Punito per non aver commesso il fatto

Napolitano, un paio di giorni fa: “non si tratta coi facinorosi violenti”.
Coi delinquenti socialmente pericolosi però sì.
Se po’ ffà’.

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Quello che ha punito Gennaro De Tommaso detto Genny [le carogne vere sono altre, come ci ricorda stamattina Marco Travaglio]  è un provvedimento discriminatorio e fascista fondato sul nulla, deciso da un ministro dell’interno che è andato per due volte, commettendo il reato di eversione, davanti e dentro i tribunali a chiedere libertà per berlusconi. In Italia circola ancora a piede libero un diffamatore seriale che ha messo a rischio l’incolumità fisica e la reputazione umana e professionale di un giudice oltraggiandolo con la menzogna per sei anni dalle pagine di un giornale che è stato graziato da Napolitano, lo stesso che due giorni fa invocava la legalità allo stadio. Alfano dovrebbe spiegare in base a quale reato ha interdetto gli stadi per cinque anni a De Tommaso. Quale sarebbe il reato e l’istigazione  nella frase “Speziale libero”.  In quale paese libero, democratico e con una Costituzione che chiede, ordina la libertà di espressione si può limitare la libertà di un cittadino solo per aver espresso un’opinione discutibile, odiosa quanto si vuole ma che non istiga a nessuna violenza, non richiama ad atti violenti con cui chiede la libertà di un detenuto condannato fra l’altro dopo un processo e una sentenza con molti punti oscuri tant’è che la Cassazione ha stabilito che il processo che ha condannato Speziale per l’omicidio Raciti è da rifare da capo.

De Tommaso, che ha mantenuto l’ordine dentro uno stadio evitando il peggio, ovvero si è sostituito allo stato che non lo sa fare,  ha pagato la figura di merda di uno stato che coi criminali di ogni ordine e grado ci ha sempre trattato salvo poi blaterare di lotte alle varie criminalità, organizzate e non.

Gennaro De Tommaso, alias Genny, è stato inibito per cinque anni dagli stadi mentre un criminale socialmente pericoloso se ne va ancora in giro a piede quasi libero, fatta eccezione che per poche ore di notte e può imperversare nelle televisioni a dire quello che gli pare. 
Francantonio Genovese non viene ancora estromesso dal parlamento perché non si riesce a trovare un attimo di tempo per decidere il destino di uno che dovrebbe stare in galera, altroché Daspo per cinque anni.
Io credo che finché non si metterà fine a questo corto circuito di inciviltà, di disuguaglianza nel metodo non ci saranno proprio gli estremi, gli ingredienti per qualsiasi discussione che abbia un senso.
Cinque anni di limitazione di libertà a De Tommaso, condannato per il reato di checazzoneso e berlusconi condannato alla galera vera invitato nei palazzi a fare le leggi e le riforme della Costituzione. Questo non è un paese, è un’arena in cui tanta gente vuole vedere il sangue degli ultimi.  A me non frega niente se De Tommaso va allo stadio o no ma m’interessa e molto che un criminale possa ancora decidere della vita di mio figlio.

In Italia e da sempre abbiamo la classe politica e dirigente peggiore al mondo ma anche una buona parte di cittadini peggiori del mondo se, per soddisfare l’esigenza di giustizia gli basta la punizione al tifoso violento, che poi mi piacerebbe sapere quale violenza avrebbe esercitato Gennaro De Tommaso detto Genny nei fatti di sabato sera all’Olimpico.
La maglietta con la scritta? E’ un’opinione, per molti discutibile, inaccettabile ma nessuno dovrebbe vietare a nessun altro di poter esprimere con una provocazione un proprio pensiero. In Italia, paese antifascista per Costituzione e dove il fascismo è stato messo al bando, fuori legge, si dà ancora la possibilità a gruppi di nazifascisti di riunirsi – occupando pezzi d’Italia, il paese antifascista – in simpatiche manifestazioni; ci sono esercizi commerciali, banchetti al mercato che possono esporre e vendere vessilli fascisti, bottiglie di vino e altre chincaglierie con frasi e immagini inneggianti al duce, a Predappio ogni anno va in scena l’orrido teatrino della commemorazione del capoccione ma nessuno ha mai pensato di fare una legge che lo vieti, di sanzionare l’amministrazione politica di Predappio né di far chiudere per cinque anni il negoziante che vende quegli oggetti.
Eppure, si potrebbe e si dovrebbe.

