Mafia: un affare di stato [il monito oscuro]

 

C’è poco da inquietarsi per le cazzate di Grillo: se lo stato ha pensato che fosse opportuno entrare in trattativa con la mafia evidentemente ha riconosciuto alla mafia non solo una morale ma perfino il diritto di residenza.

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Succede solo in Italia.

Solo in Italia il presidente della repubblica può testimoniare in un processo per mafia da diretto interessato, può chiedere e ottenere che una parte significativa della sua vita politica possa essere nascosta ai cittadini che rappresenta.
Così come andò per le intercettazioni delle telefonate con Mancino distrutte dopo qualche ora dalla sua seconda elezione, anche questa la prima della storia di questa repubblica perché il contenuto fu giudicato irrilevante ma noi non sapremo mai se è vero, anche oggi Napolitano ha potuto imporre i suoi diktat, ovvero pretendere la testimonianza occulta che gli è stata concessa nonostante e malgrado la Costituzione non preveda che un cittadino possa scegliere di mettersi in una posizione superiore a quella degli altri.
Questo paese è una farsa, quello che succede qui non potrebbe accadere in nessun altrove dove la democrazia, la legge uguale per tutti, vengono messe in pratica anche coi potenti. Anzi, soprattutto con loro.
Mi chiedo, alla luce di questa vicenda di cui molti purtroppo non percepiscono la gravità, che senso abbia parlare ancora di politica.
Un presidente della repubblica che deve testimoniare in un processo di mafia si dovrebbe dimettere quattro minuti dopo ché cinque già sono troppi.
Solo perché non lo ha fatto prima.

 

“Si conosce solo l’orario d’inizio. Le dieci di stamattina, nella sala del Bronzino nota anche come “sala oscura”, perché non ha finestre sul mondo esterno. Poi tutto quello che accadrà al piano nobile del Quirinale sarà ignoto, in una sorta di blackout di stampo nordcoreano. Persino la disposizione di persone, una quarantina, tavoli e poltrone non è ammesso sapere. Giorgio Napolitano testimonierà al “buio” sulla trattativa tra Stato e mafia. Fino all’ultimo si sono moltiplicati gli appelli per dare trasparenza all’esame davanti alla Corte d’Appello di Palermo, in trasferta eccezionale a Roma. Il più autorevole ieri sul Corriere della Sera , a firma del quirinalista di via Solferino, Marzio Breda. Sembrava così che in giornata si fosse aperto uno spiraglio, ma alle sei di sera dagli uffici del consigliere per la stampa e per la comunicazione la risposta è stata laconica: “Non sono ammessi giornalisti”. Stop. [Il Fatto Quotidiano]

«Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di potere fare se davvero ne avessi da riferire» [Napolitano scrive alla Corte d’Assise di Palermo, 25 Novembre 2013]

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In questo paese, spiace per i detrattori tout court, il problema non è Grillo che lancia la sua ennesima boutade sulla mafia ma è uno stato che con la mafia ci ha trattato per ragioni sue e che non sono – evidentemente – quelle di chi per combattere la mafia è morto né le nostre di cittadini che abbiamo il diritto di sapere quanto è stato ed è coinvolto e in che misura il presidente della repubblica di questo paese nella trattativa con la mafia tutt’altro che presunta.
Un chiarimento che non avverrà perché intorno al presidente della repubblica è stato steso un cordone protettivo, una censura intollerabile per una democrazia, qualcosa che in qualsiasi altro paese democratico nessuno avrebbe mai potuto pensare di poter fare ma in Italia sì.
Ecco perché vi prendono e ci prendono per il culo quando fanno credere che il problema sia quello che dice Grillo e non quello che ha fatto e fa lo stato.
E chi guarda con commozione e rispetto alle vittime della mafia di questo paese, quelli che Grillo è sempre brutto e cattivo dovrebbero ricordarsi che oggi, a distanza di anni, dal periodo in cui la mafia faceva saltare i palazzi e le autostrade, scioglieva i bambini nell’acido c’è un presidente del consiglio che insieme ad un amico stretto della mafia, quella montagna di merda lì, può invece rovesciare le fondamenta di questa nostra già fragilissima democrazia. E lo farà.

