Che bel paese, l’Italia. Da scappare senza fare le valigie

L’ABORTO È CLANDESTINO

Otto medici su dieci oggi sono obiettori
Così dopo 35 anni muore la legge 194

Medici corrotti e pillole fai- da- te il ritorno degli aborti clandestini. “Raddoppiati in cinque anni”

Oltre l’80% dei ginecologi è obiettore di coscienza e le donne respinte dalle istituzioni tornano al segreto: ventimila le interruzioni di gravidanza illegali calcolate dal ministero della Sanità, ma secondo alcune stime sono almeno il doppio. Ambulatori fuorilegge e farmaci di contrabbando. “Una sconfitta di tutti, perché la norma funzionava, ma è diventata una corsa a ostacoli”.

Dopo trent’anni dall’applicazione della 194 bisogna leggere di aborti clandestini, di donne assassine, di leggi che danno fastidio perché tutelano le donne, la vita e non mandano le donne a farsi ammazzare di nascosto da qualche sciagurata.
Bisogna ripetere ancora, ancora e ancora che abortire non è come andarsi a prendere un caffè, che abortire non è un metodo anticoncezionale ma l’extrema ratio, ovvero l’ultima e unica scelta che una donna può fare se la sua situazione PERSONALE e che dunque non deve interessare nessuno oltre a lei ed eventualmente il suo compagno e marito, non le consente di portare avanti una gravidanza.

Bisogna spiegare ancora, ancora e ancora che se lo stato mette una legge a disposizione bisogna anche garantirne l’applicazione, che un medico non può sbattere la porta in faccia ad una donna che DEVE abortire per questioni di coscienza sua e che siccome è sua non devono riguardare nessun altro. 

L’obiettore va a fare un altro mestiere se non se la sente di garantire un servizio a sua volta garantito da una legge dello stato. 

Oppure si può limitare a continuare a praticare aborti nella sua clinica privata dove la coscienza viene messa opportunamente a tacere pagando. 
L’obiettore è solo un arrivista, uno che sa che questo è l’unico modo in Italia per fare carriera. 

Altroché coscienza e altroché donne “assassine”; nel terzo millennio in una democrazia occidentale normale, civile, nessuno starebbe ancora a parlare, usando certi toni e certi termini, di una legge che tutela e difende, al contrario di quel che pensano i cosiddetti difensori della vita; quelli alla binetti, per dire.

Questo non è solo un paese arretrato culturalmente: è un paese dove vivono una gran parte di deficienti egoisti, incapaci di mettersi nei panni degli altri, di fare dei problemi degli altri un problema loro. 
Gente incapace di fermarsi a riflettere e pensare a cosa farebbe se quel problema la riguardasse personalmente; che sa solo solo ipocritamente inorridire davanti ad una necessità che perché non è la sua non la dovrebbe riguardare ma continua a parlare, s’impiccia, s’intromette senza dare nessun contributo utile.

Le donne che devono abortire lo faranno sempre, con e senza l’assistenza dello stato, e se le donne ricominceranno a morire per abortire la responsabilità sarà soltanto di tutti quegli incivili, antidemocratici, ipocriti perbenisti che hanno speso le loro energie per riportare l’Italia indietro di trent’anni.

Omissioni, di stato e di soccorsi

Omissione di coscienza

Preambolo:  la 194 è una legge dello stato, chi non se la sente di metterla in pratica faccia altro, soprattutto in virtù del fatto che la coscienza in questo tipo di obiezione non c’entra niente, è solo un atteggiamento di facciata per poter contare sull’appoggio della politica che senza i suggerimenti della chiesa non fa un passo. L’obiettore è uno spudorato carrierista che molto spesso si dimentica di avere una coscienza davanti agli assegni milionari con cui si pagano gli aborti nella sua clinica privata.

