Di empatia, etica, coscienze, “risvegli” ma soprattutto di banalizzazione del dolore altrui

A proposito di Aylan, tre anni, il bimbo morto col fratellino Galip di cinque in Turchia la cui immagine ha fatto il giro del mondo. Io ho scelto di non pubblicarla qui né di condividerla sulle mie pagine social: ognuno ha la sua linea editoriale.

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Impubblicabile

Sottotitolo: “nell’era social ognuno di noi è media, e ognuno di noi si prende la responsabilità dei contenuti che pubblica. Per la maggior parte chi ha condiviso, almeno dal mio punto di osservazione, ha scelto di farlo perché “il mondo deve sapere”, senza che alcuna informazione approfondita o meno accompagnasse quelle immagini. Chi è quel bimbo, da cosa sta fuggendo, cosa sta succedendo in Siria? Perché decido di “imporre” quell’immagine ai miei contatti? Non so onestamente, quanti di quelli che hanno pubblicato o condiviso conoscano le risposte, si siano posti dubbi prima di usare il tasto “pubblica” o “condividi”. Sui miei spazi ho deciso di non condividere. Avrei voluto scegliere se vedere o meno. Non mi è stato possibile. Alcuni dei miei contatti hanno deciso che era loro missione “risvegliare” la mia coscienza.
Quei contatti li ho oscurati, da oggi non vedrò più i loro contenuti su Facebook o su Twitter”. [Arianna Ciccone – Valigia Blu ]

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Da qualche parte ho letto che chi non ha cervello non ha nemmeno cuore. Gli altri, chi ha i due organi perfettamente funzionanti si abituano, questo mostrare di continuo la violenza produce assuefazione, nessuno si sofferma più di un secondo sulle immagini di corpi straziati, malnutriti, molti le evitano di proposito. Come scrivevo giorni fa altrove una società tollerante, comprensiva ha bisogno di serenità, e finché saremo qui tutti quanti a doverci confrontare con difficoltà di tutti i tipi dovute alla stessa politica sciagurata che non si attiva per evitare che migliaia di persone muoiano per salvarsi la vita è perfettamente inutile sollecitare delle reazioni in modo violento da parte dei media, spesso gli stessi che tacciono su altre questioni.

In queste ore migliaia di italiane e italiani non sanno che sarà della loro vita fra meno di due settimane, gente costretta a spostarsi di centinaia di chilometri per andare a lavorare abbandonando casa, famiglia, figli, non penso che sia giusto caricare di ulteriori angosce e di colpevolizzare ingiustamente chi già vive in situazioni di disagio, povertà, mancanza di lavoro, del necessario per sopravvivere, chi è malato, sofferente:  specialmente in periodi di crisi ognuno è vittima di una guerra.

Noi non abbiamo nessuna possibilità di interrompere la spirale della morte collegata ai conflitti del mondo, possiamo stare qua tutto il giorno davanti a un monitor e piangere guardando  foto ma niente cambierà, perché chi potrebbe cambiare le cose non lo farà: nessun potere del mondo rinuncerà alla sua quota di morte che si trasforma in profitti economici, questo è, che si sia coscienti o meno. E prima lo capiamo tutti meglio è. 

Se l’obiettivo, il fine di queste continue sollecitazioni violente, non richieste, è costruire una società mondiale fatta di cattivi che edificano il male perché si traduce in soldi,  potere e di gente confusa che non capisce più perché viene accusata ogni giorno e ovunque di cose che non ha fatto né contribuito a fare e nella quale il potere del mondo può agire come gli pare bisognerebbe rivedere la strategia. La diffusione del male, della violenza, dell’orrore  non  aiuta e non risolve. 

Ci si abitua a tutto: anche all’orrore.

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L’etica della condivisione nell’era dei social

Il rischio di banalizzare l’orrore con la tendenza alla pubblicazione dei contenuti ‘forti’ esiste. E dovremmo quanto meno esserne consapevoli. Nel caso della tragedia al largo della Turchia ci sono differenze tra la condivisione sui social e la pubblicazione o meno delle immagini da parte dei media.

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Empatia significa anche pensare che qui in Rete non siamo soli, non siamo a casa nostra, fra persone che ci conoscono e che conosciamo, quando  la parola è supportata dalla gestualità, gli sguardi,  quando si può insistere finché non c’è un chiarimento e la comprensione.

Imporre la visione di un’immagine che non abbiamo cercato espressamente perché magari volevamo guardarla da soli senza trasformarla nel soggetto da condivisione e likes  da social è violenza, è impedire agli altri di decidere SE la vogliono vedere, quindi anche una privazione della propria libertà personale, non tutti siamo qui a per farci risvegliare le coscienze.
La maggior parte di noi è arrivata già sveglia, non ha bisogno del tutor che le dica cosa deve guardare per capire.
I social non sono entità astratte, li facciamo noi ogni giorno con quello che scegliamo di scrivere e condividere: regolarsi, specialmente davanti ai drammi, alle tragedie, evitare di imporre ad altri la visione di quello che magari preferiscono guardare privatamente, senza coinvolgere centinaia, migliaia di persone sarebbe solo una bella forma di rispetto che non guasta nemmeno qui.
Come scrive benissimo un amico su facebook: chi ha comprato il Manifesto è, presumibilmente, un lettore del Manifesto e non credo debba essere scosso o convinto di qualcosa, chi non è lettore ne sarà con ogni probabilità un detrattore e, con ogni probabilità, dirà: “guarda questi che speculano eccetera (valutazione sulla quale non concordo, è una libera scelta editoriale)”.
Il bambino rimane lì e genera più retorica di mamma e papà che altro.

Non ho mai cancellato né oscurato nessuno dalle mie pagine web per il contenuto di ciò che pubblicava, a meno che non fosse manifestamente contrario ai miei principi o esageratamente offensivo e, siccome a molti piace tanto la canzonetta del “siamo tutti”  sarebbe il caso di iniziare a canticchiarla anche rispetto a ciò che si scrive e si pubblica nelle proprie pagine, bacheche dei social, blog eccetera.

La foto del bimbo morto sulla spiaggia in Turchia andava portata al vaticano, dai rabbini, agli imam, ai capi di stato e di governo del mondo che scatenano, appoggiano e finanziano tutti i conflitti sull’orbe terracqueo, ai fabbricanti di armi, anche italiani, che continuano a vendere morte nel sud del pianeta e a fare profitto su donne, uomini, bambini morti nelle guerre o perché scappano dalle guerre, non usata per far sentire in colpa chi con quelle morti non c’entra e magari per vendere qualche copia in più di un giornale.

Non è il posto che fa la gente, è sempre stato il contrario

In fin dei conti i social ricreano in chiave moderna quella che era l’arena di un tempo, il luogo in cui si decideva l’innocenza e la colpevolezza delle persone per mezzo di un gesto molto simile al like di facebook.
Io trovo perfettamente inutile spostare il problema come sempre sullo strumento web, è pieno di casi antecedenti ad internet che si possono paragonare a quello che avviene qui.
Serial killer, assassini di genitori e fratelli che ricevono lettere da ammiratori e ammiratrici, Charles Manson ora ottantenne, più di mezza vita passata in un carcere, satanista, regista e attore fra gli altri dell’omicidio di una donna incinta convolerà a giuste nozze con una ventiseienne che lo ritiene innocente, una vittima.
Pietro Maso, che tolse di mezzo i genitori ha un vero e proprio fan club come pure Angelo Izzo, uno dei responsabili della strage del Circeo, anche lui felicemente coniugato in galera dopo aver commesso altri due omicidi nel paese che un’altra possibilità l’ha sempre data a tutti meno a chi la merita.
L’infermiera di Lugo di Romagna accusata di aver ucciso 38 pazienti riceve regolarmente lettere da ammiratori e ammiratrici in carcere.
Raffaele Sollecito e Amanda Knox hanno ricevuto proposte di matrimonio quando erano in carcere.
Quindi non c’è da interrogarsi sul perché uno che ammazza la sua ex moglie, la madre di sua figlia riceva consensi tramite il web per il gesto criminale, c’è da chiedersi piuttosto come mai ci sia tanta gente incapace di condannare la violenza, di trovare anzi una giustificazione all’atto criminale di sopprimere una o più vite.
Ho letto ieri coi miei occhi in una bacheca di un’ amica un uomo che, relativamente ai problemi di coppia ha scritto: “ci sono situazioni in cui un vaffanculo non basta”. Quindi significa che si legittima il passo successivo, se il vaffanculo non basta ci vuole lo schiaffone, e se non basta nemmeno quello che si fa?
Quante volte di fronte alla violenza, allo stupro ci troviamo di fronte al fatidico “bèh, un po’ se l’è cercata”, perché magari la vittima si veste in un certo modo, ha un fare disinvolto, oppure esce la sera, il che per certi cervelli bacati implica automaticamente dover rischiare la propria incolumità o, peggio ancora, si considerano atteggiamenti che meritano la punizione.
E quando come prima reazione non c’è la condanna ferma e senza ma alla violenza ma si preferisce girare intorno al dramma cercando una motivazione significa che non è la Rete che facilita l’espressione volgare, becera, razzista, violenta ma che tutte queste cose sono dentro chi le manifesta poi col commento e l’apprezzamento. Significa che non dobbiamo considerare nemico il social ma, come sempre, chi lo fa.
Quella stessa gente che poi ci ritroviamo ovunque nella nostra vita quotidiana, non nasce e muore qui dentro.

