berlusconi, di una condanna che non deve essere eseguita e chissà perché.

Mi chiedo che razza di gente viva in questo paese e quanto altro sia disposta ad accettare se nemmeno dopo tre condanne si può dire di un delinquente che è un delinquente e considerarlo e trattarlo come si merita. Principalmente dalle istituzioni che fino a prova contraria non sono lì per tutelare gli interessi dei pregiudicati, nemmeno se si chiamano silvio berlusconi.

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Esposito, giudice sotto tiro: è caccia alla bobina segreta dell’intervista

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CSM: ciechi, muti e sordi
Marco Travaglio, 13 agosto

Quando il giudice Mesiano, reo di aver condannato il gruppo Berlusconi a risarcire De Benedetti per lo scippo Mondadori, fu pedinato e linciato da Canale5 e dagli altri house organ della ditta per i suoi calzini turchesi, il Csm intervenne in sua difesa con una pratica a tutela contro attacchi “che possono condizionare ciascun magistrato, specie quando si tratti di decidere su soggetti di rilevanza economica e istituzionale”. Il vicepresidente Mancino denunciò il “clima invivibile dove il potere è forte e può intimidire”. E persino il presidente Napolitano evidenziò “le inquietanti connotazioni della vicenda”. Era solo quattro anni fa, ma pare un secolo. Da due settimane, da quando ha letto la sentenza di condanna per B. nel processo Mediaset che gli era toccato in sorte, il presidente della Cassazione Antonio Esposito viene manganellato dal Giornale e altri fogliacci. Decine di pagine con accuse infamanti fondate sul nulla: tutto falso, tutte menzogne (vedi articolo di Marco Lillo). Eppure intorno a lui tutto tace. Tace Napolitano, troppo occupato a riflettere sull’“agibilità politica”del pregiudicato e a riceverne gli emissari. Tace Vietti, solitamente così garrulo. Non tace purtroppo il ministro Cancellieri, che sguinzaglia gl’ispettori come ai tempi di Biondi e Mancuso, mentre il Csm apre un fascicolo disciplinare contro Esposito. Illegale. L’ordinamento giudiziario 269/2006 sanziona “le dichiarazioni o interviste che riguardino soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione”, non quelli chiusi da sentenza definitiva. Come il processo Mediaset. Il giudice Esposito è solo, lasciato in pasto ai linciatori da chi, per legge, dovrebbe difenderlo. Se il Csm, dal presidente e dal vicepresidente in giù, non se la sente di fare il proprio dovere, tanto vale scioglierlo.

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Mercedes, fango e bugie: il Giornale all’attacco di Esposito 
Marco Lillo, Il Fatto Quotidiano, 13 agosto

IL QUOTIDIANO DI FAMIGLIA DEL CONDANNATO DI ARCORE SCRIVE MENZOGNE CONTRO IL PRESIDENTE DELLA CASSAZIONE CHE LO HA GIUDICATO SULL’EVASIONE MEDIASET: ECCO QUALI.

Dopo la condanna di Silvio Berlusconi a 4 anni di carcere Il Giornale di Alessandro Sallusti ha dedicato una ventina di pagine al 72enne presidente della sezione feriale della Cassazione. Il 3 agosto parte Stefano Lorenzetto con un articolo basato sul suo ricordo di una cena del 2009 con il giudice Antonio Esposito: “Così infangava Berlusconi il giudice che l’ha condannato” è il titolo. Il pezzo viene pubblicato solo dopo la condanna, nonostante il direttore Sallusti fosse informato da giorni. Quando il magistrato Ferdinando Imposimato, presente alla cena, dice al Fatto di non aver sentito nulla del genere, Lorenzetto lo fulmina: Imposimato era lontano e poi è troppo amico di Esposito per essere credibile. La prova? “Una fonte affidabile mi assicura che il figlio fu registrato all’anagrafe con il nome di Ferdinando proprio in onore di Imposimato”. La fonte è attendibile perché intrattiene ‘relazioni confidenziali ’ con Esposito. Peccato che non abbia svelato a Lorenzetto un altro segreto: Ferdinando è il nome del padre di Antonio.

Il Giornale picchia duro anche dopo la pubblicazione dell’intervista di Esposito al Mattino. Nella sua smentita il giudice nega di avere risposto a una domanda sulla motivazione della condanna di Berlusconi. La frase “Berlusconi condannato perché sapeva” effettivamente non è farina del suo sacco e la sua risposta (riportata fedelmente dal Mattino) seguiva una domanda diversa e generale . Ma per Sallusti è “Il giudice bugiardo”. Dopo l’8 agosto Il Giornale pubblica tre pagine al giorno piene di accuse: Esposito fa il doppio lavoro a Sapri ed è stato trasferito d’ufficio dal CSM. Esposito accettava Mercedes in regalo e si appropriava di fascicoli sui vip per smania di protagonismo. Il giudice replica con i provvedimenti del CSM e dei giudici che hanno smontato le accuse riportate dal Giornale. La lettura incrociata di articoli e comunicati spiega bene come funziona la stampa berlusconiana.