Del medico obiettore [donna, così almeno qualcuno la pianta di portare avanti la strampalata teoria che le donne fanno tutto meglio di qualsiasi uomo] che ha messo in pericolo l’incolumità di una paziente rifiutandosi di soccorrerla, di prestare la sua opera di medico che salva le vite e non le mette a rischio per una questione di “coscienza” [ché se tanto mi dà tanto…e comunque tutti sanno che l’obiezione con la coscienza non c’entra niente, i motivi sono altri e assai meno nobili] si dovrebbe conoscere e diffondere il nome e cognome, in modo tale che la possano schifare e toglierle il saluto anche i vicini di casa. 
Questa gente va isolata, messa ai margini del contesto civile perché socialmente pericolosa.
La legge sull’aborto è una legge dello stato, violare le leggi o non applicarle in qualità di funzionari, di operatori al servizio del pubblico dovrebbe essere SEMPRE un reato, così come non farne di utili per le questioni di coscienza che fanno tirare indietro i parlamentari su suggerimento di uno stato estero invadente e come  quando devono votare per l’arresto di un loro pari e dicono no per motivi di coscienza, la loro, sulla quale si potrebbero scrivere trattati lunghi qualche chilometro, dovrebbe essere una buona ragione per licenziarli senza nemmeno il preavviso. 
La coscienza, come la religione, sono questioni personali che non possono e non devono in alcun modo condizionare lo svolgimento della professione.

Se questo fosse un paese normale le prime pagine dei giornali dovrebbero essere dedicate tutte ad un Magistrato minacciato dalla mafia, e le istituzioni dovrebbero trovare il tempo per occuparsi di un Magistrato minacciato dalla mafia e di sostenerlo, pubblicamente. E invece no, il CSM ha aperto un provvedimento disciplinare nei confronti di Nino Di Matteo colpevole di essere troppo prevedibile nei suoi spostamenti.  

Tutto perfettamente in linea in un paese dove  l’unico Magistrato buono è quello morto, cosicché poi si possa andare alle commemorazioni dicendo cazzate sul genere di “vent’anni fa non ci lasciammo intimidire”.

Purtroppo però questo è solo il paese dove un top manager d’azienda già indagato per corruzione internazionale come un formigoni qualunque chiede un risarcimento milionario ad una giornalista.

E’ il paese dove chi ha concesso i suoi favori e le sue grazie a pagamento ad un vecchio erotomane potente e delinquente può convocare la sua piazza davanti al tribunale di Milano per protestare contro i giornalisti che hanno scritto e parlato di lei usando il termine “prostituta”. Ormai il tribunale di Milano è diventato una specie di refugium peccatorum dove chiunque può andare a vomitare sullo stato, dunque su tutti quanti noi; 

è il paese dove lo stato carica i suoi cittadini di altre tasse per pagare i debiti che lo stato ha verso i cittadini;

è il paese dove un medico può rifiutare di prestare assistenza ad una persona in pericolo di vita  giustificando l’omissione dietro una questione di coscienza; 

è il paese dove dà fastidio un albero piantato in ricordo di chi è morto per colpa di uno stato assente, che quando serve non c’è mai.

Una repubblica che nasce monca, già schiavizzata in partenza, un paese al quale è stato impedito di avere un’indipendenza politica per mezzo di una strage di mafia: tutto quello che è accaduto in Italia ci riporta al 1 maggio del 1947, a Portella della Ginestra, non può che essere destinato a fare una brutta fine in assenza di uno stato sempre occupato a fare tutt’altro,  a salvare la  “robba” in nome e per conto terzi.

Per quello che può valere, la mia solidarietà totale e incondizionata a Nino Di Matteo, Magistrato antimafia minacciato dalla mafia  e a Milena Gabanelli,  minacciata da Paolo Scaroni, top manager di ENI in quanto giornalista libera e indipendente.