 

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Per chi è abituato a parlare quando nessuno glielo chiede e vieppiù quando nemmeno dovrebbe, rispetto a situazioni e contesti in cui non è richiesto il suo autorevole parere [anzi], non dovrebbe essere difficile rispondere a una ventina di domande su qualcosa che invece lo riguarda eccome e che conosce bene.
Mai vista, ma soprattutto sentita già dalla voce tanta servile deferenza da parte dei giornalisti costretti a dire, per dare il minimo sindacale delle notizie, che oggi Napolitano dovrà rispondere ai magistrati di Palermo quale teste nel processo sulla trattativa stato mafia; magistrati dei quali è il capo supremo e quindi da lui sarebbe stato naturale aspettarsi un atteggiamento non ostile ma rispettoso di quello che la magistratura rappresenta, Napolitano dovrebbe essere l’esempio per tutti e la risposta a chi per decenni ha insultato la magistratura colpevole di fare quello che fanno i giudici in tutti i paesi civili: processare imputati accusati di reati e assolverli o condannarli sulla base dell’evidenza delle prove.
In questo paese c’è un sacco di gente nei settori che contano, soprattutto quello dell’informazione, ben disposta ma soprattutto predisposta naturalmente ad inchinarsi al potente e a fare in modo che non abbia di che preoccuparsi di nulla, gente che anticipa gesti di servilismo non richiesto, gente che rispetto a quello che accadrà oggi ne ha dette di ogni, inventandosele anche, per convincere gli italiani che non è normale che s’interroghi il presidente della repubblica in un processo di mafia, mentre l’anormalità è esattamente il contrario, ovvero non è normale che possa diventare presidente della repubblica un personaggio che ha dei trascorsi di coinvolgimento tale da rendere necessaria la sua testimonianza in un processo di mafia. Un evento mai successo prima nella storia di questo paese.

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Oggi è ancora più chiaro che gli investitori stranieri rinunciano all’Italia quale partner economico perché c’è l’articolo 18 e perché scioperano gli assistenti di volo per fare un dispetto al cretinetti amico del bugiardo seriale.
Non lo fanno mica perché questo era, è e resterà a dispetto di chiunque andrà al potere il paese zimbello del mondo. Credevate che fosse finita con berlusconi eh? Io però l’avevo detto, perché berlusconi continua a non essere la causa ma la conseguenza della mancanza di una netta presa di posizione dello stato contro le organizzazioni mafiose. Chi in questo paese  ha provato a combattere la mafia sul serio è morto ammazzato dalla mafia dopo essere stato abbandonato, lasciato solo da quello stato che avrebbe dovuto garantire e tutelare i veri servitori dello stato, non trattare con l’antistato. La solitudine è uno dei temi ricorrenti di tante affermazioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Nino Di Matteo e Roberto Scarpinato per fortuna nostra e loro ancora vivi sono stati abbandonati dallo stato nonostante le ripetute minacce da parte della mafia e, nel caso di Scarpinato anche da pezzi dello stato corrotti. I Magistrati antimafia di questo paese accerchiati e impediti non solo dalle organizzazioni criminali che contrastano ma anche dallo stato che dovrebbe agevolarli nel lavoro ma non lo fa perché evidentemente non può. Il perché non può è scritto a chiare lettere anche nelle attività pubbliche che hanno a che fare con lo stato. Domenica sera Milena Gabanelli in un’altra puntata di Report da far studiare ai ragazzini a scuola ci ha raccontato che sono mafia, corruzione e criminalità tutte quelle cose che vengono ammantate con la definizione di grandi opere, mentre altro non sono che il furto reiterato e perpetuato dallo stato ai danni dei cittadini che non hanno bisogno di opere grandi ma delle necessità quotidiane che vengono negate, perché le risorse che uno stato serio dovrebbe investire a favore delle esigenze e dei bisogni del paese vengono invece canalizzate in quell’altrove che poi si traduce nei rapporti fra le istituzioni che rappresentano il paese con la malavita ordinaria, quella che ha, evidentemente, mezzi e strumenti per tenere sotto ricatto quei rappresentanti dello stato che peraltro non oppongono mai resistenza: s’offrono. Ed ecco che la mafia non fa più saltare autostrade e palazzi perché non è più necessario, perché c’è chi garantisce anche alla mafia la possibilità di continuare ad essere in una tranquilla convivenza, quella che auspicava Lunardi l’ex ministro di un governo di berlusconi: l’amico di dell’utri e di mangano, persone non vicine alla mafia ma proprio dentro la mafia.