SUL GIORNALE
IL CASO ISPI 

“Aveva un doppio lavoro, amministrava una scuola” 

IL GIORNALE SPARA l’8 agosto in prima pagina: ‘Lo strano doppio lavoro del giudice bugiardo’. Nell’articolo si legge: “Quando Antonio Esposito non sta in Cassazione fa un altro lavoro. Un doppio lavoro. (…) Esposito veste i panni del responsabile amministrativo di un pezzo di un’università telematica. Insieme alla moglie avvocato e alla figlia, il magistrato risulta referente per lo sportello Salerno/2 della Unicusano, ateneo privato romano (…) sul sito web dell’università come contatto per Sapri c’è proprio il numero di cellulare dell’alto magistrato. Illecito? No, magari no. Magari il buon giudice ha il via libera, l’ok, del Csm. Magari è normale”. Il Giornale torna sul tema tre giorni dopo per ricostruire il procedimento disciplinaresubito dal giudice alla fine degli anni novanta sulla scorta di una relazione redatta da un allora giovane capitano dei Carabinieri della stazione di Sapri: “Alla fine – scrive Il Giornale – è stata proprio la gestione dell’Ispi a determinare il trasferimento. ‘Dovrebbe essere provato – si legge nel provvedimento – che Esposito svolga attività ulteriori rispetto a quella dell’insegnamento per il quale è stato autorizzato dal Csm’ (…) Esposito – scrivono i consiglieri – poteva essere reperito sistematicamente presso i locali della scuola e i collegamenti con l’I-spi venivano tenuti anche in pretura’”.

IL TRASFERIMENTO 

“Rete di affari” e troppo protagonismo, per questo fu spostato

IL TITOLO DEL GIORNALE dell’11 agosto non lascia adito a dubbi: “La rete di affari di Esposito: ecco perché fu trasferito”. Il titolo sintetizza così la motivazione del trasferimento: “Con la sua scuola guadagna centinaia di milioni che gli permettono di avere una Jaguar, una villa a Roma e un motoscafo”. Secondo Il Giornale: “Il 7 aprile del ‘94 il plenum del Csm approvava a maggioranza la proposta di trasferimento d’ufficio dell’allora pretore di Sala Consilina, che venne destinato alla Corte d’Appello di Napoli”. Il Giornale entra nei dettagli: “Sulla scuola di formazione i consiglieri si soffermano a lungo, ipotizzando che il particolare tenore di vita del magistrato che risultava ‘proprietario di un villino a Roma, di una Jaguar e di un motoscafo avallassero l’ipotesi che l’Ispi avesse consentito la realizzazione di guadagni nell’ordine di centinaia di milioni’”. Inoltre, secondo Il Giornale, Esposito era accusato di avere “gravemente mancato ai propri doveri”. Il CSM, lo aveva trasferito perché “aveva celebrato nel ’91 un procedimento penale contro Maria Pia Moro per interruzione di pubblico servizio ‘senza che tale procedimento fosse compreso tra quelli a lui assegnabili’”.

CAMERA 

L’interrogazione del Pci lo accusa di “faziosità” 

ANCHE UN’INTERROGAZIONE parlamentare comunista è stata riciclata a distanza di 33 anni e promossa a sentenza sotto il titolo de Il Giornale: “Il magistrato inchiodato pure alla Camera”. Gli inviati a Sapri di Sallusti hanno recuperato il testo dell’atto del 1980 firmato dai deputati PCI Alinovi, Amarante e Vignola: “L’operato di Esposito è oggetto di universale riprovazione da parte della popolazione del mandamento per i comportamenti asociali e per la faziosità”.

MERCEDES 

Cene a sbafo e un’auto di lusso in regalo

L’ACCUSA PIÙ VELENOSA contro Esposito è quella del sottotitolo del Giornale dell’11 agosto: “Spuntano una Mercedes gratis e le cene a sbafo”. Nell’articolo si ricostruiscono le accuse rivolte da un consigliere del CSM a Esposito: “Sarebbe stata portata, per conto della ditta Palumbo (un costruttore della zona, ndr), una Mercedes di colore beige acquistata” da un direttore romano di banca “con chiavi nel cruscotto, sotto l’abitazione del dottor Esposito”.

IL GIUDICE REPLICA
IL CASO ISPI 

“Insegnava gratuitamente, il Csm lo aveva autorizzato”

IL GIORNALE OMETTE di dire – replica Esposito – che tutte le dichiarazioni di questo ufficiale (il capitano dei Carabinieri, ndr) più volte “rettificate e parzialmente difformi” tra di esse erano state smentite addirittura da numerosi militari della sua stessa compagnia e da un militare della Guardia di Finanza. Così conclusivamente motiva il CSM: “(…)contrariamente a quanto affermato dal capitano l’Ispi non era una società di capitali, il cui amministratore unico era la moglie del dr. Esposito, ma era un’associazione culturale senza scopo di lucro. A proposito dell’attività svolta dal dr. Esposito presso l’Ispi non è stato confermato quanto riferito dal teste, sia pure sulla base di notizie informalmente acquisite, di “impressioni”, di “conclusioni personali” in merito al ruolo di direttore, amministratore o organizzatore di Esposito, a un suo asserito potere di stabilire chi doveva essere ammesso e chi non doveva. È emerso, infatti, che “il magistrato svolgeva esclusivamente attività d’insegnamento, non si occupava in alcun modo direttamente o tramite la moglie dei profili gestionali dell’istituto, non ha mai fatto parte del consiglio d’amministrazione dell’ISPI”. Inoltre l’incarico era “ritualmente comunicato al Csm, autorizzato ed espletato gratuitamente”.

