Chi insulta ha sempre torto

Mauro Biani

“Tra l’avallare l’operato di una presidente della camera e augurarle uno stupro di massa, ci sono diverse sfumature, anche più di cinquanta, financo per coloro che hanno le suddette sfumature come unica lettura nell’ultima decade, e parlo della copertina, ovviamente.” Fabio

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Che in Rete si debba dare la parola a tutti e che non si possa togliere a chi ne fa un uso improprio, sconsiderato e violento è una leggenda metropolitana. Perché in Rete valgono le stesse regole del quotidiano reale, come ha spiegato benissimo il professor Rodotà. E a nessuno penso fa piacere essere preso a sberle e sputi in faccia appena apre la porta di casa per uscire. Perché la sensazione che vive sulla pelle, e in modo nient’affatto virtuale l’insultat* sistematicamente, puntualmente, quello che io chiamo il bersaglio grosso è esattamente questa. A Grillo nessuno augura che sua moglie venga stuprata e che i suoi figli vengano picchiati, gli si muovono critiche sull’operato spesso sbagliato, su un linguaggio spesso esagerato, e su questi temi si dovrebbe limitare la critica, la replica. Non andare oltre diventando poi più grave e pesante di quello che si vuole sottolineare ed evidenziare. Oggi esistono tutti i mezzi e i sistemi per tutelare i propri spazi web, strano che chi ha fatto di un blog il centro nevralgico della sua azione politica non ne abbia trovato nemmeno uno.

Rispetto all’imbecillità  di chi pensa che si possano portare avanti delle istanze serie riempiendo pagine web e social network di insulti, molti dei quali pesantissimi, a carattere sessista, minacciosi, coi quali si augura la morte violenta a qualcuno, si  riempie di parole indecenti una donna che avrà pure tanti difetti ma insomma, non è che si possono ammazzare tutti quelli antipatici o che agiscono in contrasto al nostro sentire, non basta il rimprovero bonario, la dissociazione o, come si fa coi bambini estorcere la promessa di non farlo più. E invece di stare ore a ripetere i ritornelli difensivi su chi c’entra e chi non c’entra, perché qualcuno c’entra ed è proprio Grillo che ha sciolto i cani e non ha nessuna intenzione di rimetterli a cuccia, sarebbe meglio per chi sta dentro il movimento, impegnarsi da dentro. Il mio obiettivo è e resta quello di far capire che, sebbene con modalità diverse tollerare, appropriarsi di un’inciviltà anche verbale significa non lottare ma mettersi al fianco di chi più o meno direttamente ha motivato certe reazioni. E in momenti come questi bisogna usare tutto il nostro equilibrio. Non pensare che in fin dei conti la parola è poca cosa rispetto all’affronto. Sono la prima a riconoscere che fra un gesto violento e la parolaccia c’è una differenza, ma questo non vuol dire approvare chi fa un uso sbagliato, pessimo delle parole.

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Nella mia bacheca di facebook ogni giorno discuto con qualcuno di quelli della critica tout court ai 5stelle, perché la critica pubblica, quali che siano le ragioni e il contesto in cui si fa bisogna che abbia delle basi concrete, altrimenti quelle critiche appaiono, come spesso sono, solo il pretesto per aprire polemiche, per rovesciare altri insulti, altre parole sbagliate, esagerate nella pubblica piazza della Rete. E siccome a me più della politica, di chi ha torto o ragione interessano le questioni di principio, che quando sono giuste devono valere anche per il mio peggior nemico, vorrei poter continuare a sostenere le cose che ritengo importanti senza dovermi sentire una complice di chi avalla e minimizza gli imbecilli che insultano e minacciano. Vorrei non dovermi pentire di essermi impegnata a restare coerente con le mie idee e non prendere mai le parti di nessuno ma di aver criticato solo quello che bisognava criticare. Di non aver interpretato come una mission contro questo o contro quello la mia presenza nei social network e nella Rete tutta.

Perché non è sbagliato dire che nei confronti dei 5stelle c’è stato un attacco arrivato da più fronti, soprattutto dall’informazione cosiddetta ufficiale, quella che dovrebbe permettere alla gente di potersi formare un’opinione il più possibile sana e riferita a fatti realmente accaduti ma che invece, data la sua non indipendenza dalla politica non può assolvere alla sua funzione ma deve, come si usa dire “attaccare l’asino dove vuole il padrone”.

Alla politica nel suo momento peggiore fa paura un movimento di gente estranea alla politica ma che finalmente parla con un linguaggio comprensibile e molte delle iniziative che si propone di rendere concrete sono quelle che la politica non ha mai affrontato. E siccome molte delle iniziative che i parlamentari 5stelle portano avanti sono giuste, una su tutte denunciare pubblicamente ciò che avviene in parlamento, sarebbe opportuno che si dissociassero dagli imbecilli anche quei sostenitori/elettori che coi delinquenti da tastiera non hanno niente a che fare. Che si emarginasse chi usa la Rete come un cesso pubblico.

E nemmeno è sbagliato dire che non sono stati Grillo e i 5stelle il motivo dell’innalzamento dei toni ma una situazione/condizione diventata nel tempo insostenibile, soprattutto per colpa di una politica scellerata che non ha mai risposto alle esigenze dei cittadini ma si è trasformata in quella macchina del potere citata da Enrico Berlinguer nella ormai leggendaria e purtroppo dimenticata intervista sulla questione morale. E lo ha fatto senza distinzioni fra destra, sinistra e centro.

Tutti i partiti, con modalità differenti ma uniti dal comune denominatore del mantenimento e della crescita del potere hanno fatto cose che noi cittadini non abbiamo gradito per il semplice motivo che ci hanno danneggiato. E non è sbagliato dire che in presenza di un’altra politica, seria e composta di gente seria in questo paese non ci sarebbero stati berlusconi [che non poteva proprio starci: per legge] né il movimento 5stelle in parlamento.

E non è sbagliato ricordare ciclicamente quali sono stati gli errori della politica.

MA

Tutto questo non giustifica nulla di quello che è avvenuto e avviene tutti i giorni fra le pagine di social media, siti on line dei quotidiani dove, in virtù di una presunta libertà di espressione c’è una stragrande quantità di persone che pensa che sia lecito trasformare la sua rabbia in violenza verso chi ritiene sia il responsabile del suo disagio, pensa che sia più costruttivo l’insulto che un’argomentazione pensata. Si convince, perché spalleggiata da altra gente, che l’insulto sistematico sia utile, che possa produrre chissà quale risultato positivo.

E non mi unisco al coro di chi pensa che  non si debba dare troppa importanza a quello che si scrive in Rete, che in fin dei conti che sarà mai, son parole e nei social network non bisogna prendersi troppo sul serio.

Io prendo TUTTO sul serio invece, a maggior ragione quando so di avere una responsabilità PROPRIO perché so che quello che scrivo sarà poi letto da altra gente che si farà poi un giudizio su di me prim’ancora che sulle cose che scrivo.

E a me non va  di essere accomunata all’imbecillità dilagante, quella che viene poi descritta da “autorevoli” opinionisti/giornalisti che criticano una cosa dimenticandosene altre diecimila, oppure quella che presta il fianco alla politica quando ogni tanto, ciclicamente s’inventa l’idea di di regole nuove che vogliono limitare la libertà di esprimersi nel web.

Perché poi in mezzo alla melma poi ci andiamo a finire tutti. Quando poi i giornaloni e le televisioni riportano le dichiarazioni indignate di quelli lì che fanno accordi col delinquente ma poi vengono a farci la morale e ce la impongono per legge non fanno il distinguo.

Parlano dei social network pieni solo di gente ignorante e pericolosa. Gente da fermare e impedire, e io non voglio essere impedita né fermata da questi imbecilli che pensano di essere bravi perché vengono a postare insulti in Rete. E gente più imbecille di loro pensa davvero che lo siano. Non mi va di essere associata a quelli che ritengo dei veri criminali che ogni giorno si connettono alla Rete scegliendosi il proprio bersaglio e su quello rovesciano la loro subumanità, inciviltà, andando a impiastrare pagine dove il fine non è discutere ma esclusivamente quello di unirsi in un’orda di barbari incivili che sono tutto il giorno e tutti i giorni a prendere di mira qualcuno, soprattutto una, in modo volgare, al limite – ma spesso anche oltre – della denuncia penale [che in qualche caso, anzi molti, sarebbe bene che arrivasse almeno qualcuno la pianta], pensando di fare qualcosa di utile o, peggio ancora divertente.