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Nota a margine: Se ci fosse un giornalismo degno in questo paese si eviterebbero anche un mucchio di polemiche inutili, perché le persone si fiderebbero di quello che leggono sui giornali e di ciò che viene riportato dai telegiornali.
Io non sono pagata per scrivere quello che vedo e le relative opinioni su quello che accade, chi si esprime da una radio, dalle televisioni e sui giornali sì: viene pagato non per raccontare cose, perlopiù balle, menzogne e falsità basandosi sulle sue simpatie ma su quello che realmente le persone dicono e fanno.
Per fare chiarezza e perché la gente capisca e possa poi costruirsi un’opinione il più possibile vicina alla realtà, non per armare casini e polemiche di cui si parlerà giorni e giorni ovunque: per radio, in televisione, sui giornali e che trasformano i social nella consueta arena da derby.
Questo piccolo preambolo solo per dire che servi non si nasce, lo si diventa, ma volendo si può anche decidere di smettere: come con l’alcool, il fumo e tutte le dipendenze che rischiano di avere poi delle ricadute sulla collettività, come la propaganda oscena che molti fanno dai canali che hanno a disposizione.
La propaganda è un male sociale, un danno collettivo e sarebbe l’ora e anche il caso che un certo giornalismo abituato a servire i vari padroni pensi ad un modo onesto per guadagnarsi lo stipendio facendo quello che fa normalmente il giornalismo nei paesi semplicemente normali; mettersi al servizio dei cittadini, non del padroncino di turno.

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Al cittadino non far sapere – Marco Travaglio, 28 ottobre

L’altro giorno anche i giornali italiani hanno celebrato Ben Bradlee, il leggendario direttore del Washington Post scomparso a 93 anni che era entrato nella storia del giornalismo e della politica pubblicando i Pentagon Papers sulla sporca guerra in Vietnam e poi l’inchiesta di Bernstein & Woodward che scoperchiò lo scandalo Watergate e abbatté il presidente Nixon, sempre in barba alla ragion di Stato e in nome della ragion di cronaca. Sono gli stessi giornali che da due anni tacciono su uno scandalo che fa impallidire il Watergate e riguarda non la Casa Bianca, ma il Quirinale a proposito della trattativa fra lo Stato e la mafia. Hanno nascosto il ruolo di Giorgio Napolitano nelle manovre del consigliere D’Ambrosio per sottrarre l’inchiesta alla Procura di Palermo. Hanno ribaltato la verità, trasformando i pm da vittime in aggressori del Colle.