I saggi di Cosa Nostra
Marco Travaglio, 3 aprile

Se non fosse che le Procure di Palermo e Caltanissetta la prendono molto sul serio, per i troppi particolari precisi degli spostamenti delle vittime designate, verrebbe da sperare che la lettera giunta nei giorni scorsi alla Procura di Palermo e svelata ieri dal Fatto fosse una bufala. E non solo perché preannuncia una nuova stagione stragista contro magistrati siciliani impegnati nei processi sui rapporti fra Stato e mafia. Ma anche per un altro motivo, se possibile ancor più grave: il terribile e irresistibile richiamo al 1992, quando crollò la Prima Repubblica sotto i colpi della crisi finanziaria, di Mani Pulite e della Lega Nord. Il vuoto di potere allarmò i poteri criminali, che rischiavano di perdere il controllo del sistema e reagirono come sappiamo: con un mix di stragi e trattative che miravano a “destabilizzare per stabilizzare”, secondo il vecchio schema della strategia della tensione (“fare la guerra per fare la pace”, disse Riina). Allora come oggi il sistema era privo di politici credibili, tant’è che fece ricorso ai tecnici. Allora come oggi la mafia e i suoi referenti erano sotto scacco anche giudiziario: nel ’92 la sentenza della Cassazione che confermò le condanne del maxiprocesso; ora la condanna di Dell’Utri, la requisitoria del pm Di Matteo contro il Ros per la mancata cattura di Provenzano, il rinvio a giudizio di tutti gl’imputati per la trattativa Stato-mafia. Ventuno anni fa i magistrati più esposti erano Falcone e Borsellino, oggi sono Di Matteo, Sava, Delbene,Tartaglia e il loro ex coordinatore Ingroia che han chiuso l’indagine sulla trattativa, e i pm di Caltanissetta impegnati nell’inchiesta sui depistaggi di via D’Amelio. Infatti la lettera di Mister X avverte che è in programma un attentato a Di Matteo, ma anche a uno dei quattro pm palermitani in servizio alla Procura nissena. E che a ordinare la nuova stagione stragista, proprio come nel ’92-’93, non è stata Cosa Nostra, ma “gli amici romani di Matteo”, il boss trapanese Messina Denaro, che usano la mafia come “service”, come pura manovalanza, pronti a sdebitarsi in seguito con le consuete ricompense. Oggi come allora c’è da eleggere il nuovo capo dello Stato. E, se allora i soliti noti guardavano con terrore all’ascesa della sinistra di Occhetto, oggi la minaccia al sistema politico-criminale è un’altra forza “outsider”: il Movimento 5Stelle, non soltanto perché non controllabile e non ricattabile in sé, ma anche perché in grado di condizionare la sinistra che, sia pure di un soffio, è arrivata prima alle elezioni. Se la lettera è attendibile, la frase “non possiamo finire governati da comici e da froci” non si può leggere che così: con il terrore del riprodursi a Roma del “modello Sicilia”, dove la sinistra di Rosario Crocetta governa col pungolo costante dei 5 Stelle, e infatti fa cose mai viste. Insomma, la mafia ha avviato le sue consultazioni per il nuovo presidente e il nuovo governo. A ciò si aggiungono un paio di particolari non da poco. Primo: è difficile che l’autore della lettera sia davvero, come afferma, un uomo d’onore del commando incaricato dell’attentato, troppo facile da individuare e assassinare per il suo tradimento. Molto più probabile che il soggetto appartenga a quel sottobosco di poteri criminali a cavallo fra Stato e mafia che lui stesso descrive come “gli amici romani di Matteo”. Tornano alla mente i comunicati allusivi della “Falange armata” (espressione dei servizi deviati) e dell’agenzia di stampa “Repubblica” (vicina agli andreottiani romani, soltanto omonima del noto quotidiano), che nel ’92-’93 preannunciavano le stragi con inquietante preveggenza. Secondo: anche oggi i pm nel mirino sono isolati, per non dire osteggiati dalle istituzioni e dalla politica che conta. Se queste conservassero un po’ di pudore,
il Csm archivierebbe all’istante l’incredibile processo disciplinare avviato dal Pg contro Di Matteo. 
E il Colle e i suoi saggi metterebbero in agenda le parole “mafia” e “trattativa”.
Così, tanto per farci sapere da che parte stanno.