Preambolo: definizione di troiaio: “porcile, luogo molto sudicio, luogo dove si trovano molte prostitute o, più genericamente, molte persone disoneste, depravate”.
Sottotitolo: “abbiamo una legge elettorale che si chiama porcellum e poi ci scandalizziamo se Battiato dice che è un governo di troie”. [Michele Santoro]
Immenso Battiato, questo paese non si merita la sua intelligenza e genialità.
Le vere tre I che corrispondono a questo paese sono: ignoranza, ipocrisia e indecenza, altroché quelle che vaneggiava il buffone delinquente promettendo le sue solite cazzate a proposito di progressi della scienza e della tecnica.
Dice ancora il Maestro: “Se in parlamento ci sono dei fetenti, il parlamento è una fetenzia. E’ così sbagliato dire che questo è un troiaio?”
Secondo me no. Anzi, qualcuno avrebbe dovuto dirlo prima e, tanto per restare in tema di troiai, il 20% dei grandi elettori che sceglieranno il nuovo capo dello stato [nuovo si fa per dire] sono imputati e indagati.
Chi ha criticato Battiato sono più o meno le stesse persone che lo hanno fatto con Strada circa la sua frase su brunetta: gente che ormai non può più guardare la luna al posto del dito perché è la luna stessa a schifarsi di tanta ipocrisia e si gira da un’altra parte.
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Dice ancora Battiato: “ognuno è artefice del suo destino, chi ha scelto di fare il cretino, l’assassino, il delinquente lo fa di sua spontanea volontà”.
E questo è quello che ho sempre pensato anch’io che non arriverò mai alla genialità intellettuale di Battiato ma insomma, qualcosa penso di saperla, capirla e averla imparata.
Perché tutti gli esseri umani, fatta eccezione per chi non ne ha facoltà a causa di malattie o impedimenti fisici possono fare di se stessi quello che vogliono nel bene, se invece preferiscono farlo nel male è una loro responsabilità, non di chi glielo dice e che una tristissima parte di gente ipocrita anziché appezzarne l’onestà, la sincerità considera questi giudizi volgari, inopportuni, come se essere ignoranti, cretini, assassini e delinquenti per scelta fosse il massimo dell’opportunismo; quindi le persone che hanno scelto di essere altro, e altre, quelle che si rifiutano di accettare con indifferenza che siano i cretini e i delinquenti, gl’incapaci a dettare legge, a decidere i destini di un paese escludendo invece chi sarebbe in grado e all’altezza di dare un contributo utile [tipo proprio Franco Battiato], non è giusto che vengano poi infilate in quel frullatore mediatico, disonestamente intellettuale che vuole gl’italiani tutti uguali e tutti meritevoli di subire lo schifo alla stessa stregua di quelli che non si sono mai ribellati allo schifo ma anzi, hanno contribuito a produrlo e ad incentivarlo.
Come scrivevo ieri, io non sono uguale a chi vota e ha votato berlusconi e tutto il suo caravanserraglio di indecenti delinquenti PER SCELTA che qualcuno ha ancora l’ardire di definire onorevoli e senatori della repubblica italiana.
E come me per fortuna c’è anche un sacco di altra gente, quindi i “siamo tutti”, o gli “abbiamo quello che ci meritiamo” e altre cazzate del genere che non fanno il mezzo gaudio di un male comune ma offendono chi non è stat* causa di quel male le respingo, le respingerò sempre molto volentieri, e con fastidio, a tutti i mittenti, chiunque essi siano.
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Un po’ di pudore
Marco Travaglio, 12 aprile
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“Dicono che, come al Conclave, anche al Toto Quirinale chi entra papa esce cardinale.”
Nell’editoriale di Marco Travaglio i papabili prossimi Presidenti della Repubblica.
