Liste pulite, ma solo un po’

Sottotitolo: MANNINO VS INGROIA: “LEI È UN MASCALZONE”

Mannino ebbe già occasione di dire che Ingroia non è affidabile perché in ufficio ha la foto del Che anziché quella del presidente della repubblica [grande Antonio, io il quadro del Che ce l’ho al posto della Madonna a capo a letto!]. Ieri sera a Servizio Pubblico  ha alzato il tiro dicendo che Ingroia è un mascalzone.

In questo paese l’unico Magistrato buono è quello morto, quello che non parla più e non può nemmeno dire che gli fa schifo quando ad ogni anniversario e commemorazione ci sono le consuete processioni delle cosiddette istituzioni che fanno finta di dispiacersi mentre in realtà non gliene fotte niente dell’antimafia, altrimenti tratterebbero meglio quei Magistrati quando sono vivi, sarebbero al loro fianco, non invece vicini a chi pensa che ci siano cose da non dire, che non è carino far sapere, non si limiterebbero a cianciare che la mafia va combattuta ma farebbero di tutto per eliminarla.

“I capi di governo ‘cessati dalle funzioni’ hanno diritto a conservare la scorta su tutto il territorio nazionale nel massimo dispiegamento.”

Se proteggere un condannato a quattro anni di carcere  costa agli italiani 7000 euro al giorno, cosa fa lo stato italiano per le persone oneste, la solita beata minchia?

Con 7000 euro al giorno quanti malati si possono curare? E quanti bambini – di quelli che solerti sindaci lasciano a digiuno perché i loro genitori non possono pagare la mensa scolastica  si possono sfamare? Ma certo, chissá dov’era l’opposizione mentre in parlamento si confezionava  l’ennesima legge ad personam,  forse all’ ikea con la scorta?

Preambolo: mi fa sinceramente ridere leggere un po’ ovunque il terrore per il ritorno dello zombie.
Tutti a preoccuparsi di lui e non delle condizioni che gli sono state offerte un po’ da tutti, da chi lo ha legittimato, da chi lo considera ancora oggi l’interlocutore con cui confrontarsi e che lo hanno fatto arrivare fino a qui, ad oggi.
E pensare che in un paese normale non ci sarebbe stata nemmeno una prima volta per lui, figuriamoci una quinta.
Nei paesi dove non servono leggi per stabilire chi è adeguato o meno – per onestà – al ruolo politico e nei paesi dove se la legge dice che il proprietario di mezzi di comunicazione non può fare politica, quel proprietario non fa politica, e se la vuol fare deve rinunciare alle sue proprietà senza nemmeno l’apposita legge per regolare i conflitti di interesse [per informazioni citofonare Bloomberg].

LISTE PULITE, OK A DECRETO: ORA CHI VIENE CONDANNATO DECADE DALL’INCARICO

Fuori lista i condannati a oltre 2 anni
Quasi tutti salvi. Anche Dell’Utri

Liste pulite, ma solo un po’.

Una legge che non ce la fa, che è stata pensata per non  estromettere dell’utri dal parlamento, un condannato per mafia che si può ancora fregiare del titolo di senatore,  è una legge che non serve a niente.

Incandidabilità sopra ai due anni, ci va di lusso.

Si salverebbe solo un’eventuale candidatura di sallusti;  una cosa ridicola,  assurdo stabilire per legge che chi ha violato la legge non può far parte di chi poi è chiamato a fare le leggi.
Prendiamo appunto – ad esempio –  il caso di sallusti, un recidivo condannato ad una non pena ridicola per aver diffamato e per aver permesso che si diffamasse per conto suo e quello di chi gli paga lo stipendio.
Sarebbe così giusto che in un ipotetico futuro gli venisse concessa l’opportunità di diventare parlamentare? per me no.
Per me ci sono tanti mestieri e professioni che si possono fare o continuare a fare una volta reinseriti nella società, la politica però no: quella va lasciata a chi ha ben chiaro in mente il confine fra onestà e disonestà, non c’è una misura, non serve pensare che la diffamazione in fin dei conti non è un omicidio.