IL TRASFERIMENTO 

Accuse smentite dagli organi competenti già tredici anni fa 

IL TRASFERIMENTO d’ufficio da Sala Consilina a Napoli del 1994 venne annullato dal Tar del Lazio nel 1996 per “un progressivo sfaldarsi delle tesi accusatorie”. Nel 1998 il Giudice della Sezione Disciplinare del CSM dà ragione di nuovo a Esposito e nel 2000 il CSM torna sulla materia e sostiene che l’attività di Esposito presso l’ISPI è di “esclusivo impegno didattico, senza interessi patrimoniali, regolarmente autorizzata e di nessun intralcio per il normale svolgimento delle funzioni giudiziarie”. Anche sulla questione della “smania di protagonismo”, Il Giornale fa un buco nell’acqua. Il Csm così afferma: “Conclusivamente la celebrazione dell’udienza del 12/11/91 – Procedimento Fidia Moro – da parte del Dott. Esposito ebbe a rappresentare un atto di doverosa assunzione di responsabilità del dirigente di un ufficio giudiziario in assenza di un collega e non certo una disdicevole forma di protagonismo di cui manca in atti qualsiasi prova. Anzi gli elementi probatori raccolti sono di segno esattamente opposto in quanto i testi hanno univocamente riconosciuto l’imparzialità e la correttezza del Dott. Esposito”.

MERCEDES 

Fu comprata nel ‘77, era del ‘71 Aveva fatto 300mila km 

ESPOSITO ricorda che “la Mercedes 220D del 1971 è stata acquistata regolarmente nel 1977 con 300 mila km percorsi”. La vicenda “è stata archiviata perché “si è accertato, con prova orale e documentale, l’assoluta legittimità del-l’acquisto”. Esposito ha rinunciato alla prescrizione ottenendo l’archiviazione del Gip nel 1996. Mentre il CSM ha archiviato nel 1997 sulla base di “univoche acquisizioni documentali” come “l’assegno bancario di Esposito”.

CAMERA 

Il Consiglio superiore scrisse: “Un complotto contro di lui” 

IL GIORNALE OMETTE: “L’inchiesta apertasi a seguito delle interrogazioni venne archiviata dal CSM”. La motivazione descrive “un vero e proprio complotto contro Esposito (…) oggetto di un attacco scorretto nelle forme e illecito nei contenuti da parte di un gruppo di persone che per soddisfare un loro sentimento di vendetta (…) non hanno esitato a costruire a tavolino gli elementi di accusa ed a coinvolgere nell’operazione anche rappresentanti del Parlamento”.

 
 
 

3 maggio: Giornata internazionale della libertà di stampa e informazione

Naturalmente l’Italia, col suo 57° posto nella classifica internazionale di Report sans frontiéres  [l’anno scorso era al 61°], e in quella della Freedom House non è che le cose vadano tanto meglio, si può esimere dai festeggiamenti.

Laura Boldrini: “Sulla Rete campagne d’odio, è tempo di fare una legge” (Concita De Gregorio)

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Preambolo: mandare affanculo e sparare sono due cose diverse, ha detto vauro commentando una sua  vignetta ieri sera a Servizio Pubblico.
E se sparare è sempre sbagliato chi si veste coi panni del rappresentante di uno stato democratico che ripudia la guerra per Costituzione non dovrebbe dire che ci sono guerre giuste, giudicare irresponsabili e ancorché fiancheggiatori dei terroristi chi a quelle guerre si è opposto e si oppone come ha fatto varie volte Emma Bonino considerata, chissà perché, un personaggio politico di livello superiore.
Se la vita è ancora un valore universale dovrebbe esserlo per tutti, non ci sono situazioni che possono metterlo in discussione, chi spara lo fa per ammazzare, sia che indossi una divisa da soldato, da funzionario dello stato o la sua disperazione. La Bonino è un bluff democratico in cui è caduto perfino Lerner tutto contento che Emma sia stata nominata ministro degli esteri e che se lo merita perché “parla anche l’arabo”. E chissà con chi deve parlarci, in arabo.

 La risposta dello stato alla disperazione, al disagio sociale non è aumentare la protezione verso la politica raddoppiando e triplicando le scorte,  aumentando de facto le spese della politica e sottraendole, ça va sans dire, al sociale, quello in cui nasce e si alimenta la disperazione e tutte le sue conseguenze tragiche.

Quando uno stato guadagna fabbricando e vendendo armi, quando contribuisce alle guerre mandando il suo esercito a sparare nonostante una Costituzione che lo vieta, nessuno dei suoi rappresentanti dovrebbe permettersi di salire sul pulpito a dire che la violenza no, mai.

Questo lo possiamo dire noi che non fabbrichiamo e non vendiamo le armi, che non promuoviamo la giustezza della guerra e che mai accetteremmo di ammazzare gente per mestiere.