Perché questa non è più libertà: è violenza. 

 

Operazione Casta Concordia

Mauro Biani

PASSA LA LINEA MORBIDA. SCHIFANI: “B. COMANDERA’ LONTANO DAL PARLAMENTO”  – Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano

 Gli arresti domiciliari non sono una specie di convalescenza, di vacanza, di periodo di aspettativa. Sono – appunto – arresti domiciliari durante i quali ai delinquenti comuni viene inibito ogni contatto con l’esterno.
berlusconi politica non l’ha mai fatta nemmeno in parlamento e nei suoi domicili faceva altro, ad esempio le famose cene eleganti; ma basta con queste prese per il culo a getto continuo. Se la linea “morbida” è quella che consente al pregiudicato amico e pagatore di mafiosi di poter mettere ancora bocca e becco nella politica, il modo è ancora tutto da studiare, bisognerà pure inventarsi qualcosa per spiegare agli italiani ma soprattutto a chi dagli arresti domiciliari o comunque in una condizione di persona condannata a quattro anni di galera da scontare in comode rate e in un luogo a scelta del condannato non può e in nessun modo comunicare con l’esterno e figuriamoci con un parlamento della repubblica, non oso immaginare a quale sarebbe stata quella dura.

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Chissà perché a Repubblica e al Corriere della sera non interessa che l’appena nominato alla Consulta Giuliano Amato abbia avuto in passato dei comportamenti che non fanno di lui quell’esempio di moralità e imparzialità indispensabile per far parte, esserne addirittura responsabile, dell’ultimo tribunale, il più alto, la Consulta, quello preposto a stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato nel merito di decisioni importantissime che riguardano tutto il paese?

Non dovrebbe essere un dovere del giornalismo “indipendente” quale si vantano di essere i due suddetti quotidiani contribuire ad informare i cittadini?
Nascondere al grande pubblico i fatti che riguardano Giuliano Amato, seri, gravi e che costituiscono molto più di un precedente per fare del dottor Sottile il meno adatto a ricoprire una carica così importante, lasciare che sia il solito Fatto Quotidiano a fare i lavori sporchi, tipo chiedere le dimissioni dell’inadeguato Amato per accusarlo poi di essere il giornale dei giustizialisti, dei manettari non è la più infame e vigliacca delle azioni?

In un paese che cade a pezzi, dove le istituzioni e la politica non trovano, perché non possono e non vogliono, il modo di buttare fuori dal parlamento il pregiudicato delinquente berlusconi e un presidente della repubblica si rende complice di questa oscena operazione di salvataggio a tutti i costi fino a nominare Giuliano Amato alla Consulta, quello stesso Amato che per ben due volte il centro destra di berlusconi avrebbe voluto al Quirinale, la notizia più importante con cui aprire giornali e telegiornali può mai essere lo spostamento della nave incagliata all’isola del Giglio?

Una domanda a questi cosiddetti grandi organi di stampa e informazione: “ma per chi ci avete preso? pensate davvero di poter continuare ancora per molto a rendervi complici di questo scandalo denominato governo delle larghe intese in funzione del quale bisogna tacere su ogni nefandezza per non disturbare il progetto di pacificazione nazionale, ovvero l’annullamento della sentenza che condanna il più delinquente di tutti?”

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Il silenzio che salvò Amato dal crollo di Craxi – Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano

[VIDEO] Giuliano Amato alla vedova del senatore Psi: “Zitta coi giudici, non fare una frittata”

In una chiamata del 1990 l’allora vice del Psi di Craxi, oggi alla Consulta, chiede
alla vedova di un senatore di non parlare dei protagonisti di una mazzetta: “Tirati fuori dalla storia”.

Giuliano Amato alla Consulta, orgasmo da Rotterdam

I consigli di Amato alla vedova di un socialista: “Zitta coi giudici, niente nomi”

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MORRA: “AMATO SI DIMETTA, DA M5S INTERROGAZIONE URGENTE”

E pensare che [se questo fosse un paese normale] queste dimissioni  le avrebbe dovute chiedere il piddì.
E non solo le sue ma anche quelle del cosiddetto garante della Costituzione.
Ma purtroppo è solo l’italietta, della politica e delle istituzioni marce e corrotte, quella della politica bella  degli inciuci, delle pastette sotto e sopra il banco.

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Dimissioni di Amato per non trascinare nel fango Consulta e Quirinale – [Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano]

Giuliano Amato ha un’unica strada per evitare di trascinare in un colpo solo nel fango la presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale: rinunciare al suo incarico di giudice della Consulta.

Qualunque persona di buon senso e in buona fede dopo aver ascoltato il nastro del suo colloquio telefonico con la vedova del senatore socialista, Paolo Barsacchi, scovato dal nostro valente collega Emiliano Liuzzi, non può arrivare a conclusioni diverse. Invitare una testimone in un processo per tangenti a non fare nomi per tenere fuori da uno scandalo i vertici del proprio partito è un comportamento incompatibile con la funzione di giudice costituzionale.

L’obiezione secondo cui il colloquio, registrato dalla signora Barsacchi, è molto antico (risale al 1990), non vale. Nella carriera dell’ex vicesegretario del Psi, due presidenze del Consiglio e più volte ministro, ci sono altri episodi del genere. Storie spesso diverse tra loro che dimostrano però come il caso Barsacchi, per Amato, non sia stato un incidente di percorso, ma la regola.

Bettino Craxi, infatti, utilizzò Amato per tutti gli anni ’80 e i primi anni ’90 per tentare di arginare (leggi insabbiare) il crescente numero di inchieste che coinvolgevano gli amministratori del Garofano. Non per niente l’ex sindaco di Torino, Diego Novelli, durante la bufera scatenata dalla scoperta delle mazzette versate nel suo comune a Dc, Psi e Pci, fu rimproverato proprio dal neo giudice costituzionale per aver portato in Procura il faccendiere-testimone d’accusa Adriano Zampini “anziché risolvere politicamente la questione”. E nel 1992, quando il dottor Sottiledivenne per la prima volta premier, fu proprio il suo governo a spingere il Sismi e il Sisde a raccogliere dossier sui magistrati di Mani Pulite che stavano scoperchiando l’enorme rete di corruttele che aveva messo in ginocchio il Paese.

Lo si legge nella relazione del Comitato parlamentare di controllo sui servizi di sicurezzadel 6 marzo del ’96 e lo racconta nel suo libro, Sorci Verdi, l’ex ministro dell’Ambiente del governo Amato, Carlo Ripa di Meana: “Giuliano mi riproverò: disse che l’azione giudiziaria di Mani Pulite – come indicavano i servizi e il capo della Polizia Vincenzo Parisi – era un pericolo per le istituzioni”. Una considerazione significativa che dimostra come nella testa del neo giudice costituzionale alberghi da sempre un singolare ragionamento: il problema in Italia non sono i ladri e le ruberie, ma chi li scopre.

Anche per questo, ma non solo, oggi le istituzioni sono di nuovo in pericolo. Quale fiducia potranno avere d’ora in poi i cittadini nelle decisioni della Consulta, visto che tra loro siede un giudice che giustifica e anzi consiglia ai testimoni di essere reticenti? Cosa penseranno delle scelte del Quirinale gli italiani quando sentiranno Giorgio Napolitano ripetere le parole da lui stesso utilizzate un anno fa, il 25 settembre del 2012: “Chi si preoccupa dell’antipolitica deve risanare la politica” perché “far vincere la legge si può come avvenne contro la mafia, come dimostrano Falcone e Borsellino”?

Domande retoriche. Alle quali in qualsiasi Paese del mondo non si risponde con il silenzio imbarazzato dei partiti delle larghe intese di queste ore, ma con una lettera d’immediate dimissioni. La firmerà Amato? Alla luce dell’esperienza pensiamo di no. Ma per una volta ci piacerebbe essere smentiti. Vedere l’ex vice-segretario Psi picconare con la sua presenza ciò che resta della credibilità di Consulta e Quirinale è un brutto spettacolo.  È una di quelle  scene di cui l’Italia non ha davvero più  bisogno.

