Sottotitolo da “Repubblica”; “I quattro poliziotti sono ancora in servizio, ma nei loro confronti è aperto un procedimento disciplinare, le frasi ingiuriose sono entrate nel dossier”.
Siamo troppo giustizialisti: aspettarsi che almeno in caso di condanna definitiva per omicidio, si venga automaticamente radiati dalle Forze dell’Ordine, sarebbe davvero eccessivo.
[Michele Cosentini]
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Un provvedimento disciplinare, come se avessero rubato le matite dalla scrivania del posto di lavoro. Come se avessero timbrato il cartellino al collega assenteista. A me ‘sta storia manda letteralmente fuori di testa. Ma che cazzo di paese è questo? bisognerebbe scappare senza fare nemmeno le valigie. Poi si torna a fare i turisti, casomai.

Per Patrizia Moretti dopo la rabbia è il tempo della denuncia: “I poliziotti negano l’evidenza di una sentenza della Cassazione. Ho paura. Spero che il ministro degli Interni prenda seri provvedimenti”.
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Lasciando stare i precedenti mediatici non proprio edificanti della Vezzali (vedi alla voce “sketch con Berlusconi e dintorni”); e sempre premettendo la buona fede o l’eventualità di un fake; ciò detto e ribadito, è troppo auspicare che Valentina Vezzali prenda posizione e, qualora fosse effettivamente iscritta a Prima Difesa, si dissoci risolutamente da un simile consesso?
E’ vero che in Italia siamo abituati a sportivi chiacchierati, ma una portabandiera iscritta a un gruppo simile sarebbe francamente inaccettabile.
P.S. Al momento, al gruppo “Prima Difesa Due” risulta iscritto, da 11 mesi, anche il profilo facebook di Renata Polverini.
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Il ministro Cancellieri pensa che una sentenza si può ignorare per tutto il tempo che si vuole, basta non leggerla.
Meno male che è stata messa in un ministero che non ha niente a che fare con la giustizia.
Insultare morti non è un esercizio di libera espressione. Non lo è nemmeno insultare i vivi, ma almeno i non morti hanno la possibilità di difendersi dalle diffamazioni.
Tutti i morti di stato vengono ammazzati ancora e ancora, dopo la loro morte fisica. E’ già successo, con Falcone e Borsellino, con Carlo Giuliani, non basta l’annientamento totale, bisogna eliminare anche la benché minima traccia, soprattutto morale, di quel che un tempo era stata una persona.
Credo che nella storia di questo paese non ci sia stato nessuno più insultato di Carlo Giuliani, da morto. E adesso tocca a Federico, qualcuno doveva raccogliere il testimone, evidentemente.
Chiunque – da parte debole – abbia avuto a che fare con le forze dell’ordine sa che abbastanza di frequente capita che persone che forse hanno qualche problemino con la giustizia, il ladruncolo, il piccolo spacciatore, oppure chi si tiene due grammi di hashish in tasca per farci i fatti suoi vengano trattate in modo non corretto né troppo civile
Per queste vale tutto, a cominciare dallo sputtanamento pubblico sui giornali, specialmente poi se il ‘malfattore’ è di un’altra nazionalità, e le botte, il pestaggio “pedagogico, educativo” molto spesso sono il messaggio di benvenuto dello stato nelle caserme da Bolzano a Palermo.
E allo schiaffo del soldato in quel caso non ci si può proprio sottrarre.
Diversa è la situazione quando davanti ad un carabiniere o ad un poliziotto si ritrova (raramente, peraltro) il pre-potente, il politico ladro, colluso con la mafia, corrotto o corruttore, per questi nessun abuso, anzi spesso si esagera con le buone maniere, a cominciare dalla discrezione, ché i panni più sono sporchi e più si devono lavare in famiglia.
Tutto questo anche grazie a quella mentalità ottusa di gente che naturalmente pur di evitare anche il minimo ragionamento si schiera a prescindere dalla parte della legge o, meglio ancora della giustizia ( me viè da ride) perché “a chi non fa niente non succede niente” oppure difende le sue ridicole certezze pronunciando la fatidica frase: “se fosse rimasto a casa sua ora sarebbe ancora vivo”.
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Fuori dalla polizia questi quattro criminali, e se si arrivasse ai mandanti sarebbe ancora meglio. Perché i mandanti ci sono, e sono fra quelli che non fanno leggi per porre dei limiti alle violenze di stato, per impedire alle forze dell’ordine di trasformarsi nel braccio armato del potere. E che poi non ne fanno altre per punire seriamente gli assassini di stato.