La biancofiore e micciché nella squadra di governo sono l’espressione della democrazia [quella esercitata sotto il ricatto di un malfattore] o un’istigazione alla violenza, almeno a quella mentale, nel senso che ognuno che conosca in che modo dovrebbe essere esercitata la democrazia può pensare quello che vuole?
Io mi riservo di pensare quello che voglio, e anche di dirlo e scriverlo, mi spiace per i fan sperticati dell’abbassamento dei toni e del linguaggio consono, ma finché in questo paese di consono non ci sarà niente a partire dalle sue rappresentanze più “alte” le conseguenze non possono e non potranno essere che queste.
Quando uno stato risponde al disagio sociale e alla disperazione aumentando la protezione alla politica, ostentando personaggi ambigui presentandoli come se fossero davvero statisti in grado di operare per il bene, non tutelando né dimostrando di preoccuparsi di chi è stato danneggiato, offeso, vilipeso da quello stesso stato bisognerebbe almeno piantarla con le ipocrisie.

In nessun paese normale un politico viene processato 24 volte, ha detto l’ottimo sallusti sempre da Santoro.
Ha ragione, nei paesi normali un politico che avesse accumulato una tale quantità di capi di imputazione da richiedere [sempre se questo fosse un paese normale. quindi esente da impedimenti più o meno legittimi e presidenti della repubblica che sgridano i magistrati invece degli imputati] la sua presenza ciclica nei tribunali in qualità di imputato, sarebbe stato fermato molto prima. E anche sallusti, se questo fosse un paese normale non avrebbe la possibilità di andare a pontificare in nessun talk show ma sarebbe a casa a riflettere sulla differenza fra informazione, diritto di critica e di cronaca e DIFFAMAZIONE, il reato di cui lui si è macchiato sei volte ma questo non ha impedito a Napolitano di concedergli il perdono istituzionale su cauzione. 
Ieri sera sallusti ha confermato che questo governo è nato sotto l’egida del ricatto di berlusconi come se fosse la cosa più normale del mondo, come se fosse normale che quella che doveva essere l’opposizione non si è mai opposta come ci ha ricordato un Travaglio superlativo, ma stamattina, sono sicura, ci sarà qualcuno che invece di guardare all’enormità del danno prodotto dalla politica di questo paese a questo paese preferirà criticare Santoro e Travaglio che “dicono sempre le stesse cose”, cosa che è del tutto naturale, se le cose sono le stesse da vent’anni.

“Ma che fai ahò, prima spari e poi dici chi va là?
Sentinella: è sempre mejo ‘n amico morto che un nemico vivo! 
Chi sete? semo l’anima de li mortacci tua! 
Sentinella: E allora passate!” [dal film La grande guerra, di Mario Monicelli]

Questi non hanno fatto nemmeno finta di sparare al nemico.
Sono passati direttamente all’annientamento dell’amico.

Marco Travaglio riepiloga la presunta guerra civile tra centrodestra e centrosinistra negli ultimi 20 anni.

In un paese collocato per libertà di stampa e informazione alle stesse posizioni di altri che almeno non si ammantano dell’aggettivo di democrazie ci mancano solo le leggi speciali per il riordino della Rete.
Non ci vuole nessuna legge speciale, evocatrice peraltro di periodi tristissimi, e tutti i paesi che hanno applicato restrizioni alla Rete secondo le loro leggi non si possono ascrivere nella categoria delle democrazie, in quella delle dittature sì.
Ci vorrebbe l’applicazione di leggi già esistenti, e se una pagina web veicola violenza, minacce, apologie di razzismi, fascismi, xenofobia e omofobia va chiusa e va denunciato il suo creatore, nonché i partecipanti consapevoli che contribuiscono alla diffusione di quella che non è libera espressione del pensiero ma un reato.
Vale per la pagina di facebook aperta dai soliti imbecilli frustrati in cerca di attenzione ma anche per quei siti tipo pontifex che, nello stesso modo diffondono odio e istigazioni alle violenze facendosi scudo con la croce di Cristo.
Ho imparato a diffidare della politica quando cerca di allungare le mani sulla Rete, anche se ufficialmente a fin di bene ma nascondendo in realtà la voglia di censura. Il web non ha bisogno di tutori terzi ma di responsabilizzazione individuale, da parte dei gestori di siti, portali e social network ma soprattutto di chi usufruisce dei servizi in Rete.

Perché poi se i parametri di libertà li stabilisce la politica sono guai.

 Non ho mai pensato che il web sia una zona franca ed esente da regole, anzi, essendo stata una vittima di quella “libertà” e pur avendo sperimentato personalmente cosa si prova ad essere molestati, minacciati continuo a rifiutare l’idea che si possano pensare leggi “speciali” per tutelare il quieto vivere virtuale.

Le leggi ci sono, basterebbe applicarle seriamente.