Delle critiche, dei giudizi e della coerenza

 

 

Tutto si può criticare e mettere in discussione, perfino l’esistenza di Dio, però correttezza vorrebbe che a farlo fosse chi ha dimostrato di avere la mente libera sempre e a proposito di chiunque.
Chi invece ha retto il sacco, e lo continua a fare a sprezzo del ridicolo alla bella politica tradizionale dei partiti, quelli che hanno trascinato questo paese nell’inenarrabile e che adesso fanno fronte comune non solo in parlamento ma anche nel giudizio verso i 5 stelle e su argomenti che i partiti conoscono molto bene peraltro avendoli praticamente inventati loro –  tipo la cacciata più o meno silenziosa dei propri dissidenti  – dovrebbe, per decenza sua, mica per altro, mantenere un atteggiamento più discreto.
Se sta zitt*, è meglio.

Neanche a me piace la politica ridotta ad una specie di Grande Fratello con tanto di nomination ed espulsione decisa da un pubblico e penso che ogni regolamento si possa modificare in corsa, ma rispetto a quello che hanno sempre  fatto i partiti, quelli belli santificati e uniti in matrimonio da Napolitano, e lo han fatto dietro le quinte presentandosi poi ai loro elettori con la faccia bella dei democratici, quelli dei 5 stelle sono poco più che peccati veniali.

 

 

Sul blog di Grillo i risultati della votazione sull’espulsione della senatrice Adele Gambaro sotto accusa per le critiche al leader. Gli aventi diritto, cioè gli iscritti al 31 dicembre 2012, erano 48.292: di questi hanno votato in 19.790. Il 65,8% (13.029 voti) ha votato per l’espulsione, il 34,2% (6.761) ha votato no (leggi). Ma secondo un sondaggio Ipr/Tg3 gli elettori del Movimento non condividono la linea: consensi scesi dal 25 al17%, maggioranza contraria all’espulsione (leggi)

 

BLOG TRAVAGLIO – IL REATO DI LESA MAESTA’ CONTRO IL CAPO E’ DA ROMANIA DI CEAUSESCU  [I grullini – 19 giugno]

Senti chi sparla
Marco Travaglio, 20 giugno

C’è un solo spettacolo deprimente come i 5Stelle che cacciano una senatrice per aver criticato Grillo: i partiti che danno lezioni di democrazia. Anziché tacere e guardare al proprio interno, nella speranza che non lo facciano anche i loro elettori superstiti, i partiti dei soldi pubblici in barba al referendum, delle tessere false, dei congressi taroccati o mai fatti, delle regole violate o cambiate su misura per gli amici, degli statuti carta straccia, dei probiviri dormienti e del Porcellum, montano in cattedra col ditino alzato: “Eh no, certe cose non si fanno”. 

Il socialista Nencini si appella addirittura a Grasso perché salvi la Gambaro, e lui la democrazia dei partiti la conosce bene perché viene dal Psi: il partito di Craxi che cacciava i dissidenti Codignola, Bassanini, Enriques Agnoletti, Veltri e altri e si autocelebrava nei congressi con le piramidi di Panseca facendosi eleggere per acclamazione. Anche il centrosinistra inorridisce per le 4 o 5 espulsioni grillesche, forse perché ne ha all’attivo centinaia: quando si tratta di democrazia interna, fa le cose in grande fin dai tempi della cacciata del gruppo “manifesto” e dei “pidocchi” di togliattiana memoria. 

Chi volesse l’elenco completo (o quasi) degli espulsi dal Pd lo trova sul blog bojafauss.ilcannocchiale.it . 

Ad Agropoli ne han cacciato uno che aveva denunciato una speculazione edilizia; due consiglieri di Troina li han silurati “per aver votato in contrasto con le indicazioni del partito”; alcuni li han defenestrati con una telefonata dall’esecutivo di Piacenza perché osavano sostenere Renzi, ecc.
Particolarmente democratico il caso di Avigliana, in Valsusa, piccola patria di Fassino. Alle ultime comunali il Pd si presentava in un listone civico Pro-Tav con Pdl e Udc contro i suoi dirigenti locali No-Tav, alleati con Idv, Sel e M5S. 

L’ammucchiata naturalmente perse il Comune e per vendetta il Pd piemontese fece espellere i tre eletti nella lista vincente e commissariare il circolo del paese per eresia dal dogma dell’Immacolata Cementificazione. La Lega ha espulso più dissidenti di un arbitro di calcio, e qualcuno l’ha pure menato. 

Il partitucolo di Monti è un accrocco di partitini personali, da Casini a Montezemolo, capitanati da un senatore a vita che s’è candidato da ineleggibile dopo aver giurato che mai e poi mai. 

Lì alberga pure l’ottimo Buttiglione, che nel ’95 era segretario del Ppi e dall’oggi al domani, dopo aver sfiduciato il governo B., annunciò l’alleanza con B. La maggioranza del partito gli votò contro: lui espulse la maggioranza del partito. Il Pdl, già Forza Italia, ha fatto due congressi in vent’anni, per giunta finti. Tre anni fa Fini, uno dei due fondatori, se ne andò un attimo prima di finire espulso insieme ai fedelissimi Granata, Bocchino e Briguglio, sbattuti dinanzi ai probiviri in quanto “incompatibili con i valori fondanti del partito”. Cioè i valori dell’illegalità,visto che avevano contestato il bavaglio anti-intercettazioni, la prescrizione breve e la revoca della protezione al pentito Spatuzza. Ma il caso più strepitoso risale al 1996, quando fu arrestato il giudice Squillante e furono indagati Previti e B. per averlo corrotto, in base alle accuse di Stefania Ariosto, allora compagna di Vittorio Dotti. Civilista Fininvest da 16 anni, Dotti era il numero 2 di Forza Italia. 

Previti chiese la sua testa per non aver tappato la bocca alla fidanzata. B. lo convocò e gl’intimò di scrivere una totale dissociazione dalla Ariosto e giurare che le sue deposizioni erano “fantasie, calunnie E bugie”. Dotti rispose di non poterlo fare. Allora la Fininvest gli revocò tutte le cause e B. prima lo cacciò dal partito perché “il nostro rapporto si è incrinato”, poi lo “scandidò” da capolista di Forza Italia nel collegio Milano4 a un mese dalle elezioni, rimpiazzandolo con un altro avvocato della ditta. Tanto — disse Ferrara — “a Milano 4 faremmo eleggere non solo Dotti, ma pure il suo cane”. 
Con tanti ringraziamenti dal neodeputato, detto da quel giorno “il cane di Dotti”.

Costituzione ad orologeria

Sottotitolo: tra i molti nefasti effetti della proposta Finocchiaro-Zanda c’è che ora, nella marmellata mediatica, vengono messi sullo stesso piano la applicazione di una legge del 1957 a un individuo che l’ha da sempre violata e la creazione di una legge del tutto nuova che impedirebbe la rappresentanza a interi movimenti che non hanno mai violato niente.

In pratica, si mettono sullo stesso piano un atto giuridico dovuto ma ignorato per interesse politico e una proposta politica inedita e al limite della costituzionalità.

Probabilmente l’obiettivo è confondere tutti per poi fare “pari e patta” tra due cose che non c’entrano nulla tra loro: e quindi, semplicemente, non applicare una legge dello Stato, di nuovo.

Un po’ come se si proponesse di aumentare le tasse agli idraulici, ad esempio, per poi dire: va beh, non aumentiamo le tasse agli idraulici, ma in cambio non applichiamo la legge al signor Sempronio. Che non fa l’idraulico, però le tasse le evade da vent’anni.  Nel giro di due mesi il Pd è passato dall’ipotesi di votare per l’ineleggibilità di Berlusconi a quella di stabilire l’ineleggibilità del M5S. Prossimo passo: una legge sul conflitto d’interessi di Grillo, tipo vietare le forze politiche create da comici. [Alessandro Gilioli]

Il Pd presenta una legge anti 5 stelle

Grillo: “Se passa noi ritireremo le liste”

Il testo di Zanda e Finocchiaro prevede lo stop a movimenti senza uno statuto pubblicato in Gazzetta
Ufficiale. La replica: “Avranno responsabilità delle conseguenze. Non diventeremo mai un partito”.