Questa legge ci dice che una brava persona in Italia, una che può andare in parlamento a fare le leggi per tutti, è anche chi ha avuto una condanna a due anni di carcere,  una a cui verrebbe impedito di partecipare ad un concorso pubblico ma che può invece candidarsi per andare a gestire la cosa pubblica, al pari di chi una condanna non l’ha avuta.  
In Germania, Svezia, Inghilterra, Stati Uniti ministri e presidenti si dimettono per questioni che confrontate ai reati odiosi di cui si macchiano i nostri politici anche prima delle “discese in campo” che spesso è l’extrema ratio per non finire in galera [per informazioni citofonare silvio]  sono veniali marachelle  e qui ci dobbiamo porre il problema di fare addirittura  una legge ridicola, offensiva per le persone oneste, che non c’è da nessun’altra parte del mondo civile e che non impedisce affatto  la candidatura  ma si limita ad attenuare l’entità del reato commesso – pregiudicati sì ma solo un po’ – sia o meno necessaria e  opportuna.
Se sia opportuno o meno che un condannato, uno con precedenti penali  possa o no entrare in parlamento a legiferare per chi condannato non è.
Un delirio, come al solito, tutto e solo italiano.  

Come facciamo poi a stare nelle classifiche internazionali al pari di paesi che almeno non hanno l’ardire di definirsi repubblica democratica? negli altri paesi – quelli normali – nemmeno si pone il problema del “se”, è subito NO, senza bisogno di una legge.

E’ vero che ci sono condanne e condanne, ma l’Italia non è nelle condizioni di poter decidere se una condanna è meno peggio di un’altra. Non ce lo possiamo permettere ‘sto lusso, dopo quello che è stato concesso fino ad ora. E finché non ci metteranno in condizione di scegliere chi mandare a rappresentarci in parlamento ci vogliono le porte sbarrate per i lusi, i fiorito, per chi ruba, per chi corrompe, per chi ha vicinanze strette con le mafie, altro che accuse di  “forcaiolismo”.
Nei paesi normali, civili e seri una legge così non c’è, nell’Italia asilo Mariuccia sì.

Bisogna specificare – PER LEGGE – non che per fare politica si debba essere onesti e basta, incensurati e basta, avere la fedina penale pulita e basta ma che per fare politica la  modica quantità di delinquenza non è un legittimo impedimento.
Essere incensurati è una nota di demerito per fare politica in Italia, diventa istituzionalmente  qualcosa di eticamente scorretto.

Non spetta di omettere 
Marco Travaglio, 7 dicembre

Da quando la Consulta ha stabilito che “non spetta alla Procura di Palermo di valutare” le intercettazioni Mancino-Napolitano né “di omettere di chiederne l’immediata distruzione”, nelle Procure e nelle polizie giudiziarie di tutt’Italia regna il terrore: oddio, e se intercettiamo un rapinatore, pedofilo, narcotrafficante, assassino che chiama il Presidente, che si fa? Breve prontuario delle cose da non omettere di fare, o da omettere di non fare. 

1.Tizio chiama il Presidente per dirgli che i pm lo perseguitano e chiedergli di fermarli. Siccome c’è il rischio che il Presidente gli dia retta e si attivi per far insabbiare o avocare l’inchiesta, e che di ciò resti traccia in successive telefonate intercettate, non spetta all’intercettatore omettere di interrompere subito la registrazione e di ingoiare i nastri già registrati.

2.Tizio chiama il Presidente per confidargli di aver rapinato una banca. Siccome è una notizia e una prova di reato, c’è il rischio che un giudice la ritenga interessante per processare Tizio e condannarlo per rapina e il Presidente per omessa denuncia e favoreggiamento, rammentare l’art. 271 del Codice di procedura che impone l’immediata distruzione delle intercettazioni che svelano colloqui fra medico e paziente, confessore e penitente, avvocato e cliente in barba al segreto professionale. All’ovvia obiezione che l’art. 271 non fa alcun cenno al Presidente, non omettere di sostenere che è chiaro dal tenore della conversazione che il Presidente è un medico che sta curando Tizio, anzi un prete che sta confessando Tizio, anzi un avvocato che sta difendendo Tizio. Si potrebbe anche non omettere di sostenere che il Presidente, o anche Tizio, è il nipote di Mubarak, ma la giustificazione difetterebbe di originalità.

