Il paese dei “figli di…”

Evidentemente la valutazione del governo è stata positiva. E tanto basta per definire di che pasta è fatto il governo di Renzi: la solita, condita con l’autoreferenzialità di casta e priva del senso minimo di responsabilità che un politico dovrebbe assumersi anche quando non gli conviene.

Sottotitolo: bei tempi quando su facebook si litigava perché qualcuno almeno si degnava di chiedere le dimissioni di ministri “inadeguati”.
Ad esempio Renzi.
Quella santa donna della Idem dovrebbe fare una class action contro chi l’ha costretta a dimettersi.
La Cancellieri e alfano no: loro hanno detto “sto”, come a sette e mezzo col cinque, e senza nemmeno soffrire come Lupi che  è uno dei risultati disastrosi delle larghe intese napolitane.  Perché non bisogna dimenticare chi ha voluto a tutti i costi gemellare e unire sotto l’ombrello di una necessità che non c’era gente che non poteva fare altro che produrre i disastri a cui assistiamo senza poter fare nulla. 

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La legge sulla responsabilità civile dei giudici non la chiedeva nessuno: nemmeno l’Europa.
Ma per Renzi era un’esigenza irrimandabile, da approvare in tempi brevissimi.
Quella sull’anticorruzione è chiusa da due anni in un cassetto e non saranno gli “alleluja” di Grasso a renderla operativa ma soprattutto efficace.
Solo uno stato profondamente corrotto intimidisce la Magistratura e lascia in pace i delinquenti, in particolar modo quelli “eccellenti” che piacciono alla destra, al centro e alla “sinistra”.  Il presidente del consiglio non dice nulla sugli arresti “eccellenti” di persone vicine al suo governo e vicinissime ai suoi ministri, così tanto da regalare Rolex a figli che si laureano, però sente il dovere di replicare al Presidente dell’Anm che lamenta un diverso trattamento della politica rispetto ai Magistrati e ai corrotti, che denuncia un governo che fa praticamente il contrario di ciò che dovrebbe mettendo l’urgenza sui provvedimenti disciplinari ai giudici e dilatando oltremodo quelli contro la corruzione che si è mangiata il paese. 

Ad oggi gli unici ad aver provato a ripulire questo paese sono stati i giudici, non la politica che li ha sempre osteggiati e contrastati in tutti i modi.
Non è colpa dei giudici se la politica ha sempre aspettato l’intervento della magistratura ma della politica che non ha mai fatto quello che deve, lo diceva ancora due sere fa Peter Gomez a Piazza pulita ad una frastornata Bonafè che insisteva nel dire che De Luca è stato votato, e finché la gente vota anche i condannati – talvolta anche i pregiudicati – non si può fare diversamente, mentre Gomez cercava di spiegarle che un partito serio non permette a un condannato, sebbene solo  in primo grado di potersi candidare in nessuna sede,  perché le regole del circolo della bocciofila che non manda in presidenza i condannati sono più severe di quelle che si dà la politica, che poi comunque le disattenderebbe come al solito.
Quindi i giudici andrebbero ringraziati, non rimproverati dal Leopoldo sdegnato che invece di agire contro il malaffare e la criminalità, anche quella di stato, ha pensato che fosse più utile e necessario fare strame dei diritti, del lavoro, della scuola: ci sono volute poche settimane per abolire l’articolo 18 ma la legge contro la corruzione è solo una delle tante ipotesi, come il game e over, il daspo per i politici indagati e condannati, del presidente del consiglio che si mette contro i giudici come un berlusconi qualunque.
E’ proprio ‪#‎lavoltabuona‬, come no.

 

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“Giovani choosy che vogliono restare sotto la gonna di mammà, sfaticati senz’ambizioni se non quella del monotono posto fisso”.
Tutte definizioni [relative ai figli degli altri] estrapolate da discorsi di genitori eccellenti di figli che, evidentemente, essendo i più bravi di tutti hanno invece meritato tutto quello che si ritrovano.
Due cattedre nell’università dove guarda caso insegnavano e facevano ricerca mamma e papà come la dottoressa Silvia Deaglio figlia di mamma Fornero, importanti incarichi manageriali strapagati durante e dopo con liquidazioni milionarie come Piergiorgio Peluso figlio di mamma Cancellieri, una vicepresidenza alla banca d’affari Morgan Stanley a 43 anni come Giovanni Monti, figlio del più noto Mario.
E come dimenticare il già viceministro della Fornero, Michel Martone, quello che “chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato”: figlio di Antonio, magistrato, professore associato a 27 anni, giusto un attimo prima della sfiga.
Alla lista si potrebbero aggiungere altri cognomi illustri: Catricalà, Profumo, Clini, Gnudi, Passera, Balduzzi, Severino i cui figli non hanno il destino e il futuro appesi, ma più che altro demoliti dalle leggi fatte col contributo dei loro genitori essendoseli assicurati per dinastia, si aggiunge ora anche il figlio di Lupi, un altro nato e cresciuto nella sua bella torre d’avorio del feudo Italia dove solo ai “figli di…” viene riconosciuto il merito, le competenze necessarie per accedere ai posti migliori.
Lupi è solo l’ultimo di un elenco odioso fatto di gente che ha letteralmente rubato la vita di chi se la deve inventare dal giorno in cui viene al mondo, e se lui “prova amarezza” per il figlio sbattuto in prima pagina provi ad immaginare cosa proviamo noi che non abbiamo un cognome eccellente, gli amici giusti al posto giusto che regalano Rolex da diecimila euro per tutte le porte sbattute in faccia ai nostri figli che, grazie ai genitori come lui, non possono nemmeno dimostrare quanto valgono.

Per indebolire Letta, mandarlo a casa sereno, Renzi ha usato anche la richiesta delle dimissioni della Cancellieri, fregandosene altamente se questo poteva dispiacere Napolitano, il grande sponsor dell’ex prefetta promossa ministra nel governo di Monti.
Nel caso di Lupi, che nel paese normale dovrebbe essere già a casa e non importa se sereno o no, nessuno vuole darsi reciproci dispiaceri.

Un partito insignificante per la politica come l’Ncd ma che può godere di protezioni altissime grazie alla vicinanza stretta con Comunione e Liberazione, che a sua volta è vicinissima anche al cardinal Bagnasco che pare accorgersi solo oggi che la corruzione in Italia è diventata insostenibile: vent’anni di berlusconi non gli avevano chiarito così bene le idee che può tenere sotto scacco il residuo minimo di dignità della politica e delle istituzioni, il cui unico interesse è che il governo dell’illegittimo non abbia di che preoccuparsi fino alla data di scadenza.

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Il ministro ai dipendenti “Non si accettano regali oltre 150 euro di valore” – Sebastiano Messina, La Repubblica, 18 marzo

Un anno fa Lupi firmò il codice etico del suo dicastero che vieta di ricevere doni o benefici come un Rolex o un lavoro.
La regola che dovrebbe spingerlo a dimettersi subito, il ministro Maurizio Lupi l’ha scritta lui stesso il 9 maggio dell’anno scorso. E’ il Codice Lupi, un decreto che fissa in maniera chiarissima cosa è tassativamente vietato a tutti i dipendenti del suo ministero, applicando il Codice Etico approvato dal governo Monti. Articolo 4: «Regali, compensi e altre utilità». Comma 2: «Il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore», ovvero «non superiore a 150 euro». Queste sono le regole etiche di cui il ministro pretende l’assoluto rispetto da parte dei dirigenti e dei funzionari che lavorano con lui: mai accettare, «per sé o per altri», regali imbarazzanti come un Rolex o «altre utilità» come l’assunzione di un figlio.
Dunque il ministro sa benissimo come bisogna comportarsi in un ministero, visto che la norma l’ha scritta lui. In realtà, è stato obbligato a farlo. Il merito è di Mario Monti, che l’8 febbraio 2012, come titolare ad interim del ministero dell’Economia e delle Finanze, inviò una circolare ai suoi dirigenti che finì sui giornali perché a partire da quel giorno proibiva le spese di rappresentanza, le consulenze e i convegni. Minore attenzione fu inevitabilmente dedicata alla seconda parte della circolare, quella in cui Monti imponeva il rigoroso rispetto di un codice etico per i regali, vietando di accettare, «per sé o per altri, beni materiali quali regali o denaro, o beni immateriali o servizi e sconti per l’acquisto di tali beni (…) che eccedano il valore di 150 euro». Poi, per essere ancora più chiaro, il presidente del Consiglio aggiungeva: «I regali e gli omaggi ricevuti (…) in ogni caso devono essere tali da non poter essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio».
Ma quel governo non si accontentò di una circolare. E prima di uscire di scena approvò il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, un regolamento previsto dalla riforma Bassanini del 2001 ma inutilmente atteso da dodici anni. Alla voce «regali, compensi e altre utilità» il Codice – che porta la firma del ministro Patroni Griffi – ripeteva esattamente il divieto imposto da Monti: «Il dipendente non accetta, per sé o per altri…». Poi però rinviava a ciascun ministero il compito di emanare un decreto ad hoc, che adattasse quella regola ai meccanismi dei suoi uffici. Così il 9 maggio dell’anno scorso la pratica è arrivata sul tavolo di Lupi, che ha firmato le norme valide per il suo ministero.
Ma lui che ha scritto il Codice Lupi, invece di dare l’esempio è stato il primo a non rispettarlo. Ha lasciato che un imprenditore al centro di appalti miliardari – capace di dirigere i lavori di 17 opere pubbliche contemporaneamente – regalasse a suo figlio Luca un Rolex Daytona, il più ambito dai collezionisti, un orologio da 10 mila euro. E non ha battuto ciglio quando lo stesso imprenditore, Stefano Perotti, un anno fa ha fatto assumere il giovane Lupi da suo cognato, spiegando che «il ragazzo deve prendere 2000 euro più Iva mensili ». Regali e favori che erano evidentemente destinati a ottenere la benevolenza del ministro e che Maurizio Lupi ha accettato: non per sé, ma «per altri», ovvero per suo figlio.
Non basta, come fa il ministro, prendere le distanze da quell’imbarazzante dono del Rolex: «L’avesse regalato a me non l’avrei accettato » ha detto al nostro giornale. Chi ha visto «I tartassati» – il magnifico film di Steno del 1959 – ricorda che a un certo punto il maresciallo della tributaria (Aldo Fabrizi) si accorge che il commerciante evasore (Totò) sta cercando di corromperlo svendendo a sua moglie un abito con l’improbabile sconto del 70 per cento. «Posalo» ordina il maresciallo alla moglie. Ecco, il ministro avrebbe dovuto imitare il maresciallo Fabrizi, e fare la stessa cosa: ordinare al figlio di restituire immediatamente quell’orologio. Ma lui non lo ha fatto, ha accettato che un suo familiare ricevesse un costosissimo regalo. Altrettanto zoppicante è la sua autodifesa sul lavoro che Perotti, tramite il cognato, ha procurato a suo figlio. «Per tutta la vita ho educato i miei figli a non chiedere favori» ha assicurato Lupi. Ha fatto benissimo. Ma avrebbe dovuto aggiungere che non bisogna neanche accettarli, i favori, soprattutto se a farli è un imprenditore che lavora con il ministero di papà. E forse è vero che lui non ha mai chiesto nulla, a quel potente imprenditore a casa del quale andava così spesso a cena. Eppure, come direbbe lui stesso se un dirigente fosse colto a violare il Codice etico in materia di regali, certi doni non basta non chiederli: non bisogna accettarli, né per sé ne per altri, se «possono essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio». Questa è la vera colpa politica del ministro. Che oggi non è più moralmente legittimato a chiedere ai suoi sottoposti il rispetto di regole che lui per primo ha infranto. E’ il Codice Lupi che oggi inguaia il ministro Lupi.

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FACCE DI BRONZO – Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano, 18 marzo

Lo scandalo è bello grosso e infatti di prima mattina eccoli paracadutati nei talk show per difendere l’indifendibile, negare l’evidenza, confondere le acque. In missione per conto di Renzi, in quel di Agorà (Rai3), la parola all’onorevole Ivan Scalfarotto, trascorsi decorosi per i diritti civili, oggi detergente multiuso. Prova “schifo” Ivan Mastro-lindo e vorrei vedere voi a passare lo straccio sul sistema Incalza, 35 anni di appalti, 14 inchieste, un vorace amico detto Pigliatutto. Niente paura, l’ottimo governo lavora indefesso per il bene comune e la puzza diventa odor di gelsomino. Nello studio delle facce di bronzo “siamo tutti garantisti” che per l’uso smodato del termine ricorda il patriottismo secondo Samuel Johnson, ultimo rifugio dei farabutti.