Il tempismo col quale solo adesso si pensa alla regolamentazione della democrazia interna ai partiti fa pensare. 
E il fatto che lo chieda il pd insospettisce, sembra quasi che lo faccia per trarne un vantaggio nel suo momento peggiore.
E ancora di più fa pensare il fatto che altre leggi costituzionali siano state invece furbescamente ignorate per quasi vent’anni, quelle non erano urgenti, non servivano evidentemente a ripristinare non solo la democrazia interna ai partiti ma proprio la democrazia interna a tutto il paese.
Le regole sono belle, ma chi solo oggi ne chiede il rispetto e l’applicazione le avrebbe dovute rispettare per primo; così no, non sono credibili.

Sull’ineleggibilità di b nemmeno due parole a titolo di parere personale, il segretario traghettatore Epifani ci fa sapere che “non è una questione di sì o no”,  ché non sia mai qualcuno s’incazzasse e alzasse la voce com’è successo due giorni fa; sul conflitto d’interessi silenzio tombale per diciotto anni, ché toccare gli interessi di b significherebbe dover mettere le mani e la legge anche su quelli di altri.
La priorità del pd che, voglio ricordare, fa parte del governo di responsabilità, di quelle larghe intese necessarie a risolvere il momento drammatico del paese, per decisione degl’insigni e raffinati costituzionalisti Zanda e Finocchiaro è tentare di togliere la rappresentanza politica in parlamento a chi  è stato scelto da nove milioni di persone.
Di rispettare e mettere in pratica almeno gli articoli 1, 3, 54 e 111 manco a parlarne.
Il pd potrebbe, tanto per dare prova di essere al di sopra di ogni sospetto,  spiegare il perché  dei 2399 immobili ereditati dai ds e affidati a fondazioni private come ci ha raccontato Report domenica sera.  La politica costa, dicono tutti, i soldi servono perché altrimenti fare politica diventa un’esclusiva d’élite riservata a chi ha i soldi [come se negli ultimi vent’anni l’avessero fatta i diseredati del paese].

 2399 immobili servono a sostenere i costi della politica? chiedo.
Poi parliamo di trasparenza, ché la Gabanelli non è mica brava solo se cazzia i 5s.

La sinistra prima e il centrosinistra poi non hanno mai avuto l’ossessione per berlusconi quanta invece dimostrano di averne per i 5s.

Ed è questo il punto da cui partire per fare ogni tipo di riflessione.
Se non si fa questa considerazione non si è completamente onesti intellettualmente.

Hanno avuto diciotto anni di tempo per studiare una strategia di contrasto facilissima da applicare semplicemente rispettando le leggi che c’erano, con buona pace del direttore della fu Unità che oggi si schermisce dicendo che sì, va bene, però la gente ha votato berlusconi e oggi sarebbe disdicevole dire a tutta quella gente che per diciotto anni ha votato per un impostore, un abusivo, e, least but not last uno a cui piace infrangere la legge e non rispondere delle sue azioni. Che poi è l’unico motivo per cui è dovuto scendere in campo per il bene del paese e cioè il suo.

E sarebbe ancora più complicato spiegare che se l’impostore abusivo è lì è perché qualcuno nella politica ha voluto che ci fosse ignorando, appunto e di proposito, la legge che glielo impediva.

E una politica seria, onesta, che avesse agito nel rispetto di quella Costituzione dove tutto era già scritto avrebbe fatto quello che si doveva fare prima, molto prima.
La Finocchiaro e Zanda che solo oggi si ricordano della Costituzione a proposito di Grillo e non di berlusconi non sono solo politicamente disonesti ma anche un bel po’ patetici.

L’Epifania
di Marco Travaglio, 21 maggio

Domani la giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera deve votare pro o contro l’immunità-impunità per B. in quattro processi, uno penale e tre civili, nati da altrettante denunce presentate da persone da lui infangate nella scorsa legislatura, quand’era ancora deputato. E la prossima settimana si riunirà finalmente la giunta per le elezioni del Senato per decidere sulla eleggibilità o meno di decine di neosenatori sui quali gravano diversi profili di incompatibilità, fra cui B., titolare con Mediaset delle concessioni televisive pubbliche e dunque ineleggibile in base alla legge 361/1957. In tutte le votazioni il Pd è decisivo: alla Camera, perché con Sel ha la maggioranza assoluta grazie al premio-Porcellum; al Senato, perché è il gruppo più rappresentato e, pur non arrivando alla maggioranza, può ampiamente superarla con i 5Stelle, che han già annunciato il loro voto per l’ineleggibilità di B. Dunque, entro una decina di giorni, se il Pd farà ciò che si aspettano i suoi elettori, il Parlamento darà il via libera ad altri quattro processi a B. e lo caccerà dal Parlamento dove siede abusivamente da vent’anni. Non si tratta di atti ostili o eversivi, ma semplicemente di applicare le leggi dello Stato: l’insindacabilità parlamentare vale per i voti dati e le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni, non per gli insulti e le diffamazioni sparsi in giro per l’Italia (la Consulta l’ha stabilito un’infinità di volte); e l’ineleggibilità non è un’opinione, ma una condizione oggettiva fissata da una legge di 56 anni fa, quando B. andava all’università (e studiava legge!). Eppure si apprende dai giornali che, nell’un caso e nell’altro, il Pd potrebbe votare a favore di B. e contro la legge. Urge un chiarimento netto dal neosegretario Epifani, ma anche dal premier Letta a proposito degli “accordi di governo” evocati a ogni pie’ sospinto dal Pdl e ignoti agli elettori. Sarebbe ben strano se vi fossero comprese questioni di legalità e democrazia, di esclusiva competenza parlamentare. Ma se qualcuno, confondendo i ruoli, ha preso impegni in tal senso farebbe bene a mettere tutte le carte in tavola. Onde evitare che gli elettori ne scoprano via via una al giorno: oggi l’impegno a votare l’imputato Formigoni a presidente della commissione Agricoltura; ora la promessa di mandare Nitto Palma al vertice della commissione Giustizia (con la furbata di chiedere a Monti di votarlo insieme al Pdl, per potersi astenere e fingere dinanzi agli elettori di aver fatto di tutto per impedirlo). Il Pd ha promesso a B. di bloccare i suoi processi per diffamazione e le sue cause civili per danni? Il Pd ha promesso di dichiararlo eleggibile anche se tutti sanno e dicono (D’Alema, Bersani, Zanda e Migliavacca) che non lo è? Se sì, lo dica e spieghi perché. Gli elettori se ne faranno una ragione e decideranno di conseguenza alle prossime elezioni. Ciò che è intollerabile è il balletto delle bugie e delle ipocrisie. Zanda che ribadisce l’ineleggibilità di B., ma “a titolo personale” (è capogruppo al Senato!), anche perché “io in giunta non ci sono”. Il tartufo Fioroni che filosofeggia: “L’ineleggibilità non è nel programma approvato dalle Camere” (già: da quelle Camere formate anche da eletti ineleggibili, visto che la giunta per le elezioni è bloccata da tre mesi; e poi che c’entra il governo col voto del Parlamento sulla legalità della sua composizione?). Il direttore dell’Unità Claudio Sardo che scrive, restando serio: “Restiamo convinti che la legge 361/1957 escluda l’eleggibilità del proprietario di un’azienda concessionaria dello Stato. Ma è evidente che una maggioranza politica non potrebbe oggi, senza esercitare violenza ai danni di tanti elettori, ribaltare il giudizio già espresso in sei legislature consecutive”. Come dire che, siccome un serial killer ha ucciso sei persone e l’ha fatta franca, se ne ammazza una settima non si può arrestarlo: sarebbe una violenza ai danni dei suoi complici.

Il Monitore

Sottotitolo: il Monitore era una speciale nave corazzata, adatta ad azioni nei fiumi o contro costa, ma assolutamente inadatta per velocità e qualità nautiche come unità di squadra [da wikipedia].

Il molto intelligente sindaco di Torino Piero Fassino, quello più lungimirante che magro e viceversa, ha affermato – restando serio – che la candidatura di Rodotà era irricevibile perché marchiata dal punto G, che non è quel luogo ricercato dalla notte dei tempi nel quale risiederebbe l’apice del piacere femminile ma la G di Grillo.
Mentre tutti sanno che la proposta di Marino, uno dei realizzatori della bicamerale superaccessoriata concessa a berlusconi quale garanzia sempiterna di una legittimazione politica che non gli sarebbe spettata per legge era, e come no, scevra da qualsiasi condizionamento e interesse.
Per non parlare di quanto lo sia stata la ri_proposta di Napolitano che ha il vantaggio di non dover nemmeno dimostrare quali sono gli interessi che gli sono sempre stati e gli stanno molto a cuore.