3.Tizio chiama il Presidente e gli rivela: “Lo sa che mia moglie l’ho ammazzata io, ma stanno processando un innocente al posto mio?”. Siccome è una prova a discarico di un imputato che sta per essere condannato ingiustamente, c’è il rischio che il giudice che processa l’innocente sia tentato di usare la telefonata per scagionare l’imputato e imputare il marito al suo posto. Dunque non spetta all’intercettatore omettere di gettare nella stufa la bobina, altrimenti il Presidente s’incazza e la Consulta pure.

4.Tizio chiama il Presidente per due chiacchiere e il Presidente gli confessa che sta preparando un colpo di Stato, invitandolo a dargli una mano. Siccome anche questa è una notizia di reato, l’attentato alla Costituzione, cioè uno dei due reati per cui il Presidente è imputabile nell’esercizio delle sue funzioni (l’altro è l’alto tradimento), c’è il rischio che il giudice sia tentato di usare il nastro per chiedere al Parlamento di metterlo in stato d’accusa. Dunque non spetta all’intercettatore valutare l’intercettazione e di omettere di chiederne l’immediata distruzione. Perchè è vero che la Costituzione prevede la messa in stato d’accusa del Presidente per alto tradimento e attentato alla Costituzione, ma basta distruggere le prove e nessun Presidente verrà mai messo in stato d’accusa per alto tradimento e attentato alla Costituzione.

5.Tizio chiama il Presidente, i due si dicono una a caso delle cose sopra citate, l’intercettatore non omette di distruggere il relativo nastro, ma resta un problema irrisolto: oltre a Tizio e al Presidente, che non riveleranno mai quello che si son detti, c’è un terzo soggetto a conoscenza della conversazione: l’intercettatore. Il quale, sebbene assicuri che non spetta a lui omettere di non dire nulla a nessuno, anzi che ha perso la memoria, anzi non ricorda nemmeno le sue generalità, potrebbe sempre omettere di non parlarne con qualcuno.

A questo punto è pronto un killer di Stato, al quale non spetta di omettere di sciogliere l’intercettatore nell’acido.

Tutti contro uno

Sottotitolo: A me non spaventa Grillo quanto, invece, chi vorrebbe rendere impossibile – perlopiù a suon di menzogne – che qualcosa che nasce democraticamente possa avere lo stesso spazio della politica “tradizionale”. Oggi tutti, perfino Luxuria, hanno qualcosa da far pagare a Grillo. Fra un po’ si andrà a cercare il compagno di scuola a cui avrà copiato un compito, fregato la merendina o dato un pugno sul naso. Anche questa è macchina del fango, perché si straparla della e sulla persona, si scredita la persona ma non si discutono le proposte e si tende ad ignorare per comodità che il movimento di Grillo non è lui ma la gente che lo compone. Per fortuna pezzi da novanta della società civile come don Gallo e diversi costituzionalisti questo lo hanno capito, lo dicono e lo scrivono.

Per inciso io non ho ancora mai votato per i cinque stelle, ma non è detto che non ci sia una prima volta stavolta, francamente questa campagna mediatica terroristica contro di lui non la sopporto più. Grillo non ha gli stessi strumenti della politica, e lo spiega benissimo Travaglio nel suo editoriale di oggi sul Fatto.

Purtroppo c’è gente che vede solo quel che vuole vedere. Così almeno poi ha sempre la possibilità di dire che non aveva capito, non sapeva, non si rendeva conto. Grillo è il pretesto, ma pare che questo stia sfuggendo alla comprensione di chi intravvede in lui il pericolo di una qualche deriva, come se quella che stiamo subendo non sia GIA’ una deriva, la peggiore, la più antidemocratica.

Se Grillo ha il 7, l’8 e il 10 per cento nei sondaggi a sfavore di una politica cialtrona e incapace chi è causa del suo mal facesse mea culpa e la smettesse di fare la vittima.