Il ministro Lupi non è indagato, lasciamo lavorare i magistrati, nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, non esistono più le mezze stagioni. E la legge anti-corruzione che giace da due anni? Utile approfondimento. E il premier che voleva il Daspo per i corrotti? Quando mai. La consigliera Ncd non finge di turarsi il naso. Lupi deve dimettersi? Giammai. E il figlio di Lupi? E il Rolex da diecimila euro? E l’assunzione presso lo studio Pigliatutto? E l’abito su misura? Niente persecuzioni. Si chiude con l’ossessione Salvini e i clandestini di Crotone, “che vogliono il wi-fi, ma non le lasagne”(mah).   Possibile che nulla riesca a scuoterli? Che il format sia sempre lo stesso, un compitino scritto per non dispiacere ai capi ? Mai che qualcuno dica: sì abbiamo sbagliato, fingevamo di non vedere che l’inamovibile supermanager era il palo di un sistema tangentizio che faceva comodo a tutti. E quando dal passato è apparso sullo schermo Antonio Di Pietro che nessun ladro ha fatto fesso, di fronte alle parole di plastica abbiamo provato nostalgia per la cruda umanità di Tangentopoli.

 

Autocrazia

“Lo Stato, anziché delegittimare il crimine delegittima i Magistrati che combattono la mafia.” [Gerardo D’Ambrosio – Ballarò, 3 maggio 2005]  – Arrivederci ad un uomo perbene.

Sottotitolo,  cito da wikipedia: l’autocrazia è una forma di governo in cui un singolo individuo detiene un potere illimitato. Si tratta di una forma potenziata della monarchia assoluta in cui il sovrano non condivide nessun potere né con i ministri né con le classi dirigenti. Un imperatore può ereditare il potere, ma viene considerato un autocrate invece che un monarca quando nelle sue mani si concentra un potere eccessivo. Anche una repubblica sotto dittatura può essere un’autocrazia.

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Riforme, Renzi: “se la politica non vuole cambiare farà senza di me”.

Oh, ma pensa che perdita. Considerando poi che varie scadenze sono già state disattese [entro il mese di febbraio un lavoro urgente sulle riforme costituzionali ed elettorali e subito dopo a marzo immediatamente il lavoro: cazzaro dixit, quello che si giocava la faccia, ché tanto il culo ce lo abbiamo sempre messo noi]. A pensar male si fa peccato, ma vista la fretta con cui è stato defenestrato Letta verrebbe da pensare che avesse intenzione di fare altre cose, alcune perfino di centrosinistra. I 5stelle sarebbero i fascisti, però verso la deriva autoritaria dell’uomo solo al comando ci sta portando il democratico cazzaro. 

Grasso: “Abolizione Senato e Italicum? Riforme di Renzi rischio per democrazia”.

Verso la svolta autoritaria

“Cambiare” non significa poi che quello che viene modificato venga anche migliorato.
Alla Camera si sono sempre approvate anche le peggiori porcate che, solo grazie al passaggio in Senato è stato possibile correggere o fare in modo che non venissero trasformate in leggi.

Questi signori nessuno al seguito del Nessuno per eccellenza, degno figlioccio del suo padrino che si rimangia la parola con la stessa velocità con cui dice cazzate in Italiavisione, questi scelti da nessuno, eletti da nessuno dovrebbero agire, comportarsi, parlare in funzione del loro status. Renzi, quando al mattino si pettina e si fa la barba dovrebbe ripetere a mo’ di mantra, anche dentro di sé va bene lo stesso, che le primarie di partito non hanno nessun valore istituzionale, non sono quelle a legittimare una persona per trasformarla in presidente del consiglio, e siccome lui lo è diventato in circostanze “misteriose” dovrebbe limitarsi a pensare alla realizzazione di quelle riforme di base che consentiranno poi di far fare quelle importanti ad un governo di eletti dal popolo come COMANDA la Costituzione, non Napolitano o berlusconi nelle segrete stanze. Nessuno autorizza né ha autorizzato Matteo Renzi a mettere le mani nella Costituzione.

Il cosiddetto premierato forte in Italia non si potrà attuare finché il parlamento sarà occupato da nominati abusivi, impostori, delinquenti. I cittadini italiani potranno scegliersi il presidente del consiglio e anche quello della repubblica quando avranno acquisito una diversa maturità. Quando smetteranno di andare a votare con lo stesso spirito con cui si scelgono la pizza e il politico perché parla bene, è ricco di suo perciò non ha bisogno di rubare, oppure è giovane e magari pure simpatico. In un paese dove sette, otto milioni di sciagurati mentecatti voterebbero ancora oggi un delinquente da galera non si può rischiare di far scegliere a gente così la più alta rappresentanza dello stato. 

 

Ercole e le stalle di Augia

Sottotitolo: “Si può – Massimo Rocca, il Contropelo di Radio Capital”

Allora si può.

Dopo Zagrebelsky, Barbara Spinelli e soprattutto Fausto Bertinotti che riscatta una carriera politica disastrosa prendendo il coraggio a due mani e affrontando la crisi dal suo vertice. Si può sfidare il Colle a giustificare il proprio comportamento inchiodandolo alle radici ideologiche della crisi economica. Ella come scrive Bertinotti può definire insostituibile questo governo solo perché considera ineluttabili le politiche economiche e sociali imperanti nell’Europa reale, le politiche di austerità. Eccola finalmente, squadernata, la verità indicibile. Che parte da Napolitano e scende per i rami dei vari Monti, Letta, Renzi, . La verità che non ha risposte nella replica del presidente se non la reiterazione ho il dovere di mettere in guardia il Paese e le forze politiche rispetto ai rischi e contraccolpi. Che vuol dire guardarsi indietro e non vedere i contraccolpi, la disoccupazione, il debito, i fallimenti, i suicidi, la svendita delle aziende sane, di quelle politiche. Talmente enormi che non vederli può solo voler dire che li si condivide.

Certo che si può, anzi, bisognava farlo prima, e lo dovevano fare anche quegli organi di stampa che quando si tratta di Napolitano sussurrano senza disturbare e quando si tratta di altri, uno a caso Grillo, strepitano che il buffone è un destabilizzatore di democrazia, mentre gli unici destabilizzatori di democrazia si chiamano pd, pdl e quella cosa insignificante che risponde al nome di scelta civica che li appoggia nel progetto criminale di ridurre l’italia da democrazia parziale a dittatura totale, però soft, così, sul lusco e brusco così la gente non se ne accorge, vede Napolitano, pensa che sia il presidente della repubblica e invece no, qualcuno, nei sotterranei dei palazzi del potere lo ha incoronato re ma, come va di moda adesso, a nostra insaputa.

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Ammazza-internet: in galera per le opinioni altrui

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Da cinque anni i governi di tutti i colori, lo ha fatto perfino quello cosiddetto tecnico stanno provando a legiferare per stringere sulla libertà di espressione/informazione in Rete.

Da una ventina, invece, nessun governo, di nessun colore, ha pensato fosse utile una legge seria sul conflitto di interessi dopo che la politica stessa ha consentito la partecipazione all’agorà della res pubblica di un abusivo, impostore e delinquente, che casualmente possiede la quasi totalità dei mezzi di comunicazione italiana suddivisi fra televisioni, giornali, case editrici e ha la possibilità di controllare di traverso anche quelli che non sono ufficialmente suoi.

Compreso il cosiddetto servizio pubblico.

Il vero problema per un potere che può godere di un esercito di yesmen che si credono giornalisti, sempre pronti a riverire ed esaltare qualsiasi cosa, soprattutto il nulla prodotto dalla politica e a nascondere quello che invece la gente è giusto che debba sapere a proposito della politica ma soprattutto di chi la rappresenta, spesso indegnamente, è la constatazione che dei comuni cittadini li possano smentire e ridicolizzare pubblicamente  in qualsiasi momento e a proposito di tutto.

Noi che facciamo blog e scriviamo sulle pagine dei social network al contrario di quei “giornalisti” pagati per scrivere falsità, cazzate e diffamare gente perbene non traiamo nessun profitto dalla nostra attività, scriviamo per il gusto di farlo, gratis. 
E ci vogliono punire per questo?

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Lo status quo obbligatorio –   Alessandro Gilioli

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“Le elezioni anticipate sono una grave patologia italiana”, dice Napolitano.

E naturalmente la terapia consiste nei governi imposti  da lui e da lui resi intoccabili con viva e vibrante soddisfazione. 

Non la corruzione, la politica, ladra, collusa con le mafie, non un delinquente e la sua teppa di venduti, fascisti, immorali disonesti che viene ospitato in parlamento come uno statista con tutto il suo corredo di imputazioni, reati, condanne: non una politica che ha distrutto l’etica, la struttura portante di civiltà e democrazia.

Non un paese impoverito, stremato, dalle privazioni che la politica impone per consentirsi la sua sopravvivenza a scapito della nostra.

La patologia non è avere gente in parlamento da trenta, quaranta, sessant’anni che sulla politica, ovvero sui cittadini che pagano tutto, anche il superfluo, ci ha campato di rendita senza dare un contributo anche minimo al miglioramento di un paese: sono le elezioni, ma pensa…siamo proprio degl’ingrati, ecco.

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Boldrini contro Grillo: “Insulta e distrugge. Rispetti le Camere”.

Grillo: ‘L’Italia una stalla da ripulire’
Boldrini: ‘Insulta e distrugge istituzioni’

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Boldrini se la prende di nuovo con Grillo esigendo più rispetto per il parlamento, quello della politica.

Vediamo: più rispetto per chi? per un parlamento che dopo aver mentito e tradito lo stato una prima volta, quando Ruby era la nipote di Mubarak ci ha rifatto un’altra volta votando la fiducia all’indegno vicepresidente del consiglio che agevola a sua insaputa, il che se fosse vero sarebbe pure peggio, la deportazione di una donna e di sua figlia di sei anni in una dittatura?  rispetto per un ministro dell’interno che va a manifestare davanti e dentro ai tribunali per sostenere la causa di un imputato sotto processo che il centrosinistra si è premurato di non sfiduciare in quel parlamento per non mettere in pericolo il bel governo del fare un cazzo?

Quale parlamento bisogna rispettare, quello che da diciotto anni non riesce a liberarsi della banda del bassetto e del bassetto stesso perché, per convenienza o perché gli interessi in comune sono molteplici ed esulano anche dalla politica ci si è aggrappato come la cozza agli scogli?

E, insisto, quale parlamento bisogna rispettare, quello che non vuole fare quelle leggi in materia di diritti perché non reputa necessario che in questo paese gli omosessuali, le lesbiche e i transessuali ricevano un trattamento da cittadini e non da borderline mendicanti anche del diritto di esistere?

Ad occhio, cara signora,  pare che alla camera, al senato, nel parlamento tutto intero e da un bel po’ anche al quirinale siano seduti e molto comodi financo, proprio quelli che più di tutti hanno disonorato il paese, in pensieri, parole, azioni ma soprattutto omissioni.
Altroché Grillo.

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Laide intese
Marco Travaglio, 25 luglio

Tutto si può dire dei fautori delle larghe intese, tranne che difettino di sense of humour. Anzi, sono spiritosissimi. Hanno riportato al potere B., l’hanno trasformato da sconfitto alle elezioni a padrone del governo e padre ri-costituente, e ora pretendono di combattere con lui la mafia, la corruzione, l’evasione, il falso in bilancio, il voto di scambio, il riciclaggio, le prescrizioni, l’omofobia, il Porcellum e persino il Kazakistan (già che ci siamo, perché non la prostituzione minorile?). 

Come portare al governo Rocco Siffredi e fargli scrivere la legge contro la pornografia. In qualità di esperto, di tecnico. Se non ci fosse da piangere, verrebbe da ridere. Un anno fa la maggioranza centro-destra-sinistra approvava tra rulli di tamburi e squilli di tromba la mitica legge anticorruzione Severino che ora la stessa maggioranza centro-destra-sinistra vuole rifare da cima a fondo perché s’è accorta che l’altra non puniva il falso in bilancio, l’autoriciclaggio, depotenziava la concussione e non bloccava la prescrizione.

Ma già si sa che la nuova non passerà, perché la maggioranza è la stessa della vecchia. 