Il PD, dopo aver legittimato un governo abusivo e aver contribuito allo sfascio sociale votando tutte le leggi Monti – Fornero e compagnia devastante ha posto la questione di principio, un principio che vale meno di un cazzo ma che loro hanno considerato tale al punto di non permettere che questo paese avesse un presidente degno quanto Pertini, sulla candidatura di un galantuomo come Rodotà.

Anche questa è una cosa da NON dimenticare, mai.

Se non si può dire che è un golpe, un colpo di stato, si può almeno dire che è una schifosissima congiura di palazzo? sì che si può dire.

Purtroppo il professor Rodotà è stato costretto a non sbilanciarsi dal suo ruolo di costituzionalista, da conoscitore rispettoso della Carta qual è non poteva  dire che quello che è accaduto ieri si chiama furto di democrazia, in parole povere che qualcuno, per gli interessi di qualcun altro ha svenduto per l’ennesima volta la possibilità di un rilancio di questo paese, di un riscatto morale e civile, io però sì, lo posso dire. E’ nel mio diritto dirlo, eccome.

E penso che più di qualcuno dovrebbe fare un passo indietro, ma anche due o tre, quelli ad esempio che hanno accusato di essere antidemocratici, antistato, sovversivi ed eversivi, persone che non hanno a cuore le sorti del paese quei cittadini che alle recenti elezioni hanno rivolto il loro sguardo altrove preferendo un movimento di popolo ai cosiddetti partiti tradizionali, quelli che in questi giorni hanno offerto a noi italiani e al mondo uno spettacolo indegno.

Che hanno barattato la loro dignità che forse ancora si poteva salvare con quella di una persona a cui la dignità non interessa né è mai interessata.

E forse meriterebbe le scuse anche Franco Battiato, cacciato con disonore per aver detto una parola forte, ma che però rende perfettamente l’idea, da chi ieri si sbellicava dalle risate ascoltando le battute dell’abusivo impunito.

Ormai non è più un discorso di destra e sinistra, di persone, di idee, stando così le cose è la politica tutta ad aver perso anche l’ultimo residuo di importanza, significato e valore.
Perché quando la politica tutta rinuncia al suo ruolo in funzione degli interessi di qualcuno, e lo fa in modo così vistoso, sfacciato, arrogante, quando, sempre per motivi di interesse perlopiù occulto si lega non alle sorti di quel popolo che sceglie, o perlomeno crede di farlo, i suoi rappresentanti per mezzo di una legge truffa ma a quelle di un partito, di una persona, vuol dire che la politica sta dicendo a quel popolo che non le interessa più il suo bene ma la sua priorità è tutelare solo ed esclusivamente gli interessi e le sorti di qualcuno.
Che, per una strana ironia del destino è sempre lo stesso qualcuno.

E, finché non ci sarà una legge che permetterà ai cittadini di scegliersi i propri candidati/referenti politici per nome e cognome su una scheda elettorale e non, invece, con questa  che li costringe a farlo per mezzo di una croce su un simbolo che poi rimanda ai nomi e cognomi che scelgono le segreterie di partito, nessuno, NESSUNO, dovrebbe permettersi di dire che quel che avviene in parlamento, alla camera e al senato [di nuovo minuscoli per festeggiare il lieto evento] è il risultato democratico di una volontà popolare.
Io non c’entro nulla con quelli che hanno rimandato Napolitano al Quirinale.

Funeral Party
Marco Travaglio, 21 aprile

La scena supera la più allucinata fantasia dei maestri dell’horror, roba da far impallidire Stephen King e Dario Argento. Il cadavere putrefatto e maleodorante di un sistema marcio e schiacciato dal peso di cricche e mafie, tangenti e ricatti, si barrica nel sarcofago inchiodando il coperchio dall’interno per non far uscire la puzza e i vermi. Tenta la mission impossible di ricomporre la decomposizione. E sceglie un becchino a sua immagine e somiglianza: un presidente coetaneo di Mugabe, voltagabbana (fino all’altroieri giurava che mai si sarebbe ricandidato) e potenzialmente ricattabile (le telefonate con Mancino, anche quando verranno distrutte, saranno comunque note a poliziotti, magistrati, tecnici e soprattutto a Mancino), che da sempre lavora per l’inciucio (prima con Craxi, poi con B.) e finalmente l’ha ottenuto. E con una votazione dal sapore vagamente mafioso (ogni scheda rigorosamente segnata e firmata, nella miglior tradizione corleonese). Pur di non mandare al Quirinale un uomo onesto, progressista, libero, non ricattabile e non controllabile, il Pd che giurava agli elettori “mai al governo con B.” va al governo con B., ufficializzando l’inciucio che dura sottobanco da vent’anni. Per non darla vinta ai 5Stelle, s’infila nelle fauci del Caimano e si condanna all’estinzione, regalando proprio a Grillo l’esclusiva del cambiamento e la bandiera di quel che resta della sinistra (con tanti saluti ai “rottamatori” più decrepiti di chi volevano rottamare). La cosa potrebbe non essere un dramma, se non fosse che trasforma la Repubblica italiana in una monarchia assoluta e la consegna a un governo di mummie, con i dieci saggi promossi ministri e il loro programma Ancien Régime a completare la Restaurazione. Viene in mente il ritorno dei codini nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, con la differenza che qui non c’è stata rivoluzione né s’è visto un Napoleone.
Ma il richiamo storico più appropriato è Weimar, con i vecchi partiti di centrosinistra che nel 1932 riconfermano il vecchio e rincoglionito generale von Hindenburg, 85 anni, spianando la strada a Hitler. Qui per fortuna non c’è alcun Hitler all’orizzonte. 
Però c’è B., che fino all’altroieri tremava dinanzi al Parlamento più antiberlusconiano del ventennio e ora si prepara a stravincere le prossime elezioni e salire al Colle appena Re Giorgio abdicherà. A meno che non resti abbarbicato al trono fino a 95 anni, imbalsamato e impagliato come certi autocrati, dagli iberici Salazar e Franco ai sovietici Andropov e Cernenko, tenuti in vita artificialmente con raffinate tecniche di ibernazione e ostesi in pubblico con marchingegni alle braccia per simulare un qualche stato motorio. Ieri, dall’unione dei necrofili di sinistra e del pedofilo di destra, è nato un regime ancor più plumbeo di quello berlusconiano e più blindato di quello montiano, perché è l’ultima trincea della banda larga che comanda e saccheggia l’Italia da decenni, prima della Caporetto finale. Prepariamoci al pensiero unico di stampa e tv, alla canzone mononota a reti ed edicole unificate. Ne abbiamo avuto i primi assaggi nelle dirette tv, con la staffetta dei signorini grandi firme che magnificavano l’estremo sacrificio dell’Uomo della Provvidenza e del Salvatore della Patria, con lavoretti di bocca e di lingua sulle prostate inerti e gli scroti inanimati delle solite cariatidi. Le famose pompe funebri.
Ps. Da oggi Grillo ha una responsabilità infinitamente superiore a quella di ieri. Non è più solo il leader del suo movimento, ma il punto di riferimento di quei milioni di cittadini (di centrosinistra, ma non solo) che non si rassegnano al ritorno dei morti morenti e rappresentano un quarto del Parlamento. A costo di far violenza a se stesso, dovrà parlare a tutti con un linguaggio nuovo. Senza rinunciare a chiamare le cose col loro nome. Ma senza prestare il fianco alle provocazioni di un regime fondato sulla disperazione, quindi capace di tutto.

Autorità [di controllati e controllori]

Sottotitolo: «La Bbc non mi piace ma non ci posso fare niente» (Margareth Thatcher)

Preambolo:  secondo la legge i commissari delle varie autorità  devono essere autonomi e indipendenti.  E, soprattutto, competenti.

Morale: dopo ogni puntata di Report viene voglia di espatriare, senza fare nemmeno le valigie,  per non portarsi via nemmeno un granello di polvere proveniente da questo paese.

Report – I Garanti del 07/10/2012

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Le authority sono gli organi indipendenti che regolano il mercato.

Come stanno vigilando sulla più grande operazione europea di fusione tra due compagnie di assicurazione, Fondiaria Sai di Ligresti e Unipol di LegaCoop?