Hanno chiesto a gran voce la distruzione delle telefonate Napolitano-Mancino, onde evitare il rischio di inciampare in una notizia e di doverla pubblicare. Hanno sorvolato sulla vergogna di uno Stato che, tramite i suoi massimi rappresentanti, non ha mai solidarizzato con i pm condannati a morte da Riina, depistati e minacciati con pizzini e strane visite in case e uffici da uomini di servizi e apparati (deviati, si fa per dire). Si sono arrampicati sugli specchi per sostenere l’insostenibile esclusione degli imputati dall’udienza al Quirinale per la testimonianza di Napolitano dinanzi alla Corte d’Assise, ai pm e ai legali degli imputati. E ora non dicono una parola sull’ultima vergogna: il divieto di accesso e di ascolto in quell’udienza imposto dal Quirinale alla stampa (cioè ai cittadini).   Solo il Corriere e solo ieri è intervenuto per chiedere che i giornalisti possano assistere alla scena, mai accaduta prima, di un capo dello Stato italiano sentito come teste in un processo di mafia. Una richiesta di trasparenza condivisibile, ma supportata da motivazioni assurde: “conviene alla massima istituzione del Paese” per evitare “interpretazioni strumentali, illazioni fuorvianti, inquinamenti della realtà, suggeriti da una campagna culminata nella morte per infarto di D’Ambrosio e in una sfida tra poteri… in grado di ledere il prestigio e l’autorevolezza del supremo organo costituzionale”. Cioè: la stampa dev’essere presente non per informare i cittadini di ciò che dirà o non dirà il Presidente sulla pagina più nera della storia recente, ma per salvargli la faccia dalla “spettacolarizzazione del processo” (che peraltro, per legge, sarebbe pubblico), da “letture manipolate e virali” dei “professionisti della controinformazione a caccia di scandali, a costo di inventarli”. Come se ci fosse bisogno di inventarli, gli scandali. Come se la stampa più serva del mondo (in fondo alle classifiche della libertà d’informazione) si divertisse a mettere in cattiva luce il Presidente (ma quando mai). Come se il compito dei giornali fosse di surrogare l’ufficio stampa del Colle.   Naturalmente il Corriere ce l’ha col Fatto, che ha il brutto vizio di scrivere quello che gli altri occultano e financo “accostare la testimonianza del presidente perfino al caso Clinton-Lewinsky”. Già: il paragone è azzardato. Infatti Clinton doveva rispondere dei suoi rapporti orali con una stagista, non degli “indicibili accordi” fra Stato e mafia (orali e scritti in un papello) che il suo consigliere afferma di aver confidato a Napolitano. Il video dell’interrogatorio di Clinton dinanzi al procuratore Starr fece il giro del mondo, su tutte le tv e i siti Internet, e qualche miliardo di persone poté farsi un’idea della sincerità del presidente Usa da ogni smorfia e piega del suo volto. Invece la deposizione di Napolitano non la vedrà nessuno, perché non sarà neppure filmata. Far notare questo sconcio, per il Corriere, è roba da “quarto potere che gioca sul vittimismo” e “deraglia dalle regole base della deontologia”. Chissà come avrebbe reagito il vecchio Ben Bradlee se i nostri maestrini di deontologia gli avessero spiegato il giornalismo come manutenzione al monumento equestre di un presidente.

 

 

 

 

Se fosse…[un paese normale]

Sottotitolo: l’altro giorno sfogliavo una copia di Repubblica trovata sul tavolino del bar della spiaggia. Pensavo che in redazione avessero perso il vizio di fare domande, e invece la domanda c’è, riguarda Formigoni e la richiesta di chiarimento circa le sue vacanze all’insaputa, come se nel frattempo non fosse successo nulla; ad esempio un presidente della repubblica che facendosi scudo del suo ruolo apre uno scontro senza precedenti con la Magistratura.
Si dice che la verità renda liberi, in un paese sano questa libertà ha molto a che fare con un’informazione altrettanto sana.
Appunto.

 

Ho sempre pensato che il finanziamento pubblico ai giornali fosse una garanzia di libertà. 
Che finanziare cartaccia come Libero, Il giornale, Il foglio del molto intelligente ma soprattutto molto e basta ferrara servisse ad avere la possibilità di poter leggere anche altro, che finanziare diffamatori, calunniatori per mestiere come feltri, belpietro, sallusti e compagnia pessima mi avrebbe garantito di poter leggere chi non diffama, non insulta, non racconta balle, non china la testa davanti al potente e al pre-potente.

Ma in questo ultimo periodo ho dovuto cambiare idea. 

Perché mi ero abituata all’idea che dei servi potessero fare solo quello per cui sono pagati; gli altri, quelli che servi non erano fino a che il centro della scena politica era occupato da un malfattore delinquente assurto al potere grazie alla collaborazione di chi avrebbe dovuto impedirlo in qualsiasi modo e che invece lo ha agevolato rendendogli tutto facile e possibile, avrebbero dovuto continuare a fare altro e cioè INFORMARE. 

E invece questo non succede più; da quando c’è Monti ma soprattutto da quando lo stato – dunque Giorgio Napolitano – ha aperto lo scontro con la Magistratura siciliana non c’è più distinzione fra l’informazione che informava e quella che si mette a disposizione del potere. 

Difendere il prestigio delle istituzioni, semmai si possa ancora parlare in questi termini di quelle italiane non significa mentire, tacere, negare, e non si può chiedere ai cittadini, quelli che pagano, di rendersi complici di questo immondo modo di “fare informazione”.