E qualcuno si meraviglia pure. L’ultimo stupore dei tartufi riguarda la legge sul voto di scambio. Oggi il politico che baratta voti con la mafia in cambio di favori, appalti, assunzioni, fondi pubblici agli amici degli amici non commette reato. Perché questo scatti, occorre che i voti li paghi in denaro, cash : cosa che naturalmente non fa nessuno (l’unico precedente, secondo gli inquirenti, riguarda quel gran genio di Vittorio Cecchi Gori). I mafiosi sono ricchi, ma abbisognano di “altre utilità” (proprio quelle che una manina cancellò all’ultimo momento dal testo del ’92).

Ora le “altre utilità” vengono inserite nella riforma frutto del compromesso Pd-Pdl-montiani sotto l’alto patrocinio del presidente ridens del Senato, Piero Grasso. Ma naturalmente è tutto finto. 

Fatto l’inganno, trovata la legge. L’escamotage che salverà gli scambisti ruota intorno ad altre tre soavi paroline: “consapevolmente”, “procacciamento” ed “erogazione”. 

La prima pretende che il giudice processi le prave intenzioni del politico votato dai mafiosi: il che, nel paese dell'”a mia insaputa”, è impossibile. Diranno tutti che non se n’erano accorti, o che la mafia li votava per simpatia. La seconda e la terza rendono insufficiente la promessa di voti dal mafioso al politico: bisognerà dimostrare che questi sono davvero arrivati (e come si fa? Si nascondono telecamere nei seggi?). 

Casomai, in queste strettoie, si riuscisse a far passare qualche politico colluso, ecco la soluzione finale: il riferimento al 416-bis, l’associazione mafiosa, per le modalità di procacciamento: non basta che il mafioso porti voti, occorre pure provare che l’ha fatto con metodi violenti e intimidatori. Se invece è stato gentile, con un’occhiata delle sue o un riferimento ai bei bambini dell’elettore, è tutto lecito. 

Cose che accadono quando si affida la legge sul voto di scambio ai politici che lo praticano da sempre o hanno addirittura fondato un partito col sostegno di Cosa Nostra. Ma in fondo è meglio così. In un paese dove a ogni indagine o arresto o processo su un qualunque politico delinquente scatta la rivolta dell’intero Parlamento e del 99 per cento della stampa contro la persecuzione, l’accanimento e i teoremi ai danni del Tortora reincarnato, inventare nuovi reati per i politici delinquenti non è solo difficile: è inutile. 

E dannoso. Costringe i magistrati e la polizia giudiziaria a spendere un sacco di tempo e soldi per incriminare altri politici delinquenti che poi, anche se condannati, verranno beatificati dai loro compari. Meglio depenalizzare anche i pochi reati dei colletti bianchi ancora previsti dal Codice penale, e saltare almeno un passaggio della costosa trafila. Oggi è più o meno questa: indagato, imputato, condannato, candidato (e spesso condonato).
Meglio semplificare: indagato, rinviato a giudizio, candidato, santo subito.

Laura Boldrini, le leggi speciali, e quella irresistibile voglia di censura

Sottotitolo: «la persona che utilizza Internet ha la facoltà di scelta. Che Internet diventi materiale per la felicità o per la sofferenza dipende dalla mente. La mente viene prima dell’oggetto esterno» [I monaci del Monastero Namgyal, monastero personale del Dalai Lama].

Se la mente è bacata si può mettere tutto in mano al suo proprietario, e ne farà sempre un uso sbagliato.

Che sia un’automobile, un utensile da cucina, un martello per piantare chiodi se ad usare queste cose sono cervelli bolliti tutto diventa una potenziale arma, anche per uccidere e uccidersi.  Se il limite di velocità in autostrada è di 100, 120 Km l’ora, perché si continuano a fabbricare automobili che raggiungono i duecento, duecentocinquanta? smettessero allora di fabbricare macchine che superano i limiti consentiti dalla legge, oppure armi fatte apposta per uccidere.

Preambolo: Laura Boldrini si è espressa dietro la spinta di un problema personale, che, sebbene sia diffuso come lo è la molestia e la minaccia  virtuale non riguarda tutti e non riguarda solo le donne.

E non c’entra nulla soprattutto la violenza sulle donne.  

Nessun problema è stato mai risolto con la censura e il proibizionismo. 

Anche questo è un passaggio culturale al quale devono contribuire tutti, gestori, responsabili di siti, piattaforme e social network, utenti semplici.

 Sono anni che mi batto per il diritto al rispetto in Rete, per un uso consapevole del web che si potrà raggiungere solo il giorno in cui tutti applicheranno anche qui le norme, elementari, di buona educazione come si fa abitualmente nel posto di lavoro, in famiglia e con gli amici.

Nessuno potrebbe minacciare e insultare qualcuno ‘de visu’ e pensare di farla franca, qui sì, succede,  e invece non deve.

 Il dramma invece è che in Italia  non vengono rispettate le regole e le leggi nel virtuale ma nemmeno nel reale, l’apologia del fascismo è un reato solo sulla carta, di fatto non vengono mai sanzionati tutti quelli che virtualmente o realmente ripropongono i teatrini in stile ventennio.

L’odio non è di per sé un reato, è un sentimento, proprio come l’amore. Sono le manifestazioni ispirate dall’odio ad essere punibili quando sfociano nella violenza, chi l’ha detto che io non posso odiare chi mi pare se ne ho voglia?

il reato è l’istigazione alla violenza, al razzismo, alla xenofobia e omofobia, l’apologia del fascismo, non l’odio.

Allora facciamo rispettare le leggi che ci sono, quelle che qualcuno più lungimirante dei nuovi padri della patria avevano previsto, invece di pensare ad una legge speciale, ad personam, salvaboldrini.

Fa notare  Alessandro Gilioli  sulla sua pagina di facebook che per Boldrini la procura si è mossa con encomiabile tempestività mentre il sito che pubblica le mail private dei parlamentari grillini è on line senza soluzione di continuità di dieci giorni –  giusto ieri ne ha spiattellate altre dozzine, e che in Italia se sei una donna e sei oggetto di insulti sessisti e minacce via Internet, i casi sono due: se sei una studentessa, una casalinga, un’impiegata o una commessa, fai la coda alla polizia postale e non ne saprai più niente per il resto dei tuoi giorni – o magari finché qualcuno non ti ammazza, se sei il presidente della Camera, fai una bella intervista a Repubblica e immediatamente la Procura apre un’inchiesta.

Boldrini e il controllo

web. Ma la legge c’è

Web e anarchia, lettera aperta a Laura Boldrini

Quando qualche giorno fa un’amica mi aveva mandato in via privata su facebook  un link ad un sito di controinformazione pensavo che fosse l’ennesima bufala circolante in Rete, una di quelle che basta che la condividano in due o tre, perlopiù senza nemmeno verificarne contenuto e credibilità che subito viene ripresa da decine di utenti. 
E invece era tutto vero.

Neli link si riportava la notizia di pattuglie di polizia inviate – senza nessun mandato specifico, alla stessa stregua del blitz a sorpresa per catturare il superlatitante mafioso – per conto della presidente della camera nella casa privata di un cittadino colpevole di aver divulgato per primo il fotomontaggio della falsa Boldrini nuda su una spiaggia.

Al tempo, quando quella foto girava tranquillamente in tante bacheche  avevo scritto che non mi piaceva e continua a non piacermi l’idea che tanta gente non capisce che bisogna distinguere il pubblico dal privato che riguarda un personaggio politico, che c’è un privato che quando non nuoce a nessuno deve essere protetto e tutelato, dunque anche il diritto di una signora, se lo desidera e le piace, di potersi mostrare nuda su una spiaggia, il che non sottintende certamente che della sua voglia di esibizionismo debba poi goderne tutto il pianeta.

I giornali di ieri riportano la notizia secondo cui lo scorso 14 aprile, quando Laura Boldrini aveva scoperto il fotomontaggio su facebook in cui compariva una donna nuda spacciata per lei la polizia postale ha disposto il sequestro delle foto diffuse in Rete e la rimozione della fotografia, dunque nello spazio di poche ore è stata aperta un’indagine, le forze dell’ordine hanno provveduto al sequestro del materiale direttamente dal computer in casa dello sventurato manco si fosse trattato di materiale pedopornografico. 

Naturalmente dallo staff della Boldrini hanno smentito qualsiasi interesse “personale”: pare che a far partire la denuncia sia stato il personale di polizia di Montecitorio senza alcun intervento diretto della presidenza. 

E mi piacerebbe sapere sulla scorta di quale sentimento o richiesta di intervento la polizia interviene anche senza previa denuncia che richieda quell’intervento, Boldrini avrebbe potuto anche avere in mente di lasciar correre e attendere che la questione si spegnesse così come tutto in Rete perde di interesse nello spazio di qualche ora o al massimo qualche giorno. 
La Rete conserva ma molti dei suoi fruitori dimenticano in fretta di tutto.

Ma Laura Boldrini non si è limitata a questo, ha chiesto e ottenuto – pare che sia per ora solo un’ipotesi ancora allo studio – la concessione di una squadra di sette agenti preposti unicamente a monitorare i contenuti web che riguardano solo lei, quindi distratti da altre indagini che riguardano i cittadini comuni che non sono affatto esenti da minacce e offese in Rete, anzi.

Tutto questo inserito in un decreto d’urgenza firmato da Luca Palamara, l’ex presidente dell’ANM. 

Il decreto prevede anche il sequestro preventivo tramite oscuramento di tutte le pagine web in cui sono inseriti riferimenti su di lei. 

Naturalmente tutti i cittadini in presenza di qualcosa che ritengono offensivo, pericoloso per la loro incolumità, sicurezza, hanno il diritto di rivolgersi alle forze dell’ordine chiedendo tutela per sé e per le persone care, nella fattispecie figli ancora minorenni che potrebbero subire un danno psicologico nel vedere immagini cruente o volgari delle loro mamme anche se ricavate da fotomontaggi.

Di tutta questa storia stupisce però la sveltezza con cui questa pratica è stata avviata e il sostegno immediato di Pietro Grasso, che da ex magistrato dovrebbe sapere benissimo che non c’è bisogno di nessuna legge speciale visto che ce ne sono moltissime, normali, già sufficienti alla tutela delle persone.

E, a margine di questo penso che anche i figli della mussolini debbano essere tutelati dalla visione di foto volgari che riguardano il passato della loro madre ma che invece alla prima occasione vengono riproposte in Rete, e preservati dalla lettura degli insulti rivolti alla loro madre, che potrebbe essere la donna peggiore del mondo ma è appunto, la loro madre.

Così come questo diritto ce l’ha il figlio della santanché e generalmente ce l’hanno tutte quelle persone che vengono insultate, dileggiate, spesso fatte oggetto di minacce vere e proprie e non invece, semplicemente criticate per l’incapacità politica e professionale, per la loro disonestà politica e non ma per un “altro” che nulla c’entra né dovrebbe entrare con il loro ruolo pubblico e politico.

Laura Boldrini non è la più bella del reame e non può pretendere attorno a sé lo stato di polizia, la censura preventiva né nessuna legge “speciale”.

Se la politica di tre quarti del pianeta ha una paura fottuta della Rete un motivo, anche più d’uno,  ci sarà, se i regimi e le dittature ne inibiscono l’uso significa che tanto inutile non è, è pericolosa casomai per chi vuole impedire la libera diffusione/circolazione delle idee e di quelle notizie che “sfuggono” ai media tradizionali, quelli abituati a dover servire un padrone, anzi, IL padrone, se parliamo di Italia.

E se la politica spesso si scaglia contro la Rete ritenendola responsabile della qualunque, solo questa è  già un’ottima ragione per difenderla e continuare ad usarla.

Svalutation

 Sottotitolo: al Coisp, l’indegno sindacato di quella polizia di Stato che offre solidarietà a quattro assassini oltraggiando una famiglia e tutta l’Italia onesta andrebbero messi dei sigilli, per questioni d’igiene ambientale e di sicurezza pubblica. Che è un concetto diverso dalla pubblica sicurezza.

Un abbraccio affettuoso ai ragazzacci di Anonymous che sono riusciti a zittire per un po’ almeno virtualmente i cialtroni sostenitori di quattro delinquenti oscurando i loro spazi web.  

ANONYMOUS DALLA PARTE DI FEDERICO

In Italia il concetto di giustizia “ad personam” è molto di più che una semplice opinione o sensazione. E’ una realtà applicata ai fatti e anche alle persone;  vorrei sapere in quale altro paese democratico la vita di una persona vale tre anni e sei mesi – condonati –  di quella miserabile di chi gliela toglie a calci e botte.