Quello che è accaduto ieri è solo la conseguenza della fallimentare teoria del “lasciamoli parlare così la gente capisce con chi ha a che fare” da cui si trae ispirazione quando s’invitano nelle pubbliche ribalte persone di cui si conosce esattamente il pensiero. Quando si chiede a giovanardi il parere sugli omosessuali e gli ammazzati di stato o alla santanché sull’Islam. O a salvini sull’immigrazione. Questa perversione di continuare a far esprimere, col solo scopo di aizzare le folle e alzare lo share da radio, tv, social media gente che veicola il pensiero discriminatorio, razzista, violento e che poi viene ripreso e rilanciato da migliaia di imbecilli, le folle, che sanno di poterlo fare perché dopo non succede niente.  I fomentatori della violenza sono i programmi come Piazza Pulita dove si trattano temi delicati e verso i quali servirebbe un grande equilibrio ma che invece si fanno commentare a chi soffia sul fuoco dell’intolleranza violenta. Se un demerito il web ce l’ha consiste nella libertà che offre a tutti di potersi esprimere in tutti i modi,  la possibilità che invece andrebbe un po’ meritata di rendere pubblico quello che un tempo si condivideva in un contesto ristretto, la famiglia, gli amici. La chiacchiera da bar estesa al dibattito, trasformata poi in argomento del quale si parlerà sine die. Cose di una banalità disarmante, tipo di post di Selvaggia Lucarelli che trovano migliaia di adesioni, condivisioni pur non aggiungendo una virgola alla cultura, all’informazione. La Rete una responsabilità ce l’ha in quanto tutti hanno libero accesso alla diffusione dei propri pensieri il più delle volte senza il passaggio essenziale nel filtro della riflessione proprio perché a costo e rischio zero, una volta questo era un’esclusiva di scrittori, giornalisti, gente comunque con un grado di cultura elevato, oggi no. Tutti opinion makers della qualunque. Tutta gente poi che pretende che ogni sua scemenza si possa inserire nella cosiddetta libertà di espressione/opinione sul cui altare viene spesso sacrificata invece la semplice decenza: istigare alle violenze è un reato, non è un’opinione.
Così come non sono opinioni le apologie di razzismo e fascismo.
Quando si capirà questa semplicissima cosa sarà un gran bel giorno.

Ieri si è riproposto lo stesso teatrino del servizio di Chi sulla Madia che mangiava un gelato, un episodio da confinare nell’indifferenza totale che invece è stato oggetto di giorni e giorni di dibattiti,  naturalmente “serissimi”  di tutti quelli che per denunciare uno squallore l’hanno rilanciato migliaia di volte. Un po’ come combattere le volgarità col turpiloquio.

Questo paese è pieno di deficienti, di gente che ha scelto di vivere nella sua ignoranza in cui coinvolge poi tutti gli altri, quelli che s’impegnano a capire,   anche per mezzo delle sue scelte elettorali;  chi ha  cliccato il like all’assassino poi va a votare come anche chi si augura la riapertura dei campi di sterminio per i Rom, l’Italia è profondamente diseducativa per i figli che stanno crescendo adesso.
Non sono solo i crimini il pericolo, la politica disonesta, ma è tutta quella gente che non sa articolare uno straccio di pensiero che sia pulito, anche semplice, non necessariamente di uno spessore culturale elevato ma almeno privo della malvagità ignorante che ogni giorno siamo costretti a leggere qui dentro.
Perché questa non è la Rete, è la vita quotidiana di tutti noi che gente così inquina e avvelena con la sua ignoranza criminale. I complimenti all’assassino sono solo l’ultima conferma di una deriva culturale e sociale difficilmente recuperabile.

IL FEMMINICIDIO SU FACEBOOK E LA DERIVA DEL “MI PIACE” – Gabriele Romagnoli 

Come la caduta di un albero nella foresta aveva necessità di una ripresa televisiva per essere reale, così un femminicidio ha bisogno di un contorno social per fare (ancora) notizia? I like all’annuncio del delitto da parte dell’ennesimo ex marito incapace di rassegnarsi sono altrettante e ulteriori coltellate o soltanto quel nulla in più che però rende il tutto nuovamente scabroso e inaccettabile?

L’assassino, Cosimo Pagnani, anni 32, della provincia di Salerno, non risponde né a queste né ad altre domande. Arrestato, tace. Ferito, non a morte. Da se stesso, in tutti i possibili sensi. La sua è una storia che si ripete, con un’appendice neppure troppo sorprendente. Gli elementi di realtà sono scarni e consueti: un uomo e una donna si incontrano, si amano e si sposano, hanno una figlia, la passione finisce, a uno dei due quel che resta non basta, si separano, lui non lo accetta (accade anche il contrario, ma le Medea sono una contro dieci), quando lei trova un altro il risentimento esplode, dalle recriminazioni si passa alle minacce, dalle urla ai colpi di qualche arma. A rendere particolare la vicenda è il suo svolgersi, parallelamente, nel mondo di Facebook: è lì che tutto si deposita, lascia tracce, monta. Lì adesso inquirenti e media ricostruiscono personalità dell’omicida, escalation della battaglia tra lui e l’ex moglie, modalità del delitto. E rinvengono, a margine, utili a futura memoria, tracce di diffusa imbecillità.

Per spiegare chi sia quest’uomo vengono messi in fila i suoi selfie. Appare in tenuta da caccia e in costume tirolese, ma non è chiaro in quale delle due immagini volesse realizzare una parodia. Lo pervade quella disperazione che abbassa la soglia del pudore, spingendolo a mostrarsi fiero di un nuovo piercing, sullo sfondo delle piastrelle da doccia, testimone un bagnoschiuma, o in tenuta da superatleta, senza il fisico corrispondente, nel tinello. Esibisce ingenuamente le proprie passioni: il fucile appoggiato a un sasso, il paesello visto dalla collina, il furgone con cui lavora.

Con personaggi così in America ci fanno sit com di successo. Ma Cosimo Pagnani ha perduto ironia e amabilità perché ha perduto un ingrediente indispensabile: la famiglia. Ha sostituito i sentimenti ordinari con dosi straordinarie di affetto (per la figlia) e di rancore (per l’ex moglie). È sempre dai suoi post su Facebook che emergono la devozione per la bambina, “principessa”, e l’odio per la donna, che gliel’ha “rubata”. Per comunicare tra di loro i due non usano né telefono né av- vocati, come avviene in questi casi, ai diversi livelli di ostilità. Di nuovo, tutto avviene su Facebook che si trasforma nel loro teatro. Gli amici comuni sono gli spettatori, hanno accesso ai loro dialoghi, li commentano, applaudono chi l’uno chi l’altro. È lei a dettare tempi e modalità di questa recita e rifiutare ogni altra forma di contatto. C’è chi ammira la sua risolutezza, chi solidarizza con l’amarezza di lui, che si sente defraudato ma ritrova la forza di sperare e giura che tornerà “felice da morire”. Non è questo il messaggio più sinistro, il peggio deve arrivare. Se lui fosse rimasto in Germania dove ha trovato lavoro, se i loro scambi fossero rimasti su Internet non sarebbe successo nulla di irreparabile. Con tutta la sociologia demonizzante la Rete può rendere ridicoli e volgari, ma non uccide. Per quello occorre ancora la vecchia, mai obsoleta, realtà. La rappresentazione però esige un finale nello stesso teatro in cui si è svolta e quindi Cosimo Pagnani, sanguinante, manda dal cellulare un ultimo post annunciando il delitto con un estremo insulto alla vittima. Per come tutto è accaduto è una chiusa che gli sembra, e quasi è, necessaria.

Dopodiché parte la reazione del pubblico, per lo più positiva. Il profilo viene rimosso quando ci si accorge che i like sono oltre 300. Qualcuno pensa che siano giudizi inavvertiti, ma un altro frequentatore della rete controlla: solo 32 sono precedenti alla notizia dell’omicidio, gli altri 265 vengono apposti quando la fine è nota. Parlare per questo di social murder sarebbe una sciocchezza: Facebook è uno strumento come lo è un coltello, utilizzabile da un raffinato chef o da un matto. La caratteristica del giudizio emesso in Rete è l’assenza di mediazione, una specie di intercettazione senza filtro, nemmeno della voce al telefono, peggio: del pensiero nella testa.

Schiacciare like è un gesto da scimmia in laboratorio, si reagisce con un istinto primitivo e, quindi, più bestiale che umano. La cosa veramente esecrabile è che dopo, con tutto il tempo per riflettere e agire di conseguenza, decine di siti abbiano pubblicato il post dell’assassino così com’era, insulto postumo incluso. E giudizi morali a seguire.

Gli sfatti quotidiani

Il Fatto Quotidiano va difeso quando dà davvero le notizie che gli altri giornali non danno. Quando i servi e servetti di regime lo accusano di essere un giornale di manettari forcaioli solo perché difende quello stravagante concetto scritto perfino nella Costituzione che la legge deve essere uguale per tutti.

Ma diventa indifendibile quando espone delle notizie con lo scopo di esporre al ludibrio, alle offese i protagonisti delle vicende che racconta, quando certe notizie vengono date in modo tale da scatenare le peggiori reazioni di pancia dei commentatori. Tre esempi su tutti, notizie di queste ore: il  giro di prostituzione minorile in cui è coinvolto anche il marito della mussolini,  l’omicidio della donna compiuto dal marito davanti ai figli e in ultimo l’allontanamento di un bambino di quattro anni dall’asilo perché ritenuto troppo violento. Basta entrare nel sito e leggere i commenti per capire che la finalità di chi gestisce le pagine di uno dei quotidiani on line  più letti, che fa tendenza perché ha la possibilità di orientare le opinioni non è esattamente quella di offrire uno spazio pubblico di confronto. Altrimenti non si darebbe nessuno spazio a chi si permette di scrivere che sì, va bene lo sfruttamento ma insomma in fin dei conti le ragazzine sapevano quello che facevano [a 14, 15 anni] e che male c’è se qualcuno [di 58 anni] ne ha approfittato. Oppure che un marito che ammazza sua moglie a martellate avrà avuto delle ottime ragioni per farlo e, se un bambino di quattro anni  dà fastidio ai compagni e viene escluso dall’asilo è perché i suoi genitori non lo educano a forza di botte.  Nel sito del Fatto è concentrata la feccia più odiosa, disgustosa dei commentatori della Rete, che può agire in forza dell’incapacità di una redazione che disattende le stesse regole che poi impone e fa subire a quella parte di utenza che l’educazione non va ad impararsela in giro per la Rete ma se la porta già da casa. E più gli argomenti sono delicati più si lasciano passare i concetti più violenti.