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Perché sto con la mamma di Aldrovandi –
di Ilaria Cucchi (sorella di Stefano, altro morto ammazzato da “ignoti” mentre si trovava sotto la tutela di funzionari dello stato)
Noi eravamo presenti al momento della pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione. Lucia Uva, Domenica Ferrulli ed io. Perché noi in questi anni siamo diventati una famiglia.
Noi sappiamo cosa significa lottare momento dopo momento per una giustizia che si da per scontata ma che molto spesso non lo è.
Noi sappiamo quanto è importante per noi, e per quelli come noi, che finalmente e definitivamente coloro che hanno tolto la vita a un ragazzino che non aveva fatto niente di male siano stati giudicati colpevoli. Questa è la giustizia in cui vogliamo credere. Questo ciò che da a noi la speranza di andare avanti.
Questo ciò che è riuscita a fare, da sola, Patrizia Moretti. Per la sua famiglia, per Federico che ora le sorride da lassù ma che mai nessuna sentenza potrà restituirle. Ma anche per l’intera collettività. E per noi, che senza il suo coraggio non avremmo mai trovato la forza necessaria per intraprendere battaglie di simili dimensioni.
Patrizia lo ha fatto sapendo bene che quanto aveva di più prezioso non le sarebbe stato restituito da una sentenza di condanna. Nella quale ella stessa, pur sapendo benissimo come erano andate le cose, avendo imparato a sue spese a conoscere questa giustizia in tanti momenti non ha sperato.
E lo ha fatto anche nell’illusione di poter cambiare una cultura. Quella terribile per la quale chi indossa una divisa ha ragione a prescindere. Ma contro il pregiudizio e l’ottusità a volte non basta nemmeno questo. Se oggi, di fronte all’evidenza delle atrocità che hanno fatto coloro che hanno ucciso Federico Aldrovandi, c’è ancora chi ha il coraggio di difenderli. E non solo. Purtroppo.
Patrizia ha visto calpestata la vita di suo figlio, appena diciottenne e con tutta la vita davanti, ed oggi dopo tanto dolore aggiunto al dolore, quello di una lotta impari affrontata con lo strazio della consapevolezza che ormai la sua vita era finita nello stesso istante in cui era finita quella di Federico, vede calpestata anche la sua memoria.
Ma che senso ha tutto questo?
E la nostra realtà politica non ci aiuta.
Troppo presi evidentemente a fare leggi su misura per loro. Ignorando quali sono i problemi veri della gente comune.
Gente che per merito della nostra giustizia riesce a fatica a far emergere realtà scomode, grazie solo ed esclusivamente alle pubbliche denunce. Quelle rivolte alla gente normale.
Quelle che fanno indignare il vicino di casa e l’impiegato dell’ufficio postale, che solo in quel momento assumono consapevolezza dei soprusi che avvengono ogni giorno nell’indifferenza generale.
Perché fa comodo a tutti non parlarne.
Così. Come se niente fosse successo.
Perché parlarne vuol dire mettere in discussione l’intero sistema.
Molto meglio chiedere a noi di farcene una ragione.
Sfatiamo questo mito. La giustizia non è uguale per tutti.
Cambiano le persone che comandano questo Paese, ma non cambia la mentalità. Se il ministro degli interni, piuttosto che tacere, ritiene opportuno esprimersi in maniera vaga anziché compiacersi per la vittoria della giustizia, quella vera, una volta tanto.
Cosa dovremmo pensare noi?
Che siamo soli. E ancora una volta qualcuno ce lo ha dimostrato.
Ma niente e nessuno riuscirà a farci desistere dal nostro bisogno di giustizia. I nostri cari non sono morti per un puro caso, ma per colpa di chi avrebbe dovuto tutelarne i diritti.
E nessuno può chiederci di far finta di niente.
Lo sappiamo bene quanto è e sarà dura.
E sappiamo anche bene che possiamo confidare solo su noi stessi, sul nostro avvocato e angelo.
E sul coraggio di Patrizia.
Che ha cresciuto un ragazzo fantastico, che sarebbe stato accanto a lei per tutti i giorni della sua vita, se quattro assassini non avessero deciso di portarlo lontano da lei.
fonte globalist 26 giugno 2012