Preambolo: non guardo Porta a Porta, proprio non mi passa nemmeno per la mente di guardare una trasmissione al solo scopo di criticarla e di poterne sparlare, insultando, nelle pagine dei social network. 
Posso fare al massimo qualche battuta sul sentito dire o quel che leggo sui giornali. 
E veramente faccio fatica a capire come invece tanta gente si sottoponga all’inutile tortura di mettersi ogni giovedì sera davanti alla televisione a guardare Servizio Pubblico per fare solo questo: sparlarne insultando.

Non giudico una cosa nel complesso ma per quel che mi dà.

E se Patrizia Moretti va da Santoro invece che da Vespa mentre Bersani e Monti vanno da Vespa e non da Santoro qualche ragione ci sarà.

Comunque, un consiglio a Santoro: per le riabilitazioni esistono cliniche apposite, non serve proporre un personaggio squallido come Sgarbi una settimana sì e l’altra pure.

Sono stufa, nauseata e disgustata di chi dà la colpa dei fallimenti della politica a tutto il mondo meno che ai veri responsabili.

Di chi deve trovarsi sempre il capro espiatorio pur di rinnegare la verità.

Solo in un paese a maggioranza di idioti può fare paura un giornalista, l’unico a fronte di centinaia di servi e damerini più o meno accomodanti che pensano che il loro lavoro consista nel non imbarazzare i potenti prepotenti. Di essere opportuni.

Poi si può discutere quanto vogliamo sull’utilità di una polemica, ma per evitarla bastava che Grasso non telefonasse a Santoro col tono della zitella stizzita e Formigli non organizzasse quell’indegno teatrino servile permettendo ad un ex magistrato procuratore antimafia ora assurto alla presidenza del Senato di poter insultare i suoi ex colleghi dicendo FALSITA’ protetto da quell’immunità che i suoi ex colleghi non hanno e non possono per questo rispondergli alla pari né trovare giornalisti accomodanti, disponibili e disposti a lasciarli parlare in libertà. 
Ecco perché Caselli è stato costretto a chiedere tutela al CSM e non a Formigli. 
E non si capisce perché l’onore di una persona deve valere più di quello di un’altra. Marco Travaglio aveva e ha il diritto di difendersi da chi gli dà del vile e del vigliacco, da chi da vent’anni lo accusa di essere uno sfascista disfattista solo perché sa fare il suo mestiere, a differenza di molti suoi “colleghi” ritenuti affidabili perché col potere non si sono mai scontrati, esattamente come Grasso, simpatico a dell’utri sia come procuratore antimafia che nella nuova veste di presidente del Senato [e io qui qualche domanda me la farei, invece di insultare un giornalista] si prende la libertà di poter dire che ad una carica ottenuta sulla base del sospetto, di leggi contro qualcuno e a favore di qualcun altro non si potesse proprio dire di no.

Italiano Celentano
Marco Travaglio, 29 marzo

Naturalmente Celentano è liberissimo di pensare — e di scrivere su Repubblica — che un giornalista deve “fermare la lingua”, “azzerare il passato” e “soprassedere”, rinunciando a dire ciò che sa del nuovo presidente del Senato, perché siamo in un “momento così delicato”. Se invece non lo fa, anzi insiste a raccontare in perfetta solitudine la biografia della seconda carica dello Stato, non è perché il mestiere di giornalista consiste appunto nel dare notizie vere e documentate; ma “per sminuire l’ascesa di Grasso alla presidenza del Senato” e per “appesantire l’aria”. A suo dire, “Travaglio deve aver pensato: perché lasciare intatta la credibilità del nuovo presidente del Senato, che potrebbe fare qualcosa di buono e dopo noi ci intristiamo?”. Ora, se queste scemenze appartenessero solo al nostro amico Adriano, che purtroppo s’informa poco e nulla sa di Grasso né del perché è arrivato fin lì, anche se potrebbe con poco sforzo informarsi, pazienza. In fondo dev’essere dura per un grande artista nazionalpopolare restare confinato troppo a lungo nel campetto degli outsider: due anni all’opposizione, con le battaglie per i referendum del 2011, poi per i nuovi sindaci, poi per 5Stelle, sono forse troppi per lui. È ora di tirare i remi in barca, rientrare nei ranghi e tornare all’ovile. All’insegna dello scurdammoce ‘o passato “in tutti i settori, anche nel campo della giustizia” (ma sì, regaliamo a B. una bella amnistia o un bel salvacondotto e non parliamo più della sua ineleggibilità, come fanno Flores d’Arcais e centinaia di migliaia di cittadini, perché “è una stronzata”, “una cazzata”, “una scorrettezza elettorale”, bisognava pensarci prima; e pazienza se Flores ci aveva pensato fin dal ’94, quando Celentano votava B.). Ma Italiano Celentano dà voce alla pancia di molti cittadini che, complici il suicidio di Bersani e certe mattane autistiche di Grillo e dei 5Stelle, si sono già spaventati del cambiamento che un mese fa hanno innescato nelle urne. E ora vivono le stesse paure che li attanagliarono a fine 2011 quando, esaurita rapidamente l’euforia per le dimissioni di Berlusconi, si aggrapparono acriticamente alla zattera dei tecnici. E tremavano se qualcuno, in perfetta solitudine, scriveva che era meglio andare a votare subito, che forse SuperMario Monti e i suoi supertecnici non erano quei geniali salvatori della patria che stampa e tv unificate accreditavano, anche perché la maggioranza l’aveva sempre il centrodestra, almeno in Parlamento, non certo nel Paese. Per qualche mese restammo soli a scrivere queste cose, beccandoci le letteracce di molti lettori. Oggi sparare su SuperMario e i supertecnici che non han salvato niente e nessuno è come picchiare un bambino che fa la cacca sul vasetto: troppo facile, anche perché lo fanno tutti. Anzi i supertecnici si sparano fra loro sul caso dei marò che sparavano ai pescatori scambiandoli per pirati: un po’ come molti soloni della politica e dell’informazione che speravano nei tecnici scambiandoli per Cavour, De Gasperi ed Einaudi. Gira e rigira, si torna sempre all’Abc di questo oggetto misterioso (per molti) che si chiama democrazia: gli elettori votano, chi vince governa, chi perde si oppone, la stampa e la magistratura controllano, i cittadini vigilano, gli intellettuali pensano e aiutano gli altri a pensare. E non c’è emergenza che possa indurre un giornale o un programma libero a “fermare la lingua”, “azzerare il passato” e “soprassedere”. Sarebbe un tradimento del nostro mestiere e dei nostri lettori, oltreché un piccolo ulteriore arretramento dalla nostra democrazia. E poi lo fanno già in troppi. Chi vuole giornalisti cantori che suonano la viola del pensiero sotto il balcone dei potenti può cambiare giornale, e canale. Noi continueremo a raccontare e a criticare chi lo merita. E, se è il caso, a disturbare i manovratori.

Il ruggito del coniglio

 

Sottotitolo: oh, me s’è incazzato pure il direttore Padellaro stamattina…vuoi vedere che alla fine c’aveva ragione il coniglio, il vile, il vigliacco? miserabili cialtroni, quelli che insultano al comodo della propria casa e molto spesso  senza un volto e nascosti dietro i propri finti nomi, a differenza di un giornalista che ci mette la sua faccia e che può sbagliare e come no, e infatti quando sbaglia lo portano in tribunale, mica da Formigli.

Ed io,  fra un giornalista che sta sui coglioni a tutti e un uomo potente che piace a tutti, non ho alcun dubbio da quale parte devo e voglio stare.

Caselli scrive al Csm: “Chiedo
tutela dalle accuse di Grasso”

 Il procuratore capo di Torino ha scritto una lettera al vicepresidente Consiglio superiore della magistratura Michele Vietti dopo le parole del presidente del Senato a Piazzapulita [Il Fatto Quotidiano]

 

Un altro po’ e l’infamato diventa lui il diffamatore.
Questa è la conferma  che è sempre sbagliato pretendere un contraddittorio televisivo nel merito di inchieste giornalistiche.
Nell’informazione esiste un attore che è il giornalista, il cui dovere sarebbe quello di dare le notizie, possibilmente corrispondenti al vero come infatti sono quelle che riguardano l’ex superprocuratore, visto che in otto anni non aveva mai pensato di chiedere smentite, rettifiche, chiarimenti né, tanto meno di sentirsi infamato aggiungendo anche la nota di colore sulla moglie spaventata come ha fatto da Formigli, il picco massimo a cui può arrivare la minaccia di un potente che avverte il giornalismo che scrivere e parlare di lui significa mettere in pericolo la sua sicurezza.

E, quando una notizia non corrisponde al vero il diffamato può rivolgersi alle sedi legali opportune per chiedere la rettifica, la smentita ed eventualmente pretendere il sequestro del materiale incriminato.

Sepperò il diffamato si chiama Cocilovo e di mestiere fa il PM e il diffamatore sallusti le speranze di avere giustizia purtroppo si riducono allo zero, specialmente in presenza di un presidente della repubblica come dire? un po’ troppo interventista e caritatevole.

Ma mai e poi mai può pretendere che un fatto e una notizia si trasformino in un pettegolezzo mediatico.
Starebbero freschi i giornalisti se dovessero contraddirsi con tutti i protagonisti delle loro inchieste e notizie.

Grasso, solo dopo molti anni e nell’imminenza di un suo probabile alto e altro incarico politico, ha ritenuto di dover giustificare in fretta e furia i fatti che gli erano già stati attribuiti in altri articoli e  in un libro scritto da Travaglio con Saverio Lodato nel 2005.

E spetta all’opinione pubblica, non a Grasso, a Formigli e ai detrattori tout court di Travaglio e Santoro stabilire se le giustificazioni piuttosto misere di lunedì sera dell’ex procuratore fanno apparire i fatti che lo riguardano  meno gravi.

Solo persone  in malafede possono pensare che il giornalismo deve essere opportuno, in un paese dove non bastano vent’anni per mandare in galera un mafioso. Un paese posizionato, per libertà di informazione, sotto a stati e paesi che almeno non si ammantano dell’aggettivo di democrazia.

Per farsi piacere la verità bisogna amare la verità, non parteggiare per il proprio idolo, partito e personaggio politico.

Un giornalista mette i fatti a disposizione della gente affinché sia la gente a formarsi le sue opinioni.

E quanto più un giornalista è libero  più gli interessano i fatti, non i personaggi coinvolti in una storia.

 

Uno dei danni più gravi prodotti dal quasi ventennio di berlusconi è aver sdoganato il concetto che anche il [o la] peggior ignorante può prendersi la libertà di insultare persone migliori di lui [o di lei] come e quanto vuole.
La questione Grasso – Formigli – Travaglio [posizionato al centro, là dove un perfetto terzo incomodo deve stare] è stata molto utile, educativa, pedagogica, e ha dimostrato ancora una volta – semmai ce ne fosse davvero la necessità – di quanto tanta gente sia immatura, ignorante e incapace non dico di pensare in modo profondo – magari dopo essersi informata – ed eventualmente contare almeno fino a dieci prima di dire o scrivere scemenze, quelle sì offensive e diffamanti [e spero che Travaglio abbia preso nota di tutto quello che è stato scritto e detto in questi giorni su di lui] ma anche di formulare il benché minimo ragionamento, delle semplici riflessioni non sull’occulto ma su ciò che si vede benissimo.
La malafede acceca, l’invidia dei mediocri è devastante, e alla maleducazione e all’inciviltà non si può che replicare con  compatimento.
 E, tanto per chiarire una volta e per tutte, non è stato Travaglio a dire no al confronto, lui ha detto no solo a Piazza pulita e saranno ben fatti suoi se nel salotto di Formigli qualcuno può anche non avere voglia di sedersi, visto che lo fanno in tanti, compresi Monti e Bersani con Servizio Pubblico senza essere accusati di viltà e vigliaccheria.

Lui aveva detto che l’incontro si poteva fare dalla Gruber a otto e mezzo, ma Grasso ha preferito Formigli.

E chi ha visto Piazza pulita  ha capito anche il perché.