Il Portabugie
Marco Travaglio, 3 maggio

In questi tempi bizzarri accadono cose davvero strane. Càpita persino di ricevere lezioni di giornalismo e deontologia da Pasquale Cascella, giornalista di cui sfuggono i pensieri e le opere, ma non le parole e le omissioni. Giornalista dell’Unità a targhe alterne, Cascella fu portavoce di Napolitano presidente della Camera, poi di D’Alema premier (quando Palazzo Chigi divenne — Guido Rossi dixit — “l’unica merchant bank dove non si parla inglese”), poi di Violante capogruppo Ds alla Camera, poi di nuovo di Napolitano presidente della Repubblica. Dunque è Cavaliere di Gran Croce, Grand’Ufficiale e Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica, e ora candidato del Pd a sindaco della natìa Barletta. Ieri il Port. Cand. Cav. Gr. Cr. Grand’Uff. ha rilasciato un’intervista al prestigioso programma radiofonico La Zanzara: “La vicenda D’Ambrosio? Bisogna chiedere a Travaglio se non ha problemi di coscienza, per il modo in cui ha fatto informazione, non credo sia un modo di fare giornalismo. È stato un attacco mirato alla persona, a Napolitano. Mi chiedo come alcuni facciano informazione sul Fatto , come facciano a convivere con la propria coscienza e deontologia professionale, che nel caso D’Ambrosio è stata violata”. Questo monumento dell’informazione libera e indipendente si riferisce al magistrato Loris D’Ambrosio, come consigliere giuridico di Napolitano, sorpreso l’anno scorso dalle intercettazioni disposte dai giudici di Palermo sui telefoni di Nicola Mancino ad attivarsi, su richiesta dell’ex ministro indagato per falsa testimonianza, per deviare le indagini sulla trattativa Stato-mafia con pressioni sul procuratore antimafia Grasso e sui Pg della Cassazione Esposito e Ciani. Il Fatto , come tutti i quotidiani, pubblicò le telefonate, depositate e non più segrete. Criticò, come pochi quotidiani, le intromissioni del Quirinale in un’indagine In corso. E, come nessun quotidiano, diede la parola a D’Ambrosio con un’ampia intervista. D’Ambrosio disse di non poter rispondere sul ruolo di Napolitano mandante delle sue mosse (come emergeva dalle sue parole intercettate), perché era tenuto a un presunto “segreto” e a un’imprecisata “immunità” presidenziale. Ma s’impegnò a farlo se il capo dello Stato l’avesse svincolato. Il che purtroppo non avvenne: al posto suo intervenne Cascella per opporre il silenzio stampa. Il Fatto inviò le domande direttamente a Napolitano. Il quale rispose, con un dispaccio recapitatoci da un messo in motocicletta, che non intendeva rispondere. Però fece poi sapere che D’Ambrosio gli aveva offerto le dimissioni e lui le aveva respinte confermandogli “affetto e stima intangibili”. Anche quella fu una risposta ai nostri interrogativi, incentrati su una questione cruciale: quando D’Ambrosio svelava a Mancino di aver parlato a Grasso, Esposito e Ciani in nome e per conto del “Presidente” che “ha preso a cuore la questione” e “sa tutto”, millantava credito o diceva la verità? Il fatto che Napolitano gli confermasse fiducia significa che D’Ambrosio non millantava: obbediva agli ordini. Dunque tutto ciò che ha fatto, conseguenze comprese, è responsabilità di Napolitano (e Mancino). Forse tutto sarebbe ancor più chiaro se il Colle avesse divulgato il contenuto delle quattro telefonate Napolitano-Mancino, anziché scatenare la guerra termonucleare ai pm di Palermo per farle distruggere, a maggior gloria dell’inciucio. Non contento, quando D’Ambrosio morì d’infarto, Napolitano tentò di scaricare la colpa su chi l’aveva criticato. Ora il Port. Cand. Cav. Gr. Cr. Grand’Uff. Cascella ci riprova. Ma sbaglia indirizzo. Noi siamo a posto con la nostra coscienza, avendo esercitato il dovere di cronaca, il diritto di critica e di replica.

Chissà se può dire altrettanto chi usò D’Ambrosio come scudo umano e parafulmine.

Ma in Italia, oltre al principio di responsabilità, è stata abolita anche la vergogna.

C’è la faremo [copyright sallusti]

https://fbcdn-sphotos-e-a.akamaihd.net/hphotos-ak-prn1/68614_4194548694706_1812812014_n.jpg[…] prima di tutto, un messaggio ai giornalisti inglesi di sinistra e agli intellettuali in genere: ricordate che disonestà e viltà si pagano sempre. Non pensate di potervi comportare per anni da propagandisti leccapiedi del regime sovietico, o di qualsiasi altro regime, e di ritornare improvvisamente alla dignità intellettuale.

Chi si prostituisce una volta, si prostituisce per sempre.

[George Orwell – La fattoria degli animali]

Sottotitolo: «La polizia in redazione sa di regime odioso ma l’arresto di Sallusti, la sua evasione e di nuovo il suo arresto, sia pure ai domiciliari, sono una commedia atroce perché la vittima, che senza tentennamenti noi non vogliamo in prigione, è stato il gendarme del peggiore giornalismo illiberale italiano, uno dei cani da guardia di quel Silvio Berlusconi che per venti anni ha seminato la peste della diffamazione, ben oltre l’articolo scritto ma non firmato da Renato Farina che ha infangato il giudice Cocilovo e che ancora oggi Sallusti rivendica come un’opinione forte e non come un’infamia. E Sallusti, nel difendersi, non usa il linguaggio del detenuto che noi vorremmo liberare ma del carceriere della libertà: non ha mai chiesto scusa a Cocilovo e, nella conferenza stampa, ha mitragliato le parole “cazzo” e “palle” al posto dei ragionamenti» [Francesco Merlo – La Repubblica].