Io non voglio più contribuire, coi miei soldi, ad armare i sabotatori della verità.

 

Trattativa Stato-mafia, ecco tutte le firme di chi sta con la procura di Palermo

La petizione del Fatto Quotidiano a favore della procura di Palermo raccoglie sempre più adesioni A chiedere la fine dell’accerchiamento dei magistrati anche nomi della cultura e dello spettacolo.

 

I have a dream

 Marco Travaglio, 12 agosto

Il Presidente Napolitano è ripartito da Stromboli ed è tornato a Roma. “Parto — ha tenuto a sottolineare con certosina precisione in un imperdibile colloquio con l’Unità — dopo un soggiorno di poco più di otto giorni, più o meno come lo scorso anno”. Fissata con esattezza la durata della vacanza, restano da chiarire due punti. 
1) La sorte del cinghialotto e dell’upupa avvistati da Scalfari nella tenuta di Castelporziano durante la precedente intervista. 
2) L’esatto stato d’animo del Capo dello Stato: la solerte intervistatrice lo descrive basculante fra il “piacere” per la “schiarita nei rapporti tra il governo e le forze politiche che lo sostengono” e l'”inquietudine” per il “non vedere ancora vicine ad un approdo le discussioni che procedono attraverso continui alti e bassi su una nuova legge elettorale, mentre rimane ancora bloccato il progetto di sia pure delimitate modifiche costituzionali che era stato concordato prima di un’improvvisa virata sul tema così divisivo di un improvvisato cambiamento in senso presidenzialistico della Costituzione”. Almeno è certo che il Presidente gode di un poderoso apparato respiratorio, se riesce a pronunciare frasi di questa portata senza prender fiato. Roba da far invidia al bambino che “gli porge una foto e si rammarica” perché l’autografo presidenziale “fatto con la biro l’anno scorso s’è scolorito” (King George aveva finito l’inchiostro sulle leggi di B.) e — fortunello — “se ne guadagna così subito un altro”. Per carità di patria, l’Unità non lo sfrucuglia sull’altra ossessione: l’inchiesta sulla trattativa e la Mancino chat line. A quella provvedono i tweet clandestini del portavoce Cascella; le azioni disciplinari dell’apposito Pg della Cassazione contro i pm che osano parlare; e i vicemoniti del vicepresidente del Csm, Vietti contro il consigliere Racanelli, reo di aver dato ragione alla Procura di Palermo (azione disciplinare anche per lui? Pubblica gogna per lesa maestà? Si attendono lumi). Insomma, un’estate di inferno: fortuna che è l’ultima, da presidente. E dire che filerebbe tutto liscio, se solo Napolitano desse una ripassata alla Costituzione a proposito dei suoi poteri, evitando di impicciarsi in affari che non lo riguardano. Tipo le inchieste giudiziarie. O le “sia pure delimitate modifiche costituzionali” (non dovrebbe trasmettere la Costituzione intatta al successore, come diceva il suo sia pure ignaro maestro Einaudi?). O la legge elettorale, che è di squisita competenza parlamentare. Invece no, s’è messo in testa di dover (e soprattutto di poter) fare tutto lui. “Rientrando a Roma — minaccia — seguirò più da vicino il processo che dovrebbe portare all’attuazione dell’impegno ormai inderogabile di non tornare alle urne con la legge elettorale del 2005”. Ora, non saremo certo noi a difendere il Porcellum: tant’è che avevamo sostenuto il referendum Parisi-Segni-Di Pietro per tornare al Mattarellum. Ma, grazie anche alla moral dissuasion del Colle, la Consulta lo bocciò, cestinando 1 milione 200mila firme tra gli osanna del Palazzo tutto: “La legge elettorale spetta al Parlamento”. Era il 12 gennaio. È forse cambiato qualcosa? Il boom di 5 Stelle: lui sul momento disse di non averlo udito, ma poi con calma glielo spiegarono. Da allora, ogni notte, si sveglia di soprassalto e lancia un urlo: “Aaaarghhhh!”. Donna Clio, consiglieri, corazzieri, monitatori e trombettieri accorrono al capezzale: “Che è stato, Presidente? Il solito incubo dello spread?”. “No, no”. “L’euro?”. “Macché”. “Ancora la voce di Mancino?”. “Ma va, mica chiama più, quello. Ho di nuovo sognato quel tipo grassoccio, barba e capelli grigi, che si presenta nel mio ufficio in giacca e cravatta ridendo come un pazzo, mi grida all’orecchio ‘Presidenteeeee? Boom!’, poi dice che ha vinto le elezioni e che devo incaricarlo di formare il nuovo governo. Ditemi che non succederà mai”. “Ma no, Presidente, torni a riposare, vedrà che passa anche stavolta. Lo dicono i tweet di Cascella. 
L’upupa e il cinghialotto confermano”.