VELENI E CITOFONI

di Antonio Padellaro, 27 marzo

A Piazza Pulita abbiamo ascoltato il presidente del Senato Grasso pronunciare la seguente frase: “La sera della trasmissione ho trovato mia moglie agitata come la trovai quando, ai tempi del maxi-processo, citofonarono da giù e le dissero: ‘I figli si sa quando escono, ma non si sa quando rientrano'”. La trasmissione in questione è l’ormai famoso Servizio Pubblico di giovedì scorso e, se l’ex procuratore intendeva tracciare un’infame quanto ridicola analogia tra le minacce degli assassini mafiosi e le critiche legittime che gli ha rivolto Marco Travaglio, ci è riuscito perfettamente. La frase, tuttavia, si presta ad alcune brevi considerazioni sullo stato mentale di certa classe politica di cui Grasso è un’eminente new entry. Prima di tutto lo sgomento che li assale ogniqualvolta il loro finissimo orecchio coglie qualche nota in dissonanza con il consueto concerto per flauti e archi che li accompagna su tutta la stampa nazionale. Chi osa esprimere un dubbio su cotanto cristalline carriere sarà certamente un manigoldo o un emissario di Cosa Nostra. Ed ecco la piagnucolosa litania infarcita di figli in pericolo e di mamme trepidanti. L’eroe antimafia vive, si sa, un pericolo costante: “Mi crocifiggeranno, ci saranno dei video, sarà killeraggio mediatico”, nientedimeno. Ma intanto, a difesa della “nuova funzione istituzionale”, egli si porta avanti con il lavoro spargendo veleni. E se il bravissimo Formigli non ha ritenuto di interrompere l’augusto ospite per chiedergli conto e ragione dello spregevole insulto rivolto a un giornalista libero, lo faremo noi. Si vergogni, signor presidente del Senato, e accetti un consiglio. Poiché continueremo a fare tranquillamente il nostro lavoro, la prossima volta che vorrà darci dei mafiosi, abbia il coraggio di farlo a viso aperto e non si nasconda dietro un citofono.

Lunedì Grasso (con bugie) 
Tutte le bugie di Grasso, il furbo che piace a tutti.
Marco Travaglio, 27 marzo

Nelle quasi due ore di intervista concordata per rispondere ai tre minuti che gli avevo dedicato a Servizio Pubblico, Corrado Formigli e Piero Grasso hanno detto moltissime cose. Tralascio, per palese irrilevanza, quelle dette da Formigli (a parte il rivendicare come “la cosa più normale del mondo” convocare con un tweet notturno un confronto fra la seconda carica dello Stato e un giornalista di un’altra testata, che fra l’altro non frequenta twitter). E passo immediatamente al presidente del Senato, che si conferma purtroppo un pubblico mentitore e approfitta del fatto che i suoi colleghi della Procura di Palermo non possono andare in tv a sbugiardarlo. Se però mi vorrà querelare, sono in molti che verrebbero volentieri a testimoniare sotto giuramento come sono andate le cose e dove sta la verità. 

Balla n. 1: appello Andreotti. Grasso dice di non aver firmato né “vistato” l’atto di appello della sua Procura contro l’assoluzione di Andreotti in primo grado per motivi squisitamente tecnici, in quanto era stato sentito come testimone e la sua adesione all’appello avrebbe precluso ai giudici la possibilità di risentirlo in appello. È falso. Quando, nell’estate 2000, i procuratori aggiunti Scarpinato e Lo Forte gli consegnano il plico dell’impugnazione, Grasso rifiuta non solo di sottoscriverlo, ma anche di apporre il “visto” rituale, dicendo che non l’ha letto e non c’entra. Un gesto di plateale presa di distanze, che gli vale le lodi sperticate del Foglio di Ferrara e del Velino di Jannuzzi. Anziché respingere quegli imbarazzanti elogi, Grasso rilascia un’intervista al Quotidiano Nazionale e spiega che “forse, se avessi avuto più tempo a disposizione, avrei potuto collaborare anch’io alla stesura” (7.8.2000). E un’altra a La Stampa in cui boccia i processi della stagione Caselli, capace – a suo dire – di “ottenere condanne solo sulla stampa, nella fase delle operazioni di cattura, e non sempre nelle sedi giudiziarie e in via definitiva” (19.8.2000). Potrebbe dichiarare subito che il mancato visto è dovuto a un motivo squisitamente tecnico (il suo ruolo di ex testimone), ufficializzando così la sua vicinanza ai pm nel mirino per aver osato processare uno dei padroni d’Italia. Invece, col suo attacco a Caselli e ai processi eccellenti istruiti sotto la sua guida, li delegittima e li isola. Soltanto parecchio tempo dopo Grasso scoprirà improvvisamente di non aver firmato l’appello Andreotti (fra l’altro coronato dal successo di una sentenza d’Appello, poi confermata in Cassazione, che dichiarerà provata la mafiosità dell’ex premier fino al 1980) perché aveva testimoniato in primo grado. Una scusa puerile e infondata, sia perché nessuno pensava di richiamarlo a testimoniare in appello; sia perché, da procuratore nazionale antimafia, Grasso ha poi coordinato per anni varie indagini sulle stragi, in cui era stato chiamato a testimoniare più volte sui suoi rapporti con Falcone e sulla sua funzione di giudice del maxiprocesso, e non si è mai sognato di astenersi per quel motivo. 

Balla n. 2: caso Giuffrè. Nel giugno 2002 si pente Antonino Giuffrè, boss delle Madonie, fedelissimo di Provenzano e membro della Cupola. Grasso dice che Giuffrè “valeva oro” perché sapeva tutto di tutti i livelli mafiosi. Dunque cosa fece? Non avvertì nessuno dei pm antimafia, né tantomeno le procure di Firenze e Caltanissetta che indagavano sulle stragi, e per ben tre mesi se lo gestì da solo, clandestinamente, insieme al fido aggiunto Pignatone e al fido sostituto Prestipino (all’altro aggiunto Lo Forte diede la notizia, ma negò l’accesso ai verbali). E lo interrogò “personalmente nel carcere di Novara”, ma “solo i sabati e le domeniche”: mossa geniale, quella di giocarsi 5 giorni su 7 a settimana, visto che la nuova legge sui pentiti dava ai pm solo 6 mesi di tempo per cavargli di bocca tutto quel che sapeva. Perché tanta segretezza? Per evitare “fughe di notizie” che avrebbero messo a repentaglio la vita dei famigliari del neopentito: oltretutto – di – ce Grasso – “Giuffrè mi aveva parlato di talpe in Procura, che poi abbiamo individuato”. Se ne deduce che Grasso sospettava (senza prove) dei suoi colleghi, e perciò disattese la regola-Falcone della “circolazione delle informazioni” nei pool antimafia. Ma non basta: nei primi tre mesi (su sei a disposizione) interrogò Giuffrè quasi soltanto su certe estorsioni nelle Madonie, che porteranno all’arresto di una dozzina di pastori: la gallina delle uova d’oro che partorisce il topolino. Per annunciare i mirabolanti arresti, Grasso convocò una conferenza stampa il 20.9, svelando la collaborazione di Giuffrè “nuovo Buscetta”. Insomma, la fuga di notizie la fece il procuratore che ora dice di averla sventata, precludendo l’effetto sorpresa che poteva portare alla cattura di latitanti o al rinvenimento di prove decisive sui rapporti mafia-politica. Per questo tutta la Dda di Palermo “processò” Grasso che alla fine dovette capitolare: Giuffrè poteva essere sentito (giorno e notte, a tappe forzate, essendo rimasti solo tre mesi) dai pm dei processi eccellenti. A loro rivelò particolari importanti su Andreotti, B., Dell’Utri e trattativa, che Grasso non aveva chiesto. Non solo: consentì di individuare il referente mafioso delle talpe in Procura (che non erano pm, ma i marescialli Ciuro e Riolo): il costruttore Michele Aiello. La scoperta si deve ai pm Scarpinato, Lari, Russo, Paci, Piscitello, Guido e Tarondo che lo interrogarono a tutto campo il 12.11.2002. LìGiuffrè rivelò che Aiello era un prestanome di Provenzano. Così Grasso e i suoi, due anni dopo, fecero arrestare lui e i marescialli-talpa. Dunque è falso che la segretezza su Giuffrè abbia consentito la scoperta delle talpe: al contrario, fu proprio quando Grasso dovette informare su Giuffrè i suoi pm che le talpe furono smascherate. 

Balla n. 3: Ciancimino & C. Partito Grasso da Palermo nel 2005, dai cassetti della Procura saltano fuori un sacco di documenti dimenticati o trascurati sui rapporti mafia-politica. 1) Le intercettazioni dirette e/o indirette di telefonate del 2003-2004 fra il prestanome di Vito Ciancimino, il ragionier Lapis, e gli on. Cintola, Romano e Vizzini, in cui si parlava anche di Cuffaro, e che facevano ipotizzare una corruzione mafiosa. 2) Un pizzino di paternità incerta (Ciancimino? Riina? Provenzano? Un loro scriba?) con minacce e promesse di appoggio a B. in cambio di una tv Fininvest. Grasso l’altra sera si è fatto una risata: ai suoi tempi Massimo Ciancimino “non collaborava” e i Carabinieri o i suoi sostituti – lui, mai – “commisero degli errori o forse trascurarono qualcosa”. Già, ma era difficile che Ciancimino collaborasse, visto che la sua Procura non gli domandò nulla sulla trattativa. E non fece domande sulle carte sequestrate a Ciancimino jr. sulla trattativa: come il pizzino su B. e Dell’Utri (puntualmente segnalato dall’Arma alla Procura). Grasso dice che “non si sapeva chi l’avesse scritto, forseProvenzano o Riina”. Invece di indagare meglio, lo gettarono in uno scatolone, dove lo ritrovò un pm dopo la dipartita di Grasso. Quanto alle telefonate dei/sui quattro politici, Grasso sostiene che non erano dirette, ma fra terze persone che accennavano a nomi di battesimo imprecisati: i Carabinieri non capirono che “Totò” era Cuffaro e “Saverio” era Romano (probabilmente pensarono al principe De Curtis e a Borrelli), dunque ignorarono i nastri “senza neppure trascriverli”. Ma neanche questo è vero: le telefonate erano fra Ciancimino jr., Lapis e tre politici. Grasso aggiunge che, in ogni caso, “Cintola è morto, Cuffaro è stato condannato, Romano è stato assolto e per Vizzini c’è una richiesta di archiviazione per prescrizione”, dunque la dimenticanza “non fu un gran danno”. Ne avesse azzeccata una: Cuffaro è stato condannato per altro (favoreggiamento mafioso) e Romano assolto per altro (concorso esterno). Sulla presunta corruzione mafiosa, Cuffaro è uscito dalle indagini; per Romano pende una richiesta di archiviazione per prescrizione; idem per Vizzini perchè il Parlamento ha negato l’uso di numerose intercettazioni. É incredibile che il Pna uscente ignori fatti così gravi. Se poi sul caso incombe il rischio di prescrizione, è proprio perchè le bobine furono ignorate nella sua gestione nel 2005 e scoperte dai suoi successori nel 2008, perdendo tre anni preziosi. In realtà i carabinieri obbedirono a una circolare diramata da Grasso il 26.11.2004 sulle intercettazioni di parlamentari su utenze di soggetti terzi: “Non dovranno essere riportate nelle richieste di intercettazioni o di proroga, né in qualsiasi altra nota all’Autorità giudiziaria”, ma solo trasmesse con “note separate” alla Procura, mentre nei “brogliacci” si deve annotare solo che le intercettazioni esistono. Così, se un killer confida a un deputato che sta per uccidere qualcuno, la polizia non può riportare la conversazione nella richiesta di intercettare il killer, solo perché il killer ha preannunciato l’omicidio a un deputato. Senza la circolare, magari, i Carabinieri avrebbero segnalato alla Procura le telefonate dei politici. E la Procura di Grasso si sarebbe forse accorta per tempo della loro esistenza.

Balla n. 4: le querele minacciate. “Mai minacciato querele a Travaglio”, assicura Grasso. Invece il 10.1.2006 Grasso definì il libro Intoccabili. Perché la mafia è al potere (Bur) scritto da Lodato e da me “opera di disinformazione scientificamente organizzata” (non disse da chi) e aggiunse: “Non mancheranno le ‘sedi giudiziarie ed istituzionali in cuifar trionfare la verità’”. Poi naturalmente se n’è tenuto alla larga. 

Balla n. 5: l’amante del confronto. Grasso lamenta, sull’orlo delle lacrime, l’impossibilità di ottenere un confronto col sottoscritto. Se ciò fosse vero, accetterebbe il mio invito a dibattere con me a Servizio Pubblico, Otto e mezzo, al Tg di Mentana, o da Lerner. E, se ciò fosse vero, avrebbe risposto venerdì a Santoro che lo cercava tramite la batteria del Viminale, anziché fargli rispondere (l’indomani e da una segretaria) che era totalmente impegnato sabato e domenica (peccato che sabato fosse a Roma, ai funerali di Manganelli). Personalmente cerco un confronto con lui da dieci anni. Nell’estate 2003, quando ricostruii per MicroMega le drammatiche spaccature nate nella sua Procura (quelle che lui liquida come “normali dialettiche interne”, mentre lui si sforzava di “te – nere unita la magistratura”), il direttore Flores d’Arcais lo invitò a un forum in redazione o a un confronto con Scarpinato. Ma Grasso declinò entrambi gli inviti. Idem quando molti dei suoi pm chiesero un confronto con lui dinanzi al Csm.