I segretari comunali in Italia sono circa 3.000. Dai piccoli comuni alle grandi città tutti devono averne uno. Sono i più importanti dirigenti comunali e il loro ruolo principale è controllare che i provvedimenti varati dalla giunta siano conformi alle leggi. Il loro stipendio è a carico del comune e in molti casi raggiunge cifre così sproporzionate da farli apparire una vera e propria casta. A Camugnano, un piccolo paese di duemila abitanti in provincia di Bologna sommando stipendio base, indennità e rimborsi, il segretario comunale alla fine costa quasi 110 mila euro all’anno. E simile è la situazione in tanti altri comuni. Fino a raggiungere cifre da capogiro, come a Como: il suo segretario nel 2011 ha dichiarato 234mila euro, il doppio dello stipendio base del capo dell’FBI. In tutto gli stipendi dei segretari costano all’amministrazione ogni anno tra i 150 e i 200 milioni di euro, mentre l’agenzia che gestisce il loro albo, sebbene soppressa, continua a costare ogni anni decine di milioni allo Stato.

In Inghilterra  l’interferenza dei governi, e dunque della politica sulla scelta delle varie authority di controllo  significherebbe “un grave danno di immagine”.

E quindi, semplicemente, non interferiscono per non danneggiare – appunto – la loro immagine.
Perché da noi no?
Perché da noi la politica, tutta, e i governi, tutti, non solo interferiscono ma scelgono e propongono ma più che altro impongono direttamente chi dovrà occuparsi di garanzie ed essere quindi imparziale ma che per ovvii motivi di conflitto di interessi [parlando con pardon] non potrà mai essere né garante e né imparziale?

Dopo aver visto l’ennesima puntata voltastomaco di Report ci vorrà un coraggio da leoni alle prossime elezioni [eventuali, ormai siamo nell’ambito infinito delle ipotesi anche per quel che riguarda proprio l’abc della democrazia] a votare per questa politica amica o conoscente assai stretta delle varie cricche che poi infila in ogni dove,  di amici, parenti e conoscenti o semplicemente di persone funzionali al progetto di chi non vuole civilizzare l’Italia né renderla un paese semplicemente normale,  gente  che poi va, per volere della politica, dunque non potendo poi  fare gli interessi dei cittadini che dovrebbero essere tutelati,  a comporre gli istituti di controllo di tutto quello che è proprio e invece il fondamento della democrazia quali sono appunto gli organi che poi devono, dovrebbero anzi, occuparsi di come viene regolato il cosiddetto ‘mercato’, persone chiamate a ideare e realizzare  le regole e che poi devono vigilare affinché vengano poi rispettate in un mercato che dovrebbe, anzi deve essere trasparente, non qualcosa entro cui nascondere e tutelare invece  gl’interessi  privati di chi gestisce quel mercato.

C’è un interrogativo che dovrebbe battere in testa a tutti come un’ossessione, qualcosa che tutti dovremmo ripeterci tutti i giorni come un mantra: perché tutto quello che in altri paesi è semplicemente un’operazione di civiltà democratica qui da noi diventa invece e puntualmente un esercizio di malaffare, di inciuci sottobanco ma che poi mostrano irregolarità così manifeste e palesi  che dovrebbero far resuscitare pure i morti dall’indignazione,  incentivati, promossi, approvati e condivisi perché VOLUTI da chi dovrebbe fare in modo che accada l’esatto contrario ma che invece lavora attivamente affinché lo schifo rimanga schifo e anche un po’ di più.
Per dirla con un esempio che capirebbe anche un bambino di cinque anni, come fa la moglie di Bruno Vespa, dottoressa Iannini di professione magistrato nominata nientemeno che garante della privacy dal governissimo che fa benissimo, a sorvegliare sulle trasmissioni di suo marito?  come fa a controllare che suo marito durante ogni puntata di porta a porta rispetti davvero le regole, così come vorrebbero le regole?
 Perché tutto quello che oltre gl’italici confini è semplicemente normale e quindi si fa, qui da noi è invece impossibile e dunque NON si fa?
E chissà per quale motivo il molto onorevole indagato Corrado Passera si è rifiutato di rispondere alla Gabanelli sebbene lui fosse il ministro più interessato di tutti rispetto all’argomento di cui trattava Report ieri sera.
Per quale motivo in un paese democratico [?] un ministro si può sottrarre, rifiutarsi  di rispondere alle domande di una trasmissione d’inchiesta ben fatta, che non racconta balle, che fa davvero servizio pubblico [incredibilmente proprio nella tv pubblica, quella pagata coi soldi di tutti, non quindi la dependance di una classe politica inguardabile e indecente] e che quindi merita rispetto.
Lo stesso rispetto che poi esigono e pretendono quelle che qualcuno definisce inopinatamente “istituzioni”.
Di cosa e chi non è dato sapere.
27 aprile 2012:  dicono che i partiti sono morti ma dall’appettito che hanno sembrano vivissimi come nel racconto di Edgar Allan Poe dove il cadavere apparente gratta da dentro la bara. Infatti continuano a lottizzare tutto, perfino le Autorità indipendenti che essendo indipendenti non dovrebbero avere niente a che fare con i partiti. Tanto tutti li credono morti e si preparano alla prossima abbuffata.
Secondo la legge i commissari dell’autorità per le telecomunicazioni devono essere autonomi e indipendenti.
Michele Santoro racconta Antonio Martusciello.

Le tasse sono bellissime

Le tasse sono bellissime, sì.
Aveva ragione Padoa Schioppa quando lo disse attirando su di sé le antipatie di mezza Italia.

 Sono bellissime se le pagano tutti, sono bellissime se le pagano tutti in relazione ai loro guadagni, sono bellissime quando lo stato non si trasforma in socio occulto pretendendo la metà e oltre dei guadagni della gente ma non lavorando come invece lavora la gente. Sono bellissime quando lo stato controlla realmente che le tasse vengano pagate in relazione ai redditi.

Sono bellissime quando poi tornano sottoforma di servizi, istruzione, cultura, sanità, assistenza ai disabili, quando vengono investite per la sicurezza sul lavoro, nella ristrutturazione degli edifici pubblici che cadono in pezzi ammazzando ragazzini seduti ai banchi di scuola. Quando, invece di spendere i soldi di tutti per  un inutilissimo e dannoso  buco in una montagna vengono utilizzate per le nuove tecnologie, per la ricerca scientifica, per il PROGRESSO.
Quando invece non sono niente di tutto questo, quando lo stato prende ma poi non restituisce, quando lo stato va a prendersi i soldi da chi li ha sempre dati ed è da quella gente che ne vuole sempre di più invece di pretenderli da chi ne ha tanti, troppi, accumulati spesso proprio grazie all’evasione  non sono bellissime per niente: sono un furto, l’ennesimo furto compiuto dallo stato ai danni dei cittadini. 
Se questo stato fosse stato gestito in modo serio nessuno avrebbe creduto alle balle del delinquente zippato, nessuno crederebbe infatti che senza tasse è meglio, e invece dei voti  avrebbe preso solo le pernacchie che si merita.

Invece, solo due mesi fa Enrico Letta [il nipote dello zio, nonché vicesegretario del PD] si augurava il ritorno di b, disse che il popolo della libertà è meglio del Movimento cinque stelle.

Quindi uno sicuro “zu’ silvio” lo fa contento, questo forse serve a spiegare, a ricordare, a fare chiarezza agl’insipienti, agli smemorati e a quelli che pensano che bisogna essere dei perfetti coglioni per ridare fiducia al piazzista coi tacchi:  perché se non guardiamo chi c’è all’opposizione non capiremo mai  perché è impossibile liberarsi della metastasi che affligge l’Italia da tre lustri più due o tre anni.

Berlusconi: “Giù la pressione fiscale”.

Ma da premier diceva: “E’ impossibile”

Il ritorno in campo del Cavaliere mostra la strategia che seguirà da qui alle elezioni: far dimenticare che fino ad appena dieci mesi fa al governo c’era lui. Ora torna a promettere l’abbassamento delle tasse, ma a maggio dell’anno scorso diceva che in tempo di crisi non si poteva fare. Poi si scaglia contro l’Imu, votata in parlamento anche dal Pdl.

Berlusconi promuove Renzi, il suo figlioccio adottivo, quello al quale disse in quel di HardCore: “tu mi somigli” e boccia Grillo in quanto “comico”. Lui sì che se ne intende. Ma il figlio ingrato ha detto che in caso di vittoria del PD berlusconi sarà il primo ad essere rottamato.