Sallusti, arrestato, invia un tweet: “C’è la faremo”. Ecco perché gli articoli glieli scriveva Dreyfus. [forum spinoza.it]

Emilio Fede ha detto che silvio si è dimenticato di lui, Vittorio Feltri lacrima che il centro destra ha abbandonato sallusti.

Questa è la fine che fanno i SERVI quando non sono più utili al padrone.

Miserabili convinti che il disonesto impostore al quale hanno svenduto molto più della dignità gli potesse o gli dovesse dimostrare poi una riconoscenza dopo averli pagati a peso d’oro per raccontare balle, disinformare, calunniare e diffamare tutti quelli che non erano funzionali al progetto di un abusivo fuori legge che voleva trasformare l’Italia in una delle sue aziende.
Ragione di più per far vergognare tutti quelli che hanno difeso, sostenuto sallusti anche con una finta solidarietà che si potevano e dovevano risparmiare, quelli, giornalismo, politica, parlamento e Napolitano –  il quale  ha ritenuto opportuno doversi occupare anche del martire sallusti e chissà perché –  che hanno costretto un paese intero a seguire le vicissitudini di un ignobile personaggio, un delinquente comune come ce ne sono a migliaia, come se il problema della giustizia italiana fosse il carcere sì o no a sallusti e non ad esempio le migliaia di detenuti, gente che in galera non ci doveva proprio entrare ma  che invece  ci sta e ci resta  grazie alle leggi fasciste liberticide sulle quali un disinvolto presidente della repubblica ha messo la sua firma ma della quale chissà perché, a nessuno frega niente.
 Leggi come  la Bossi-Fini sull’immigrazione [approvata nel 2002], la Fini-Giovanardi sulle droghe e la ex Cirielli sulla recidiva [approvate tra il 2005 e il 2006] che trasformano in delinquenti quelli che delinquenti non sono.
Per quelle non c’è stata la levata di scudi di nessuno nonostante siano proprio queste che fanno riempire le carceri oltremodo.

Altro che gl’indulti e le amnistie per salvare i ladri di polli ma che poi servono ai massacratori di stato, ai ladri di stato,  ai corruttori e ai diffamatori che hanno vilipeso e sfinito questo paese per il solo fatto di esistere.

farina sallustiUno su mille c’è la fa
Marco Travaglio, 2 dicembre

Torna a grande richiesta la commedia all’italiana, nel solco della tradizione dei film a episodi con Sordi, Tognazzi, Gassmann, Manfredi, Vianello, Tina Pica e Walter Chiari. La pellicola, ancora in lavorazione, uscirà nelle sale a Natale. Siamo entrati in possesso della sceneggiatura dei primi quattro episodi.
Sballottaggio. Il leader di un partito chiamato Democratico organizza le primarie in linea con la ragione sociale, vince il primo round, esalta “la grande giornata di democrazia” e la strepitosa affluenza, ma poi scatena la guerra atomica per far sì che al ballottaggio voti il minor numero di persone possibile. Chi vuol partecipare deve inventarsi una scusa per l’assenza al primo turno. Quelle usate dai ragazzi a scuola (raffreddore, zia malata, cagnetta in calore, autobus in anticipo, allergia ai quaderni) non sono valide. Meglio optare per quelle dei Blues Brothers: “Avevo una gomma a terra, avevo finito la benzina, non avevo soldi per il taxi, la tintoria non ha portato il vestito, c’era il funerale di mia madre, l’inondazione, e poi le cavallette”.

L’onorevole Angelino. Un tizio di nome Angelino, convinto – non si sa bene da chi e perché – di essere il leader del centrodestra, organizza anche lui le primarie. Fissa date, detta regole, recluta candidati, intreccia alleanze, poi il suo padrone lo richiama all’ordine. Lui si dibatte un po’, dice addirittura che non vuole inquisiti, poi riceve una lettera di Dell’Utri in siciliano stretto: “Le tue primarie non servono a una minchia”. Vistosi perduto, va a Canossa, cioè ad Arcore, camminando in ginocchio sui ceci. Lo fanno entrare dall’ingresso della servitù, lo lasciano sei ore in anticamera, appoggiato a un panchetto, poi finalmente viene ricevuto. “Scusi Sire, non volevo, sono stato frainteso, non lo faccio più”. Il Nano Supremo, magnanimo, gli rimette la livrea a righine, gli restituisce il piumino e gli consente di spolverare.