Balla n. 6: caso Schifani. Archiviato ai tempi di Grasso, Schifani è stato di nuovo indagato dopo la sua dipartita. E, contrariamente a quel che lui afferma, non è stato archiviato: la richiesta è ancora all’esame del gup Piergiorgio Morosini. 

Balla n. 7: le leggi anti-Caselli. Dice Grasso che, contrariamente a quanto ho sostenuto a Servizio Pubblico , le tre leggi del governo Berlusconi nel 2005 per eliminare il suo concorrente Gian Carlo Caselli dal concorso per la Dna, non furono da lui “ottenute”. Gli piovvero in testa come la casa di Scajola: a sua insaputa. “Ottenere significa chiedere e io non ho mai chiesto niente”. Ma ottenere significa anche meritare. Si è mai domandato perché ha meritato tre norme (e da che governo!) contro il suo unico avversario, e dunque in suo favore? E perché i cinque membri laici del centrodestra al Csm votarono per lui? E perché, mentre il centrodestra cannoneggiava, spiava fin dentro i calzini, insultava, attaccava, faceva punire, chiedeva di trasferire, delegittimava tutti i magistrati più in vista d’Italia, e tutti i pm antimafia, elogiava, applaudiva, favoriva per legge e votava soltanto uno: lui? Grasso sostiene che le tre leggi non ebbero effetto perché il Csm avrebbe potuto procedere alla nomina del Pna in un plenum straordinario, in fretta e furia, prima che entrasse in vigore la terza e decisiva legge anti-Caselli. Il quale dunque “se la deve prendere con i colleghi che impedirono la decisione”. Balle: la commissione Incarichi direttivi dà 3 voti a lui e 3 a Caselli il 12 luglio 2005; e il 20 luglio viene approvata la legge: come può il plenum deliberare in una settimana, visto che uno dei relatori delle candidature deve ancora stendere le motivazioni? Inoltre la lettera che chiedeva il plenum straordinario su input del centrodestra era irricevibile, infatti non ebbe risposta dal vicepresidente Rognoni. La legge poi ebbe un effetto gravissimo: escludendo Caselli, gli impedì di ricorrere al Tar contro la nomina di Grasso vantando titoli e anzianità che Grasso si sognava. In ogni caso resta la questione di principio: un cultore della Costituzione come Grasso dovrebbe sapere che l’art. 105 affida le nomine dei magistrati al Csm senza interferenze del governo. E avrebbe dovuto rifiutare quel concorso truccato a suo favore. Invece ne approfittò senza batter ciglio, salvo poi – quando la Consulta dichiarò incostituzionale l’ultima norma – riconoscere che sì “era stata contro Caselli e a favore mio”, ma conservando la poltrona. Ottenuta, sì “ottenuta” in quel modo scandaloso. 

Esaurito – per esigenze di sintesi e per ora (il resto domani a Servizio Pubblico) – il capitolo-balle, e sorvolando sul paragone tra le critiche di un giornalista e le minacce dei mafiosi alla sua famiglia, restano un paio di violenze alla logica che confermano platealmente la sua fama di italianissimo furbo, una sorta di Alberto Sordi della toga. 8. Premio antimafia a B. È stato tutto un equivoco, colpa di “quei birbanti de La Zanzara”. 

Ma per non cadere nel presunto tranello, anziché dire e ripetere che B. merita “un premio speciale” antimafia, bastava rispondere: “No, nessun premio a chi dice che Mangano è un eroe e che i magistrati sono matti, antropologicamente diversi dalla razza umana, golpisti, cancro della democrazia”. 

Nessuno avrebbe equivocato. 9. Processi & (in)successi. Se un pm si chiama Ingroia o Caselli o Gozzo e si vede condannare un imputato, tipo Dell’Utri, per Grasso “non deve viverlo come un successo”. Anzi, come una sconfitta, perché il processo “è durato troppo”. Se invece l’imputato si chiama Cuffaro e viene condannato e il pm si chiama Grasso, allora è un trionfo: la prova che il suo “metodo” è quello giusto, mentre quello degli altri era sbagliato, viziato da “processi gogna” a politici poi assolti, dunque da non processare proprio (ma i processi non servono proprio a stabilire se uno è colpevole o è innocente?). Quali? “Non è elegante fare nomi”. Invece i nomi dei suoi imputati politici Grasso li fa eccome e molto elegantemente. Tanto ce n’è solo uno: Cuffaro. Anzi no, ha sgominato anche un altro pezzo da 90: “Vincenzo Lo Giudice detto Mangialasagne”, nientemeno che consigliere regionale Udc. 

E qualcuno osa insinuare che si sia tenuto a distanza dalle indagini sulla politica?

10. Applausi da B. e Dell’Utri. Se B. applaude il suo discorso al Senato e se Dell’Utri si spertica in elogi in ogni intervista, è colpa del Fatto che chiede pareri su di lui a “persone non in auge dal punto di vista dell’opinione pubblica”. Ma Dell’Utri, prima che lo intervistassimo, aveva già esternato qua e là in difesa di Grasso: “È equilibrato, un uomo di Stato. Lui sa chi sono io… Grasso è brava persona, sono contento per la sua elezione a presidente del Senato… Non è un magistrato fanatico come Ingroia”. E già nel 2004 gli aveva dipinto un impareggiabile ritratto umano: “Grasso, quando era giovane, giocava a calcio nella mia squadra, la Bacigalupo, ed era famoso perché a fine partita usciva sempre pulito dal campo: anche quando c’era il fango, lui riusciva sempre a non schizzarsi…”. Comunque, promesso: la prossima volta che ci servirà un parere su Piero Grasso, chiederemo direttamente a Piero Grasso.

 

E nelle corsie solo posti in piedi

Sottotitolo: meno male che in questo paese c’è sempre qualcosa di cui sparlare, ad esempio della querelle fra Travaglio e Formigli, la qual cosa fa opportunamente dimenticare qual è la vera ragione del contenzioso e cioè il risentimento tardivo dell’ex superprocuratore antimafia che durante il suo mandato ha incassato senza fiatare le critiche, gli articoli di giornale e i libri che parlavano del modo in cui ha potuto ottenere quella carica a scapito di Giancarlo Caselli ma che, improvvisamente, da presidente del Senato pescato nel cilindro del coniglio di Bersani considera e chissà perché qualcosa di irricevibile. Formigli da giornalista qual è sa benissimo che i giornalisti non sono affatto tenuti e obbligati al contraddittorio, altrimenti dovrebbero fare solo quello e non altro vista la mole di persone di cui si occupano nei loro articoli e inchieste, ma continua imperterrito a sostenere che se l’inquilino del primo piano discute con quello del terzo a risolvere il contenzioso deve essere quello del quinto. Specialmente quando a margine di questo c’è la possibilità di fare i propri interessi, nel caso di specie aumentare lo share di una trasmissione televisiva. Di fronte ad un’accusa, seppur tardiva, di diffamazione l’unica sede preposta e regolare la contesa dovrebbe essere un tribunale, non uno studio televisivo terzo e nemmeno la telefonatina intimidatoria in diretta tv, un’abitudine pessima a cui nessuno si sottrae. Se Grasso pensa di essere stato infamato solo oggi da Travaglio e non cinque anni fa quando le stesse cose che ha detto a Servizio Pubblico le ha scritte su un libro insieme a Saverio Lodato, denunciasse Travaglio ad una procura. 
Perché non lo fa?

Se Travaglio fosse quel diffamatore che molti pensano che sia a quest’ora sarebbe sui gradini di una chiesa a chiedere la carità.

A pagina 319 di “Intoccabili”  il libro di Saverio Lodato e Marco Travaglio si può leggere:

“Grasso ha avocato ogni decisione sulle inchieste, soprattutto quelle riguardanti la mafia e la politica, in cui sono impegnati Ingroia, Lo Forte, Principato e Scarpinato. Non solo ai caselliani, in attesa di trasferimento, non vengono affidati nuovi dossier. Grasso ha anche un altro motivo per congelare i quattro: il nuovo procuratore non vuole essere accusato di continuità con la gestione Caselli…”
Chi scrive con grande entusiasmo queste parole? Travaglio? No. Lino Jannuzzi. Chissà perché?

Il libro è uscito a maggio del 2005.
Ma in otto anni Grasso non ha mai pensato di offendersi. Se in questo paese l’informazione è quello che è non è solo colpa dei conflitti d’interesse di b. ma della maggior parte della gente che non l’ha mai pretesa, perché per affrontare la verità bisogna essere partigiani della verità, non dell’idolo calcistico, del politico, di un partito.

Gente che critica e insulta un giornalista sulla base del pregiudizio e non di fatti oggettivi.

Marco Travaglio, il più insultato di tutti e inviso alla politica di tutti i colori, il che dovrebbe almeno indurre alla riflessione che quando un giornalista è così detestato dalla politica forse è perché sa fare bene il suo mestiere.

Preambolo: I cittadini dovrebbero andare a cercare a casa quei Presidenti di Regione che hanno fatto atti di questo tipo. Il presidente Polverini ha nominato a 40 giorni dalle elezioni delle figure apicali di direttori all’interno delle aziende sanitarie del Lazio e sa che cosa accade se chi è stato eletto decide di sostituirli? Che colui o colei che è stata nominata dal Presidente Polverini andrà a casa, si , ma con lo stipendio per cinque anni pagato dai cittadini del Lazio! Già i cittadini del Lazio pagano con tasse più alte un muto di oltre trent’anni che la Regione Lazio ha dovuto aprire con le banche per ripianare i sette miliardi e mezzo di debito creato negli anni dalla presidenza Storace in poi. Il frutto di amministratori incapaci, sleali e alcuni anche delinquenti lo pagano per 30 anni, per il prossimo terzo di secolo, coloro che abitano nel Lazio.” [Ignazio Marino, Presa diretta – 24 marzo]

Pagare le tasse non è un esercizio virtuoso, è un dovere civico prim’ancora che un obbligo.
Ma pagare le tasse deve avere un riscontro oggettivo, visibile e tangibile, quel ritorno in termini di strutture e servizi che in Italia non c’è e non c’è mai stato nella misura di quanto ad esempio lo stato si prende in percentuale dai guadagni dei piccoli imprenditori letteralmente strangolati dal fisco e quelli dei cittadini semplici, specialmente dalle buste paga dei lavoratori dipendenti che le loro le pagano addirittura in anticipo rispetto poi a quello che avrebbero il diritto di pretendere, se questo fosse e fosse stato uno paese ben gestito.
E non è possibile che in un paese, nello stesso paese debbano esserci delle isole felici e altre zone in cui, invece, ci si dimentica delle persone nei loro momenti più drammatici come le malattie, momenti in cui lo stato dovrebbe più che mai far sentire la sua presenza, non abbandonare nessuno. 
E se si pensa che questo succede perché questo paese è stato gestito da gente irresponsabile oltreché disonesta verrebbe davvero voglia di diventare egoisti e guardare solo al proprio, soprattutto in un ambito delicato e importante qual è quello della sanità che significa salute, stare meglio, stare bene.

Perché a me sta bene tutto, anche il concetto di solidarietà sociale, ovvero il dover pagare anche per chi non lo può fare ma questo non può ricadere come al solito e come sempre sulle spalle di chi già fa fatica di suo e poi quando ha bisogno di uno stato presente si trova di fronte quelle scene che ci ha mostrato ieri sera Iacona a Presa diretta.

La sanità pubblica come dice Gino Strada deve essere accessibile, funzionante e gratuita per tutti, è lo stato che poi dovrà preoccuparsi di far pagare tasse che siano davvero proporzionate ai guadagni. E sono i governi di uno stato – se sono seri, istituzionali veramente – che prima di tutto dovrebbero smetterla di togliere e tagliare a chi paga le sue tasse con sacrificio e onestamente, che devono rimuovere dalla gestione di un servizio fondamentale qual è quello della sanità pubblica ma in generale da tutti gli ambiti, i delinquenti, i ladri, gli sciacalli ammantati pomposamente della definizione di amministratori, che fanno cassa, che lucrano per meri interessi personali su chi ha la sventura di aver bisogno di un ospedale e di essere curato. 
E insieme a loro tutti quelli che, tipo la polverini qui nel Lazio anziché tutelare gli interessi della gente ha pensato prima di tutto ai suoi garantendosi il posto fisso a vita in parlamento.

