Tolgono ai più poveri e lo spread cala. Devono togliere ancora ai poveri?
Basta far salire lo spread, farlo diventare la prima preoccupazione del parco bovino e macellare i capi in basso, quelli più vicini al tritacarne. E ancora, e ancora, e ancora.
Ha ragione Ascanio Celestini quando dice che un popolo spaventato è come un bambino minacciato: ubbidisce subito.
A me non importa nulla se c’è gente – in Italia tanta – visto che il 10% della popolazione possiede più della metà della ricchezza totale, che sta meglio di me e della percentuale restante dei cittadini. Quello che m’importa, eccome, è sapere se quella gente sta meglio perché se lo è meritato davvero. Io non ho la sindrome della cosiddetta invidia sociale, se uno nella sua vita ha studiato di più, si è impegnato di più, ha lavorato di più, ha rischiato di più è assolutamente giusto che abbia uno stile di vita diverso dallo scansafatiche, io non sono per l’uguaglianza a tutti i costi perché non siamo tutti uguali e tutti meritevoli tout court: nella vita ognuno deve metterci del suo e deve sempre lavorare per migliorarsi senz’aspettarsi la manna dal cielo. Il problema è che in Italia nella maggior parte dei casi chi diventa un cittadino “più” lo fa a discapito della collettività altrimenti questo paese non sarebbe ridotto così male indipendentemente dalla crisi globale. Ieri sentivo feltri dalla Gruber dire che non sarebbe giusto adesso alzare la percentuale dei capitali scudati, che quando lo stato fa un patto coi cittadini poi non può rimangiarsi la parola, come se portarsi i soldi all’estero e non pagarci su le tasse fosse un atto di nobiltà da premiare con lo sconto invece di un reato da punire. Io non ho e non do cifre, però penso che in uno stato di diritto, in una società civile, il minimo dei diritti debba essere garantito, e se in un momento di grave difficoltà chi ha accumulato denaro sufficiente per potersi garantire cheneso, la berlina da 100.000 euro, l’attico in città, il casale in campagna, la barchetta a porto Cervo e l’appartamentino in montagna, chi può spendere per un capo d’abbigliamento quanto una famiglia spende in un mese per mangiare, dovrebbe contribuire (molto) di più rispetto a chi tutte quelle cose non le ha potute avere non per incapacità ma perché magari, è stato solo meno fortunato e meno furbo.
Quando sento dire che in questo paese si è vissuto al di sopra delle possibilità rabbrividisco. Perché so che un sacco di gente il mazzo se lo è fatto, non ha avuto niente di regalato, ora ci chiedono l’ICI sulla prima e unica casa: c’è chi andava a lavorare anche di domenica per pagare il mutuo e per anni ha fatto a meno di tutto per raggiungere quel piccolo obiettivo, e nel frattempo si cresceva anche i figli. Però ci dicono che una casa di proprietà fa reddito ed è giusto pagarci una tassa ignorando che il mantenimento di una casa di proprietà è a carico di chi se l’è comprata, se si rompe la caldaia non si va dall’amministratore di condominio a reclamare, bisogna trovare i soldi per aggiustarla o comprarne una nuova, così per tutte le altre cose.
Mantenere una casa di proprietà è già una tassa di per sé.
E io la voglio anche pagare questa tassa se poi mi torna sottoforma di servizi e strutture, ma so già che non sarà così. Io voglio continuare a pagare tutte le mie tasse, continuare a stare dentro questo stato, ma non voglio essere costretta a mettere mano al portafoglio perché per fare una mammografia in questo paese si devono aspettare anche nove mesi. Dov’è la giustizia sociale, l’EQUITA’, in un paese dove bisogna rinunciare a curarsi, ad andare dal dentista perché anche curarsi e avere un bel sorriso è diventato qualcosa alla portata di una piccola élite di ricchi e arricchiti?
Il problema non è tanto il fatto, gravissimo, che in questo paese non potremo mai ambire ad una vera equità, ad una lotta seria contro i grandi evasori che qui vengono premiati con lo scudo e i condoni anziché accompagnati nelle patrie galere come avviene nei paesi civili e a una distribuzione giusta delle ricchezze, quella che faccia in modo che non esista un divario così gigantesco fra chi nonostante la crisi continua ad accumulare e ad arricchirsi e chi invece non può garantirsi nemmeno il necessario. Il dramma è che questa concezione è entrata nel comune sentire, ieri da qualche parte ho letto che, “sì vabbè, la manovra è severa ma tanto in questo paese sarà sempre così e più di questo non possiamo pretendere”.
E allora penso che noi italiani siamo ormai avvezzi alla bastonatura perpetua. Questo il potere l’ha capito e si comporta di conseguenza, altrove i banchieri disonesti sono dovuti andare sotto processo, qui i banchieri e basta li hanno messi a governare.
Ma, ha un senso parlare di tutto questo in un paese dove esiste un sistema intero che vive alle spalle degli altri ed è stato tutelato dagli scudi e dai condoni, in un paese dove “il nero” supera il consentito e invece di riportare il maltolto a galla si va a infierire sui pensionati?
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NON CE NE LIBEREREMO MAI (Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano)
Un mese fa i titoli in Borsa delle sue aziende colavano a picco peggio degli ascolti di Minzolingua. Il suo governo, dopo due manovre estive totalmente inutili perché subito bruciate dai crolli quotidiani di Piazza Affari, sfiorava il consenso zero e rischiava di finire sottozero dovendone fare una terza. Gli altri capi di Stato e di governo, appena lo vedevano, scappavano. E, appena lo nominavano, sghignazzavano. In tribunale, poi, un disastro via l’altro, con i giudici che tagliavano i testimoni inutili della difesa per scongiurare la prescrizione. E in Parlamento nessuno, nemmeno la Carlucci e Stracquadanio, era più disposto a votargli quelle sei o sette leggine ad personam che gli occorrevano per scampare a sicura condanna. Un disastro totale: politico, finanziario, aziendale, processuale, sessuale, planetario.
Ora, soltanto un mese dopo, è tutto un paradiso. Del lavoro sporco, tipo piangere in diretta e far piangere gli italiani onesti, s’incarica Monti, avendo cura di non uscire dalla road map indicata dal Cainano: niente patrimoniale, niente Ici alla Chiesa e manco a parlarne di far pagare a Mediaset le nuove frequenze tv. Del resto, il nome di chi ci ha trascinati al fallimento dopo tre anni di sgoverno rimane un mistero doloroso: Monti continua a inchinarsi dinanzi a Letta e a B. (“ringrazio il mio predecessore che sono lieto di salutare in quest’aula”). E così, mentre gli altri piangono, lui fotte. Le aziende risalgono in Borsa. E lui risale nei sondaggi grazie alla proverbiale smemoratezza degl’italiani. Prepara la campagna elettorale travestito da “padre nobile” del Pdl, seminascosto dietro Angelino Jolie, pronto a levarselo dai piedi non appena i consensi faranno ben sperare. Intanto manda in fumo i suoi processi con manovre dilatorie che gridano vendetta, anzi la griderebbero se qualcuno le raccontasse. Invece, siccome dice “non conto più nulla” e tutti ci credono, le cronache dei processi Mills e Mediaset sono relegate in trafiletti da microscopio elettronico.
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