Io, l’ho scritto tante volte e ovunque non faccio il tifo per nessuno, che sia di destra di centro o di sinistra, non ho votato per il Movimento e quindi i miei giudizi sono assolutamente al di sopra delle parti.

Ma se  il Movimento prenderà i voti quando in un ipotetico futuro ci permetteranno di tornare a votare è giusto che vada in parlamento come TUTTI i partiti che prendono i voti della gente, e  mi va benissimo che in parlamento ci sia chi può svolgere anche e solo la funzione di sentinella del potere finché il potere sarà quello che è.

Poi possiamo parlare mille anni sui loro metodi, sistemi, su chi e cosa li ispira: sempre meglio Casaleggio di licio gelli e la P2, di  dell’utri e cosa nostra, comunque.

Credo.

Secondo me.

Rosy_coni

Non so se qualcuno l’ha visto ieri sera su Raitre nello speciale di Lucarelli sulla strage di Capaci ma,  Grasso che parlava di Borsellino e Falcone alla luce delle dichiarazioni fatte a proposito del premio da dare a berlusconi circa la sua lotta antimafia mi ha provocato un grandissimo fastidio. Ecco dove cade poi la fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Il procuratore nazionale antimafia non può dire una cosa del genere pensando che non abbia poi delle conseguenze. Però l’ha detta lo stesso.
Quello che hanno fatto a Falcone e Borsellino quando erano  vivi è orribile quanto la loro morte, e io non mi do pace perché sono convinta che con loro molte cose che hanno segnato questo paese in modo irreversibile non sarebbero mai successe. E oggi – a vent’anni da quelle stragi – sentiamo il procuratore antimafia dire che pensa di premiare chi aveva un pluriergastolano assassino  mafioso alle sue dipendenze,  un eroe,  che faceva da baby sitter ai suoi figli e che ogni tanto gli metteva qualche bombetta sul cancello di casa, per simpatia, s’intende.
(Per tutti coloro che dicono che senza finanziamenti pubblici non si può fare politica).

Sottotitolo: Non c’è nessuna ribellione «contro i partiti». C’è una sacrosanta ribellione contro i gruppi dirigenti che da vent’anni occupano i partiti. Che hanno trasformato la politica in una professione redditizia. E che sono inchiodati sulle loro poltrone. Perché il ricambio, in democrazia, non è un optional. [Michele Ainis, costituzionalista]

La ribellione si estende anche a molto altro, Ainis è un gentiluomo e non lo può dire.

Non ha parlato, infatti, di corruzione, di mignottifici e mignottocrazie,  di collusioni con le mafie, di cose e case a loro insaputa, di lauree “ad trotam” e di diamanti,  di tutta una serie di porcherie inenarrabili ma accadute sul serio  che, se questo fosse stato un paese appena appena un po’ normale, non sarebbero mai dovute accadere.

E questi vogliono pure l’applauso invece dei fischi: sacrosanto strumento di dissenso dalla notte dei tempi.

Ergo: giù il sipario.

Qualcuno spiegasse a Bindi &Co. che non esistono gli elettori di centro destra o di centro sinistra, è finita, per fortuna,  l’appartenenza su cui hanno sguazzato per decenni, esistono gli elettori e basta.
E votano come cazzo gli pare.

E nessuno si deve permettere di dire che noi gente comune quando andiamo a votare  facciamo il gioco di qualcuno visto che non riusciamo a fare neppure il nostro.
Con buona pace di chi oggi si sente vincitore, il PD, che vince solo quando si scontra col peggio del peggio. Dove invece si è scontrato con un’alternativa più credibile ha perso.
Evidentemente non è la politica ad essere sgradita ma “certa” politica, se i siciliani di Palermo dopo trent’anni hanno scelto di nuovo Orlando.
E – guardacaso – aveva il PD contro, come era già successo a Napoli con De Magistris.
Occorre quindi ribadire un concetto che sta diventando nauseante: questa classe dirigente ha fallito.
Se ne deve andare a casa.  
Ha fatto (purtroppo) il suo tempo e distrutto tutto quel che si poteva distruggere.
Monti crolla nei sondaggi proprio perché anziché smarcarsi dalla vecchia politica e dai partiti ha fatto l’esatto contrario, e la notizia è che abbia ancora il 35/40% invece di sottozero. Ma piano piano tutti capiranno che anche nel sadomaso bisogna divertirsi (almeno) in due, altrimenti è violenza carnale.
Operare col sostegno di quei partiti che sono stati la causa della crisi (e di molto altro fra cui il rifiuto di questa politica) significa non poter prendere iniziative contrarie al volere di quei partiti.

Monti, anzi, si è proprio accomodato sui partiti, ne ha perpetuato l’azione (vedi costi della politica, privilegi eccetera:  cose che non sono state minimamente toccate mentre si faceva scempio di pensionati e lavoratori a stipendi e salari), ed ecco perché non è credibile.
I cittadini si aspettavano qualcuno che lavorasse per loro, non che continuasse ancora e ancora a tenere in piedi i distruttori della democrazia di questo paese.
Ed evidentemente l’idea di passare dalla politica del bunga bunga a quella del “rigor montis” non è stata gradita.
E meno male.

Boom boom boom

 Marco Travaglio, 22 maggio

Che spettacolo, ragazzi. A novembre, alla caduta dei Cainano, i partiti si erano riuniti su un noto Colle di Roma per decidere a tavolino il nostro futuro: se si vota subito, gli elettori ci asfaltano; allora noi li addormentiamo per un anno e mezzo col governo Monti, travestiamo da tecnici un pugno di banchieri e consulenti delle banche, gli facciamo fare il lavoro sporco per non pagare pegno, poi nel 2013 ci presentiamo con una legge elettorale ancor più indecente del Porcellum che non ci costringa ad allearci prima e, chiuse le urne, scopriamo che nessuno ha la maggioranza e dobbiamo ammucchiarci in un bel governissimo per il bene dell’Italia; intanto Alfano illude i suoi che B. non c’è più, Bersani fa finta di essere piovuto da Marte, Piercasinando si nasconde dietro Passera e/o Montezemolo o un altro Gattopardo per far dimenticare Cuffaro, la gente ci casca e la sfanghiamo un’altra volta, lasciando fuori dalla porta i disturbatori alla Grillo, Di Pietro e Vendola in nome del “dialogo “. Purtroppo per lorsignori, il dialogo fa le pentole ma non i coperchi. Gli elettori, tenuti a debita distanza dalle urne nazionali, si son fatti vivi alle amministrative, e guardacaso nei tre maggiori comuni hanno premiato proprio i candidati dei disturbatori: Pizzarotti (M5S) a Parma, Orlando (Idv) a Palermo, Doria (Sel) a Genova. Tre città che più diverse non potrebbero essere, ma con un comune denominatore: vince il candidato più lontano dalla maggioranza ABC che tiene in piedi il governo. Nemmeno il ritorno del terrorismo e dello stragismo a orologeria li hanno spaventati, come sperava qualcuno, inducendoli a stringersi attorno alla partitocrazia per solidarietà nazionale. Parma è un caso di scuola: il centrosinistra, dopo gli scandali e i fallimenti del centrodestra che a furia di ruberie ha indebitato il Comune di 5-600 milioni, era come l’attaccante che tira il rigore a porta vuota. Eppure è riuscito nella difficile impresa di fare autogol. Come? Candidando il presidente della provincia Bernazzoli, che s’è guardato bene dal dimettersi: ha fatto la campagna elettorale per le comunali con la poltrona provinciale attaccata al culo, così se perdeva conservava il posto. Non contento, il genio ha annunciato che avrebbe promosso assessore al Bilancio il vicepresidente di Cariparma. Sempre per la serie: la sinistra dei banchieri, detta anche “abbiamo una banca”.
Se Grillo avesse potuto costruirsi l’avversario con le sue mani, non gli sarebbe venuto così bene. Risultato: 60 a 40 per il grillino Pizzarotti, che ha speso per la campagna elettorale 6 mila euro e ha annunciato una squadra totalmente nuova e alternativa: da Maurizio Pallante a Loretta Napoleoni. Eppure il Pd era sinceramente convinto che Bernazzoli fosse il candidato ideale. E Bersani pensava davvero di sconfiggere il grillino accusandolo di trescare col Pdl, come se oggi, Anno Domini 2012, qualche elettore andasse ancora a votare perché gliel’ha detto B. o Alfano. Si sta verificando quello che avevamo sempre scritto: e cioè che la fine di B. coincide con la fine del Pdl, la fine di Bossi coincide con la fine della Lega, ma chi li ha accompagnati e tenuti in vita con finte opposizioni può sognarsi di prenderne il posto. Pdl, Pd e Udc sono partiti complementari che si tenevano in piedi a vicenda: quando cade uno, cadono anche gli altri due. I quali, non potendo più agitare lo spauracchio di B.&Bossi, dovrebbero offrire agli elettori un motivo positivo per votarli. E non ce l’hanno. Bastava sentirli cinguettare in tv di percentuali, alleanze, alternative di sinistra, rinnovamenti della destra, voti moderati, foto di Vasto, allargamenti all’Udc, per rendersi conto che non capiranno nemmeno questa lezione. Non sono cattivi: non ce la fanno proprio. Cadaveri che sfilano al funerale senz’accorgersi che i morti sono loro. Chissà se stavolta Napolitano ha sentito il boom: in caso contrario, è vivamente consigliata una visitina all’Amplifon .