E con tutta la buona volontà possibile credo che finché in questo paese i responsabili dei vari disastri verranno premiati invece che cacciati con disonore e costretti a risarcire i danni, finché verranno ripagati con buone uscite milionarie e una carica di senatore, finché ci saranno politici che pensano che una patrimoniale, ovvero far pagare di più a chi grazie a questo stato ha avuto di più non sia opportuna perché politicamente sconveniente, finché gli amministratori dello stato pensano che sia giusto rifondere i settori privati quali scuole e ospedali che essendo appunto privati dovrebbero fare da soli a svantaggio di un pubblico che cade letteralmente a pezzi, resta difficile, se non impossibile, imparare ad innamorarsi delle istituzioni come piacerebbe alla signora Boldrini.

Questo paese è stato gestito da gente che fa schifo.

Che ha lucrato sul dolore, le malattie e la morte.  Ladri che hanno pensato solo ad arricchirsi non permettendo nemmeno  le cure a chi sta male per aumentare il loro profitto.

Altroché sempre ‘sta favola che la colpa è nostra, visto  che di soldi a stato e regioni gliene diamo una montagna.

 

E figurarsi se in mezzo non c’era il vaticano, sempre presente quando c’è da fare cassa, anche per poi fare le suite dove ricoverare criminali.

E nelle corsie solo posti in piedi.

 

E’ la stampa, bellezze!

Sottotitolo: quello che molti chiamano “gettare fango su qualcuno” altrove lo chiamano informazione quando è oggettivamente informazione, dunque non certo pedinare magistrati per guardargli il colore dei calzini o risalire agli amori giovanili di un giudice e molto di quanto è stato utilizzato dai giornali di proprietà di berlusconi per screditare chiunque si sia opposto ai suoi piani e progetti illegali, contro lo stato, la democrazia, il benché minimo senso della morale e del pudore, e ai giornalisti dei paesi normalmente civili non interessa proprio la conseguenza delle loro inchieste. Negli States presidenti sono stati costretti alle dimissioni grazie al giornalismo d’inchiesta. 

Perché quello che un giornalista deve fare è informare la gente, poi quando e se c’è la diffamazione esistono le procure e le denunce, a meno che non ci si chiami sallusti a cui è stata offerta la garanzia per poter continuare a diffamare chiunque. 

Non lo faccio mai ma oggi vale la pena dedicare un pensiero speciale a tutti quelli che ieri si sono prodotti nelle teorie più fantasiose circa un Marco Travaglio terrorizzato dalle minacce telefoniche di Grasso [io lo avevo paragonato a b, lui addirittura a Masi, il che è tutto dire].
Soprattutto ai gestori di pagine di social network ridicole e volgari che spacciano la loro viscida propaganda a senso unico – e dunque contro il MoVimento come va di moda fare adesso – e i loro insulti per satira e libera espressione dei pensieri, che ieri hanno paragonato Travaglio a un criceto: una cosa così divertente da non riuscire a smettere di ridere, considerato il favoloso panorama del giornalismo italiano, ma ognuno ha il suo personalissimo parametro di critica e giudizi, evidentemente allineato con il proprio livello di comprensione, se così si può dire in un paese dove TUTTO si riduce a un derby calcistico.
Leggendo il fondo di oggi di Travaglio non sembra proprio di trovarsi di fronte un criceto spaventato, anzi, pare proprio di leggere un articolo di un giornalista vero che non solo non fa il benché minimo passo indietro circa le cose dette a Servizio Pubblico ma come farebbe un bravo giocatore di poker rilancia perché è sicuro di avere in mano le carte giuste. 
Proprio come devono aver pensato Carl Bernstein e Bob Woodward quando grazie ad una loro inchiesta [The Watergate Story (The Washington Post)Richard Nixon, non il presidente del circolo del burraco sotto casa e nemmeno quello del senato di un paese qualunque ma quello degli Stati Uniti fu costretto a dare le dimissioni in diretta televisiva, scusandosi per non essersi comportato come un bravo presidente avrebbe dovuto. 

E mi chiedevo se qualcuno in America abbia accusato i due giornalisti di essere stati poco opportuni o di aver gettato fango su Nixon, ma soprattutto se Nixon abbia mai pensato di dover pretendere un contraddittorio coi giornalisti, ecco.
Un pensiero speciale quindi, a tutti quelli che non capiscono la differenza fra “gettare fango” e fare cronaca, inchiesta giornalistica, quelli che pensano che un giornalista debba essere opportuno, che è come pretendere che la satira [quella vera, non le porcherie volgari] debba seguire una morale.
Ma dubito che questo possa essere comprensibile ai più nel paese dove “eminenze ” sul genere di vespa, ferrara, sallusti sono considerati personaggi autorevoli e quindi degni di avere un programma tutto loro cinque sere alla settimana nella tv pubblica ed essere ospitati a cadenza praticamente quotidiana in tutti i talk show, come se fossero giornalisti veri.

Spero che stavolta Travaglio abbia imparato la lezione, e che in futuro eviti di preoccuparsi per i diffamatori seriali, quelli che il fango sulla gente lo buttano davvero e poi vengono perdonati dallo stato.

Il falso Grasso
Marco Travaglio, 23 marzo

Giuro che l’altra sera, quando Piero Grasso ha telefonato in diretta a Servizio Pubblico per sfidarmi a duello, ho pensato allo scherzo di un imitatore. Tipo quello di Paolo Guzzanti che chiamò Arbore con la voce di Pertini. O a quello dei monelli de La Zanzara che hanno intortato due grilli dissidenti spacciandosi per Vendola. Invece pare che fosse proprio lui, il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, forse mal consigliato in famiglia. Altrimenti non avrebbe chiamato come un Masi qualunque (Masi almeno il programma lo stava seguendo, Grasso invece no) per lamentarsi del fatto che si parlasse male di lui in sua assenza. Sono decenni che in tv, sui giornali e nei palazzi si parla di lui, quasi sempre in sua assenza (nemmeno un santo come lui ha ancora il dono dell’ubiquità): solo che se ne parlava sempre bene. Grasso infatti è il magistrato più fortunato d’Italia. Per vent’anni, qualunque pm s’imbattesse in un indagato eccellente veniva massacrato, ricusato, trasferito, punito, insultato, vilipeso, calunniato, spiato fin nei calzini. Tranne uno: Grasso, che ha sempre goduto di elogi e plausi unanimi, da destra e da sinistra, fino all’omaggio di tre leggi ad personam targate Pdl che eliminavano il suo unico concorrente (Caselli) per la PNA. Anche l’altro giorno, quando è asceso alla seconda carica dello Stato, ha ricevuto i complimenti di B. e financo di Dell’Utri. C’è chi, per molto meno, avrebbe una crisi di coscienza e si domanderebbe cos’ha fatto per meritarsi tutto questo. Invece lui non s’accontenta e pretende di spegnere anche le poche voci che ancora lo criticano (quando lo merita: chi scrive l’ha elogiato per aver respinto le manovre di Quirinale e Cassazione sulla trattativa a gentile richiesta di Mancino): è convinto chi vuole criticarlo debba farlo solo in sua presenza. Un concetto del contraddittorio davvero singolare, peraltro non nuovo: l’aveva già sostenuto il suo predecessore e presunto rivale, Schifani, dopo una mia intervista da Fazio.
Naturalmente Santoro è lieto di organizzare il faccia a faccia con Grasso nella prossima puntata di Servizio Pubblico, o in un’edizione speciale anticipata, vista la curiosa fretta manifestata da Grasso (attende forse un altro incarico ad horas?). Le repliche, da che mondo è mondo, si pubblicano sulla stessa testata che ha ospitato le affermazioni a cui replicare. Avete mai visto una rettifica a un articolo del Corriere pubblicata su Repubblica , o viceversa? Ieri invece alcuni colleghi si sono molto agitati, ansiosi com’erano di ospitare il faccia a faccia. Li ringrazio di cuore, ma io lavoro al Fatto e a Servizio Pubblico. Peraltro un duello non è un talk show con ospiti, servizi filmati e pollai vari. È un confronto a due, come ha correttamente chiesto Grasso, con carte e documenti alla mano. Personalmente non chiedo di meglio e non vedo l’ora. Sono dieci anni che seguo passo passo la sua resistibile ascesa in toga e poi in politica, raccontando ciò che fa e soprattutto non fa sull’Unità, l’Espresso , MicroMega , il Fatto e in alcuni libri, a partire da Intoccabili (scritto a quattro mani con Saverio Lodato). Ogni tanto Grasso minacciava querele, che non sono mai arrivate. Altre volte replicava con rettifiche che non rettificavano nulla, regolarmente pubblicate con le dovute risposte. Più volte, fra il 2003 e il 2005, quand’era procuratore a Palermo, i colleghi da lui emarginati tentarono di informare il Csm del suo operato, ma l’allora presidente Ciampi e l’allora vicepresidente
Rognoni preferirono evitare. Se dunque il presidente del Senato volesse, al duello potrebbero partecipare alcuni testimoni oculari, persone informate sui fatti, che hanno molte cose da raccontare e non hanno mai avuto modo di farlo. Nei duelli di un tempo, ciascun duellante si faceva assistere da uno o due padrini. In questo caso non si sa mai: meglio chiamarli testimoni.

Manifest’Azioni [che bel paese è l’Italia, manco una colata di acido muriatico ci salverà]

Contro le istituzioni: tutti con Silvio!  – Domenico Gallo per Micromega

[…] Con la scusa della repressione della criminalità sono stati privati della libertà tanti onesti padri di famiglia dediti al commercio della droga per sfamare i figli; tanti onesti collettori di tangenti e tanti onesti professionisti, dediti ad attività predatorie; tanti onesti imprenditori costretti a mandare in esilio nei paradisi fiscali i capitali onestamente guadagnati con l’aiuto della “famiglia”.

Per giunta questa società di onesti deve confrontarsi quotidianamente con lo spionaggio screanzato sui telefonini, anche quelli più riservati, non essendo più sicura nemmeno dell’inviolabilità delle proprie conversazioni telefoniche: in Italia non si è più liberi di organizzare una rapina in banca, un’estorsione, un appalto truccato o un attentato che si viene subito intercettati!

Tuttavia il culmine di questa situazione insopportabile non è né l’oppressione fiscale né quella burocratica, ma l’oppressione giudiziaria. I magistrati arrivano ad usare i loro poteri (cioè il potere di procedere al controllo di legalità) persino contro chi è stato democraticamente eletto, come se i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche avessero il dovere di adempierle con disciplina ed onore!

Come se gli eletti dal popolo (specialmente uno!) non godessero del privilegio dell’inviolabilità. Del resto lo diceva anche lo Statuto Albertino che la persona del Re è sacra ed inviolabile. Per questo gli innumerevoli procedimenti penali a carico di Silvio sono atti sacrileghi perché colpiscono il corpo mistico del Re (di denari).[…]

 

Incipit:  è molto strano che nessuno abbia pensato a caricare questo video su youtube: https://www.facebook.com/photo.php?v=474695502588125: la censura preventiva è quella che funziona meglio, così almeno non c’è nemmeno bisogno di giustificare la scomparsa di materiali come dire? inopportuni.

Preambolo: i due marò tornano in india. Bisognerebbe mandare laggiù anche Monti, Terzi, e quell’altro che c’ha il cognome che somiglia a una marca di spumante, Staffan De Mistura, che per i danni che hanno fatto nella gestione di questa faccenda e per la figura miserabile che hanno fatto fare al paese meriterebbero una revoca a tempo della  cittadinanza italiana.

Sottotitolo: non mi piace tutto questo interesse del M5S per quell’area della politica che si occupa del controllo: sicurezza e telecomunicazioni, il servizio pubblico sono cose delicate da gestire, non si possono affidare a dei principianti della politica che alle spalle hanno Casaleggio, uno che ha delle idee fantasiose sul futuro prossimo e più prossimo di questo paese. Uno che ha previsto la terza guerra mondiale, per dire.

Di tante cose che ci sono perché proprio la Rai e il Copasir, non abbiamo già dato in termini di monopolio e di pessima gestione delle cose importanti? cos’altro c’è da sperimentare in questo paese? perché la faccenda dovrebbe interessare tutti, visto che le cavie siamo noi.