Giorni fa il vicedirettore Travaglio, risentito dei commenti negativi rivolti a Beatrice Borromeo che sta scrivendo un’inchiesta a puntate che inchiesta non è circa il sesso fra gli adolescenti ha pubblicato un post intriso di violenza verbale e contumelie rivolte ad un blogger che aveva scritto un controcanto di critica, discutibile ma esposto in uno spazio suo che non ha nessuna velleità informativa, lo ha minacciato di denuncia scrivendo che Il Fatto “ricaccerà la merda in gola” a chi si è permesso di contestare un articolo e chi lo ha scritto. Dunque il vicedirettore si prende la briga di difendere una collaboratrice del giornale manco fosse una ragazzina incapace di farlo da sola e lo fa utilizzando egli stesso un linguaggio violento. Forse è per questo che nel Fatto non trovano niente di strano se centinaia di persone ogni giorno esprimono il peggio in termini di razzismo, omofobia, apologie e istigazioni alla violenza?  Io Il Fatto Quotidiano lo compro dalla sua prima uscita, so benissimo che la versione cartacea con quella on line c’entra poco, Travaglio lo leggo da vent’anni,  seguo lui, Padellaro e Colombo da quando scrivevano su l’Unità da cui sono stati cacciati tutti e tre, ma la linea editoriale adottata nella versione web non mi piace, non risponde affatto a quella informazione che un giornale che si vanta di essere contro le censure, di dire “quello che gli altri non dicono” dice di portare avanti. Penso che chi si esprime in pubblico, che sia un vicedirettore di giornale, un articolista o una semplice blogger, utente dei social network e commentatrice nei siti on line dei quotidiani  come me abbiano delle responsabilità, una su tutte quella di non veicolare pensieri violenti in un periodo nel quale la violenza, di ogni ordine e grado pare sia diventata una virtù.

Se sei sano di mente, condividi

Dicono tutti che la Rete sia una cosa moderna e che permette di fare cose moderne, anche importanti come far circolare notizie in tempo reale, condividerle, discuterne come si farebbe nel salotto delle proprie case con persone di cui ci si fida e ogni tanto con qualche viandante di passaggio.

Alla luce di fatti recenti e meno recenti non so quanto questo sia utile davvero, ci sono cose che se restassero confinate in quella nicchia degli argomenti senza importanza e che non meritano di essere portati alla ribalta con una rilevanza eccessiva sarebbe meglio: tanto c’è sempre la cosiddetta informazione ufficiale, quella parlata e quella stampata che si premura di farlo.  Il dibattito infinito sugli insulti a Laura Boldrini ha risolto un bel po’ di palinsesti e riempito a sufficienza pagine di giornali, quel tanto che è bastato e che basta per evitare di discutere di quel che non fa la politica, di quello che fa male la politica, magari al posto di scrivere e  parlare e far parlare e scrivere [tanto, troppo] di quello che “noi” facciamo alla politica.

Una cosa però è certa: se il mezzo è potente, ultraveloce e all’avanguardia c’è una folta schiera di piloti/autisti/conduttori che, dire di loro che sono conservatori, retrivi, sospettosi, mentalmente confusi, sofferenti di amnesie è fargli un complimento. La Rete è il luogo delle conferme continue, non basta essersi fatti una discreta reputazione, quella di una persona vivace ma tutto sommato equilibrata e che poggia le sue convinzioni su principi sani e che dovrebbero essere universalmente riconosciuti, no: bisogna confermare ogni giorno, definirsi, presentare il proprio curriculum. Dire ogni volta di essere contro tutto il brutto, il male, il pessimo, il volgare e dirsi favorevole e ben disposta a tutto il contrario. Un po’ come quelli che su facebook e twitter fanno circolare quelle foto e vignette ritoccate al photoshop per scriverci su di essere contro le guerre, lo stupro, la pedofilia, il massacro delle foche e l’avvelenamento dell’ambiente. Cose di una ovvietà disarmante ma qualcuno pensa sia utile chiedere conferme continue alla gente se sono contro, come se fosse normale il contrario.

Io non penso di essere una persona, una cittadina, una donna, un’utente web che ha necessità di doversi confermare, di dover ribadire il suo pensiero a proposito della qualunque: ho chiaramente le mie idee e credo fermamente in delle cose che ho imparato a fare mie, a trasformarle in piccole certezze in virtù del mio personale vissuto ma sulle cose importanti so sempre da che parte stare. E so anche rivedere le mie posizioni, quando qualcuno me ne fa scoprire qualcuna più comoda e più giusta, l’ho fatto milioni di volte. So distinguere il bene dal male e so benissimo chi oggi è portatore del male, so che i fascismi, i razzismi, tutte le forme di discriminazione sono pericolose perché dividono le persone del mondo in buoni, cattivi, meritevoli di diritti o di essere dimenticate e questo non va bene, non è mai giusto. E so anche che è su queste divisioni che  la politica di tutti i tempi ha fatto la sua fortuna e aumentato il suo potere.

E non avrei mai pensato che la discussione su Laura Boldrini mi avrebbe costretta a RIconfermare, a RIbadire, a RIpetere, a RIpresentarmi, specialmente in considerazione del fatto che molte delle persone con cui discuto su facebook mi conoscono e le conosco da anni. Non avrei mai pensato ad esempio di ritrovarmi stanotte nella posta di facebook un messaggio privato di una persona, che ho perfino visto, io che non sono un’abituée della frequentazione personale con le persone che sono qui dentro la Rete visto e considerato il tempo che dedico alla mia attività “virtuale”.

Una persona a cui ho sorriso e stretto la mano, con la quale ho condiviso anche momenti privati e importanti della mia vita che stanotte intorno all’una mi ha detto che le nostre strade si dovevano separare perché io non ho fatto una valutazione esatta su chi è la vittima e chi è il colpevole a proposito della vicenda di Laura Boldrini. Tutto questo dopo una giornata infernale di pioggia che mi ha costretta in casa e durante la quale, proprio contro ogni tipo di violenze, di insulti, anche quelli sessisti che sono stati rivolti a Laura Boldrini avevo scritto qualsiasi cosa fra cui un post lunghissimo qui sotto, come del resto ho fatto e faccio sempre a proposito di ogni violenza, anche quella verbale essendo stata per molto tempo anch’io qui in Rete una vittima di molestie.

E allora penso che sia tutto inutile, che non serva poi  molto mettersi tutti i giorni qui, davanti a questo schermo, farlo con passione, con altruismo sincero, quello di chi non ha nulla da guadagnare a scrivere delle cose ma anzi, lo avrebbe se ne scrivesse altre, quelle che scrivono tutti. Che non abbia alcun senso  cercare uno stile proprio per affrontare gli argomenti di cui parlano tutti, anche quelli che ne parlano male.  Penso che sia inutile provare a guardare alle cose da una diversa angolazione e non da quella comune che ci suggeriscono gli organi ufficiali dell’informazione che  devono farci guardare altrove da dove agisce il potere, affinché quel potere abbia più libertà di venderci un tanto al chilo in funzione della stabilità, della crisi, perché ce lo chiede l’Europa e se non lo facciamo, se non glielo permettiamo, cade il governo.

Il bersaglio grosso

“Fermo restando l’elementare sentimento di umanità, che però vale per tutti, dovremmo tutti quanti rivendicare il sacrosanto diritto, se non all’odio, almeno all’indifferenza”. Marco Travaglio, 8 gennaio 2014  [Ma l’amore no ]

A me non pare di leggerci nessuna apologia violenta né istigazione semplicemente perché non ci sono, ma per capire ci vorrebbe un cervello che fa il suo mestiere, non ottenebrato dal pregiudizio e sì, dall’odio.

Nel panorama pietoso del giornalismo italiano non c’è nessuno insultato quanto Marco Travaglio: nemmeno sallusti, al servizio di un delinquente per sentenza ed egli stesso condannato da un tribunale alla galera, non ad una sanzione come a molti giornalisti capita essendo questo un rischio del loro mestiere.

Nel dibattito politico parole come odio, amore non c’entrano nulla. Ce le ha portate berlusconi per contribuire a destabilizzare, per far credere alla gente che uno come lui, un delinquente per natura come recita il primo grado del processo Ruby sia uno che ama e che merita amore mentre quelli che non vogliono avere a che fare coi delinquenti, politici e non, siano invece quelli che odiano. L’operazione di lobotomia è  perfettamente riuscita a quanto pare, se c’è così tanta gente che pensa che al di fuori della politica non debba esistere un diritto anche a poter detestare qualcuno in santa pace. O, come appunto ha ben scritto Marco Travaglio, a potersene fregare serenamente di quello che capita a dei perfetti estranei coi quali non si è diviso nulla.

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Scrivere e dire quello che si pensa davvero, che succede davvero e non quello che pensano gli altri o che agli altri farebbe piacere leggere, sentire o che non sia mai esistito non è la cosa più facile da fare. Questo io lo so bene e spesso l’ho pagato anche in termini di solitudini avendo perso per strada tanta gente che però non rimpiango affatto. In questo bel paese strozzato da varie ipocrisie e abitato da gente che non si arrende nemmeno di fronte alle evidenze: vent’anni di berlusconi sono la dimostrazione pratica di quello che dico, dovrebbero aver spiegato e chiarito molto bene tante cose. Ma evidentemente c’è un sacco di gente che ha bisogno di sentirsi rassicurata e chiudersi in quel comune sentire che io ritengo devastante soprattutto per la cultura. L’onestà di pensiero si raggiunge facendo prendere aria alla mente, guardando alle cose con curiosità e col giusto grado di sospetto, ma mai col pregiudizio. Perché i pregiudizi sono la morte dell’onestà intellettuale.