Il conte di Montecribbio. Il direttore di un coso chiamato Il Giornale, dunque convinto di essere un giornalista, diffama questo e quello, finché si busca una condanna in appello per diffamazione. Vivo stupore dell’interessato. Il diffamato, impietosito, propone di ritirargli la querela in cambio delle scuse e del risarcimento. Ma il diffamatore, per misteriosi motivi, tiene tantissimo ad andare in galera e rincara la dose. La Cassazione conferma la condanna. I giudici, pietosamente, lo mandano ai domiciliari. Lui non sente ragioni e s’incazza: o galera o niente. Convoca la stampa per denunciare lo scandalo della magistratura politicizzata che rifiuta di arrestarlo. Si barrica in ufficio, pernotta nel cassetto della fotocopiatrice, poi la polizia lo preleva e lo traduce a casa sua. Lui twitta “C’è la faremo”, diffamando anche la lingua italiana. Poi, impavido, evade sul pianerottolo. Lo beccano subito: tribunale, processo per direttissima. Lui gongola: finalmente vado in galera. Ma niente da fare: ci vuol altro che un’evasione, in Italia, per finire dentro. Il giudice, inesorabile, lo rispedisce a casa. Lui giura: non evado più. Tanto è inutile.

I ragazzi irresistibili. Un’allegra brigata di vecchietti, convinti di essere dei tecnici, occupano Palazzo Chigi e improvvisano dei consigli dei ministri.

Uno si alza e s’inventa un decreto per consentire a un’acciaieria inquinante di continuare ad ammazzare la gente.

Un altro propone una legge draconiana per vietare di candidarsi ai condannati sopra i 4 anni. A nulla vale l’obiezione che 20 dei 21 onorevoli pregiudicati hanno condanne inferiori ai 4 anni [per superare detta soglia occorre mettersi a sparare].

Vivo disappunto del gobbo del Quarticciolo, della saponificatrice di Correggio, del Canaro della Magliana e dei mostri di Martinelle e di Dusseldorf, che resterebbero esclusi per un soffio dalle prossime elezioni.

Ottime chances invece per Sallusti, se smette.

Perché Sanremo è Sanremo

Sottotitolo: Meno male che Celentano andrà a Sanremo, così qualcuno la finirà di rompere i coglioni con la storiella che il “povero Adriano” non può mettere piede nella tv “pubblica”. Io vorrei riportarci Corrado Guzzanti per esempio: da chi devo andare a reclamare?

 Il Giornale di Olindo zio Tibia Sallusti e della famiglia berlusconi con il titolo osceno di ieri ha dimostrato ampiamente qual è il target dei suoi lettori, ammesso che si tratti di gente che va oltre la visione dei titoli in neretto cubitale.
Perché chiunque conosca un po’ la storia del nostro paese e i fatti che riguardano il nostro paese avrà capito benissimo che Olindo non voleva affatto difendere l’Italia, più semplicemente ce l’ha con la Germania non per quello che pensano di noi (come peraltro pensano in almeno tre quarti dell’orbe terracqueo grazie a come ha ridotto l’Italia chi gli paga lo stipendio: Schettino è arrivato molto dopo, quando di robaccia per vergognarci di certe caratteristiche italiane ne avevamo già collezionata un bel po’), ce l’ha con la Germania perché Angela ha fatto i dispetti ai nostri grandi economisti statisti delle cippe. Ricordiamoci sempre che i giornali di berlusconi non scrivono mai cose così, per cazzeggiare ma eseguono sempre gli ordini che il padrone gli dà. Nel frattempo, noi paghiamo col finanziamento pubblico ai quotidiani gentaglia che non solo non fa informazione ma veicola falsità non solo storiche.

Resteranno scritti per l’eternità sulla pagina delle italiche vergogne i famosi scoop del fogliaccio, uno su tutti la vicenda del cosiddetto dossier Mitrokhin che costò una condanna a dieci anni ad Igor Marini, il consulente finanziario che nel 2003 accusò Prodi, Fassino e Lamberto Dini di aver preso mazzette nell’affare fra Telecom Italia e Telekom Serbia; accuse che  si rivelarono totalmente infondate e le prove prodotte dei clamorosi falsi. Associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione di documentazione falsa e contraffatta e diversi episodi di calunnia i reati contestati a Marini che nel settembre 2010 fu arrestato per scontare 5 anni di reclusione per aver calunniato il magistrato romano che lo interrogò nel 2003.

Dal Giornale nulla, nemmeno una smentita.

 Le frasi attribuite all’estensore dell’articolo del  Der Spiegel citate da Il Giornale non sono scritte da nessuna parte, il tono dell’articolo tedesco è completamente diverso da come lo vuole far apparire Il Giornale. Inoltre, quell’articolo non appare sul settimanale, ma solo sulla versione online.

E vediamo un po’ quanto è vero che Auschwitz è stato un orrore soltanto tedesco. Perché ad esempio nell’italianissima risiera di San Sabba vennero soppresse e bruciate fra le tre e le cinquemila persone, di cui triestini, sloveni, croati, friulani, istriani e naturalmente ebrei.(http://marcotorbianelli.com/2011/04/28/sono-entrato-nella-risiera-di-san-sabba/)
E inoltre l’Italia ai tempi di Auschwitz era ALLEATA della Germania, molti italiani di religione ebrea sono finiti nei campi di concentramento grazie ad italianissimi delatori che vendevano al nemico amici e vicini di casa in cambio di quelle case che i tedeschi svuotavano durante i rastrellamenti e un po’ di soldi, grazie al “governo” italiano di allora che tanti italiani hanno sostenuto e di cui ancora oggi troppi mentecatti rimpiangono azioni e ideologie .
Qualcuno dovrebbe consigliare a quell’ ignorantone di sallusti gné gné gné di aprire un libro di Storia, e di leggerlo, soprattutto. Onde evitare di contribuire alle ormai famose e tristissime italiche figure di merda.