MA

se  berlusconi riesce a cavarsela anche stavolta grazie alla politica che gli offre l’ennesima scialuppa di salvataggio a votare non andrò mai più nemmeno se mi ci portassero a forza.
E nessuno venisse più a raccontarmi favole sulla democrazia che è partecipazione, perché sostenere ancora una politica impegnata da quasi vent’anni a cercare la soluzione ai problemi giudiziari di un delinquente  non è partecipazione ma complicità con  chi al delinquente  non solo ha retto e  regge il sacco ma gli fa trovare pure la cassaforte aperta.
E allora non è più roba per me.

Sono diciotto anni che b chiede l’impunità e gliele hanno concesse tutte. 
Adesso che si è finalmente indebolito non deve assolutamente trovare gente ancora disposta a cedere ai suoi ricatti. 
Bisognerebbe che tutti prendessero finalmente atto che b non è un avversario disposto a perorare le sue cause per mezzo di sistemi democratici, non l’ha mai fatto, lui sta bene soltanto nella sua condizione naturale che è quella del fuori legge visto che le ha praticamente violate tutte.
E coi fuori legge non si tratta, tanto meno dovrebbe farlo la politica che sta lì per rappresentare e gestire lo stato per mezzo delle leggi e della democrazia, concetti completamente estranei alla figura di silvio berlusconi. craxi è stato moto più dignitoso di lui, se n’è andato a morire da latitante ma almeno non ha stravolto un paese, un parlamento e la Costituzione.

Domani berlusconi porterà i suoi in piazza a manifestare contro la magistratura, una cosa che sarebbe impossibile fare in qualsiasi altro paese democratico e civile, qui invece le istituzioni tacciono, trasformando un atto eversivo in qualcosa che si può tranquillamente fare in virtù di quella democrazia che berlusconi stupra da quasi vent’anni ogni giorno.

La cosa più deprimente è che si parlerà dello scazzo di Grasso  per mesi come della puntata in cui Santoro e Travaglio avrebbero fatto il favore a berlusconi.
A Porta a Porta si fa pornografia cinque sere a settimana da anni in pieno regime di conflitto di interessi del suo conduttore che è stipendiato da berlusconi e marito di una dei membri dell’autorità di garanzia nominata da Monti e nessuno fa un fiato.
Quando dico che un’informazione in questo paese se la meritano in pochi so perché lo dico.

Travaglio poteva calare l’asso ricordando anche l’intervista nella quale Grasso disse che il governo di b avrebbe meritato il premio per il suo impegno antimafia, non l’ha fatto, si è limitato a citare cose che chiunque legge libri e giornali doveva e dovrebbe conoscere da tempo.

Il problema invece è che siccome chi critica Travaglio non lo legge e chi critica Santoro non lo vede perché loro si devono criticare non sulla base del loro lavoro ma perché si chiamano Santoro e Travaglio io sarò sempre dall’altra parte, da quella di chi parla e critica in base alla conoscenza e non al pregiudizio.

Che tristezza doversi ridurre a fare la figura di un berlusconi qualunque…e bravo l’ex superprocuratore che, da perfetto estraneo alla politica quale dovrebbe essere ha invece imparato benissimo il linguaggio della politica come l’altro, il sobrio professore, e che ti combina il neo presidente del Senato dunque seconda carica dello Stato? invece di pensare ad una querela per diffamazione contro Travaglio – un magistrato dovrebbe sapere benissimo quali passi fare in presenza di accuse “infamanti” contro di lui [come se Travaglio avesse detto che la magistratura è un’associazione a delinquere composta da pazzi, antropologicamente diversi dalla razza umana, un cancro della democrazia etc etc: in quel caso non si leva nemmeno un pigolio da parte di nessuno]- telefona in diretta televisiva e si mette a battibeccare con lo studio come se fosse quello di un Porta a Porta qualunque.

Ed è strano che solo ieri sera sera Pietro Grasso si sia sentito ferito nell’onore, visto che le cose che ha detto Travaglio a Servizio Pubblico sono le stesse che ripete da anni, sono scritte anche sui suoi libri ma casostrano non ha mai ricevuto nessun invito alla sfida a duello da Grasso.
Forse Grasso si è spaventato perché probabilmente Napolitano conferirà a lui l’incarico di formare un governo da presdelcons e ci tiene ad farsi trovare vergine all’altare? Stabilito che c’è differenza fra errore e crimine è colpa di Travaglio se molto spesso chi si presenta alla politica ha SEMPRE e sistematicamente qualche conto da regolare col suo passato, con fatti legati alla sua attività professionale?
Marco Travaglio non è uno sprovveduto che parla senza verificare la veridicità delle cose che dice e che scrive sui suoi libri, se da anni dice quelle cose a proposito di Pietro Grasso e per anni non è successo significa che Grasso o era molto distratto e nessuno gli ha mai riferito i contenuti di quei libri come invece qualcuno ha fatto ieri sera informandolo che a Servizio Pubblico si stava infamando il suo onore, o semplicemente vuole dire che quelle cose sono vere e non c’è nulla da confutare, e la telefonata di Grasso è la conferma che Travaglio non ha svenduto la propria professione a nessuna causa o persona, lui fa il giornalista ed ha il DOVERE di raccontare i fatti quando ci sono, e la reazione di Grasso è la miglior risposta che poteva dare per confermare a me che Travaglio è un ottimo giornalista che non ha mai guardato in faccia nessuno e che non si è mai inchinato a nessun potente pre-potente o delinquente come invece ha fatto e fa la stragrande maggioranza del giornalismo italiano.

L’intervento di Marco Travaglio

La telefonata di Pietro Grasso a Servizio Pubblico

L’aria nuova di Grillo

Sottotitolo: un incubo di legislatura per quelli della casa delle libertà circondariali: una comunista e un Magistrato, andranno alle sedute parlamentari portandosi dietro la collana d’aglio e  il paletto di frassino.

Adesso sì che si possono spolverare le poltrone: quelle di Camera e Senato che finalmente tornano a meritarsi anche la mia maiuscola.

L’articolo 67 della Costituzione cita testualmente: “OGNI MEMBRO DEL PARLAMENTO RAPPRESENTA LA NAZIONE”,  non il decalogo di Grillo. 

E ancora, nell’articolo 68: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
IL VOTO E’ SEGRETO.

Ciò detto, anzi scritto, Grillo, quando sarà presidente del Consiglio e avrà i due terzi del Parlamento, potrà abolire i suddetti articoli della Costituzione, e anche altri se lo desidera, e decidere in che modo si deve votare alla Camera e al Senato, magari via skype, se gli piace così.

Se ognuno si fa il codice di comportamento la Costituzione che ci sta a fare?   io ho sempre attaccato chi esagerava. Chi aveva paura del nazista del terzo millennio, a questo punto gli unici che lo possono mettere all’angolo sono i suoi. Quello che non è stato fatto con e per berlusconi.

Se proprio bisogna sostenere le donne in quanto donne molto meglio farlo con quelle  che meritano di essere sostenute.
Laura Boldrini  è competente, ha fatto cose importanti NONOSTANTE la politica, specie quella che dovrebbe regolare l’immigrazione seriamente e non come un’appendice della criminalità.  Fra chi gli immigrati li ha salvati e chi invece si augurava che facessero una fine orribile contribuendo a fargliela fare per mezzo dei respingimenti in mare, c’è una bella differenza. 

Una differenza che si quantifica in migliaia di cadaveri che ancora giacciono sul fondo dei nostri bellissimi mari.

Una persona, una donna di spessore, elegante, che ha detto cose molto importanti di cui sia la politica che gli italiani si dimenticano facilmente. E che le donne del pdl non abbiano applaudito e non si siano alzate in rispetto all’Istituzione è un motivo di più per pensare che la sua nomina sia più che meritata.

E’ ora di riportare la SERIETA’ nella politica e nelle istituzioni.

Ed io oggi, sebbene con tutti i miei dubbi sono strafelice che Laura Boldrini sieda al posto di gianfranco fini che contribuì alla stesura di leggi fasciste contro gli immigrati e per equiparare lo spacciatore di cocaina al ragazzino che si fuma uno spinello – se non ci fosse stata la bossi – giovanardi Stefano Cucchi sarebbe ancora vivo,  e Pietro Grasso sulla poltrona di schifani, ex avvocato di un mafioso. 

Finalmente torna anche il decoro alle commemorazioni dei morti di mafia.
Il 25 maggio scorso Travaglio scriveva: ”bisogna trarre le dovute conseguenze dalle vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituiscono reato, ma li rendevano inaffidabili nella gestione della cosa pubblica. Questo giudizio non è mai stato tratto perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza. Il solito giustizialista grillino? No, Paolo Borsellino. Il 19 luglio, i politici rimangano a casa a meditare”.

schifani è stato l’avvocato di un mafioso, di uno dei più mafiosi di tutti, una parte della sua vita sulla quale ha sempre taciuto e avrebbe continuato a farlo se non ci fossero state le rivelazioni di un pentito di mafia durante un processo.
Quando fu eletto presidente del Senato una fra le prime persone a congratularsi con lui – con tanto di bacio “accademico” –  fu Anna Finocchiaro, non si capisce se per stima personale o perché entrambi sono figli della stessa terra.

I siciliani del M5s hanno votato l’ex procuratore antimafia Pietro Grasso alla presidenza del Senato perché – testuali parole di qualcuno – se la poltrona fosse tornata a schifani non sarebbero potuti tornare nemmeno a casa.
E giustamente, dico io.
Ciò significa che a tutti gli altri – se si parla di voti espressi secondo coscienza – non interessava che la seconda carica dello Stato fosse affidata a chi l’avrebbe rappresentata sicuramente meglio di schifani, che con la mafia invece ha avuto qualcosa a che fare, probabilmente vergognandosene in un secondo momento, visto che ha preferito non dirlo a nessuno? 
E chi ha votato secondo coscienza dimostrando di averne una buona, che sa distinguere che fra un indagato per mafia e uno che, a prescindere dal suo mestiere che è stato quello di combatterla non lo era, qualche differenza c’è,  si merita la ramanzina, la minaccia, il cartellino rosso?

E questo sarebbe il nuovo che avanza? fra Pietro Grasso e il candidato dei 5s o peggio ancora la possibilità di lasciare quel posto a schifani solo la capacità di analisi di un ultrà da stadio avrebbe avuto dei dubbi.   Per carità, sono stata fra le prime a rinfacciare a Grasso quella frase infelice sul premio antimafia al governo di b., e ancora oggi se capita e se serve non mi sottraggo a ricordarla.
E so benissimo che la sua nomina l’ha voluta il malato immaginario scippandola, de facto, a Giancarlo Caselli.
Ma per metterlo sullo stesso piano di schifani e anche un’anticchia più sotto bisogna essere dei perfezionisti nel triplo carpiato con superavvitamento e scappellamento a destra.

La Costituzione si difende sempre, non solo quando torna utile e non lo si fa certo per coerenza ma per dovere civile, visto che se non ne avessimo avuta una: QUELLA CHE ABBIAMO, questo paese sarebbe ridotto molto peggio di così. 

I politici passano, i partiti nascono e muoiono, la Costituzione no, difendiamola, sempre.

Neanche Monti ha votato per Grasso, dimostrando, semmai ce ne fosse ancora la necessità che l’interesse per se stesso gli sta molto più a cuore di quello del paese: ben gli sta a tutti quelli che hanno osannato la serafica sobrietà di Mario Monti, uno talmente avvezzo a dire cose e a farne altre – altro che estraneo alla politica – da aver imparato benissimo come nascondere zanne da vampiro dietro sorrisini di circostanza. 
Felicissima di non essermi mai allineata ai “menopeggisti” di un annetto e qualcosa fa, a proposito di Monti & friends.

E, per finire, il pover’uomo si è presentato ieri al Senato per votare dopo aver incassato l’ennesimo sì al legittimo impedimento: silvio berlusconi ai Magistrati dovrebbe fare un monumento, altroché insultarli tutti i giorni. Ché se fossero stati diversi dalla razza umana come dice lui da quel dì che l’avrebbero sbattuto in una galera. In tutti questi anni sono stati perfino TROPPO umani e comprensivi, chi è legittimamente impedito a recarsi in un tribunale a due passi da casa sua a maggior ragione lo dovrebbe essere per affrontare un viaggio di qualche ora per venirsi a prendere i vaffanculo che si merita nella Capitale. 

Spero che i lavori nel buen ritiro siano a buon punto, perché ho la sensazione che stavolta le cose potrebbero cambiare davvero, e se cambiano in peggio per berlusconi significa che per noi la salita sarà un po’ meno ripida.