Se fosse un paese normale, non sarebbe l’Italia

Poi, alla fine, tutti concordi a dire: “L’Italia non è un paese normale.” Anche io, colpevole, l’ho scritto più volte, e ora scopro di essere stata vittima della stessa formuletta ripetuta fino alla nausea, proprio come un mantra.

 

Insomma, è diventato normale, che l’Italia non sia un paese normale, al punto che nemmeno ridiamo delle cose che dovrebbero far ridere o ci indigniamo per quei fatti che dovrebbero destare la nostra indignazione. Allora, siccome non siamo più normali, ma normalizzati, tutti giù a ridere perché quella strana cosa della santanchè, promette per Ottobre, un milione di persone in piazza per “silvio”.

 

Che c’è da ridere? A mio avviso proprio nulla. Non è strano, non è nemmeno impensabile che l’operazione possa andare a buon termine. Portare e deportare un milione di persone in piazza, oggi, non è difficile: ci riuscirono con 30 euro un panino e una bibita, oggi potrebbero anche abbassare il prezzo, e al posto della bibita dare solo una bottiglietta d’acqua scadente. La gente ci andrebbe, aggiungendovi la speranza di poter vedere da vicino, una di quelle facce che così tante volte hanno visto in televisione. Non importa che piaccia o no, l’importante è la foto scattata col cellulare o poter dire: “Io c’ero. L’ho visto! Ammazza oh! Fa davvero schifo da vivo. E poi mi hanno dato anche venti euro.” Per le deportazioni, sappiamo come funziona: basta una casa di riposo di proprietà di un connivente e qualche pullman con l’aria condizionata. Forse la promessa di una bella gita o di un premio al termine della giornata. Così capita già.

 

Peccato davvero che l’Italia ormai sia un paese anormale, questo ci ha fatto perdere l’occasione di una sonora risata, una di quelle gratis, che riempie tutta la bocca. C’era ben altro nelle dichiarazioni di quella vecchia cosa lurida, ossia il veto, per Passera, di ricoprire in futuro la carica di Primo ministro. Un sacrosanto divieto dato dall’etica e dalla morale: “Passera – dice la zoccola – è un evasore fiscale.” (Mi asciugo le lacrime, che per fortuna ancora riesco a ridere)

Se l’Italia non fosse stata così tanto normale nella sua anormalità, il giornalista sarebbe saltato sulla sedia: “Ma come? È come se domani, maroni dicesse che borghezio non può essere ministro perché è un razzista. O come se domani un vescovo dicesse che molestare un bambino è reato, oltre che mero peccato. È come se dell’utri si opponesse alla candidatura di cosentino, perché o’americano è vicino al clan dei casalesi …”

 

Invece no … tutti preoccupati per un milione di morti di fame che venderebbero le proprie figlie per un pieno di benzina. Della dignità e dell’intelligenza, noi ce ne fottiamo.

 

Perché l’Italia non è un paese normale, e se lo fosse non sarebbe l’Italia.

 

Rita Pani (APOLIDE)

 

Partigiani della Verità

Aderisco all’appello del Fatto Quotidiano in difesa e a sostegno dei Magistrati di Palermo; stupita mi chiedo da giorni e giorni come mai quei giornali [e giornalisti] solitamente così esigenti e ciarlieri in materia di verità quando si trattava delle storiacce del satrapo pervertito, sempre pronti a fare domande, a reiterarle, a confezionare dossier, ad organizzare campagne a favore della trasparenza, uno in particolare, La Repubblica, con tanto di post-it di supporto abbiano scelto invece una diversa linea editoriale non ritenendo evidentemente grave un attacco – senza precedenti – dello stato verso i suoi funzionari più esposti. 
Quale “ragion di stato” può e deve giustificare l’azione di un presidente della repubblica che in molte, troppe altre occasioni non ha dimostrato la stessa fermezza. 
Chi e cosa si deve a tutti i costi proteggere e quale verità si sta tentando in tutti i modi di riporre nell’ormai immenso armadio delle vergogne italiane.