In un paese normale (reloaded)

In un paese normale una persona che avesse lo stesso curriculum penale/giudiziario di  berlusconi sarebbe a marcire in una galera da almeno vent’anni, dimenticato da tutti, e quei pochi che si ricorderebbero di lui lo farebbero con un moto di repulsione, orrore, schifo, chiedendosi ogni giorno come è stato possibile permettere ad un uomo solo di stravolgere e deformare un paese a sua immagine e somiglianza e a chi è convenuto tutto questo; orrore, repulsione e schifo nei suoi confronti e verso tutta quella gente che MAI si è opposta seriamente e per il bene dello stato alle azioni di un delinquente, un impostore, un abusivo della politica, dopo, quando avrebbe dovuto come minimo tentare di porre rimedio al danno compiuto, evitabilissimo se si fossero rispettate le leggi che c’erano, né,  prima, quando non gli ha impedito di poter occupare un posto che non gli spettava per legge, anzi lo ha favorito confezionandone una, la bicamerale,  su misura per lui:  la prima di una lunga serie.
Un’azione politica forte seria che in Italia non c’è mai stata e che sarebbe bastato suggellare con una semplicissima legge sul conflitto di interessi ma che però non è mai interessato a nessuno fare probabilmente, anzi sicuramente perché più che i conflitti sono gl’interessi a riguardare un po’ tutta la politica e la dirigenza “alta” di questo paese: non solo berlusconi.
L’antipolitica più feroce la fa Napolitano quando difende partiti  che dovrebbero essere chiusi per manifesta indegnità e i suoi rappresentanti  cacciati e processati per alto tradimento: basta pensare ai 314 parlamentari capitanati dal molto onorevole Paniz che giurarono in Parlamento, dunque in nome del popolo italiano,  che Ruby era la nipote di Mubarak;  l’ha fatta Monti – sempre col beneplacito di Napolitano,  nominando Gianni De Gennaro sottosegretario nonostante il suo fardello di responsabilità circa “la più grave sospensione della democrazia di un paese dal dopoguerra in poi (i massacri del G8 di Genova)”  che non si è certamente alleggerito con la sua assoluzione; la fa la Cancellieri accusando nientemeno che di terrorismo (salvo poi rimangiarsi la parola) un movimento di gente non violenta e perbene come  i NOTAV che sta solo difendendo il suo diritto a non veder usurpata la sua terra e di conseguenza se medesima;  e l’ha fatta il procuratore antimafia Grasso elevando berlusconi a uomo di stato,  meritevole addirittura di un premio speciale, uno che mai come altri, più di tutti, invece, è sempre stato CONTRO lo stato, apertamente, senza pudore, vantandosene, anche,  e in modo indecente.
Vergogne senza fine.
E sono tutte italiane.

Tu dai una poltrona a me
 Marco Travaglio – 15 maggio

La proposta di Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, di premiare Berlusconi “per la lotta alla mafia” ha scatenato le più svariate illazioni su un suo prossimo ingresso in politica: chi dice come aspirante presidente della Regione Sicilia al posto di Raffaele Lombardo, inquisito per mafia; chi come candidato del “patito dei tecnici” di Passera, Montezemolo e Casini. Voci alimentate anche dalla sua rinuncia alla Procura di Roma, da un accenno di Gasparri alla sua “prossima campagna elettorale” e da una frase dello stesso Grasso su La Stampa di ieri (“anch’io ho il mio progetto, nel 2013 scade il mio incarico”). Ma, al momento, sono solo processi alle intenzioni.

Ciò che stupisce è che, per spiegare la sorprendente uscita di
Grasso pro B. (sorprendente persino per B.), ci si concentri sul suo eventuale futuro anziché sul suo sicuro passato. Nel 2005 Grasso diventa superprocuratore nel concorso più controverso della storia giudiziaria italiana: quello bandito dal Csm nell’ottobre 2004 per sostituire Piero Luigi Vigna, che scade nel gennaio 2005. Candidati favoriti: Caselli, più anziano, e Grasso. Il 1° dicembre la Banda B. approva il nuovo ordinamento giudiziario Castelli, con due strani codicilli: uno proroga Vigna “sino al compimento dei 72 anni di età” (cioè fino al 1° agosto 2005); l’altro taglia fuori dagli incarichi
direttivi i magistrati con più di 66 anni. Che senso hanno? La risposta è nella carta d’identità di Caselli, che compirà 66 anni il 9 maggio 2005.
Se Vigna lascia alla scadenza naturale, Caselli non ha ancora 66 anni.  Se Vigna viene prorogato, Caselli è fuori gioco e l’altro pretendente, Grasso, ha partita vinta.

Insomma i giochi per Grasso sembrano fatti.

Ma il 16 dicembre Ciampi respinge la Castelli perché incostituzionale. Caselli rientra in partita. Ma la prospettiva che torni a occuparsi di mafia turba i sonni dei berluscones, noti partigiani antimafia. Così il 30 dicembre, mentre gli italiani preparano il cenone di Capodanno, il governo infila nel decreto Milleproroghe tre righe che prorogano Vigna, affogate in una giungla di norme sulla Croce Rossa, l’autotrasporto merci e gli spettacoli circensi. Seconda norma ad personam, anzi contro Caselli. Mille magistrati si appellano a Vigna perché si dimetta subito, impedendo al governo di interferire in una nomina che spetta solo al Csm.
Ma Vigna non ci sente. Alla Camera però, in sede di conversione del decreto, le assenze nel centrodestra regalano all’opposizione un’occasione d’oro per approvare un emendamento Ds che spazza via la norma-vergogna. Ma Rifondazione si astiene e l’emendamento viene respinto: il solito soccorso rosso ai berluscones. Però per eliminare Caselli occorre approvare la Castelli-bis che impone il limite di età a 66 anni: una legge delega che va a rilento ed entrerà in vigore solo con i decreti attuativi. Intanto il Csm potrebbe nominare Caselli con le vecchie regole. Ma ecco pronto un emendamento di Luigi Bobbio, magistrato eletto in An, che prevede l’immediata entrata in vigore dei nuovi limiti di età. “Certo — confessa spudorato Bobbio — l’emendamento serve a escludere Caselli: non merita la Superprocura”.
È la terza norma anti-Caselli, ma soprattutto pro-Grasso. Viene
approvata a fine luglio e firmata da Ciampi: Caselli è
definitivamente fuori gioco. Il Csm denuncia l’incostituzionalità della norma, ma non può che ratificare la nomina del candidato superstite: Grasso, primo procuratore della storia repubblicana nominato da un governo (e che governo). Lui però non ci pensa neppure a ritirarsi dal concorso truccato. Nel 2007 la Consulta dichiarerà incostituzionale la norma anti-Caselli. Tra i primi a felicitarsene — con appena due anni di ritardo — sarà proprio Grasso: “Sono contento, è una legge che non ho condiviso”. L’ha semplicemente usata. All’epoca qualche ingenuo si domandò perché mai B. preferisse Grasso a Caselli?
La risposta, forse, è appena arrivata.

Quello che (non) ho: Marco Travaglio e Gad Lerner sulla politica italiana (14/05/12)