La critica ci sta, l’antipatia pure, verso il pregiudizio nulla si puote, ma la diffamazione è una cosa seria. E se su una pagina pubblica di facebook si stravolge il senso delle parole per diffamare qualcuno non penso sia legittimo poterlo fare. In ogni caso sputtanare gli imbecilli è un giochino da bambini, bisognerebbe farlo più spesso, è utile e divertente. 
Io non vado mai a discutere sulle pagine pubbliche di facebook perché le trovo confusionarie, nessuno legge mai quello che scrivono gli altri e non c’è discussione ma solo confusione, ieri l’ho fatto perché  le questioni di principio mi interessano sempre e molto. 
Travaglio è un giornalista col suo stile che può piacere e non piacere, questo non autorizza nessuno a distribuire i suoi insulti giornalieri a Marco Travaglio. 
Basta non leggerlo per non farsi venire il sangue amaro. Travaglio non è alla portata di tutti. Per comprenderlo ci vuole intelligenza, ironia e assenza di pregiudizi. E conoscere il minimo indispensabile di storia di questo paese per poter stabilire se quello che dice e scrive è vero o falso: generalmente è vero.

E se Travaglio scrive che esiste un diritto all’indifferenza: io penso che ci sia eccome anche quello all’odio, così come esiste quello all’amore e a un sacco si altri sentimenti, non gli si può mettere in bocca e sulla tastiera quello che non ha mai detto e scritto.

Nella frase incriminata e che continua a viaggiare in Rete col solo scopo di screditare ancora e ancora Marco Travaglio non c’è nulla di disdicevole né di violento, ma il bersaglio grosso è sempre una tentazione irresistibile per molti e non importa poi il motivo dell’attacco, anche inventarsi una balla qualunque va bene, e il popolino bue, ignorante, disinformato dei social network;  e non si capisce che cazzo ci stia a fare h24 in Rete, quello del mi piace compulsivo clicca, condivide e insulta.  facebook dovrebbe servire a condividere informazioni esatte, non balle e nemmeno insulti. Internet può trasformarsi davvero in un’arma impropria, se usato male.

Anche se con fatica io continuo a pensare che la mia libertà di non scrivere idiozie, falsità insultanti valga purtroppo quella degl’imbecilli che non conoscono perché non sanno e non gl’interessa sapere.  

Quando il pregiudizio, la critica offensiva vengono espressi da gente che non sa si possono leggere in chiave pietosa. Chi non sa per sua scelta, una scelta di ignoranza consapevole e l’unico modo che conosce per relazionarsi con gli altri è l’insulto ha sempre torto. Ma quando gli stessi concetti vengono espressi da persone a cui si dovrebbe riconoscere una certa superiorità intellettuale io mi preoccupo. In questo paese manca un senso comune di solidarietà verso il giusto. E manca perché nella ricerca del giusto va a finire anche quello sbagliato che però qualcuno riteneva che non lo fosse. Travaglio è antipatico e inviso perché non guarda in faccia nessuno, e anche l’accusa al Fatto di essere filogrillino è abbastanza patetica. Le critiche ai 5stelle e a Grillo  sono arrivate anche da lì, da lui, da Scanzi e da altri. Ma siccome erano critiche giuste e motivate, non il solito attacco sulla base del pretesto come quello che fa giornalmente la maggior parte della cosiddetta informazione, non se n’è accorto nessuno e si continua a parlare e a scrivere per luoghi comuni, falsi.

Così com’è altrettanto falsa la leggenda che nella famosa puntata di Servizio Pubblico berlusconi abbia ricevuto un trattamento di favore con un atteggiamento servile da parte di Santoro e Travaglio: ma il pregiudizio è come l’invidia: acceca e impedisce di riflettere con cognizione di causa. 

Nei paesi civili è più difficile rilanciare balle dai social network perché l’informazione ufficiale ne scrive di meno. Qui il progetto di annientamento dell’informazione più libera e meno dipendente dai poteri è chiaro ormai da un pezzo. E c’è gente che ci gode perché pensa poi di stare meglio senza Travaglio e senza Il Fatto Quotidiano. Mai visto personalizzare così la critica verso un professionista che, sia chiaro, è criticabile come tutti ma non insultabile come solo a lui accade. Cosa che produce il risultato di rendere meno credibili o per niente anche quelle critiche giuste che gli si muovono. A me neanche piace sempre né ne condivido sempre gli scritti però gli va riconosciuta un’onestà che in pochi nel suo ambiente hanno. Se avesse avuto davvero delle mire estranee al puro piacere di svolgere il mestiere di giornalista oggi sarebbe probabilmente a dirigere un quotidiano che già c’era, non avrebbe avuto bisogno di pensare ad uno nuovo perché gli altri erano diventati inaccessibili per lui. E magari al posto di vespa cinque sere a settimana su Raiuno ci sarebbe lui, ma la gente questi semplici ragionamenti non li fa.

Le cose che si scrivono e si dicono andrebbero provate, altrimenti si chiamano diffamazione e calunnia. Di vero c’è che Travaglio è stato cacciato dall’Unità insieme a Padellaro e Colombo, oggi tutt’insieme al Fatto Quotidiano. Stessa sorte toccata a Concita De Gregorio che da direttore di quel fu giornale è dovuta tornare a fare la semplice editorialista a Repubblica. Il resto, balle. Maldicenze gratis e a pagamento.

 

 

Quando non basta nemmeno la vergogna

Mauro Biani

L’Italia non è un paese che fa schifo solo per colpa della politica ma lo è soprattutto perché abitata da un sacco di gente che non ha le idee ben chiare su tante cose, soprattutto su quel che significa la parola diritto. 

Gente che pensa che rientri nella sfera del diritto anche dire ogni scempiaggine che passa nei cervelli a brandelli di chi non riconosce più certe differenze che sono invece fondamentali per sviluppare un pensiero civile. Non esiste nessun diritto all’insulto né quello che permette di augurare a qualcuno di morire. 

Sono almeno quindici anni che scrivo delle malefatte di berlusconi e non sono stata tenera con lui, ma mai, mai e poi mai l’ho fatto augurandogli un problema di salute o la morte. Perché ci sono talmente tanti argomenti da usare contro berlusconi che vengono le vertigini solo a metterli tutti in fila. E semmai avessi pensato delle cose non ho avuto la presunzione di credere che fosse un mio diritto quello di renderle pubbliche, non per ipocrisia ma per educazione. 

Ho criticato duramente anche Bersani e il suo partito, ma c’è un momento in cui la contrapposizione politica andrebbe messa da parte, in cui non bisognerebbe approfittare per infierire. 

Un momento in cui certe differenze fanno la differenza.  Bersani e berlusconi non sono uguali, non hanno le stesse responsabilità circa il decadimento di questo paese. Anzi, forse Bersani è il politico che ha meno responsabilità anche all’interno del suo partito,  forse ha lasciato che le cose andassero in un certo modo per evitare di mettere la sua faccia, di  collaborare allo scempio voluto e ordinato dall’Europa e forse è stato proprio questo che lo ha fatto ammalare. Bersani è un uomo perbene, troppo per questa politica.

Che Guevara diceva che ogni vero uomo deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato ad un altro uomo. Pertini che il nemico va combattuto quando è in piedi, non quando giace a terra. Gramsci odiava gli indifferenti. 

E forse fra quelli che in queste ore hanno augurato a Bersani di morire, quelli che esultano delle disgrazie altrui come se in questo modo risolvessero le proprie e quelli che non hanno pensato fosse utile mettersi di traverso di fronte all’oltraggio verso una persona indebolita dalla malattia ci sono persone a cui piace citare, fare loro le parole di questi Giganti della Storia. Il consiglio che mi sento di dare a queste persone è di scegliersi altri punti di riferimento, perché questi non fanno pendant con gente così.

Tra il silenzio indifferente, la malvagità e la disumanità ci sarebbe la via di mezzo della decenza.

In questo paese vive gente che io avrei paura di conoscere e frequentare, se sapessi che quando sta davanti a un computer si esprime con la violenza delle cose che ho letto.

Poi quando la politica vuole allungare le mani sulla Rete per zittire i violenti [e con loro anche chi violento non è], quando certi politici si mettono in cattedra e inorridiscono riguardo quello che si scrive nei social network è inutile lamentarsi della censura. 

Perché l’unico modo per evitare di far chiacchierare i politici e i soliti opinionisti alla Michele Serra che per loro magari internet chiudesse subito sarebbe quello di smetterla di usare il web come una latrina a cielo aperto. Nella questione relativa al malore di Bersani e agli insulti che gli sono stati rivolti in Rete lo schifo è da distribuire equamente fra quelli che hanno espresso parole irricevibili sulla persona in difficoltà ma anche quelli che hanno approfittato per strumentalizzare, per far credere che l’oltraggio arrivasse solo da una parte. Io ho letto insulti ovunque, sul Fatto Quotidiano ma anche su l’Unità e su Repubblica, siti non frequentati abitualmente dai 5stelle. E nel conto vanno messi anche quegli idioti che qualcuno sguinzaglia nel web appositamente per creare casini di cui poi si parlerà per settimane. E se non apriamo il cervello rischiamo davvero che qualcuno ci tolga questa libertà di poter condividere le nostre idee. Internet è l’ultimo baluardo e l’unico strumento che permette di veicolare delle idee che quando sono buone, espresse civilmente, possono contribuire in modo utile alle giuste cause; non permettiamo agli imbecilli di prendere il sopravvento.

Giorgio Almirante, il fascista, quello del giornalino della razza, andò a Botteghe Oscure ad inchinarsi davanti alla bara di Enrico Berlinguer. Anche Almirante in quell’occasione dimostrò di saper andare oltre la sua ideologia e riconoscere il valore dell’uomo Berlinguer.
Nilde Jotti e Giancarlo Pajetta andarono a rendere omaggio ad Almirante morto in presenza di gente che faceva il saluto romano. 
Tutti lo fecero in rispetto agli uomini, alle persone. 
Anche se erano avversari politici.
Conoscere la Storia significa prendere esempio e imparare da chi ha fatto la Storia. 