Nel frattempo che si continua la campagna denigratoria contro il movimento di Grillo spero che chi si è unito alla lotta non abbia dimenticato (semmai lo sia venuto a sapere), che prossimamente a Bari si presenterà una lista denominata MFL, il grazioso acronimo ma più che altro un ossimoro cela la definizione di  “movimento fascismo e libertà”, e che a Genova uno dei candidati, tal Putti ha accettato il sostegno di quelli di forza nuova. E forse Napolitano invece di monitare sulla demagogia e di colazionare con un corruttore puttaniere potrebbe spendere anche due parole su questo. Ma forse difendere l’Antifascismo è diventato qualcosa di demodé, non è abbastanza moderno difendere sul serio quella Costituzione che vieterebbe la ricostituzione di movimenti di matrice fascista, così come ieri non è stato vietato a Latina di celebrare il funerale in stile rsi di un ex repubblichino con tanto di carabinieri a far da guardia alla salma illustre e ai vessilli fascisti che la circondavano.

Il tutti contro uno si sa,  è storicamente  roba fascista, è roba per vigliacchi che sanno di non potercela mai fare da soli e allora fanno come le squadracce, si riuniscono in gruppetti e si scelgono un obiettivo per farne il proprio bersaglio grosso.
Qualcuno lo regge e gli altri lo picchiano.

Questa sottile metafora per spiegare cosa sta succedendo a e con Beppe Grillo: Napolitano è quello che lo ha tenuto fermo dicendo un mucchio di sciocchezze a proposito di demagoghi e demagogia nel discorso del 25 aprile (nel discorso del 25 aprile!) e chi lo picchia quelli che sono andati a ruota, in primis Bersani che non ha le idee molto chiare a proposito di “insulti”: sono tutti talmente arroganti e supponenti da non aver capito che in politica l’insulto peggiore è tradire i propri elettori, esattamente come hanno fatto tutti i rappresentanti politici che prima hanno mandato in malora la politica che avrebbero dovuto esercitare  per mezzo della quale rendere questo paese migliore e non invece la latrina a cielo aperto in cui l’hanno trasformato,  e poi  si sono inginocchiati al governo di Monti senza opporre nessuna resistenza per il bene del paese (dunque soprattutto  il loro), sia a destra che a sinistra.

Grillo contro Maciste
 Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano, 28 aprile

Le accaldate dichiarazioni dei politici su Beppe Grillo sono uno spettacolo impagabile, da scompisciarsi. Tutti contro uno, come contro la Lega delle origini. Sono talmente terrorizzati da non notare la ridicolaggine di un’intera classe politica, seduta su 2,5 miliardi di soldi pubblici camuffati da rimborsi, padrona del governo e del Parlamento nonché di tutti gli enti locali, ben protetta da Rai, Mediaset e giornaloni, infiltrata in banche, assicurazioni, aziende pubbliche e private, Tav, Cl, P2, P3, P4, ospedali, università, sindacati, coop bianche e rosse, confindustrie, confquesto e confquello che strilla come un ossesso contro un comico e un gruppo di ragazzi squattrinati, magari ingenui, ma armati solo delle proprie idee e speranze.
Il presidente della Repubblica che commemora la Liberazione dal nazifascismo lanciando moniti, anzi anatemi contro un comico (“il qualunquista di turno”), è cabaret puro. Dice che “i partiti non hanno alternative”: ma quando mai, forse per lui che entrò in Parlamento nel ’53 senza più uscirne. Tuona contro l'”antipolitica” (e ci mancherebbe pure, vive di politica da 60 anni). Ma non si accorge che nessuno ha mai delegittimato i partiti e la politica quanto lui, che sei mesi fa prese un signore mai eletto da nessuno, lo promosse senatore a vita e capo di un governo con una sola caratteristica: nessun ministro eletto, tutti tecnici più qualche politico travestito da tecnico. E non se ne avvedono neppure i giornaloni che dedicano all’ultimo monito pensosi editoriali dal titolo “Il tempo è scaduto”.