È vero che nei Conclavi soffia lo Spirito Santo, mentre di solito la battaglia per il Quirinale è scossa da ben altre ventilazioni, per non dire flatulenze. Ma la classe politica, quando c’era, ha sempre cercato di cogliere lo spirito del tempo nella scelta di chi per sette anni deve rappresentare la Nazione. Nel 1946, dopo la guerra civile armata tra fascisti e antifascisti e poi referendaria tra monarchici e repubblicani, si optò per una nobile e antica figura di giurista meridionale e monarchico: De Nicola. Due anni dopo, per l’avvio della ricostruzione, fu scelto Einaudi, purissimo intellettuale liberale. Poi toccò a un alfiere dell’apertura al centrosinistra Dc-Psi: Gronchi. E, dopo gli eccessi di quest’ultimo, si passò a un conservatore illuminato, autore della riforma agraria: Segni. Poi fu la volta di un socialista riformista, Saragat. A cui seguì, in una società in tumulto fra contestazione e strategie della tensione, un autorevole giurista fuori dai giochi: Leone. Dopo di lui, nell’Italia dei primi scandali e del terrorismo, i partiti riuscirono a elevarsi sopra se stessi confluendo sul partigiano Pertini, che restituì dignità e popolarità alle istituzioni screditate e attaccate. Cossiga rispondeva grosso modo alla stessa logica, ancora in pieno terrorismo, con le stimmate della dolente sconfitta sul caso Moro e una fama di onesto notaio: il presidente più giovane dell’Italia repubblicana, eletto al primo scrutinio. Scalfaro nel ’92 passò a sorpresa grazie a una felice intuizione di Pannella, nel Paese squassato da Tangentopoli e dalle prime stragi di mafia. Ciampi, nel ’99, fu l’unico frutto sano della stagione malata dell’inciucio bicamerale. E Napolitano fu il tributo storico a un partito, il postcomunista, che non era mai andato al governo con un suo uomo dopo aver vinto le elezioni. Quale spirito del tempo inseguono, oggi, i partiti che si accingono a scegliere il dodicesimo Presidente, quando ormai la politica e le istituzioni sono meno autorevoli di un postribolo? Non si pongono proprio il problema. La selezione delle candidature non parte da un identikit che incarni un progetto, una visione, una speranza. Ma dal piccolissimo cabotaggio degl’interessi di bottega dei due sconfitti alle urne, Ber&Ber, con i loro 10 milioni di voti persi. L’uno ha bisogno di un Presidente che lo salvi dall’irrilevanza, dai processi e da un’ineleggibilità mai sancita, anche se prevista dalla legge che ne fa un parlamentare abusivo da vent’anni. L’altro ha bisogno di un Presidente che gli dia l’incarico pieno per un governo senza numeri né storia e blocchi per qualche altro mese la naturale sepoltura di una classe dirigente, quella del centrosinistra, che in vent’anni ha prodotto solo disfatte e fallimenti. Non occorrono un De Gasperi, un Fanfani, un Moro, un Nenni, un Berlinguer per capire che all’Italia di oggi serve un Presidente fuori dai partiti, un uomo di diritto e di cultura capace di ridare dignità e onore allo Stato, alle Istituzioni, alla Politica, in sintonia con la voglia di cambiamento che sale da molti cittadini. Invece si leggono “rose” di nomi deprimenti, come la sepolcrale cinquina che vedete effigiata qui accanto: Amato, uno che avrebbe dovuto scomparire già nel ’92 col suo amico Bettino, e anche in seguito non gli son mancate le occasioni; Violante, che vent’anni fa passava per il capo del partito dei giudici e oggi raccoglie i meritati elogi del piduista Cicchitto; Marini, un signore di 80 anni che da tempo sfuggiva ai radar e i più credevano sistemato a Villa Arzilla; la Severino, ministra di larghe intese e avvocato di larghe imprese, riuscita nel raro intento di abbassare le pene per la concussione in una legge denominata “anticorruzione”; e infine Grasso, un violantino in sedicesimo che, appena arrivato, già promette bene. Signori dell’inciucio, un po’ di pietà. E, se non è troppo pretendere, di pudore.