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Lo Stato Carogna
Marco Travaglio, 7 maggio

Chi pensava che i peggiori pericoli per i magistrati antimafia venissero dalla mafia, soprattutto dopo le condanne a morte pronunciate da Riina, si sbagliava. Le minacce più insidiose arrivano sempre dal Palazzo. Il Csm – l’organo di autogoverno della magistratura che dovrebbe garantirne l’autonomia e l’indipendenza – ha inviato una circolare a tutte le Dda, cioè ai pool antimafia delle varie procure per raccomandare che ai pm che si sono occupati per 10 anni di mafia, camorra e ‘ndrangheta non vengano assegnate nuove inchieste in materia. Il diktat calza a pennello sulla Dda di Palermo, dove i principali pm titolari delle nuove indagini sulla trattativa Stato-mafia (rivolte al ruolo dei servizi segreti e della Falange Armata) hanno potuto finora occuparsene perché “applicati” dal procuratore Messineo. Nino Di Matteo è “scaduto” dopo i 10 anni canonici nel 2010, trasferito dalla Dda al pool “abusi edilizi” e da allora “applicato” per proseguire il lavoro sulla trattativa; Roberto Tartaglia l’ha seguito qualche tempo dopo; fra un mese scadrà anche Francesco Del Bene. La norma demenziale è contenuta nell’ordinamento giudiziario Castelli-Mastella del 2007, che appiccica ai pool specializzati delle procure (mafia, reati fiscali e finanziari, ambientali, contro la Pubblica amministrazione, contro le donne e i minori, ecc.) un bollino di scadenza come agli yogurt: appena raggiungono 10 anni di esperienza, cioè diventano davvero capaci ed esperti su una materia, devono smettere e occuparsi d’altro. Una mossa geniale: come se un’azienda, dopo aver impiegato tempo e risorse per formare un dirigente, lo spedisse a fare altre cose perché è diventato troppo bravo. Vale sempre il detto di Amurri e Verde: “La criminalità è organizzata e noi no”. Se la legge fosse stata già in vigore nel 1992, Cosa Nostra avrebbe potuto risparmiare sul tritolo evitando le stragi di Capaci e via D’Amelio, visto che quando furono uccisi Falcone e Borsellino indagavano sulla mafia da ben più di due lustri. Negli anni scorsi il bollino di scadenza ha falcidiato i pool antimafia di Palermo, Bari e Napoli, quello torinese creato da Raffaele Guariniello sulla sicurezza, la salute e l’ambiente (processi Thyssen, Eternit, doping…), quello milanese coordinato da Francesco Greco sui crimini economici (Parmalat, scalate bancarie, Enel, Eni, San Raffaele, grandi evasori). P
er non disperdere enormi bagagli di esperienza e memoria storica, i procuratori capi tentavano di limitare i danni “applicando” i pm scaduti a singole indagini. Ora, con la circolare del Csm, cala la mannaia anche su quella possibilità. Col risultato che una materia delicata e intricata come la trattativa, che richiede conoscenze ed esperienze approfondite, sarà affidata a pm che mai se ne sono occupati, privi dunque di qualunque nozione sul tema e magari ammaestrati da tutti gli attacchi (mafiosi e istituzionali) subìti dai colleghi che hanno osato scoperchiarla. Il fatto che Di Matteo sia il nemico pubblico numero uno tanto di Riina quanto del Quirinale non lascerà insensibile chi dovrà raccoglierne l’eredità. Magari toccherà a qualcuno dei neomagistrati che Napolitano ha arringato l’altroieri col solito fervorino alla “pacatezza”, al “rispetto”, addirittura all’“equidistanza” (testuale), contro il “protagonismo” e gli “arroccamenti”, per “chiudere i due decenni di scontro permanente” e “tensione” (fra guardie e ladri, fra onesti e mafiosi).
Non contento, il presidente più incensato e leccato del mondo (dopo Mugabe) ha poi evocato fantomatiche “aggressioni faziose” ai suoi danni, che il Corriere – sempre ispirato – attribuisce proprio a Di Matteo&C. per “intercettazioni illegali nell’inchiesta sulla trattativa”. Naturalmente le intercettazioni erano perfettamente legali, disposte da un giudice sui telefoni dell’indagato Mancino che parlava con il Quirinale. Ma anche questa ignobile calunnia sortirà prima o poi l’effetto sperato. Nessuno s’azzarderà mai più a intercettare un indagato per la trattativa: potrebbe parlare con il capo dello Stato.