Se un comico parla del capo dello Stato e lo sbeffeggia, è normale, mentre non s’è mai visto un capo dello Stato che parla di un comico, per giunta neppure candidato, per dirgli quel che deve fare o dire. Napolitano contro Grillo è roba da “Totò contro Maciste”. Ma il meglio, come sempre, lo danno i partiti. Anche una personcina ammodo come Guido Crosetto del fu Pdl riesce a dire che Grillo gli ricorda “il fascismo”, anzi “il razzismo”, anzi “il nazifascismo”, anzi “Goebbels ” in persona.
Le pazze risate. Grillo dice che, se Napolitano difende i partiti, è “il presidente dei partiti”: logica pura, ma per Bersani è “insulto”.

Segue minacciosa diffida per leso monito: “Grillo non si permetta di insultare Napolitano, non si arrischi a dire cosa direbbero i partigiani se tornassero: loro saprebbero cosa dire dell’Uomo Qualunque”.
Brrr che paura.
Livia Turco lacrima in tv perché la gente ce l’ha con i politici e non si capacita del perché.
Casini intima a Grillo di “entrare in Parlamento a misurarsi coi problemi concreti” e “smetterla con le chiacchiere”. Perché se no? Forse dimentica che Grillo in Parlamento entrò tre anni fa, per portare le firme di 300 mila cittadini su tre leggi d’iniziativa popolare: ma, siccome prevedevano l’incandidabilità dei pregiudicati, il limite di due legislature per i parlamentari e una legge elettorale democratica al posto del Porcellum, i partiti le imboscarono tutte e tre. Anche perché, con quelle, l’Unione dei Condannati si sarebbe estinta e gli altri partiti quasi. Siccome Dio acceca chi vuole rovinare, i partitocrati seguitano a confondere le cause con gli effetti. Grillo l’hanno creato loro: rifiutando le sue proposte, asserragliandosi a palazzo, barricando porte e finestre,
alzando i ponti levatoi per tenere lontani dalla politica i cittadini e rovesciando su di loro pentoloni d’olio, anzi di merda bollente. E ora che, al borsino della fiducia, raccolgono tutti insieme il 2%, non trovano di meglio che fare l’ammucchiata: ABC, il Trio Alfanobersanicasini, vanno in giro a braccetto per far numero e volume, annunciando riforme elettorali, leggi sui partiti, tagli alla casta, norme anti-corruzione e misure per la crescita che nessuno farà mai.

Più gli elettori si allontanano, più i capi si avvicinano, illudendosi di riempire il vuoto da essi stessi creato.
Sfilano al proprio funerale come se il morto fosse un altro.

Alemanno, sindaco a sua insaputa

In un paese normale il sindaco di una città colpita da un’emergenza sarebbe concentrato sul suo lavoro, andrebbe in giro a verificare di persona come procedono i lavori per ristabilire al più presto la normalità e per restituire alla gente una città che sia degna dell’appellativo di Capitale.
In Italia, nella fattispecie a Roma, abbiamo un emerito incapace che negli ultimi quattro giorni ha partecipato e sta partecipando (presumo perché lo invitano) a tutte le trasmissioni televisive, è sempre al fianco dell’inviata di turno in tutti i telegiornali. Rivolgo un’accorata richiesta a tutte le reti televisive/informative (di cielo, di mare, di terra e di aria… ): fatemi una cortesia, non lo chiamate più, lasciatelo lavorare, anzi, mandatecelo, a lavorare.
Ché s’è fatta quell’ora.

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E SU TWITTER L’IRONIA SU ALEMANNO: “ABBANDONATE LA CITTA'”

E’ nevicato a sua insaputa, piove, a sua insaputa, Alemanno probabilmente è anche sindaco, a sua insaputa, ed è anche molto sfortunato perché non trova mai nessuno che gli dica con esattezza che tempo farà in modo tale da permettergli di organizzare le contromisure per le varie emergenze che si dovranno fronteggiare.

Ad ottobre, quando Roma annegò sotto 76 centimetri d’acqua il cosiddetto sindaco si lamentò di “non essere stato avvertito che sarebbe piovuto”.  E non pioveva da sei, sette mesi. Ieri si è molto arrabbiato perché nessun previsore del tempo gli  aveva detto che invece di dieci centimetri di neve ne sono calati, invece, cinquanta e più.

E allora significa che la scienza non lo soddisfa, lui non vuole
qualcuno che preveda ma una persona che dica con esattezza quello che succederà: quindi basta occuparsi di oroscopi, corna e amori difficili, il futuro della chiromanzia sono le previsioni del tempo, per informare, e in tempo utile, specificamente Alemanno.