Di fact checking, inesattezze ma soprattutto di balle [giornalistiche]

Pippo Fava, Palazzolo Acreide 15 settembre 1925 – Catania, 5 gennaio 1984 – Riprendo queste righe scelte da Mauro Biani nella sua pagina di facebook perché le trovo perfette da associare alla sua vignetta in ricordo di Pippo Fava. Che Mauro sia bravissimo non è più una sorpresa per me, lo è però la sua capacità di stupirmi ogni volta. Quando ti aspetti che Mauro Biani si esibisca in tutta la sua genialità lui per fortuna lo fa. Questo disegno è magnifico, sensuale, intrigante, riesce quasi a far dimenticare per un attimo l’orrore di una morte ingiusta come quella che è toccata a Pippo, ammazzato dalla mafia, perché aveva il vizio dell’onestà e della verità. [A proposito di balle giornalistiche, ecco] . – “Io sono diventato profondamente catanese, i miei figli sono nati e cresciuti a Catania, qui ho i miei pochissimi amici ed i molti nemici, in questa città ho patito tutti i miei dolori di uomo, le ansie, i dubbi, ed anche goduto la mia parte di felicità umana. Io amo questa città con un rapporto sentimentale preciso: quello che può avere un uomo che si è innamorato perdutamente di una puttana, e non può farci niente, è volgare, sporca, traditrice, si concede per denaro a chicchessia, è oscena, menzognera, volgare, prepotente, e però è anche ridente, allegra, violenta, conosce tutti i trucchi e i vizi dell’amore e glieli fa assaporare, poi scappa subito via con un altro; egli dovrebbe prenderla mille volte a calci in faccia, sputarle addosso “al diavolo, zoccola!”, ma il solo pensiero di abbandonarla gli riempie l’animo di oscurità.” (da “I Siciliani”, 1980)

Anche ieri Michele Serra si è occupato di quel che accade in Rete, come fa ormai abbastanza spesso, nella sua Amaca a proposito delle balle che si scrivono e si dicono dai pulpiti “alti” e delle relative smentite rese più semplici proprio perché c’è la Rete che, è vero, è quell’immenso calderone dove va a finire tutto e che molti ancora non hanno imparato ad usare bene contribuendo alla diffusione delle balle, tipo la non notizia di queste ore circa una corte che avrebbe stabilito che il canone Rai si può non pagare e non succede niente. 

Cosa assolutamente non vera ma che continua ad essere ancora condivisa e accolta con gridolini di approvazione come se lo fosse, semplicemente perché c’è gente troppo pigra per preoccuparsi di andare a vedere se è vero quel che passa davanti ai nostri occhi ogni giorno sulle pagine web di un social network. 

Se tanta gente pensasse che anche condividere un link su twitter e facebook è una piccola responsabilità forse leggeremmo meno stronzate inutili e false, e si eviterebbero un mucchio di discussioni che fanno solo perdere tempo. 

Il problema che affligge Serra però è un altro: a lui dà fastidio che in Rete si aprano dibattiti su argomenti che un tempo erano esclusiva degli addetti ai lavori, giornalisti, opinionisti, intellettuali eccetera, dà fastidio che potrei essere anch’io, una signora nessuno a smascherare la bugia, l’inesattezza che scrive il professionista e ogni tanto, ciclicamente, ci tiene a farcelo sapere senza mai fare però il benché minimo accenno sul fatto che basterebbe evitare di scrivere balle sui giornali per evitarsi poi la critica spalmata ovunque in Rete fatta anche in modo volgare come accade purtroppo spesso. 

Perché il margine di errore nel riportare una notizia, un fatto, una considerazione si alza e si abbassa rispetto alla responsabilità che si ha quando si scrive in pubblico sapendo poi di essere letti da qualcuno. Ed è la quantità di quei qualcuno a stabilire la gravità di quell’errore. 

Io, a differenza di Serra posso anche permettermi l’inesattezza, perché il massimo che può succedere è che me la facciano notare e mi diano quindi la possibilità di rettificare prima che quell’errore diventi materia per fare opinione in quella cerchia di persone che di me si fidano perché sanno che solitamente e abitualmente non sono una che racconta balle. Mentre ai livelli di Serra &Co. il margine di errore e la balla non dovrebbero proprio esistere perché la loro responsabilità nei confronti del pubblico è infinitamente più grande della mia. Se Serra, come molti altri suoi colleghi ha deciso di adeguarsi per motivi suoi personali, di opportunismo, o per quell’idea malsana che fa credere che un’informazione esatta sia controproducente per la famosa stabilità napolitana è un problema suo che però non deve impedire che qualcuno se ne accorga e  risponda come sa,  come può e coi mezzi che ha, anche fossero un blog e una pagina di facebook. Chi si espone sa che correrà dei rischi, esporsi in modo onesto riduce quei rischi.

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L’AMACA, Michele Serra 4 gennaio

Si moltiplica, anche grazie al web, la cultura del “fact checking”, ovvero la verifica dei fatti. Si tratta di vagliare il grado di veridicità delle dichiarazioni pubbliche, con speciale attenzione, come è ovvio, per le affermazioni dei politici. Interessante notare come esista una vera e propria gradazione della veridicità: tra la verità piena e la menzogna conclamata ci sono sfumature intermedie. L’ottimo sito Pagella Politica, per esempio, ha stabilito cinque livelli: 1 vero, 2 c’eri quasi, 3 ni, 4 Pinocchio andante, 5 panzana pazzesca. Non è un approccio del tutto “scientifico”, ma aiuta a ragionare sulla complessità della realtà, nonché sulla fatica di capirla e rispettarla.
Ovverosia: esistono numeri, dati, eventi che sono proprio quelli, e contraffarli, per malafede o per cialtroneria, non è ammissibile. Ma nell’interpretazione di quei numeri, nel “racconto” che si fa della realtà, c’è un margine di errore (da veniale a grave) che fa parte del rischio di esprimersi. E dunque perfino il fact checking, che ha una sua indubbia oggettività d’approccio, sconsiglia una lettura manichea della realtà. Non per caso sono i fanatici a incorrere, più spesso e più gravemente degli altri, nella menzogna totale.

Di vilipendi, insulti, volgarità e, more solito, di bavagli

LEGGE BAVAGLIO, IL PDL CI RIPROVA
Ripresentato alla Camera il ddl Alfano

Ecco le telefonate che non leggeremmo

Depositate proposte di legge su intercettazioni, diffamazione a mezzo stampa e pene alternative
Fnsi: “Non staremo a guardare”. Epifani: “Tema non è priorità, centrodestra non alzi tensione”
INSULTI ALLE TOGHE, CSM: “INTERVENGA IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA CANCELLIERI”

[Il Fatto Quotidiano]

Beh, sì, effettivamente questa è una priorità di un governo di responsabilità, di scopo, in tutte le democrazie civili l’obiettivo, il primo punto delle coalizioni, delle larghe intese che si formano nei momenti peggiori della politica e di una crisi, talvolta di entrambe messe insieme, sono le leggi che hanno a che fare con la limitazione della libertà di informazione.

Napolitano senza commenti

22 persone sono indagate per “Offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubblica” dalla Procura di Nocera Inferiore. In sostanza sotto indagine per “vilipendio“, un termine che può racchiudere qualunque opinione, giudizio, valutazione ritenute offensive. Chi può essere al sicuro di un’eventuale denuncia per una critica al Presidente della Repubblica? Allora, per difendersi, l’unico mezzo è non scrivere più nulla. Bocche cucite. Dita bloccate sulla tastiera. Commenti oscurati.
Questo post, per evitare denunce a chicchessia sarà, per la prima volta nella storia del blog, senza possibilità di commento. In futuro, magari, diventerà la regola per tutta la Rete in Italia. [dal blog di Beppe Grillo]

Se brunetta attacca volgarmente  Laura  Boldrini  accusandola di cose che non ha detto né fatto e lo fa  in parlamento, nella sede preposta per eccellenza al rispetto delle istituzioni tutto va bene,  rientra nel normale esercizio della dialettica politica e del dissenso democratico, sepperò su un blog o in una pagina di un social network si fa qualcosa che potrebbe sì turbare ma che non è propriamente da derubricare a reato si rischia di ritrovarsi la Digos in casa in meno di 24 ore.

Un fotomontaggio, sebbene volgare è qualcosa che in moltissimi realizzano e pubblicano in Rete senz’aver mai rischiato e subito perquisizioni, sequestri degli hard disk  e denunce.

Chi ha diffuso la  foto osé  oggetto dello “scandalo” non è la stessa persona responsabile delle minacce violente  dedicate e recapitate  alla presidente della camera.

E, a proposito di diffamazioni: il sindaco di Salerno definì il vicedirettore del Fatto Quotidiano “grandissimo sfessato” e disse di “aspettare di incontrarlo per strada al buio”, durante un comizio organizzato dal Partito democratico nel 2010.

Travaglio, De Luca condannato per diffamazione. Dovrà pagare mille euro

 I mille euro sono la sanzione, il risarcimento dovrà essere quantificato in un secondo momento.

 Si è formata, nelle ultime settimane, una scuola di cascatori dal pero, come se prima le volgarità, gl’insulti e le molestie via web facessero parte di un altro mondo. Ho scritto fiumi di parole nel merito e le ho scritte da persona informata dei e sui fatti, avendo subito molestie e offese per anni, delle quali non è fregato niente a nessuno, nemmeno alle autorità.

Forse perché non mi chiamo Laura Boldrini? ma Rodotà è stato chiarissimo:”quello che è ILLEGALE off line deve esserlo anche on line”. 

 Illegale non vuol dire di cattivo gusto, ecco.

E se adesso nel paese dei balocchi sono entrate anche le eccellenze pazienza, decideranno come abbiamo deciso noi quali posti frequentare e quali  evitare per non essere il bersaglio di nessuno. E fra l’altro frequentare siti on line e social network non lo prescrive nessun medico.