 

Zero tituli

Il regime dei Cinque dell’Apocalisse (Quirinale, Avvocatura dello Stato, Procura della Cassazione, Csm e Governo) che assedia la Procura di Palermo può ritenersi soddisfatto. La notizia anticipata dal Fatto sul procedimento disciplinare contro i pm Messineo e Di Matteo, rei del terribile delitto di intervista, ha raccolto l’audience mediatica auspicata: omertà assoluta di politici, giornali e tg. Fa eccezione il Foglio che, per quanto clandestino, fa il suo sporco mestiere: plaude al Pg della Cassazione e lo esorta a radere al suolo la Procura, “luogo di mille abusi”, anche con processi penali per “violazione del segreto istruttorio”.

Pazienza se il segreto istruttorio è stato abrogato nel 1989 e se per le toghe – lo dimostreremo domani – rilasciare interviste non è illecito disciplinare, ergo l’unico “abuso” è proprio il procedimento disciplinare contro Messineo e Di Matteo. Quanto agli altri quotidiani – direbbe José Mourinho–, “zero tituli”. Compresi il Giornale e Libero che forse, per la prima volta nella storia, provano un filo d’imbarazzo. Ma anche Repubblica, sempre in prima linea a protestare quando i governi B. promuovevano od ottenevano azioni disciplinari contro i pm più impegnati (nelle indagini su B. & his band).

Munendosi di microscopio elettronico, si rinvengono su Repubblica alcune righe riservate alla notizia, pudicamente nascoste in fondo a un articolo dedicato a tutt’altro dal titolo “Caso Mancino-Quirinale, no alla legge ad hoc”, per evitare che qualcuno le noti. Problemi di spazio, probabilmente, in una giornata dominata da notizione come il pensiero di Brunetta su Monti, “Porcellum, la battaglia solitaria del soldato Giachetti”, “L’Italia dei borghi a 5 stelle”. Sul Corriere, neanche tre righe camuffate dietro la siepe: in compenso, ampio spazio al pensiero di Follini, alla gigantografia della famiglia reale Giorgio & Clio sulla sdraio a Stromboli, agli alti lai del nuovo Pellico, il ciellinoSimone detenuto per corruzione dunque “prigioniero della politica e dei magistrati”.

Seguono le polemiche sullo spot agreste di Aldo, Giovanni e Giacomo e gli scoop del giorno: “La collanina del primo amore” dello scrittore Buzzi, “Il gossip non è più quello di una volta”, “Gli ultimi ciak dei Soliti idioti” e la “caccia ai polpi di Ponza”. Roba forte, altro che la caccia ai pm della trattativa. Non manca, sul Corriere, il diario di un cane che risponde all’angosciante interrogativo: “Perché nascondono sempre il mio osso?”. E non è mica l’unico cane a scrivere sui giornali. La Stampa regala un paginone su “le vacanze misurate degli onorevoli”, poi s’avvicina pericolosamente alla trattativa: “Tanti indagati, poche condanne”. Allusione a Stato e mafia? No, ai finti ciechi, vera emergenza nazionale. E volete mettere, poi, la ricomparsa del “maschio alfa fra i lupi dei Monti Sibillini”? Si dirà: almeno l’Unità, con la sua centenaria tradizione antimafia, gliene dirà quattro a chi vuol fermare i pm. Invece no. Siccome non c’è peggior Sardo di chi non vuol sentire, c’è ben altro in menu: “Bersani: i progressisti non si chiudono nell’autosufficienza”, “Sui valori della Carta d’intenti si può ricostruire la politica”, “Geografie dell’utopia” (ma anche, volendo, utopie della geografia) e l’imprescindibile “Elogio del ‘non so’”. Più che un titolo, un piano editoriale.

da Il Fatto Quotidiano del 9 agosto 2012