 

Il giorno dell’Amnesia, Marco Travaglio, 28 gennaio – Il fatto quotidiano

Ieri, per solennizzare il Giorno della Memoria, il
Giornale è uscito con un numero da collezione, per
soli amatori. Titolo di prima pagina: “Lettera ai
tedeschi. A noi Schettino a voi Aushwitz”. E
gigantografia della copertina dello Spiegel: una nave da
crociera con la scritta “Kreuzfahrt in die Katastrophe”.
Scrive Sallusti, noto germanista di madrelingua:
“…copertina sul caso Concordia e un titolo che non lascia
spazio a equivoci: Italiani mordi e fuggi letteralmente
ma traducibile come italiani codardi”. Non sappiamo chi
sia l’interprete dal tedesco di Sallusti, forse il dottor Kranz
tetesco ti Cermania. Ma il titolo di copertina dello Spiegel
non lascia spazio a equivoci: “Crociera nella catastrofe”
letteralmente, ma traducibile come “crociera nella
catastrofe ”. L’articolo anti-italiano, peraltro paradossale, è
uscito sul sito del settimanale. Ma il meglio è l’argomento
(si fa per dire) usato da zio Tibia per replicare: “È vero, noi
italiani alla Schettino abbiamo sulla coscienza una trentina
di passeggeri della nave, quelli della razza di Jan
Fleischauer (autore dell’articolo) di passeggeri ne hanno
ammazzati 6 milioni… I tedeschi li abbiamo visti nelle
nostre città obbedire agli ordini di sparare su donne e
bambini”, e “noi poverelli li abbiamo aiutati prima a
difendersi dallUrss, poi a pagare il conto dell’unificazione
delle due Germanie”. A parte le due ultime rivelazioni
sallustiane, destinate a rivoluzionare la storia dell’Europa
moderna, Tibia avrebbe potuto cavarsela con le parole
del suo padrone, che mentre era alleato con fascisti e
filonazisti, così apostrofò al Parlamento europeo il
socialista antifascista e antinazista tedesco Martin Schulz:
“Le mie tv stanno preparando una fiction sui lager nazisti:
la proporrò per il ruolo di kapò”. Nel 2008 Vauro
immortala in una vignetta la contraddizione di un
centrodestra che si dice filoisraeliano e poi candida
fascisti dichiarati come Ciarrapico e la Mussolini. Il
bersaglio è Fiamma Nirenstein, amica di Israele e
candidata del Pdl nella stessa lista del Ciarra e della Ducia.
La vignetta la raffigura con tre stemmi sul petto (quello
del Pdl; il fascio littorio e la stella di David, simbolo
d’Israele) e la scritta “Fiamma Frankenstein”, perfetta
sintesi satirica del mostro Pdl, composto da pezzi così
incompatibili. Peppino Caldarola, sul Riformista , scrive che
“Vauro disegna una vignetta sulla Nirenstein dove la
definisce sporca ebrea”. Epiteto antisemita che
Caldarola si è bellamente inventato. Vauro ovviamente
querela lui e il suo direttore Polito, i quali vengono
condannati a risarcirlo con 25 mila euro. A questo punto
poteva mancare, contro l’ineccepibile e inevitabile
sentenza, un articolo disinformato del Corriere, dunque di
Pigi Battista? Non poteva. Scrive Battista che il giudice
(antisemita pure lui?) ha sentenziato non a caso proprio
“alla vigilia della Giornata della Memoria”  non ha colto
la sottile ironia di Caldarola, che si è limitato a “criticare
satiricamente una vignetta satirica”. Ecco, dire che uno ha
scritto “sporca ebrea” quando non lha nemmeno
pensato, è satira. Anche Macaluso dà il suo contributo alla
scemenza: Caldarola mise fra virgolette la frase mai scritta
da Vauro non per attribuirgliela, ma “per sintetizzarne il
pensiero ” (un caso di telepatia). Ieri il Giornale da
collezione di Sallusti, sotto il titolo “Giorno della
Memoria. Ecco come è fatto l’antisemita di oggi”, ospita a
pagina 27 un articolo della Nirenstein, secondo cui
Caldarola è stato condannato “per aver detto la verità”.
Intanto, a pagina 13, Littorio Sgarbi difende il nazi-console
Vattani con due argomenti decisivi: Santoro ha cantato
“Bella ciao” e Giorgio Bocca da ragazzo era fascista. Come
dire: Vattani ha ragione perché oggi è sabato e mio zio ha
le emorroidi. Il fatto che “Bella ciao” sia un canto della
Resistenza, da cui è nata la Repubblica, e che c’è una lieve
differenza fra un ragazzo fascista nell’Italia del 1942 e un
console nazista nell’Italia del 2012, non sfiora neppure
l’energumeno. Ma chissà cosa pensa la Nirenstein, a
pagina 27, di Sgarbi a pagina 13, e cosa pensa Sgarbi a
pagina 13 di Sallusti a pagina 1. Potrebbero persino
scambiarsi i numeri di telefono.