Non mi sembra proprio che il blog di Grillo possa vantare l’esclusiva dei disturbatori cibernetici.

Come al solito l’obiettivo è tentare di imporre l’ennesima legge censoria  contra personam, ovvero contro chi vorrebbe ancora poter continuare a dissentire, perché poi nella rete tesa alla Rete e all’informazione in generale, specialmente a quella esercitata da  chi  ancora cerca di tenere la schiena dritta  ci andiamo a finire tutti, mica solo quelli che insultano e diffamano davvero.

E, per non dimenticare, Napolitano in persona  ha graziato sallusti oltre tutte le regole costituzionali che prevedono che il graziato abbia scontato almeno una parte di pena,  sallusti, recidivo, sette volte denunciato per diffamazione, l’ultima quella famosa circa la responsabilità oggettiva dopo quello che aveva pubblicato sul giornale del padrone scritto da farina, a sua volta radiato dall’albo.

Il PM Cocilovo subì delle minacce di morte in seguito a quegli articoli, e per ben sei anni, non 24 ore ha aspettato delle scuse, una rettifica che non sono mai arrivate.

Ma come si fa ad essere così ipocriti?  è così che si garantisce l’uguaglianza e si rispetta la Costituzione?

Il concetto di amore per la bandiera e lo stato è strettamente connesso a chi rappresenta quella bandiera e  lo stato da istituzione.
E finché a rappresentare quella bandiera sarà gente del calibro di quella che è toccata a questo sfortunato paese non ci si può meravigliare se qualcuno poi non riesce proprio ad essere rispettoso coi simboli della repubblica italiana.
L’ultimo mio pensiero è difendere un nazionalismo di facciata; un paese, lo stato si difendono prima di tutto rispettando la Costituzione e la legge, ma se i primi a non farlo sono proprio quei rappresentanti delle istituzioni come si fa poi ad essere severi con chi si adegua e pensa che, tutto sommato, se un presidente della repubblica se ne può fregare di tante cose che riguardano lo stato e la sua difesa semplicemente ignorandole, facendo finta che non siano accadute tipo l’orrenda performance del pdl  di Brescia contro la Magistratura chi siamo noi per doverci comportare meglio di chi dovrebbe dare l’esempio, un buon esempio? cos’è vilipendio, dire o scrivere una parolaccia su un blog oppure consentire a un delinquente per sentenze di tenere un paese sotto scacco per vent’anni con la complicità della politica e delle istituzioni?
Perché la domanda è questa, è solo questa.

Per me il reato di vilipendio può continuare ad esistere, abbiamo  ancora leggi che s’ispirano al regio decreto fascista figurarsi che fastidio dà un articolo di meno o di più, quello che non va bene è che venga poi considerato a discrezione. Nessuno ha incriminato gli esponenti della lega quando, anche da ministri andavano nelle piazze a saltellare al ritmo di “chi non salta italiano è” e quando in più di un’occasione hanno oltraggiato lo stato.

Adesso si vuole dare la responsabilità di tutto a Grillo, perché fa comodo così, perché è l’uno contro i tutti che lo vogliono abbattere.

E non parlo da elettrice 5s ma semplicemente da cittadina che osserva quello che è impossibile non vedere.

Se dovessimo denunciare noi cittadini ogni volta che veniamo insultati, oltraggiati dai politici, ogni volta che il presidente della repubblica agisce in modo non proprio corretto e non dimostrando di essere quel garante super partes che dovrebbe essere saremmo ogni giorno in qualche procura a fare la fila.

Nota a margine: sul sito di Repubblica l’arresto del presidente della provincia di Taranto viene dopo tutto, ma dopo dopo, perfino dopo quello delle maestre che maltrattavano i bambini; non che questa sia una notizia che non merita attenzione ma insomma esiste, o almeno dovrebbe, una gerarchia d’importanza anche nell’esposizione delle notizie su un sito on line.
Evidentemente Repubblica ritiene poco importante, una notizia di secondo e terzo piano se un presidente di una provincia commette un reato come la concussione per favorire chi avvelena l’aria e fa morire la gente di tumore.
Ma io penso che, come sempre, le cose siano molto più semplici di quel che sembrano: Repubblica da molti mesi evita accuratamente di informare circa gli svarioni, gli errori, le sesquipedali stronzate dette e fatte da quelli del partito che non c’è più come fece con la dichiarazione di Letta jr circa la sua preferenza per b rispetto ai 5s rivelatasi poi più che un’opinione personale  una previsione in piena regola che si è perfino avverata.
La qual cosa si può anche fare, solo però si dovrebbe abbandonare la presunzione di essere un giornale di e per tutti.

ArrestyPd 
Marco Travaglio, 16 maggio

Mettendo insieme tutti i “casi isolati” di esponenti del Pd nei guai con la giustizia, tutti i “compagni che sbagliano” beccati negli ultimi mesi viene fuori un quadro spaventoso. Che però spiega benissimo perché il vertice del partito non ha fatto alcuna fatica ad andare (anzi, a tornare) al governo con Berlusconi, dopo aver espulso dalla coalizione Di Pietro e tenuto a debita distanza Ingroia. Mentre la base e gli elettori vomitano, i massimi dirigenti hanno l’aria estasiata di chi assapora la Sacher Torte. Ora, per qualche ora, si parlerà della questione morale nel Pd di Taranto dopo l’arresto dell’ennesimo esponente al servizio dei Riva, il presidente della Provincia Giovanni Florido. Poi si dirà che in fondo l’han solo messo al gabbio, c’è la presunzione d’innocenza, aspettiamo fiduciosi la Cassazione fra una dozzina d’anni. Anzi, come fa notare a Ballarò parlando del processo Ruby il capogruppo Roberto Speranza, ultimo pollo di batteria uscito dalle serre bersaniane, bisogna separare la politica dalla giustizia, e poi sono altri i veri problemi degli italiani (già, peccato che da vent’anni i governi e i parlamenti non possano occuparsi mai dei veri problemi degli italiani perché sono appesi alle mazzette e al pisello del Cainano). L’espressione “questione morale” suona ormai vuota: non basta più a descrivere la devastazione culturale, politica, etica, perfino semantica di un partito che non ha mai nulla di suo da dire su nulla, e dunque prende a prestito le parole del presunto avversario. È uno sterminio di pensieri e linguaggi che non riguarda solo il vecchio e bollito politburo che è riuscito a perdere le ultime elezioni già vinte, a fumarsi il padre fondatore Prodi, a lasciarsi scappare il treno di Rodotà, a tradire gl’impegni elettorali, a rispedire al Quirinale un signore di 88 anni che le dà sempre vinte a B. e dai tempi di Craxi si diverte a demolire ciò che resta del suo partito, infine a infilarsi nella trappola del governo Letta comandato a bacchetta da B. Ma investe, quello sterminio, anche il cosiddetto rottamatore Renzi, delle cui intenzioni nulla s’è capito durante le presidenziali e le consultazioni per il governo. Avete mai sentito qualcuno dei vecchi o dei nuovi, da Renzi a Barca, dire qualcosa sulla qualità deprimente della classe dirigente al Sud, dove – a parte il pozzo nero di Taranto e dintorni– regnano ras screditati come il governatore lucano De Filippo (mezza giunta arrestata) e il suo degno predecessore Bubbico (appena promosso ministro), il sindaco di Salerno De Luca (appena promosso viceministro), il capataz di Enna Crisafulli (escluso dalle liste solo grazie alla battaglia del Fatto , e fra le proteste dello stato maggiore del Pd siciliano)? E, per salire al Nord, qualcuno dice qualcosa sui pizzini di Penati, ex capo della segreteria di Bersani, ora che si apre il suo processo per tangenti? Passano i segretari e le glaciazioni, ma ancora tocca leggere Violante, che nel giorno della requisitoria Ruby non trova di meglio che annunciare ad Avvenire “la riforma della giustizia”, anzi dei giudici: non dice una parola sui tempi biblici e sulla piaga delle prescrizioni, ma vuole “studiare i sistemi con la discrezionalità dell’azione penale come quello francese” (dove i pm dipendono dal governo) e soprattutto far giudicare i magistrati in appello da una corte disciplinare formata per due terzi da politici. Poi aggiunge che le sentenze non devono “ostacolare il governo” e “l’alleanza non può dipendere dalle sentenze”. Cioè, se una sentenza stabilisce che B. è un “delinquente” specializzato in frodi fiscali, un partito che si rispetta che fa? Se lo tiene al governo e gliene lascia pure le chiavi. E l’interdizione dai pubblici uffici? “Se il problema si porrà, in quel momento potrà essere esaminata la situazione”. E, di grazia, come si “esamina” un’interdizione? La si ignora per “non ostacolare il governo”? Idea per il movimento OccupyPd: occupy pure Violante.

Di minacce, molestie, del reale e del virtuale

 

Cara Boldrini, c’è una legge sullo stalking
eppure le donne continuano a morire

“C’è un vecchio detto, quello che è illegale offline è illegale online. La Rete non ha bisogno di una legge speciale, le regole ci sono già. Bisogna solo farle rispettare” [Stefano Rodotà].

Per accorgersi del disagio sociale c’è voluto lo ‘squilibrato’ con una pistola in mano, e perché qualcuno finalmente dicesse che le molestie e le minacce via web sono un problema tutt’altro che virtuale ci sono volute le molestie e le minacce all’eccellenza di turno.

Fino a due, tre giorni fa tutto andava benissimo com’era, centinaia, migliaia di persone subiscono quotidianamente fastidi di ogni genere in Rete, non solo le donne, ma nessuno si è mai posto il problema di pensare che forse i responsabili dei siti, dei portali e dei social network potrebbero e dovrebbero, anzi devono attivarsi affinché questo fenomeno venga ridimensionato e magari risolto. 