Io posso anche comprendere l’eccezionalità dell’evento e anche che una città dove nevica ogni quarant’anni non si possa organizzare come Stoccolma e Oslo, a Roma c’è la neve davvero ogni 25, 30 anni: vogliamo attrezzarla a città svedese per due giorni ogni 25 anni? si può fare (magari con un altro sindaco), ma poi non lamentiamoci dei costi.

Io, coi miei soldi preferirei finanziare gli asili che servono tutti i giorni,  le scuole che servono tutti i giorni, così come gli ospedali e una rete di mezzi pubblici che sia degna di una città come Roma (dopo aver visto la puntata di stasera di Presa diretta bisognerebbe andare a prendere tutti i sindaci di Roma diciamo degli ultimi quindici, vent’anni e sputargli in faccia, uno per uno. Mica uno sì e uno no. Uno scempio reiterato e continuato coronato con la gestione della città medaglia d’oro alla Resistenza, la capitale d’Italia, affidata ad un fascista con l’aggravante di essere pure un incapace totale. Sono soddisfazioni. 
Tremo al pensiero del candidato che proporrà il piddì per le prossime elezioni).

E gradirei che  il sindaco di una grande città, della Capitale d’Italia non se la prendesse con Giove Pluvio, Eolo e il destino infame solo perché non è capace di prendersi le sue responsabilità di primo cittadino, né – soprattutto – che se la cavi chiedendo ai romani di fare da soli mettendo loro a disposizione le pale per ripulire la città.

Poi, che ci sia anche un sacco di gente idiota che non sa comportarsi civilmente evitando quando può di andare ad appesantire una situazione già difficile è un’altra storia:  tutti quelli che nonostante gli avvisi, le avvertenze, le ordinanze comunali che chiudono uffici e scuole (anche se parzialmente come ha fatto capitan Alemanno) perché c’è un’emergenza insolita in corso che una città come Roma non è abituata a sopportare e quindi ad affrontare, nonostante chi mette in guardia circa il pericolo di avventurarsi sulle strade in automobile avevano veramente la necessità di uscire di casa? non c’era davvero nessuno che poteva evitare, prendersi un giorno di permesso dal lavoro, tenere i figli a casa, farsi una piccola scorta di cibo in anticipo? lo sport preferito degli italiani dopo il cazzeggio è seguire le previsioni del tempo. Non lo dovrebbe nemmeno dire un sindaco cosa si deve fare dopo che per settimane giornali, telegiornali, siti internet hanno fatto una vera opera di terrorismo mediatico circa le condizioni climatiche.
Sarebbe bastato semplicemente affacciarsi dalle finestre per capirlo.

Belviso, un vice-sindaco in attesa di disgelo

SVEVA BELVISO è fantastica, davvero, una vicesindaco
impagabile. Impegnata in attività produttive quali destinare
angoli di cimitero alla sepoltura degli ovuli fecondati, ieri ha
affiancato il suo diretto superiore, Alè-manno, nel duro
compito di tamponare l’emergenza neve. Non ha messo in
campo né mezzi spargi sale, né spazza neve, non ha fatto
cambiare per tempo le gomme a tutti gli autobus, non ha
distribuito catene ad automobilisti che, vivendo in una città
dove nevica ogni dieci anni, o hanno un cottage a Cortina, o
non si vede perché debbano comprarsele. Mentre il suo
sindaco non faceva un c…, ella non faceva un c… al suo
fianco. Ma, alla fine della giornata, ha voluto dare un
contributo personale, far sentire ai cittadini barricati in casa,
bloccati in macchina, congelati sui treni o costretti a piedi,
rischiando tibie e femori per tornare a casa, una parola di
verità e speranza: “Roma sta reggendo la prova neve”, ha
detto, mentre cadevano 70 alberi. Poi, quando l’hanno
avvisata che si erano formati 280 chilometri di code, ha
aggiunto: “Tranne i problemi di traffico”. Santa subito? Magari
no, magari aspettiamo il disgelo.

Lidia Ravera – Il Fatto quotidiano 05.02.2011