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Il legale degli ultrà: “Legittime le magliette” 

«Da sempre tifoso della Roma e frequentatore della curva dell’Olimpico», Lorenzo Contucci ha cominciato a occuparsi di Daspo per caso, sollecitato da conoscenti. Dopo centinaia di casi seguiti in tutta Italia, è diventato l’avvocato italiano più esperto in materia, tanto che una nota casa editrice gli ha chiesto di scrivere un compendio giurisprudenziale con i ricorsi che ha trattato. 

 

Quale fu il primo caso?  

«Un tifoso aveva ricevuto un avviso di procedimento per un Daspo alquanto vago, senza alcuna indicazione su quando, come, perché… Andammo al Tar, che lo annullò, stabilendo un primo principio di garanzia». 

 

Il caso più strano?  

«Quello dei tifosi della Roma a cui arrivò un Daspo per non aver pagato il biglietto del treno. Naturalmente il Tar annullò». 

 

Che cosa pensa dell’evocazione del modello inglese, che ha sconfitto gli hooligans?  

«Magari! In Inghilterra il Daspo viene deciso da un giudice, non dalla polizia. È un modello molto più garantistico». 

 

Quali sono i punti più critici in Italia?  

«Si sono succedute molte modifiche legislative pessime. La peggiore quella del governo Prodi nel 2007: prima il Daspo richiedeva una condanna o almeno una denuncia, ora si può fare anche senza». 

 

Qual è la conseguenza?  

«A me non è mai capitato un Daspo successivo a condanna. In genere arriva dopo una denuncia. Nel 50 per cento dei casi, il tifoso viene poi assolto nel processo, ma nel frattempo ha già scontato il Daspo: un’ingiustizia. Ma se non c’è nemmeno una denuncia alla base del Daspo, il tifoso non può sperare di ottenere un’assoluzione da un giudice penale. Il Daspo gli resta addosso senza possibilità di difendersi: un’ingiustizia al quadrato». 

 

E la durata?  

«All’inizio il limite massimo era un anno, poi fu portato a tre, ora sono cinque anni. Nei processi a rapinatori e spacciatori non mi è mai capitato un obbligo di firma così lungo. Ma evidentemente la pericolosità dei tifosi è ritenuta dal Parlamento superiore».  

 

Che ne pensa dell’idea di Alfano del Daspo a vita? 

«Incostituzionale. Le misure di prevenzione si basano su un giudizio di pericolosità attuale. Non è ammissibile una presunzione di pericolosità a vita, tanto è vero che non esiste la sorveglianza speciale a vita nemmeno per i mafiosi».

E della proposta di Daspo collettivo? 

«Non capisco che cosa voglia dire, ma forse è il caso di riparlarne dopo le elezioni. I politici italiani, anche con responsabilità di governo, parlano spesso di cose che non conoscono. Compresa la Costituzione».

Che cosa pensa del Daspo per chi indossa la maglietta pro Speziale? 

«Appunto che non si conosce la Costituzione. La libertà di manifestazione del pensiero, quando non diventa apologia di reato, è protetta dall’ombrello dell’articolo 21. Quella maglietta non inneggia all’uccisione di Raciti, ma sostiene l’innocenza di Speziale. Cosa che è legittimo fare anche se c’è una sentenza contraria. Ci sono già diverse pronunce di Tar e giudici ordinari che affermano questo principio, annullando Daspo a tifosi per striscioni di solidarietà a Speziale, ma si finge di ignorarle».

Perché, secondo lei? 
«Perché io difendo il quisque de populo. Ma se si stabilisse il principio che chi contesta una sentenza merita un Daspo, come farebbe Berlusconi ad andare ancora allo stadio?».