Insistere ancora sull’urgenza di nuovi provvedimenti e di nuove leggi oltreché fuori luogo sta diventando anche di cattivo gusto.
In Italia non c’è nessuna emergenza da contenere per mezzo di leggi speciali né di task force apposite, ci sarebbe solo l’impellente necessità di avere persone serie alle istituzioni che facessero rispettare finalmente quelle esistenti, che ci sono.

Adesso che c’è di mezzo la signora presidente della Camera il tema delle molestie virtuali è diventato materia di dibattito serio, il fior fiore dei giornalisti e dei sociologi si produce nel suo meglio, ovvero scrivere fiumi di parole utili solo a distrarre e a buttare un po’ di fumo negli occhi alla gente per quello che fino a due giorni fa era un argomento da pour parler. 

L’unico che ha detto e scritto cose serie e importanti, il professor Rodotà, non viene proprio considerato.

Quando, una decina d’anni fa ho iniziato ad occuparmi del problema e già allora scrivevo che a nessuno deve essere consentito oltrepassare i limiti nemmeno qui un sacco di gente mi diceva che sbagliavo, perché in fin dei conti quello che si fa per mezzo di un pc poi deve restare confinato in quell’ambito. 

Spento il pc risolti i problemi.

Mentre non è affatto così, non lo è nel male ma nemmeno nel bene: non siamo automi programmati per fare, dare e ricevere e poi dimenticarcene, le parole sono importanti, sempre, perché se è vero che non ammazzano possono però essere la causa di sofferenza e illusione.

Quando scrivevo che non mi sembrava corretto che qualcuno approfittando dell’anonimato avesse la possibilità di offendere gente nel suo personale più stretto, la famiglia, i figli, gettare discredito sulla sua persona mi consideravano un’aliena sul genere di “ma che vuole questa che pretende rispetto anche in un ambiente effimero, falso come il web?”

Mentre tutte le persone che sono qui dentro sanno benissimo che non c’è proprio niente di effimero e nemmeno di falso: le minacce, i ricatti, gente che approfitta di una confidenza fatta in un momento di debolezza per mettere qualcuno alla berlina e costringere una persona a nascondersi più del dovuto fino a sparire, il web è anche questo, sono una realtà vista e vissuta da tantissime persone, me compresa. 

Chi mi molestava e mi perseguitava [e non è ancora finita, c’è sempre qualcuno che lascia tracce di sé sulle strade virtuali percorse da me] non lo faceva perché sono una donna, non era una questione di genere, ma proprio perché sono io,  lo faceva per le mie idee, per il mio modo di esporle, per la mia capacità di saper catturare attenzione, quindi nulla a che fare con la persona virtuale ma proprio e solo con la mia persona.

Quando, grazie all’abominio delle segnalazioni anonime, l’unica cosa che dovrebbe essere abolita ma che invece viene utilizzata come mezzo di contrasto all’abuso fino ad essere diventata proprio l’abuso – bastano quattro o cinque persone che si organizzano e può succedere di tutto – mi è stato tolto un blog che piaceva l’intenzione non è stata quella di far sparire semplicemente quel blog ma proprio me. 

Quindi quelle cinquecento persone al giorno che entravano anche e solo per leggermi hanno dovuto accettare la sua sparizione perché quattro, cinque, dieci persone avevano decretato la fine di quel blog.

Ma tutto questo e molto altro di quel che può accadere ad una persona in Rete non è mai stato un problema, non lo è stato per le varie associazioni di tutela dei consumatori alle quali mi sono rivolta invano per riavere quel blog i cui materiali inediti e personali non mi sono mai stati restituiti in base ad un regolamento che non saprei come definire, e nemmeno per la legge: invito e sfido chiunque a provare a fare una denuncia regolare per stalking virtuale per vedere che succede: niente, praticamente, esattamente come per quello reale.

E non era un problema nemmeno per i responsabili di quella piattaforma dove avevo il blog che non hanno mai ritenuto opportuno tutelare uno dei suoi “prodotti” migliori impedendo le molestie ma trasformandole anzi in un’occasione da share, le cose che più fruttano nel web sono il pianto e la chiacchiera, e nessuno ha mai pensato che quel che accade nel virtuale è qualcosa che si deve risolvere nel reale finché in questo troiaio non è andata a finire Laura Boldrini.
E questa è solo l’ennesima conferma della miseria di questo paese, dove anche essere tutelati legalmente per essere rispettati in quanto persone è un privilegio invece di un diritto.

 

La sensazione, forte, è che Laura Boldrini sia una donna confusa. Che sia stata inghiottita dal vortice di controindicazioni naturali e innaturali, lecite e illecite, sgradevoli o schifose che un incarico pubblico e la conseguente popolarità si portano dietro. E che la poca lucidità del momento, le impedisca di distinguere il becero dal pericoloso. Non è quindi un caso, il fatto che non riesca mai a dare il famoso nome giusto alle cose, ma che le cose, le marchi puntualmente col timbro sbagliato o le infiocchetti con un’enfasi inappropriata e l’immancabile spruzzata di retorica abbinata alla faccia contrita e la voce sofferente che la rendono pericolosamente somigliante alla goffa Charlotte di Sex and the city. Intendiamoci. Stimo la Boldrini, ammiro il suo percorso e le sue battaglie (e del resto ha un medagliere che neanche Yuri Chechi) , ma l’impressione è che gestisca il tutto con il terrore maldestro di chi la sera, nel silenzio della sua camera, recita ancora il mantra “Napolitano, Napolitano, Rodotà, Napolitano” per riuscire a prendere sonno. I primi nomi sbagliati alle cose li ha dati con Preiti. Va bene l’empatia col paese, va bene l’umanità, la solidarietà con la classe debole e sfiduciata, va bene pure la demagogia low cost da cui i politici attingono che neppure i Baci perugina da Paolo Coelho e viceversa, ma scomodare i concetti di “emergenza sociale” e “vittime che diventano carnefici”, per confezionare un movente sociale a un delinquente più preoccupato delle risposte di un videopoker che di quelle dello Stato, mi è parsa una forzatura retorica e involontariamente ingiusta. Ingiusta nei confronti dei tanti italiani inginocchiati dalla crisi che non giocano al tiro al piccione, ma vivono di umiliazioni e sacrifici silenziosi o rabbiosi ma pacifici, perché l’orrore della disperazione è una cosa ben diversa dell’orrore vile di un gesto criminale senza neppure la dignità di un movente. Apprezziamo lo sforzo perfino rivoluzionario di responsabilizzare lo Stato dopo secoli di deresponsabilizzazione compulsiva, ma non vorrei che ora la Boldrini si accollasse anche le colpe dell’infortunio di Zanetti e della rottura tra Biagi e la Pedron. Ma il presidente della Camera, sbaglia ancora di più a dare il nome alle cose, nella questione che riguarda il web. Quello che le capita (gli insulti, le minacce, il fotomontaggio della sua faccia sul corpo della nudista) non le capita perché, come da lei dichiarato “Quando una donna riveste incarichi pubblici si scatena contro di lei l’aggressione sessista e che sia semplice innocua , gossip o violenta, assume sempre la forma di minaccia sessuale”. Le capita perché il web è il far west e il fatto che lei lo scopra oggi, solo per questioni che la toccano da vicino, è abbastanza sconcertante. Chiunque abbia una minima confidenza con social, forum, blog e qualsiasi spazio virtuale in cui anche l’ultimo dei subumani ha diritto di parola, sa bene che minacce, insulti, turpiloquio, ferocia verbale e imbecillità varie ed assortite sono il pane quotidiano. Sa bene che non è un problema di sessismo. (e qui la Boldrini sbaglia ancora parola) E’ un problema più irrimediabilmente cosmico, trasversale e universale : si chiama ignoranza. E tutto lo schifo che nel mondo virtuale trova ospitalità, dal fotomontaggio della Boldrini stuprata da un nero a Berlusconi impiccato a un albero, dalle minacce di morte a Alessia Marcuzzi per il Grande fratello a quelle per cui Rudy Zerbi per Amici, è riconducibile sempre e solo a quella parola: ignoranza. Alimentata da frustrazioni varie, invidia sociale, megalomania da anonimato, odio classista, imbecillità pura e distillata. La Boldrini dovrebbe farsi un bel giro su Internet e leggere i commenti su tanti colleghi maschi. Scoprirebbe un mondo. E probabilmente dovrebbe cominciare a parlare pure di maschicidio, oltre che di femmicidio (che è una piaga, ma la cui linfa non è il web, mi creda signora Boldrini) Ma soprattutto, mi chiedo dove fosse la Boldrini, una donna abituata a pensare alla comunità, ai deboli, agli invisibili, quando la ferocia del web e dei commenti spietati su facebook spingevano al suicidio la quindicenne di Novara o il ragazzino gay di Roma. Sono cose che si dovrebbero sapere, che si rivestano o no incarichi pubblici. Mi chiedo come mai si renda conto solo oggi, di cosa sia il web. Di quanto possa essere uno strumento meraviglioso, ma anche barbaro e incivile. E mi chiedo ora se gli inquirenti e la polizia postale che hanno provveduto a rimuovere le minacce, gli insulti e i fotomontaggi a lei dedicati, saranno altrettanto solerti e rapidi nell’agire per difendere serenità, moralità e dignità degli altri milioni di italiani e italiane in balia del web. Perché le leggi esistono. Esistevano pure prima. Il problema è che se io o l’ultimo degli utenti proviamo a sporgere denuncia per un insulto o una minaccia su facebook, è piuttosto improbabile che il giorno dopo la polizia trovi il mittente e faccia irruzione a casa sua come fosse una cellula di Al Qaeda. E poi siamo onesti. La faccenda del fotomontaggio della sua faccia sul corpo della nudista racconta più di ogni altra cosa la totale impreparazione di questa donna di fronte agli eventi che le stanno capitando. Li’ il sessismo non c’entrava un bel niente, e lo dico da donna continuamente bersagliata sul web da insulti beceri di maschi repressi e femmine sceme. Ci sono fotomontaggi di mille politici uomini sul corpo di Siffredi, la faccia di Berlusconi è stata incollata al corpo di chiunque, da quella di Schwarzenegger a quella dell’orango tango e nessuno ha mai mandato le forze dell’ordine a mo’ di teste di cuoio a casa del killer del photoshop, come ha fatto lei col povero giornalista reo di aver pubblicato il suo ritratto versione milf nudista. Che poi diciamolo: non era neppure così male, in quella versione, la Boldrini. Io fossi stata al posto suo, avrei lasciato il dubbio. Non per niente, qualche giorno prima lo stesso scherzetto l’avevano fatto alla Merkel (la sua faccia sul corpo giovane di una bagnante nuda) e Angela s’era ben guardata dallo smentire, figuriamoci dal mandare la polizia a casa di qualcuno. E dopo che abbiamo visto le sue foto a mollo nelle terme di Ischia abbiamo anche capito il perché. Sempre più furbi di noi, i tedeschi. P.s. battuta un po’ sessista Boldrini, ne convengo. Ora però non mi mandi le teste di cuoio a casa che ho appena lucidato il parquet, grazie.

Selvaggia Lucarelli

Laura Boldrini, le leggi speciali, e quella irresistibile voglia di censura

Sottotitolo: «la persona che utilizza Internet ha la facoltà di scelta. Che Internet diventi materiale per la felicità o per la sofferenza dipende dalla mente. La mente viene prima dell’oggetto esterno» [I monaci del Monastero Namgyal, monastero personale del Dalai Lama].

Se la mente è bacata si può mettere tutto in mano al suo proprietario, e ne farà sempre un uso sbagliato.

Che sia un’automobile, un utensile da cucina, un martello per piantare chiodi se ad usare queste cose sono cervelli bolliti tutto diventa una potenziale arma, anche per uccidere e uccidersi.  Se il limite di velocità in autostrada è di 100, 120 Km l’ora, perché si continuano a fabbricare automobili che raggiungono i duecento, duecentocinquanta? smettessero allora di fabbricare macchine che superano i limiti consentiti dalla legge, oppure armi fatte apposta per uccidere.

Preambolo: Laura Boldrini si è espressa dietro la spinta di un problema personale, che, sebbene sia diffuso come lo è la molestia e la minaccia  virtuale non riguarda tutti e non riguarda solo le donne.

E non c’entra nulla soprattutto la violenza sulle donne.  

Nessun problema è stato mai risolto con la censura e il proibizionismo. 

Anche questo è un passaggio culturale al quale devono contribuire tutti, gestori, responsabili di siti, piattaforme e social network, utenti semplici.

 Sono anni che mi batto per il diritto al rispetto in Rete, per un uso consapevole del web che si potrà raggiungere solo il giorno in cui tutti applicheranno anche qui le norme, elementari, di buona educazione come si fa abitualmente nel posto di lavoro, in famiglia e con gli amici.

Nessuno potrebbe minacciare e insultare qualcuno ‘de visu’ e pensare di farla franca, qui sì, succede,  e invece non deve.

 Il dramma invece è che in Italia  non vengono rispettate le regole e le leggi nel virtuale ma nemmeno nel reale, l’apologia del fascismo è un reato solo sulla carta, di fatto non vengono mai sanzionati tutti quelli che virtualmente o realmente ripropongono i teatrini in stile ventennio.

L’odio non è di per sé un reato, è un sentimento, proprio come l’amore. Sono le manifestazioni ispirate dall’odio ad essere punibili quando sfociano nella violenza, chi l’ha detto che io non posso odiare chi mi pare se ne ho voglia?

il reato è l’istigazione alla violenza, al razzismo, alla xenofobia e omofobia, l’apologia del fascismo, non l’odio.

Allora facciamo rispettare le leggi che ci sono, quelle che qualcuno più lungimirante dei nuovi padri della patria avevano previsto, invece di pensare ad una legge speciale, ad personam, salvaboldrini.

Fa notare  Alessandro Gilioli  sulla sua pagina di facebook che per Boldrini la procura si è mossa con encomiabile tempestività mentre il sito che pubblica le mail private dei parlamentari grillini è on line senza soluzione di continuità di dieci giorni –  giusto ieri ne ha spiattellate altre dozzine, e che in Italia se sei una donna e sei oggetto di insulti sessisti e minacce via Internet, i casi sono due: se sei una studentessa, una casalinga, un’impiegata o una commessa, fai la coda alla polizia postale e non ne saprai più niente per il resto dei tuoi giorni – o magari finché qualcuno non ti ammazza, se sei il presidente della Camera, fai una bella intervista a Repubblica e immediatamente la Procura apre un’inchiesta.

Boldrini e il controllo

web. Ma la legge c’è

Web e anarchia, lettera aperta a Laura Boldrini

Quando qualche giorno fa un’amica mi aveva mandato in via privata su facebook  un link ad un sito di controinformazione pensavo che fosse l’ennesima bufala circolante in Rete, una di quelle che basta che la condividano in due o tre, perlopiù senza nemmeno verificarne contenuto e credibilità che subito viene ripresa da decine di utenti. 
E invece era tutto vero.

Neli link si riportava la notizia di pattuglie di polizia inviate – senza nessun mandato specifico, alla stessa stregua del blitz a sorpresa per catturare il superlatitante mafioso – per conto della presidente della camera nella casa privata di un cittadino colpevole di aver divulgato per primo il fotomontaggio della falsa Boldrini nuda su una spiaggia.

Al tempo, quando quella foto girava tranquillamente in tante bacheche  avevo scritto che non mi piaceva e continua a non piacermi l’idea che tanta gente non capisce che bisogna distinguere il pubblico dal privato che riguarda un personaggio politico, che c’è un privato che quando non nuoce a nessuno deve essere protetto e tutelato, dunque anche il diritto di una signora, se lo desidera e le piace, di potersi mostrare nuda su una spiaggia, il che non sottintende certamente che della sua voglia di esibizionismo debba poi goderne tutto il pianeta.

I giornali di ieri riportano la notizia secondo cui lo scorso 14 aprile, quando Laura Boldrini aveva scoperto il fotomontaggio su facebook in cui compariva una donna nuda spacciata per lei la polizia postale ha disposto il sequestro delle foto diffuse in Rete e la rimozione della fotografia, dunque nello spazio di poche ore è stata aperta un’indagine, le forze dell’ordine hanno provveduto al sequestro del materiale direttamente dal computer in casa dello sventurato manco si fosse trattato di materiale pedopornografico. 

Naturalmente dallo staff della Boldrini hanno smentito qualsiasi interesse “personale”: pare che a far partire la denuncia sia stato il personale di polizia di Montecitorio senza alcun intervento diretto della presidenza. 

E mi piacerebbe sapere sulla scorta di quale sentimento o richiesta di intervento la polizia interviene anche senza previa denuncia che richieda quell’intervento, Boldrini avrebbe potuto anche avere in mente di lasciar correre e attendere che la questione si spegnesse così come tutto in Rete perde di interesse nello spazio di qualche ora o al massimo qualche giorno. 
La Rete conserva ma molti dei suoi fruitori dimenticano in fretta di tutto.

Ma Laura Boldrini non si è limitata a questo, ha chiesto e ottenuto – pare che sia per ora solo un’ipotesi ancora allo studio – la concessione di una squadra di sette agenti preposti unicamente a monitorare i contenuti web che riguardano solo lei, quindi distratti da altre indagini che riguardano i cittadini comuni che non sono affatto esenti da minacce e offese in Rete, anzi.

Tutto questo inserito in un decreto d’urgenza firmato da Luca Palamara, l’ex presidente dell’ANM. 

Il decreto prevede anche il sequestro preventivo tramite oscuramento di tutte le pagine web in cui sono inseriti riferimenti su di lei. 

Naturalmente tutti i cittadini in presenza di qualcosa che ritengono offensivo, pericoloso per la loro incolumità, sicurezza, hanno il diritto di rivolgersi alle forze dell’ordine chiedendo tutela per sé e per le persone care, nella fattispecie figli ancora minorenni che potrebbero subire un danno psicologico nel vedere immagini cruente o volgari delle loro mamme anche se ricavate da fotomontaggi.

Di tutta questa storia stupisce però la sveltezza con cui questa pratica è stata avviata e il sostegno immediato di Pietro Grasso, che da ex magistrato dovrebbe sapere benissimo che non c’è bisogno di nessuna legge speciale visto che ce ne sono moltissime, normali, già sufficienti alla tutela delle persone.

E, a margine di questo penso che anche i figli della mussolini debbano essere tutelati dalla visione di foto volgari che riguardano il passato della loro madre ma che invece alla prima occasione vengono riproposte in Rete, e preservati dalla lettura degli insulti rivolti alla loro madre, che potrebbe essere la donna peggiore del mondo ma è appunto, la loro madre.

Così come questo diritto ce l’ha il figlio della santanché e generalmente ce l’hanno tutte quelle persone che vengono insultate, dileggiate, spesso fatte oggetto di minacce vere e proprie e non invece, semplicemente criticate per l’incapacità politica e professionale, per la loro disonestà politica e non ma per un “altro” che nulla c’entra né dovrebbe entrare con il loro ruolo pubblico e politico.

Laura Boldrini non è la più bella del reame e non può pretendere attorno a sé lo stato di polizia, la censura preventiva né nessuna legge “speciale”.

Se la politica di tre quarti del pianeta ha una paura fottuta della Rete un motivo, anche più d’uno,  ci sarà, se i regimi e le dittature ne inibiscono l’uso significa che tanto inutile non è, è pericolosa casomai per chi vuole impedire la libera diffusione/circolazione delle idee e di quelle notizie che “sfuggono” ai media tradizionali, quelli abituati a dover servire un padrone, anzi, IL padrone, se parliamo di Italia.

E se la politica spesso si scaglia contro la Rete ritenendola responsabile della qualunque, solo questa è  già un’ottima ragione per difenderla e continuare ad usarla.